|  | I Giusti italiani
   Nonantola, Villa Emma  
 I 40 bambini ebrei, che
        arrivarono il 17 giugno 1942 a Nonantola, erano in realtà diretti in Palestina, quando
        l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia gli bloccò la strada nel 1941. Durante
        il viaggio per arrivare in Italia sostarono per un certo periodo nella parte del
        territorio sloveno annesso dall'Italia, prima di arrivare a Nonantola. Nell'aprile del
        1943 vi si aggiunse un secondo gruppo di 33 bambini, che arrivavano da Spalato. Erano
        tutti orfani che avevano perso i genitori nei campi di concentramento e che erano stati
        portati oltre la frontiera tedesca dalla nota sionista Recha Freier con l'aiuto di alcuni
        contrabbandieri.
 Nella Villa Emma i bambini e ragazzi, dell'età dai sei ai vent'anni, vivevono insieme ai
        loro accompagnatori e ai loro educatori, Josef Indig, Marco Schoky e il pianista Boris
        Jochverdson, in condizioni modeste, ma tutto sommato buone, cosicché poterono riprendere
        le lezioni ed essere istruiti al lavoro agricolo e a lavori artigiani per prepararsi
        all'immigrazione in Palestina e alla futura vita in un Kibbuz. La popolazione di Nonantola
        ebbe una grande simpatia per questi giovani rifuggiati, perché sapevano che avevano perso
        i genitori, e nonostante il divieto di uscire da soli e il controllo attento della
        Questura nacquero amicizie tra i giovani ebrei e gli abitanti di Nonantola.
 Con l'occupazione tedesca dell'Italia dopo l'armistizio con gli Alleati l'8 settembre 1943
        e l'arrivo delle truppe tedesche a Nonantola, la situazione cambiò radicalmente. In meno
        di 48 ore Villa Emma fu abbandonato e le ragazze e i ragazzi trovarono rifugio presso il
        seminario dell'Abbazia e nelle case dei contadini, degli artigiani e negozianti dei
        dintorni. Un grande coraggio in questa situazione fu dimostrato da Don Arrigo Beccari.
 Visto che tutti avevano molta paura della razzia della polizia tedesca, venne organizzata
        la fuga attraverso la frontiera con la Svizzera, che avvenne tra il 28 settembre al 16
        ottobre 1943.
 Nell'oscurità i bambini guadarono il fiume Tresa. In Svizzera le associazioni sioniste li
        alloggiarono in un istituto a Bex nella valle del Rodano, da dove la maggiorparte di loro,
        dopo una fuga durata 5 anni, arrivò in Palestina nel maggio del 1945. Uno dei ragazzi,
        che si ammalò di tuberculosi e che fu ricoverato in un sanatorio, non riuscì a fuggire.
        Il suo nome si ritrova nell'elenco di un convoglio per Auschwitz.
 Don Arrigo Beccari e il medico Giuseppe Moreali sono stati in seguito onorati nello Yad
        Vashem per l'aiuto coraggioso e generoso da loro prestato, ed è stato loro dedicato un
        albero nel Viale dei Giusti.
 ***  *** Il paese degli Uomini
        Giusti nascose ai nazisti 73 giovani ebrei di Jenner Meletti Lascia un
        attimo la corona del rosario e dice: "Pregherò più tardi, il tempo non mi manca,
        adesso". Una faccia larga e buona, gli occhi vivissimi. "I ragazzi ebrei? Certo
        che li ricordo. Erano piccoli, e tanti erano orfani. Non facciamo tante storie, aiutarli
        era un obbligo. Tutto qui".Don Arrigo Beccari, 92 anni, dalla sua stanza nell'ex seminario guarda i tetti della
        cittadina. "E' vero. A Gerusalemme, nel 1965, su due alberi del viale degli Uomini
        Giusti hanno messo il mio nome e quello di Giuseppe Moreali, medico condotto. Mamma mia,
        avere un titolo grosso come "Uomo Giusto" è una bella responsabilità. Speriamo
        di meritarlo".
 
 La storia del vecchio prete e del dottore è dentro la cartella che il professor Klaus
        Voigt, storico tedesco, ha portato ieri da Berlino, per consegnarla all'archivio del
        Comune. "Quasi vent'anni di ricerche, ma ora ho finito. Il libro uscirà fra due mesi
        in Germania, poi sarà tradotto e pubblicato anche in Italia. "Villa Emma: ragazzi
        ebrei in fuga. 1940-1945". Credo che in nessuna altra parte d'Europa sia avvenuta una
        cosa come questa: 73 ragazzi ebrei, e 18 accompagnatori, salvati da un intero paese. E la
        cosa più bella è che nessuno qui si è mai vantato di nulla. Erano ragazzi, dicono, poco
        più che bambini, e rischiavano di finire in campo di sterminio. Si poteva forse fare
        finta di nulla?".
 
 Otto settembre del 1943. Agli usci delle case, in paese e in campagna, bussano ragazze e
        ragazzi. Dicono: "Sono di Villa Emma", e sembra una parola d'ordine. Le porte si
        aprono, si preparano i letti e si mette un piatto in più. Stanno arrivando i tedeschi, i
        ragazzi vanno nascosti. Tutti sanno, da quasi un anno, chi siano "quelli di Villa
        Emma". Anche i fascisti, che fanno finta di nulla. Sono ebrei in fuga già
        dall'ottobre del 1940.
 
 Erano partiti da Berlino e da altre città tedesche, volevano arrivare in Palestina
        attraversando la Jugoslavia e la Turchia, assistiti dalla Delasem, l'organizzazione ebrea
        per l'assistenza agli emigranti. Si fermano a Zagabria, ospiti di famiglie ebree, che
        assicurano che "qui non ci saranno mai le cose brutte che avvengono in Germania e
        Austria". Ma il 10 aprile 1941 arrivano i nazisti, e i ragazzi ebrei debbono tornare
        verso il Nord. Per più di un anno si fermano nel castello di Lesno Brdo, in Slovenia
        meridionale, annessa dall'Italia. Si mangia polenta condita con i cardi trovati nei campi,
        e si organizza una scuola con tre classi, perché i ragazzi non possono perdere anni
        preziosi. Ma il castello è al centro degli scontri fra partigiani di Tito e soldati
        italiani, bisogna partire.
 
 I ragazzi arrivano a Villa Emma il 17 luglio 1942. "E' l'unica autorizzazione
        all'ingresso di ebrei in Italia - dice il professore Klaus Voigt - rilasciata dal
        ministero durante la guerra".
 
 Manca tutto, a Villa Emma, abbandonata da vent'anni. Don Arrigo Beccari, parroco e
        insegnante di lettere, porta le brandine del seminario. Il medico Giuseppe Moreali cura i
        ragazzi. Anche qui organizza la scuola. Una stanza diventa sinagoga, con i rotoli della
        Torah. Arrivano gli aiuti delle comunità israelitiche. Una vita quasi normale: si può
        fare il bagno nel Panaro, quando il sole picchia sulla pianura. I ragazzi lavorano anche
        in campagna, con il mezzadro Ernesto Leonardi. In cambio hanno le patate per l'inverno, e
        imparano il mestiere del contadino, nella speranza di arrivare nei kibbuz.
 
 Otto settembre. Arrivano i tedeschi, ed i capi della comunità di Villa Emma sanno già
        cosa succederà. I più piccoli piangono ogni sera, perché hanno ricevuto una cartolina
        del padre o della madre che dice soltanto: "Sono partito". Non possono scrivere
        altro, per annunciare il viaggio verso il campo di sterminio.
 In una notte Villa Emma si svuota. Trenta ragazzi e ragazze nel seminario, gli altri nelle
        case. "Ho tre figlie, tu sarai la quarta". "C'è posto nella stalla, con i
        miei figli". I tedeschi arrivano il 9 settembre. Forse anche loro sanno, ma non fanno
        rastrellamenti. Hanno paura della rivolta di un intero paese. Ma non si può resistere a
        lungo. Tutti su un treno, alla stazione di Nonantola, nel pomeriggio del 6 ottobre 1943. I
        documenti - preparati da un impiegato comunale che ha rubato le carte di identità in
        municipio - dicono che questi ragazzi sono collegiali, diretti verso Ponte Stresa.
 
 "Per arrivare in Svizzera - dice il professor Klaus Voigt - i ragazzi e i loro
        accompagnatori dovettero guadare al buio il fiume Tresa. Venne formata una catena, in cui
        i più grandi e più forti si alternavano con i più piccoli, perchè la corrente non li
        portasse via". Tutti salvi, meno un ragazzo malato ricoverato in un sanatorio a
        Pavullo, e portato ad Auschwitz.
 Tutti salvi, meno Goffredo Pacifici, bidello di Villa Emma, arrestato e deportato una
        settimana dopo mentre portava in Svizzera altri ebrei.
 
 
 I ragazzi di allora sono tornati nel 1996 per abbracciare chi li aveva
        aiutati. L'anno scorso, in Municipio, è arrivata una lettera. "Abbiamo piantato
        cento alberi in onore dei cittadini di Nonantola. Sono la memoria del bene. I ragazzi di
        Villa Emma, con affetto eterno". 
 (la repubblica, 20 gennaio 2001)
 
  Comune di
        Nonantola
  Giuseppe
        Moreali  e  don Arrigo Beccari
  Villa
        Emma, isola di speranza (Shalom, n. 11, 2001)
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