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I lager tedeschi

a cura di Aldo Pavia e Antonella Tiburzi

 

MELK

 Nel marzo 1944 le SS e rappresentanti del gruppo industriale Steyr, per realizzare il “ Projekt  Quarz “, che prevedeva la costruzione di grandi bunker e di impianti industriali sotterranei, affidato al Comando Speciale SS diretto dall’ingegner Hans Kammler, cercarono un luogo adatto all’apertura di un lager per 7.000 prigionieri. Venne individuato a Melk, cittadina medioevale sul Danubio, famosa per un convento benedettino,ove esisteva la caserma Birago, ritenuta particolarmente adatta alla necessità. Fu divisa in due settori: nel primo, recintato con filo spinato, vennero rinchiusi i prigionieri, nel secondo vennero approntati gli alloggi per le SS di sorveglianza. I primi 500 prigionieri arrivarono a Melk il 21 aprile 1944. Per ricavare gli spazi necessari per i 7.000 lavoratori schiavi previsti, centinaia di prigionieri lavorarono duramente per tutta l’estate. Furono costruite nuove baracche, un “ Revier “, officine e nell’autunno un crematorio. Il lager di Melk venne messo alle dipendenze del KL Mauthausen, da dove, una volta immatricolati e passato un periodo di “ quarantena “, i deportati venivano destinati al lavoro nei lager secondari. Il primo comandante di Melk fu il sottotenente delle SS Anton Streitwieser, soprannominato “ fesche Toni “, Toni  lo svelto. Individuo particolarmente brutale, solito aizzare i cani contro i prigionieri, da lui definiti “ straccioni “. Inviato a comandare il lager di Schwechat, suo successore venne nominato, nel maggio 1944, il tenente SS Julius Ludolph, un tassista di Amburgo. Dalle testimonianze dei superstiti di Melk si ricava che era un bruto, picchiatore accanito, alcolizzato e dissoluto, profondamente corrotto.Ha testimoniato l’ex deportato Hermann Hofstadt:

 “ Ludolph conduceva una vita dissoluta a spese dei prigionieri, in un modo che è difficile da   descrivere. Quotidianamente si faceva dare la carne migliore e altri generi alimentari dalla cucina dei prigionieri ma anche dalla cucina delle truppe SS. Rubava sigarette dallo spaccio in grande quantità (….) Lui li rivendeva ai civili, procurandosi così vino e alcolici (….) se anche una minimaparte della sua brutalità nei confronti dei prigionieri fosse stata causata dai fumi dell’alcool per tutto il resto lui ha deliberatamente ideato e portato a termine ogni cosa “.

 Non era comunque l’unico a seviziare i prigionieri. Gli accoliti di Ludolph non erano da meno e gareggiavano con il loro comandante nel campionario di violenze e di crimini. In particolare il medico SS Gottlieb Muzikant.

Dal 21 aprile 1944 all’evacuazione del campo a metà aprile 1945, vennero inviati a Melk 14.390 deportati. Uomini di 26 nazionalità diverse: polacchi, ungheresi, francesi, sovietici, tedeschi, greci, jugoslavi, italiani. Ma anche svizzeri, turchi, albanesi, norvegesi, portoghesi, lettoni, egiziani, spagnoli, ecc. Erano di religione ebraica almeno il 30% dei prigionieri che da Mauthausen furono inviati a Melk. Per le pessime condizioni di vita e per la durezza del lavoro i deportati si trovavano in breve tempo – qualche settimana e non più -  senza forze, malati e inabili quindi al lavoro. Le richieste di nuovi prigionieri che da Melk venivano inoltrate al campo principale erano di conseguenza sempre più numerose e pressanti. Il KL Mauthausen, certamente in grosse difficoltà, riuscì a superarle e a soddisfare le richieste di Melk, grazie alla decisione di Hitler di utilizzare fino ad un massimo di 200.000 ebrei per il conseguimento degli obiettivi relativi alla produzione bellica, sottraendoli, temporaneamente, alla sterminio sistematico ed immediato. Fu così che in giugno arrivarono a Melk 3.154 ungheresi, per la maggior parte ebrei

 L’8 luglio 1944, alle 11 del mattino, nel corso di una incursione durata circa 15 minuti, 30 bombardieri statunitensi colpirono con bombe e raffiche di mitragliatrici il lager causando la morte di almeno 233 deportati ed il ferimento di altri 197. Tra le SS e i sorveglianti le vittime furono 32. La feroce vendetta delle SS non si fece aspettare e ne fecero le spese soprattutto i deportati ebrei.

Il numero previsto di 7.000 prigionieri fu raggiunto nel settembre 1944. Pur dovendo registrare un tasso di mortalità particolarmente alto, alla fine del gennaio 1945 a Melk si erano superate le 10.000 unità. La maggior parte dei 4.767 deportati inviati a Melk tra l’ottobre 1944 e l’aprile 1945 proveniva dal KL Auschwitz. L’ultimo trasporto, in data 29 gennaio 1945 era composto da 2.000 deportati, di cui 119 erano giovanissimi fra i nove e i quindici anni. L’alto tasso di mortalità era stato comunque già previsto dalle SS proprio in considerazione del lavoro che sarebbe stato particolarmente gravoso ed estenuante , “ ershopfend “D’altro canto che il lavoro dei deportati dovesse essere portato alle estreme conseguenze era stato sancito da un preciso ordine che i comandanti del lager avevano ricevuto direttamente da Berlino, in data 30 aprile 1942, a firma del generale SS  Pohl.

Il primo periodo era particolarmente duro, perché bisognava abituarsi a lavorare molto e a mangiare poco “ ( Raymond Hallery – deportato francese )

Per costruire gli impianti sotterranei “ Quarz “ le SS avevano dato in affitto i prigionieri a diverse aziende. Alcune di quelle sono ancora oggi in attività. I deportati erano suddivisi in comandi (squadre ) di lavoro, sorvegliati da capisquadra civili e dai kapos. Nei primi mesi di attività del campo vennero impiegati soprattutto nella costruzione dello stesso ed anche presso la Hopferwieser Bauholz di Amstetten, per procurare i grandi e pesanti tronchi necessari per puntellare le gallerie in via di costruzione. Infine la maggior parte venne utilizzata nelle gallerie a Roggendorf. Poiché tre erano i turni di lavoro, per raggiungere questa località colonne di prigionieri attraversavano sei volte al giorno la città di Melk. Durante questi trasferimenti era assolutamente proibito anche solo tentare di parlare con la popolazione civile, pena l’incorrere in durissime punizioni    Il lavoro in galleria era particolarmente pesante, reso tale ancor più dalle pessime condizioni fisiche dei prigionieri. Inoltre la carenza di materiali adeguati ed i ripetuti guasti dei macchinari costringevano questi ultimi a sopperire il più delle volte manualmente, ad esempio spalando i detriti di roccia con le mani, con ulteriore dispendio delle poche e residue energie e con possibilità di ferite, a volte mortali.

Tra trasferimenti e ore di lavoro, i deportati restavano all’esterno del lager, senza possibilità quindi di alcun riposo, non meno di 11 ore. Ma in molte occasioni  la loro giornata lavorativa si prolungava fino a 13 e perfino 16 ore. Una giornata che iniziava inderogabilmente alle quattro del mattino: bisognava rifare scrupolosamente – e ciò era praticamente impossibile  - il letto, fare la fila per poter utilizzare il gabinetto e per lavarsi, sorbirsi il  “ Morgenkaffee “, cosiddetto caffè del mattino, subire la lunga procedura della conta sulla Appellplatz, che poteva durare ore ed era sempre corredata di ripetute violenze e soprusi.

“ ho anche assistito all’uccisione, da parte di  Muzikant, di prigionieri colpiti a calci nella regione renale che erano stramazzati a terra durante l’appello a causa della loro debolezza. Lui per incitare i prigionieri a rialzarsi, esclamava quasi sempre “ Alzati, tu , fannullone di un simulatore” e se questi non ci riuscivano li prendeva a calci “.  ( Adolf R. –  deportato tedesco )

 

 Poi al lavoro. Sani o malati, pioggia o sole.Continuamente e violentemente pungolati al lavoro dai kapos, i prigionieri cercavano di renderlo, al contrario, più lento per cercare di sfuggire al rapido sfinimento. Fingendo una attività più spedita solo all’arrivo di una SS o di un kapo. Correndo l’alea, se scoperti, di incorrere in violente punizioni.

“ Leale morì in un mattino dei primissimi giorni di aprile 1945 appena fummo entrati in galleria per iniziare il nostro lavoro. Questi i fatti: una SS gli tirò un pugno in faccia facendogli cadere gli occhiali per terra. Leale cercò allora di recuperare i suoi occhiali ma la sentinella gli intimò di riprendere immediatamente il lavoro senza perdere altro tempo. Leale osò ribattere in tedesco e il nostro aguzzino lo colpì bestialmente col calcio del fucile sino a farlo cadere sanguinante e rantolante.Il kapo ci fece allontanare per farci lavorare altrove. Da quel momento non ho più visto il mio compagno di sventura “. ( Carlo Eremita – matricola 110255 )

Di norma i deportati vestivano leggere uniformi a strisce bianche e blu. Ma venivano loro dati anche abiti di civili assassinati nei campi di stermino o lacere uniformi di prigionieri di guerra. Indumenti in condizioni pessime e ben poco adatti, nei mesi invernali, a proteggere dal freddo intenso. Per proteggersi dal gelo delle lunghe giornate di lavoro, dall’umidità delle gallerie, i prigionieri “ organizzavano “  nei cantieri sacchi di cemento, indossandoli sotto il camisaccio e facendone strisce per avvolgervi i piedi. Rischiando pericolose infezioni procurate dai residui di polvere di cemento. Se scoperti i prigionieri potevano essere torturati e uccisi, in quanto colpevoli di sabotaggio.

La denutrizione, lo sfruttamento disumano sul lavoro, il vestiario assolutamente inadeguato, i maltrattamenti e le violenze, la paura, la mancanza d’ igiene erano le cause principali del rapido deterioramento della salute e delle capacità fisiche dei deportati. Il marcare visita, il chiedere di essere curati o ricoverati nel Revier, non solo non portava a risultati soddisfacenti ma spesso significava avviarsi al crematorio.

“ Il Revier, inizialmente concepito per ospitare centocinquanta persone, nelle settimane successive si riempì in modo tale che il sovraffollamento divenne intollerabile “. ( Otto B. – ex scrivano )

Una seconda baracca per i malati venne fatta costruire dal  caporalmaggiore medico delle SS, Gottlieb Muzikant, al suo arrivo a Melk tra la fine di agosto e gli inizi di settembre 1944. Individuo abietto, brutale, freddo, trasformò il “ settore malati “ in un vero luogo di orrori, sinonimo di morte. I malati di dissenteria non ricevevano da Muzikant alcuna cura, quando sarebbero bastate poche compresse di carbonato, e venivano abbandonati nel Scheisseabteilung , il reparto  escrementi, senza biancheria alcuna, nudi a contorcersi  fino al sopraggiungere della morte. Gli ammalati gravi ed i feriti, una volta selezionati erano inviati nel lazzaretto del KL Mauthausen ove venivano eliminati dal personale SS o inviati alla camera a gas di Hartheim. A Melk si ha motivo di ritenere che centinaia di malati gravi, di “ inutili divoratori “ siano stati assassinati dalle SS con il metodo

Abspritzen “, ovvero con una iniezione mortale a base di fenolo, benzina oppure aria. Tutte queste

morti violente venivano costantemente falsificate e registrate come “ morti per cause naturali “.

Il registro decessi indica in 4.801 i deportati morti a Melk. Nel solo mese di gennaio 1945 morirono 1.019 prigionieri, praticamente 30 al giorno.

All’inizio dell’aprile 1945  i nazisti diedero inizio all’evacuazione dei lager austriaci.  Nei prigionieri grande era il timore di venire eliminati all’ultimo momento.  Probabilmente in marzo i deportati che lavoravano nel campo, appresero che dal KL Mauthausen era giunto l’ordine di condurre tutti i prigionieri a Roggendof e, una volta fatti entrare nelle gallerie minate, farli saltare in aria. Questo ordine venne poi annullato e venne deciso che da Melk i prigionieri, ancora abili al lavoro, dovevano essere trasferiti nel lager di Ebensee, sul Traunsee. L’11 aprile, dopo che  Muzikant ebbe provveduto ad eliminare circa quaranta ammalati con una iniezione, 1.500 deportati formarono un trasporto con destinazione Mauthausen. Altri due trasporti vennero organizzati il 13 aprile, per un totale di 4.400 prigionieri. Una parte di loro fu trasportata su vagoni merci, la maggioranza invece fu imbarcata su delle chiatte e, risalendo il Danubio, portata a Linz. Poi avviata a piedi verso Ebensee. Una marcia terribile di 80 km, durata tre giorni. Chi non era in grado di marciare veniva immediatamente fucilato.

“ Eravamo piombati nella più nera disperazione quando circa 10 giorni dopo, verso la metà di aprile giunse la notizia che all’indomani non saremmo andati al lavoro: dovevamo essere trasferiti ad un altro campo. Il giorno successivo, nella Appellplatz, apprendemmo che dovevamo attendere perché era in corso una selezione: non tutti sarebbero partiti ( …….) i deboli e malandati sarebbero rimasti e successivamente sterminati; o direttamente al crematorio o massacrati in qualche fossa comune. Vera o falsa che fosse quella voce era purtroppo attendibile: tutti sapevamo di cosa erano capaci le SS “. ( Mario Carassi deportato politico italiano ).

L’ultimo trasporto per Ebensee partì da Melk il 15 aprile 1945 con 1.500 uomini. Dei 5.990 prigionieri trasferiti a Ebensee, solo 5.839 vi giunsero in vita. Non è stato possibile conoscere quanti di loro sono morti poi in Ebensee, diventato nelle ultime settimane prima della liberazione un vero e proprio campo di sterminio, di fame assoluta.

Non si conosce il numero degli italiani deportati a Melk.

Con sicurezza, partendo dalla documentazione nazista, si sa che 311 furono gli italiani che vi vennero assassinati. Tra loro  5 romani: Di Clemente Giovanni ( 42068 ), Grinzi Romano, di Albano (111523 ), Don Pietro Martini ( 109771 ), Palladino Vincenzo ( 110353 ), Sonnino Eugenio (42234 ).