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I lager tedeschi

a cura di Aldo Pavia e Antonella Tiburzi

 

GUSEN

All’inizio di dicembre 1939 ebbe inizio la costruzione del campo di Gusen I, dipendente dal campo centrale di Mauthausen. Fu scelta una zona a circa 4 chilometri e mezzo da Mauthausen, alla confluenza del fiume Gusen nel Danubio, tra la cittadina di St. Georgen e Langenstein.

Dal lager centrale vennero inviati , ogni giorno, per la costruzione delle baracche, due comandi di lavoro composti di 400 prigionieri tedeschi e austriaci,sotto la sorveglianza di due violenti Oberscharfuherern ( marescialli ) delle SS. Ogni giorno c’erano morti e feriti. Alla domenica venivano loro aggiunti la gran parte dei prigionieri di Mauthausen. Nel mese di marzo le prime baracche erano pronte e, una volta circondato il campo di filo spinato, i prigionieri dei comandi di lavoro vi furono definitivamente rinchiusi. Era il 9 marzo 1940. Lo stesso giorno arrivarono dal KL Buchenwald  i primi prigionieri polacchi. 80 di loro morirono tra il 19 aprile e il 25 maggio.

Già il 27 maggio tutti i prigionieri vennero impiegati nel lavoro.

Fino all’autunno del 1942 capo del lager fu l’Hauptsturmfuhrer SS ( capitano) Karl Chmielewski. Decorato di croce di guerra venne inviato in Olanda. Il suo successore fu Fritz Seidler.

Nei locali destinati al personale delle SS si poteva leggere questa scritta:

“ Non temiamo nessuno al mondo, ci basta che tutti temano noi “.

 Il campo aveva una superficie di 350 metri per 150 metri e venne via via ampliato. 30 erano le baracche in legno e due gli edifici in pietra. 24 baracche erano destinate ai prigionieri, 2 fungevano da laboratori e magazzini e chiamate “ zona industriale “. Le altre come ricovero per i malati.

Su alcune baracche, l’amministrazione del campo fece apporre dei cartelli in legno con la scritta:

 

“ Esiste una strada per la libertà. Le sue pietre miliari sono:

obbedienza, laboriosità,ordine, pulizia, lealtà, altruismo

e amore per la patria ! “.

 

Nell’inverno 1943/1944 furono costruite altre quattro baracche. Durante l’estate del 1941 venne fabbricato il crematorio. Il forno fu fornito dalla ditta  “ Topf & Sohne “ di Erfurt per circa 9.000 marchi. Entrò in funzione il 28 gennaio 1941 e i primi cadaveri di prigionieri vi vennero inceneriti il  successivo 29 gennaio. Da questo giorno, fino al 2 maggio 1945 furono circa 30.000 le salme di prigionieri che vi vennero bruciate.

Vicino al crematorio si trovava la spianata ove avevano luogo le esecuzioni capitali “ ufficiali “.

Il 24 maggio, 212 uomini vennero immatricolati come primi prigionieri di Gusen. Erano: 25 politici  tedeschi, 5 Testimoni di Geova, 122 criminali e asociali tedeschi ed austriaci, 60 polacchi.

Altri 200 vennero riportati a Mauthausen e dichiarati “ ammalati “. Il 25 maggio giunsero dal KL Dachau 1.084 polacchi, destinati alle baracche 2, 3 e 4. Tutti inviati a lavorare nelle cave ( Gusen, Kastenhof, Pierbauer di proprietà della DEST, appartenente alle SS ) e nella fornace di Lungitz. Le SS nominarono Kapos alcuni prigionieri tedeschi e austriaci, facendo sapere ai polacchi che da quel momento sarebbero stati rieducati per “ divenire persone utili al Terzo Reich.”. Anche se, per la verità , venivano ritenuti solo “ cani pigri “ o meglio ancora “ sacchi di escrementi “.

Nei mesi successivi, con più trasporti, altri 4.000 polacchi, in buona parte intellettuali giunsero a Gusen per essere, a loro volta, “ rieducati “.Nel periodo compreso tra il 1 giugno e il 31 dicembre 1940 il risultato delle violenze e del terrore, nonché del lavoro disumano fu che 1.507 polacchi e 15 austriaci furono “ fucilati durante l’evasione “ (in codice “ 14 f 3 “) , una delle tante falsità con cui si cercava di mascherare le vere cause di tanti massacri, oppure ammazzati di percosse o in altro modo.

Nel 1943 una speciale ferrovia portava i prigionieri da St.Georgen fino alla cava di pietra di Kastenhof e alla fabbrica di armi che la Messerchmidt – AG e la Steyrerwerke avevano insediato in appositi capannoni nei quali i prigionieri producevano fucili, mitragliatrici, aeroplani.

Il 29 marzo 1943 Gusen ricevette la visita del Ministro per gli armamenti del Reich, Albert Speer che con lettera del 5 aprile richiese espressamente l’utilizzo dei prigionieri nella produzione bellica.

Il 9 marzo 1944, a quattro anni dall’apertura di Gusen , venne aperto il campo Gusen II ( St. Georgen ) destinato ad accogliere circa 10.000 prigionieri, cui era  riservato il duro compito di scavare nel granito e nei depositi di arenaria delle colline di Kastenbruch , martoriati dalla fatica e dalla sete, 14 gallerie lunghe fino a 7 chilometri , larghe 8 metri ed alte 15. In una di queste l’istituto di ricerca del Politecnico di Vienna installò diverse macchine aerodinamiche e modelli di missili che non funzionarono mai.

Alcune gallerie non vennero utilizzate. I deportati impiegati nella produzione bellica lavoravano 11 ore al giorno, alimentati con una brodaglia di barbabietole, rape da foraggio, radici, nella quale spesso si trovavano vermi, lumache, rane e sabbia.

“ Persino il carbone veniva utilizzato  per alimento: si frugava tra i detriti ed alle volte si rinvenivano pezzi di carbone un po’ chiari, dai quali – si diceva – veniva estratta la margarina.

(…….) Negli ultimi tempi vidi dei prigionieri mangiare come capre qualsiasi erba fosse loro capitata tra le mani.” ( Gaetano De Martino )

Quando dormivano potevano indossare solo il camisaccio: in questo modo le SS volevano evitare qualsiasi tentativo di fuga. Ebrei, prigionieri sovietici e membri dei  “ gruppi di punizione “ non ricevevano alcun indumento invernale.

Le malattie conseguenti a queste miserabili condizioni erano gli edemi da fame, la foruncolosi, i flemmoni, i congelamenti, le rotture di naso, mandibole e costole, la scabbia. 

Il 16 dicembre 1944 venne attivato Gusen III ( Lungitz ) con 262 prigionieri. Il nuovo campo doveva funzionare per seguire la logistica del progetto “ Bergkristall “ ( estrazione di quarzo dal terriccio delle colline, necessario nella costruzione dell’aeroplano “ Messerschmidt 262” , il primo jet del mondo ), per produrre mattoni e per la produzione di   pane normale per le SS e di quello per i deportati di Gusen, fatto con farina di legno, caolino e acqua del Danubio.

Le condizioni di vita dei prigionieri erano durissime. Sveglia alle 4.45 ( d’estate alle 5.45 ) al suono di una campana, buttati giù  dai rozzi , scomodi e affollati giacigli a suon di bastonate. Il più rapidamente possibile dovevano rifare il letto, ovvero spianare i sacchi di paglia e ripiegare le coperte. Lavarsi in tutta fretta, ingoiare celermente la “ minestra “ o il “ caffè “. Poi in colonna  per l’appello mattutino. Non più tardi delle 6.30 al lavoro nelle cave.

Il riposo notturno non durava più di 6 ore, al massimo, in molti casi anche meno.

Sul congegno a campane che, situato sulla piazza dell’appello, dava la sveglia, ma non solo, si poteva leggere:

Sia  di giorno o di notte,non importa. La voce della campana sempre risuona. Il  segnale:inizia il tuo dovere..”

Un doloroso, spesso mortale dovere che terminava tra le 17.00 e le 18.00, sempre svolto ad un ritmo infernale dettato dalle violenze dei Kapos. Negli anni 1940 – 1941, migliaia di prigionieri lavorarono alle cave. Tra questi da 300 a 500 scalpellini e, dal 1943, definiti “ apprendisti scalpellini “ fino a 700 bambini e ragazzi sovietici, dai 12 ai 16 anni di età.

Fino al 1943 i prigionieri sfiniti venivano assassinati direttamente nelle cave. Lo sfinimento era norma come conseguenza del vitto assolutamente insufficiente, della mancanza di igiene, dei ritmi crudeli di lavoro.

Tra l’ottobre 1941 ed il maggio 1942, 2151 prigionieri di guerra sovietici furono massacrati nelle miniere.

La regola del campo era che i sospetti   di avere malattie contagiose, gli invalidi ed i non abili al lavoro venissero eliminati senza alcun scrupolo. Vi era una baracca, denominata “ cava “, la baracca numero 30, in cui venivano rinchiusi i malati – o sospetti – di TBC ed eliminati con una iniezione nel cuore. Nella baracca 31, la “ stazione “, chi era preda della dissenteria veniva abbandonato, senza alcuna cura. Chi non moriva da solo tra atroci dolori trovava la morte sotto le bastonate del più vecchio del gruppo di rinchiusi.

Si veniva anche assassinati anche per fame, non ricevendo, poiché inabili al lavoro, alcuna razione di vitto. Ma anche con docce gelate che causavano alle vittime denudate arresti cardiaci o assideramento.

“ ….nel blocco d’eliminazione lasciano spesso centinaia di condannati senza mangiare, barricandoceli dentro, che muoiano così. E la fame dopo qualche giorno fa impazzire molti.”  ( Enzo Rana )

“ Non so dove si trovi il sottufficiale Jentzsch, responsabile dell’uccisione di circa 700 detenuti a Gusen I , tenendoli sotto docce gelide per la durata di tre ore, poi mandandoli all’aperto nudi, con una temperatura di 12 gradi sotto zero fino a che si abbattevano morti.”. ( F.Zieireis – Norimberga-Documento 3870 PS )

Si poteva venire crudelmente annegati. Il 9 aprile, giorno di Pasqua, gli aguzzini costrinsero i compagni di un prigioniero italiano che aveva tentato la fuga ed era stato catturato, a sollevarlo, appoggiarlo ad una botte ed a immergergli la testa nell’acqua:

per l’orrore gli esecutori coatti dello scempio cercavano di ritirarsi e a un tratto vi riuscirono: e allora si vide il disgraziato sollevare la testa dall’acqua, drizzare il corpo in un estremo anelito di vita e lanciare un grido (………) gli aguzzini gli furono sopra e lo reimmersero nell’acqua tenendolo a forza con la testa all’ingiù  finchè tutti noi, uno per uno, non fummo sfilati davanti al martire di Pasqua. “. ( Etnasi – Forti. Notte sull’Europa – Aned Roma – 1963 )

Infine vi era la camera a gas di Hartheim, ove vennero assassinati 1.830 prigionieri provenienti da Gusen.

Nel 1942 per dare la morte venne utilizzato un furgone chiuso ermeticamente ( Gaswagen ), in cui, durante il percorso tra Gusen e il crematorio di Mauthausen, i prigionieri venivano uccisi dal gas di scarico del motore. Metodo abbandonato nel corso della primavera perché il tragitto troppo breve non permetteva di ottenere i risultati attesi dalle SS.

In una baracca trasformata in camera a gas vennero assassinati con lo Zyklon-B una volta 44 prigionieri ed un’altra 800 invalidi. Si trattava, per lo più, di prigionieri di guerra sovietici alloggiati nella baracca 16 e di malati di tifo, spagnoli e polacchi della baracca 32. Una gassazione di un numero imprecisato di prigionieri , tra 684 e 892 , ebbe luogo anche nella notte tra il 21 ed il 22 aprile 1945, due settimane prima della liberazione del campo. Altri prigionieri vennero affogati nelle vasche della lavanderia e, in Gusen II  più di 600 persone vennero massacrate a colpi di ascia di pietra e martelli ( fonte: condanne emesse dal Tribunale di Arnsbach – numero Ks 1 ab/61 ).

Come confermato dal SS-Obersturmbannfuhrer  Franz Ziereis :

“ Non so bene cosa successe a Gusen, dove Chmielewski prima e Seidler poi hanno ucciso migliaia di uomini (……..) Non ho preso parte nello sterminio degli ultimi 800 detenuti avvenuti a colpi di scure a Gusen II, con bastonate o con gli annegamenti.”. ( F.ZiereisNorimberga- Documento 3870 PS )

Alla fine del febbraio 1945 giunse a Gusen un trasporto di 420 bambini ebrei totalmente  deperiti, di un età compresa trai 4 e i 7 anni. La sera del loro arrivo vennero tutti uccisi con iniezioni al cuore da parte di medici e graduati delle SS.

Esperimenti con vaccini TBC vennero   effettuati tra l’autunno 1944 e la primavera 1945. Non si conosce il numero dei prigionieri sottoposti agli esperimenti condotti   dal dottor Helmuth Vetter che utilizzò anche il Ruthenol granulare. Per conto della S.A. IG-Farben di Leverkusen che, dal 1941 al 1945 fornì al Vetter,  in tutti i campi in cui operò, i suoi preparati.

Trapanazione di crani  e operazioni senza alcuna necessità vennero effettuate dal dottor Hermann Kiesewetter e dal dottor Hermann Richter.

Il 20 aprile 1945 nei tre lager Gusen si trovavano 23.456 prigionieri. Pochi giorni prima 3.000 malati erano stati trasferiti a Mauthausen.

Vennero deportati in Gusen ,tra il 25 maggio 1940 e il 4 maggio 1945, complessivamente 67.677 persone. 31.535 le vittime registrate ufficialmente. A queste vittime vanno aggiunte altre 2.500 persone, in parte bambini ebrei, ungheresi in particolare. Anche polacchi adulti vennero assassinati ma poiché non immatricolati, non risultano tra le vittime ufficiali.

Avvicinandosi il 3° Corpo d’Armata comandato dal generale Patton, il comandante del complesso Mauthausen – Gusen, tenetecolonnello Franz Ziereis, diede ordine di minare le gallerie di Gusen, per eliminarvi, una volta lì rinchiusi, tutti i prigionieri  ancora in vita. Il 5 maggio si diede alla fuga e con la moglie  e i figli si nascose in una baita . Scoperto e catturato il 22 maggio tentò ancora di fuggire ma venne ferito gravemente. Portato a Gusen,    il 24 maggio 1945, interrogato dai componenti il Comitato di Liberazione Internazionale del KL Mauthausen, alla presenza del Comandante l’11 Divisione Americana, colonnello Seibel, ad una precisa domanda sul fatto rispose:

“ Ho ricevuto l’ordine da Himmler di convogliare tutti i detenuti nelle gallerie Kellertsan e Bergkristal di Gusen e farle saltare con la dinamite (…….. ) Già nel febbraio precedente il generale Pohl aveva dato l’ordine di condurre i detenuti nelle foreste e di ucciderli tutti, nel caso la guerra fosse perduta.”. ( Norimberga – Documento 3870 PS ) 

Quando il 5 maggio 1945 le unità dell’armata americana liberarono il campo, trovarono 2.000 sopravvissuti ridotti a scheletri, in condizioni tali che molti morirono nelle ore successive nello stesso campo o in ospedali.

Il crematorio, il 18 settembre 1961, è stato trasformato dai superstiti italiani, francesi, belgi in un luogo commemorativo.

                     

GLI ITALIANI A GUSEN

Dalle ricerche di Italo Tibaldi, superstite di Ebensee , Vice Presidente del Comitato Internazionale del KL Mauthausen, risultano essere stati deportati a Gusen 3.226 italiani.

I morti sono stati 1.433, di cui 19 erano nati a Roma. Di questi ultimi, 5 erano ebrei

Già negli anni 1941- 1942- 1943 a Gusen risultavano alcune sporadiche presenze italiane.

Sono infatti 28 gli italiani che risultano esservi deceduti.

I  primi deportati che dall’Italia arrivarono a Gusen furono 990 italo-sloveni che partirono dal campo di concentramento italiano di Cairo Montenotte l’8 ottobre 1943 , giungendovi il 12 ottobre. Si stima che 335 di loro vennero immatricolati direttamente a Gusen con matricole comprese tra il 2291 e il 2645.

Ma è dal 1944 che la maggior parte dei trasporti provenienti dall’Italia e diretti al KL Mauthausen, successivamente alla quarantena, vennero trasferiti a Gusen.

Il primo trasporto dall’Italia di deportati politici destinati a Gusen partì da Milano il 18 febbraio 1944 con 122 deportati che arrivarono a Mauthausen il 21,  per essere poi trasferiti a Gusen. I trasporti arrivavano a Mauthausen, campo centrale e da lì i prigionieri, una volta immatricolati , venivano successivamente destinati ai lager dipendenti. Seguì un trasporto da Bergamo il 16 marzo con 563 deportati trasferiti a Gusen il 26. Questo trasporto si formò effettivamente a Bergamo, ma 245 deportati provenivano da Torino ( 31 erano operai della Fiat ), 157 da Milano, 34 da Genova e Savona, 127 da varie località della Lombardia. Da Fossoli di Carpi ( Modena ) partì un trasporto il 6 aprile con 263 deportati. Da Genova 207 deportati partirono l’8 aprile. Vennero inviati da Mauthausen a Gusen parte dei deportati partiti da Fossoli il 21 giugno ( 474 prigionieri ) e il 21 luglio ( 307 prigionieri ). Dei 501 deportati partiti da Bolzano  l’11 gennaio 1945, la quasi totalità venne  trasferita a Gusen tra il 7 e l’8 febbraio 1945. La stessa sorte toccò ai deportati del trasporto partito da Trieste l’1 febbraio 1945 con 544 deportati trasferiti a Gusen il 16 febbraio. Infine 385 deportati partiti da Bolzano il 4 febbraio e giunti a Mauthausen l’8 febbraio, vennero quasi tutti inviati a Gusen il 20 dello stesso mese.

“Andrej, il giovane ebreo polacco che portava furtivamente da una “ stolle” all’altra il carico prezioso d’acqua agli ammalati di sete, è giunto allo stremo delle sue forze. Avrebbe potuto rinunciare per un giorno al massacrante lavoro nel tunnel, ma , in questo caso, avrebbe rischiato di essere ucciso dal capoblocco, così da qualche ora, tremante e in fin di vita, è adagiato in un angolo nascosto della galleria. In un muto gesto di gratitudine qualcuno gli avvicina alle labbra un bicchiere della stessa bevanda che, nessuno meglio di lui, sapeva porgere con cura, senza che una goccia di quel liquido vitale trasbordasse. Subito dopo Andrej muore e un compagno gli chiude gli occhi proprio mentre suona la fine del turno diurno. Tutti si apprestano ad uscire dai tunnel e due deportati sollevano il cadavere (…..) in un istante i quattro ( un russo, un francese, due polacchi ) sollevano il corpo del giovane ebreo e riprendono alla svelta il cammino verso il convoglio in attesa, poi altri si uniscono a quell’improvvisato corteo funebre internazionale. I kapo e le SS (…..) si accorgono troppo tardi di quell’insolito procedere e , quando piombano sui deportati, questi sono già riusciti a posare con delicatezza Andrej in un angolo del carro.” (  Ferruccio Maruffi – matricola  58973 ).