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Prima dei lager: gli Einsatzgruppen

a cura di Aldo Pavia e Antonella Tiburzi

 

pallanimred.gif (323 byte) L'ECCIDIO DI MINSK

Verso la fine del 1941, uno Scharfuehrer SS (sergente maggiore) di nome Ribe, un uomo di estrema crudeltà, quando incontrava un ebreo, per questo sventurato era un momento di angoscia e dolore. L’SS non lo lasciava tornare a casa, se non sanguinante. Ma il più delle volte lo freddava con un colpo di pistola. Fu Ribe che, con tragica ironia, organizzò un “concorso di bellezza” tra le giovani ebree. Ne scelse dodici, tra le più carine e le fece sfilare per tutto il ghetto. Poi le indirizzò verso il cimitero ebraico, dove le costrinse a spogliarsi e le uccise una ad una. L’ultima delle sventurate si chiamava Lena Neu. A lei strappò il reggiseno e con aria soddisfatta disse che sarebbe stato il suo souvenir della “bella ebrea”.

Il 3 marzo 1942, ricorreva la festa di Purim, il giorno in cui gli ebrei ricordano la congiura ordita dal visir persiano Aman, e come la bella regina Ester, sposa del re di Persia Assuero, la sventò salvando il popolo ebreo dall’annientamento.

Il tenente colonnello SS, Eduard Strauch, comandante dell’Einsatzkommando 1 b (Einsatzgruppe A) organizzò per quella data una Aktion nel ghetto di Minsk. Se gli ebrei durante Purim, si divertono come fosse il carnevale dei cristiani, ebbene Strauch li avrebbe fatti divertire a modo suo.

L’operazione venne mascherata come se si trattasse della deportazione di 5.000 ebrei. Il Consiglio ebraico del ghetto (Judenrat) avrebbe dovuto scegliere i partenti e farli trovare pronti, con non più di cinque chili di bagaglio a testa.

Alcuni ebrei, facenti capo a Hersh Smolar che stava organizzando la resistenza, fiutarono il pericolo. Chiesero ai tedeschi se donne e bambini dovevano essere inclusi tra i deportati. La risposta fu: “Ganz egal, fa lo stesso!”.

Fu chiaro che i nazisti volevano 5.000 persone, solo per fucilarle.

Sul ghetto, l’1 marzo, calò una notte da tragedia. Alla mattina del 2, alle 10 in punto, l’Einsatzkommando, accompagnato da fascisti lituani e dalla polizia bielorussa, iniziò il pogrom. Entrarono nel ghetto e presero a percuotere chiunque cercasse di fuggire e di cercare un rifugio. Le vittime furono strappate dalle loro case e radunate con la forza nel luogo che i tedeschi avevano indicato per ”l’appuntamento”. Poiché fu apposta resistenza, furono sparati numerosi colpi di arma da fuoco. Apparve a quel punto il Gauleiter della Bielorussia, Wilhelm Kube, ritenuto ostile alle SS. Questi si lamentò per i fatti inauditi che stavano accadendo e per i pericoli rappresentati dai proiettili vaganti. Strauch, offeso da quest’ingerenza, diede il via, subito dopo il rastrellamento, al massacro.

Si udirono raffiche di mitraglietta, colpi di fucile e scoppi di bombe a mano. I primi a rimenere uccisi furono coloro che non riuscivano a tenere il passo degli altri. I vecchi, i malati, i bambini piccoli. Per tutta la mattinata, il sangue degli ebrei rese rosse le strade di Minsk.

All’orfanotrofio, costrinsero i bambini ad incolonnarsi a loro volta e a marciare. Li accompagnarono alla morte la direttrice dell’istituto, il cui cognome era Fleischer, che si mise alla testa della colonna, mentre la dottoressa Tshermin la chiudeva.

Quando i bambini arrivarono davanti ad una fossa, già preparata in anticipo, trovarono i carnefici in attesa. Ad assistere alla loro carneficina, anche il Gauleiter della Bielorussia ed un ufficiale delle SS, alto e con un lungo soprabito di pelle: Adolf Eichmann.

Fu lui a dare il segnale d’inizio del massacro dei bambini

I bambini tendevano le braccia, piangevano e imploravano pietà. I nazisti li gettavano nella fossa, già colma degli altri ebrei assassinati, e sparavano, sparavano.

Eichmann ebbe una reazione rabbiosa quando uno schizzo di sangue gli sporcò il cappotto.

Sopra i cadaveri dei piccoli ebrei, i boia gettarono poi le loro custodi.

Di questo massacro, Eichmann si ricordò durante il processo a suo carico, in Israele.

Affermò che quella era stata la prima esecuzione di ebrei cui aveva assistito, per pura combinazione, invitato a tale spettacolo dal suo diretto superiore, generale SS Mueller. Disse di aver assistito solo alla parte finale. Raccontò di aver visto ebrei spogliarsi e poi correre verso la fossa, senza essere assolutamente spinti per saltarvi dentro. Senza opporre la benché minima resistenza. Per essere eliminati a colpi di fucile e a raffiche di mitraglietta.

Ma se la scena gli era rimasta impressa era perché c’erano bambini. E anche lui, Eichmann, aveva bambini. Non poteva dimenticare l’immagine di una madre che alzava il figlio, un bambino di non più di due anni, verso l’alto, implorando pietà.

Affermò che in quel momento, se gli fosse stato possibile, avrebbe voluto dire:”Non sparate, prendete il bambino…”

Ma, invece, si preoccupò degli schizzi di materia cerebrale che avevano lordato il suo cappotto.

Per ripartire per Berlino, dopo essersi fatto ripulire dal suo autista.

Nel ghetto la resistenza tuttavia, nonostante Eichmann avesse visto gli ebrei correre al massacro quasi con desiderio di morte, gli ebrei continuavano ad opporre resistenza.

Infuriato per questa circostanza non prevista, Strauch fece arrestare gli ebrei che tornavano dal lavoro forzato e, dopo averli fatti stendere nella neve, li uccise.

Anche così, purtroppo, non gli fu possibile eliminare i 5.000 ebrei preventivati.

Nel suo rapporto fu costretto ad indicare in sole 3.412 le vittime del massacro di Purim.