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Carlo Rosselli a Genova
di Alberto Rosselli
Ricostruire, per quanto possibile,
sulla scorta dei pochi documenti e delle scarne testimonianze, il breve periodo trascorso
a Genova (1925 1927) da Carlo Rosselli non è cosa facile. Nel corso della sua
breve e movimentata vita di intellettuale profondamente impegnato in politica, Carlo
Rosselli (Roma 1899 Bagnoles de lOrne 1937) fu costretto, anche a causa delle
persecuzioni del regime fascista, a cambiare spesso città e addirittura Paese.
Fortunatamente, la parentesi genovese di Rosselli, che coincise con lincarico
universitario affidatogli proprio tra il 1925 e il 1927 dal professor Attilio Cabiati,
ordinario della allora prestigiosa Scuola Superiore di Commercio (nel novembre 1924, per
la precisione, Rosselli fu incaricato della docenza di Istituzioni di Economia Politica e
lanno seguente dellinsegnamento di Economia Politica e di quello di Storia
delle Dottrine Economiche), coincise anche in parte con la diffusione della rivista Pietre
(periodico culturale fondato nel 1926 da Enrico Alpino e altri intellettuali liguri di
area socialista e liberale) con la quale Rosselli ebbe modo di confrontarsi. Buona parte
delle notizie sul soggiorno delluomo politico a Genova si possono quindi estrapolare
dalle stesse pagine della rivista che ospitò alcuni suoi interventi. Nel suo ottimo
saggio Pietre Antologia di una Rivista (1926 1928) Giuseppe Marcenaro
riporta le testimonianze dei redattori e degli intellettuali antifascisti che in quel
periodo ebbero modo di incontrare e conoscere Carlo Rosselli: una serie di brevi ma
interessanti annotazioni che ci hanno aiutato non poco a fare luce su uno dei periodi meno
noti della vita e dellattività culturale del padre del pensiero politico
liberalsocialista italiano. Carlo Rosselli nacque a Roma nel 1899 da una famiglia di
antiche tradizioni repubblicane e si laureò in Scienze Politiche a Firenze, insegnando in
seguito a Milano e infine a Genova. Profondo conoscitore di economia, storia e di dottrine
politiche, Carlo Rosselli ancora molto giovane iniziò a dedicarsi alla politica attiva
sul versante antifascista venendo a contatto con quasi tutti gli intellettuali italiani
che negli anni Venti e Trenta, da posizioni ideologiche diverse, si impegnarono nella
resistenza attiva o passiva contro il regime di Mussolini. Abbracciò il socialismo
nellimmediato primo dopoguerra e con Pietro Nenni fondò la rivista Quarto Stato.
Con Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei ed Ernesto Rossi fondò allindomani
dellassassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924) il foglio antiregime
Non mollare! al quale collaborò anche suo fratello minore Nello (1900-1937) che in
seguito condividerà con lui lesilio forzato e la tragica fine. Pur interessandosi
di politica, Nello preferì comunque dedicare sempre gran parte delle sue energie agli
studi storici (egli fu allievo di Salvemini e buon conoscitore della storia del movimento
operaio e di quella del Risorgimento). Dopo la parentesi genovese, Carlo Rosselli
intensificò ulteriormente lattività politica e sovversiva. Nel 1927 venne
processato e condannato allesilio nellisola di Lipari per avere organizzato,
insieme a Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Bauer, la fuga di Filippo Turati in Francia.
Nel 1929 riuscì comunque ad evadere dallisola con Emilio Lussu e Fausto Nitti, e a
raggiungere anchegli la Francia, per poi vagabondare anche in Svizzera e Germania.
Tra il 1928 e il 1929 Rosselli, allora al confino a Lipari, trovò il tempo per scrivere
la sua opera più significativa, Socialismo Liberale (che venne poi pubblicata nel
1930, in lingua francese, a Parigi) e per fondare il movimento Giustizia e Libertà,
che vide anche la fattiva partecipazione del suo amico Ernesto Rossi. Come è noto, le
teorie politiche di Rosselli condensate in Socialismo Liberale, hanno avuto il
potere di influenzare, scuotere e anche far storcere il naso ad almeno un paio di
generazioni di pensatori italiani ed europei, che videro nellinsegnamento di
Rosselli una nuova traccia da seguire - o come vedremo da contestare -
nellevoluzione del pensiero liberale, libertario e socialista. Nonostante la
profondità e preveggenza del suo libro, Rosselli venne anche aspramente criticato da non
pochi leader comunisti e socialisti dellepoca. Palmiro Togliatti scrisse su Lo
Stato Operaio che il libro di Carlo Rosselli "si collegava in modo diretto
alla letteratura politica fascista" e Claudio Treves, in nome del "socialismo
marxista" rimproverava lintellettuale di avere "abbandonato il
collettivismo economico e la strategia classista". Persino Giuseppe Saragat,
futuro leader del Partito Socialista Democratico e riformista, contestò a Rosselli "la
sua interpretazione troppo formalistica dellidea di libertà", per poi
ripensarci più tardi quando, nel dopoguerra, disse che Rosselli era stato lunico
uomo politico italiano a concepire una "teoria della libertà veramente innovativa".
Insomma, sulle prime lopera Socialismo Liberale e il pensiero politico di
Rosselli fecero molto scalpore nellambiente della sinistra massimalista e comunista.
Bisognò infatti attendere addirittura gli anni Settanta per vedere riemergere
dalloblio nel quale era stata relegata con una certa discrezione la sua opera
integrale, giudicata ancora piuttosto scomoda dalla cultura ufficiale. Rosselli, come
tutti i veri intellettuali libertari, continuava a creare disagio e incomprensioni essendo
difficilmente catalogabile o assimilabile dalle correnti politiche e sociologiche più in
voga. Nonostante alcune similitudini, il pensiero politico di Carlo Rosselli differiva
anche da quello di Piero Gobetti, soprattutto per quanto concerneva il giudizio sulla
Rivoluzione dOttobre e loperato di Lenin. Rosselli condannò la prassi
prevaricatrice e terroristica adottata dal leader di Mosca per la presa del potere in
Russia e le "inenarrabili sofferenze inflitte al suo popolo", mentre
Gobetti, che era un intellettuale dal cuore generoso, ma anche un ingenuo che ignorava, o
quasi, la realtà russa degli anni Venti, diede a questo proposito interpretazioni
nettamente più accondiscendenti nei confronti della nomenclatura rivoluzionaria
sovietica, più che altro sulla base di elementi mitici ed illusori. Con Giustizia
e Libertà, Carlo Rosselli mosse quindi decise e precise accuse, tutte, si badi bene,
basate su analisi scientifiche, nei riguardi dellautoritarismo e
dellintolleranza dei comunisti della III Internazionale. Rosselli contestava a Marx
e ai suoi discepoli linterpretazione meccanicistica e naturalistica della realtà e
dei rapporti sociali: un atteggiamento ideologicamente dogmatico e violento che a parer
suo non lasciava alcuno spazio alla coscienza e alla volontà degli uomini. Il movimento Giustizia
e Libertà si proponeva infatti di fondere lanelito riformista di impronta
socialista con lo spirito liberale e libertario che sarà più tardi la principale
componente ideologica del Partito dAzione. "Rosselli
scrive Giuseppe Bedeschi nel suo saggio "LUtopia del Socialismo
Liberale" respingeva, proprio alla luce della tragica esperienza bolscevica,
il vecchio e superato programma accentratore e collettivista, che faceva dello Stato
lamministratore, il gerente universale. Egli rifiutava di pensare che il semplice
fatto della espropriazione e il passaggio forzato delle attività produttive alla
collettività, fosse capace di determinare una trasformazione miracolosa".
[
] "Rosselli proclamava come necessaria una riaffermazione libera, alta e
schietta dellessenza della idealità socialista, fuori da ogni pregiudizio di scuola
e di metodo" continua Bedeschi. "Il socialismo precisava lo stesso
Rosselli non significa né la socializzazione né il proletariato al potere, e
neppure la materiale eguaglianza. Il socialismo, colto nel suo aspetto essenziale, è
lattuazione progressiva dellidea di libertà e di giustizia tra gli uomini [
]
Sforzo progressivo per assicurare a tutti gli uomini una eguale possibilità di vivere
unesistenza degna di questo nome, sottraendoli alla schiavitù della materia e dei
bisogni che oggi ancora li domina; possibilità di formare liberamente la loro
personalità, in una continua lotta di perfezionamento contro gli istinti primitivi e
bestiali e contro le corruzioni di una civiltà troppo spesso preda del demonio del
successo e del denaro". Era questa una definizione del socialismo nettamente
singolare e assai diversa da quelle date dai padri e dai discepoli contemporanei del
Movimento Socialista italiano ed europeo. Rosselli cercò poi di fondere a questo nuovo
concetto di socialismo gli apporti ideali e intramontabili del pensiero liberale e
mazziniano: "patrimonio culturale irrinunciabile". "Il
liberalismo scriveva Rosselli è una teoria politica che, partendo
dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà stessa come
supremo fine, supremo mezzo, suprema regola dellumana convivenza". E
aggiungeva: "Il liberalismo si propone di conseguire un regime di vita associata
che assicuri a tutti gli uomini la possibilità di una piena realizzazione delle loro
lecite aspirazioni. Ma il liberalismo è, oltre che un fine, anche un mezzo, in quanto
reputa che questa libertà non possa essere elargita o imposta, ma debba conquistarsi con
duro, personale travaglio nel perpetuo fluire delle generazioni".
Fin dallinizio della sua battaglia, Carlo Rosselli evidenziò le
sue impareggiabili doti di grande organizzatore. Basti pensare che, nonostante le continue
persecuzioni alle quali venne sottoposto e gli incessanti e molteplici impegni di lotta e
di studio, egli riuscì anche a dare al suo movimento un importante periodico, Giustizia
e Libertà, che nel 1936 arrivò a tirare e distribuire in tutta lEuropa e,
clandestinamente, in Italia, oltre 30.000 copie. Il socialismo liberale di Rosselli non si
ispirava ovviamente, e per fortuna, alla rigidità teorica di Karl Marx, ma in un certo
qual modo tendeva a perpetuare ed arricchire il credo ideologico dellala radicale
repubblicana depoca risorgimentale, adeguandola ai tempi attraverso innesti e
riferimenti tratti dallesperienza laburista anglosassone, soprattutto sotto
laspetto economico. Sotto il profilo sociale, la componente mazziniana della sua
formazione culturale e politica lo rendeva più incline allanalisi della vita e alla
risoluzione dei problemi reali e quotidiani delle classi più umili, più che
allelaborazione delle tattiche e delle strategie necessarie per realizzare la
cosiddetta lotta di classe, dalla quale egli prese subito le distanze. E tutto ciò
nonostante Rosselli dimostrasse appunto un notevole spirito bellicoso
nellorganizzare la "sua" Rivoluzione anti reazionaria. Ancor più che un
antifascista o un antinazista, Carlo Rosselli fu infatti un anti totalitarista per
eccellenza. Egli fu il primo, assieme ad Aldo Garosci, Nicolò Martini, Luigi Bolgiani e
Umberto Calosso, a partecipare, dalla parte della Repubblica, alla guerra civile spagnola
proprio perché vide nella lotta ingaggiata dal governo di Madrid contro la rivoluzione
militare franchista la lotta della "libertà contro lingiustizia"
al di là delle colorazioni politiche dei due schieramenti: una convinzione
questultima che non annullò di certo le sue più profonde e particolari motivazioni
ideologiche, ma che a distanza di tanto tempo e sulla base delle stesse annotazioni di
Rosselli, oggi siamo costretti ad esaminare con serena obiettività. Carlo Rosselli si
buttò a capofitto nel sanguinoso conflitto spagnolo nella convinzione che un evento di
quel tipo potesse in qualche modo attirare lattenzione degli intellettuali e delle
masse sulla necessità di rivedere e rinforzare le impalcature di unidea di Stato
Repubblicano ancora debole e troppo facile preda di energici quanto improvvisi colpi di
mano reazionari. Rosselli credeva poi che con la vittoria della Repubblica spagnola si
sarebbero create le premesse per una seconda, più importante "crociata": quella
contro le grandi dittature europee, in primo luogo quella fascista.
Il 31 luglio del 1936, alla vigilia della sua partenza per Barcellona -
quando ancora gli organismi dirigenti dei partiti socialista e comunista indugiavano sul
da farsi Rosselli scrisse su Giustizia e Libertà: "La rivoluzione
spagnola è la nostra Rivoluzione". Ricordiamo poi che egli chiuse un suo celebre
discorso, fatto il 13 novembre 1936 attraverso Radio Barcellona, con la frase "Oggi
qui, domani in Italia", che chiarisce, semmai ce ne fosse stato bisogno, gli
intendimenti del patriota.
Un uomo di tal fatta non poteva quindi che affascinare il cenacolo dei
giovani intellettuali genovesi che stavano aggrappati alla fragile scialuppa di Pietre:
una rivista che, come ha giustamente osservato Giuseppe Marcenaro, era tutta concentrata
sulla discussione del futuro dellItalia e delle sue superstiti istituzioni e che si
scagliava con giovanile coraggio contro i provvedimenti sempre più repressivi introdotti
dalla dittatura mussoliniana, senza però curarsi troppo dellorganizzazione politica
del suo stesso gruppo fondatore e che era solita riunirsi nelle sale della Società di
Letture Scientifiche di piazza Fontane Marose. Pietre era nata e si era sviluppata
innanzitutto "non tanto sulla base di una possibilità a quel tempo
inesistente di combattere apertamente, quanto sotto la spinta della volontà
di preservare, per quanto possibile, il carattere unitario di una consapevolezza ideale
costruita non sui miti, ma sui traguardi da raggiungere e su mete ormai conquistate da
difendere". Posizione iniziale che i promotori di questa "rivistina
genovese nata di trentadue pagine in foglio del formato della "Rivoluzione
Liberale" e che veniva stampata presso la Tipografia Tredici di Salita San
Silvestro" propugnarono almeno fino al termine del soggiorno genovese di Carlo
Rosselli e del sodalizio avviato con questultimo. Proprio lanno seguente la
partenza di Rosselli da Genova, il 1927, lopposizione democratica ma disorganizzata
che aveva caratterizzato la prima fase di vita della pubblicazione, si trasformò in un
impegno sicuramente più concreto, proprio grazie ai contributi e ai suggerimenti da lui
forniti. Già a partire dal numero di maggio del 27, "il carattere della
pubblicazione divenne più interessato non soltanto a rievocare taluni termini di paragone
ideologici, culturali e sociali, ma anche a promuovere una specie di interscambio tra gli
antifascisti di alcune città italiane" [
] "In quel periodo
racconta Giuseppe Marcenaro allinterno della redazione la figura di
Lelio Basso divenne un fatto palesemente importante, anche per lapporto da lui dato
allorganizzazione distributiva, in precedenza molto carente (la tiratura del foglio
comunque non superò mai le 600-700 copie e fino a tutto il 1927 fu stampato un totale di
14 fascicoli)" [
] "Il progetto di Basso fu quello di stringere
politicamente la rivista su di un piano unitario: quasi un volere fare identificare
lantifascismo italiano nei termini del foglio". Proprio ciò che fece in
seguito e in scala molto maggiore Carlo Rosselli con lorgano di stampa di
Giustizia e Libertà. Il gruppo fondatore della rivista e i suoi primi collaboratori
furono gli studenti universitari Franco Antolini, Francesco Manzitti (che si occupava dei
contratti pubblicitari e che ospitava nella sua abitazione di Corso Carbonara la sede
ufficiale della rivista) e Enrico Alpino, Virgilio Dagnino, Francesco Sabatelli, Umberto
Segre. A questi si aggiunsero poi Alberto Biggini, Augusto De Barbieri, Valeria Vaglia,
Ugo Gallo, Enrico Martino, Mario Tarello e Angelo Carrara, che avendo i titoli necessari
assunse nominalmente la direzione responsabile della rivista. In un secondo tempo
collaborarono con Pietre Ermanno Bartellini, Carmelo Puglionisi, Paolo Rossi,
Emilio Servadio, Vittorio Tedeschi e gli autorevoli Giuseppe Rensi e Mario Vinciguerra.
Erano molto vicini al foglio anche Giorgio Bo e il libraio Mario Bozzi. Quasi tutti gli
stretti collaboratori di Pietre erano studenti e pochi risultarono gli apporti da
parte del mondo antifascista genovese che, pur manifestando simpatia per questa testata,
vi contribuirono con molta parsimonia. Tra questi i repubblicani Chiodini e Tito Rosina,
questultimo dirigente della associazione antifascista Italia Libera. A Genova
vi furono poi altri uomini, come lex sindaco Ricci e i popolari Achille Pellizzari e
Giulio Marchi che pur seguendo il cammino della rivista non vollero impegnarsi
direttamente avendo rinunciato, soprattutto gli ultimi due, allindomani del
fallimento dellAventino, ad azioni di aperta resistenza contro il regime. Tra
i pochi uomini di spicco fu quindi soltanto Carlo Rosselli che, pur essendo più anziano
dei collaboratoriattivisti di Pietre, volle dare il suo appoggio diretto al
foglio. E questo accadde proprio durante il suo breve soggiorno allombra della
Lanterna. Per questo suo atteggiamento e soprattutto per gli ottimi e disinteressati
consigli che egli seppe fornire ai giovani collaboratori, Rosselli lasciò in questi
ultimi una profonda traccia e commossi ricordi. Durante il suo periodo genovese, egli ebbe
anche modo di frequentare i centri presso i quali si riunivano abitualmente gli
intellettuali dissidenti degli anni Venti: il Caffè Venchi, frequentato da Cabiati e
Sella, e il salotto Rensi dove la domenica pomeriggio si potevano incontrare Alfredo
Poggi, Paolo Rossi e, saltuariamente, figure come Luigi Einaudi, Ernesto Buonaiuti e
Santino Caramella. Anche se il ritrovo ideale dei giovani di Pietre rimaneva la
Società di Letture e Conversazioni Scientifiche di piazza Fontane Marose, dove erano
ospitati dal consiglio direttivo (del quale facevano parte numerosi esponenti della
corrente liberale che operava a Genova sotto la direzione del senatore Ricci). "Spinti
al margine della vita culturale ed universitaria, ed isolati, i giovani di Pietre
trovarono in Rosselli in tutto il periodo della sua permanenza a Genova un
consigliere ed un ispiratore" scrive Marcenaro. "Alcuni di essi che agli
interessi letterari e filosofici prediletti dalla maggior parte dei collaboratori del
periodico anteponevano lo studio delleconomia politica scrissero su Pietre i
loro primi articoli in materia". "Tra questi vi furono Francesco Manzitti
e Franco Antolini che dedicò un breve saggio proprio sul problema monetario di cui si
occupava Rosselli nel corso del 1925-26 destinato agli studenti del secondo anno della
Scuola Superiore di Commercio", ricorda Nicola Tranfaglia nella sua biografia Carlo
Rosselli. "Noi adoravamo Rosselli. Insofferente allinerzia di un certo
vecchio determinismo riformista, propugnatore ardente di un volontarismo sfrenato, pronto
a qualsiasi sacrificio per fedeltà ideale alla tradizione socialista, ma altrettanto
pronto allaperto e spregiudicato riconoscimento degli errori compiuti. Rosselli non
era certo un moralista imbelle, ma un vero combattente", così lo descrisse
Virgilio Dagnino ne Gli incorporati. Ma il benefico effetto esercitato da Carlo
Rosselli sui redattori di Pietre e sugli studenti universitari politicamente e
culturalmente impegnati dellepoca viene sottolineato anche da Umberto Segre in una
sua missiva: "La sua influenza sugli studenti della Scuola Superiore di Commercio,
ma anche di quelle di Legge, Lettere e Medicina fu ampia [
] Avevamo a quel
tempo il senso dellassedio e il timore di essere buttati in una contestazione senza
possibilità effettive [
] Di fronte a questo pessimismo, la personalità di
Rosselli appariva lesempio vivente della lotta che riesce, di una continua ripresa
dopo ogni arresto, di una intransigenza morale non ammantata tuttavia di rigorismo, ma di
fervore e di giovanile coraggio [
] Vicino a Rosselli era impossibile sentirsi
visi pallidi". Effettivamente, il rapporto che si venne a creare tra
gli studenti e gli antifascisti genovesi e il docente fu di "effettiva consonanza
non soltanto politica ma anche morale e spirituale". Si venne in sostanza a
creare tra i giovani antifascisti e Rosselli quello spirito volontaristico che
caratterizzò gli intenti espressi dai fondatori di Quarto Stato, una rivista alla
quale Pietre si avvicinò parecchio proprio in seguito al breve ma intenso
sodalizio tra il non vecchio ma già navigato patriota e i giovani dissidenti. Come
riporta Marcenaro, può essere interessante rileggere "la rievocazione che Giulio
Pietranera (autore di La cultura in orbace. Carlo Rosselli e la presa di
possesso fascista delluniversità italiana) fece dellincontro degli
studenti con il loro nuovo docente". "Il corso di Economia politica
racconta Pietranera era stato aperto dal professor Arias. La teologia
corporativa era ancora in formazione ed io cominciai ad appassionarmi e ad avvertire
limportanza della scuola storica, propugnata da Arias. Questi lasciò nei
primi mesi del 1925 linsegnamento nella facoltà di Genova e in seguito tentò di
formulare in termini storici la dogmatica economica fascista. Finì poi, sembra, proprio
quando si stava sviluppando la sua concezione corporativa, più conservatrice di
ogni altra, nel Sud America sottraendosi per tempo alla persecuzione razziale [
]
Arias venne sostituito allora da Carlo Rosselli, forse chiamato
dallindimenticabile Preside di facoltà, il professor Ortu Carboni, valente
matematico ed appassionato di scienze economiche, specialmente della formulazione
Walras-Pareto. Il nuovo docente continua Pietranera si presentò in
modo inconsueto. Allinizio della primavera del 1924, un giovanotto grassoccio,
biondo e miope, di media statura, con uno sguardo fermo da melanconico, salì lentamente
lo scalone della facoltà, tenendo un libro sotto il braccio. Erano ancora i giorni di
aperta caccia alle matricole ed un gruppo bramoso di anziani si precipitò su quella che
sembrava così facile e ingenua preda, tanto bonario era laspetto di quel giovane
dallaria distratta. Il nuovo venuto cedette sorridendo e fu una matricola
quanto mai arrendevole e munifica. Inebriati dalle generose libagioni da lui offerte, gli
studenti lo acclamarono e scrissero il suo nome ignoto sul famoso papiro. Il
giovanotto parve festeggiare la sua entrata in facoltà con divertita allegria e si
ripresentò il giorno dopo. Scoppiò allora la bomba che fece fremere anziani
e fagioli. Quella matricola non era un qualche placido e agiato possidente di
riviera, come si era supposto, ma il nuovo incaricato di Economia politica e di Storia
delle Dottrine economiche. Si chiamava Carlo Rosselli e veniva dalla Bocconi".
Durante lanno accademico 1925-26, il secondo del suo insegnamento nellateneo
genovese, Rosselli portò avanti un corso sulla moneta, polemizzando frequentemente con le
tesi sulla rivalutazione della lira proposte dal Graziotti. Gli allievi sembra che
seguissero con molta attenzione le sue lezioni non privandosi però del gusto di
contestarle, allorquando alcune idee del professore non risultavano ad essi del tutto
congeniali. Come fece Franco Antolini, giovane studente e redattore di Pietre che,
proprio sulla rivista, pubblicò un articolo sulla moneta in aperto contrasto con le tesi
espresse dal professore. "Proprio in questo contrasto ideologico
osserva Marcenaro si può avere la netta sensazione di quella che era
linfluenza vera di Rosselli sui suoi allievi".
Tuttavia, al di là di cordiali diatribe tra docente ed allievi il
rapporto, seppur molto cordiale e di stima che si ebbe tra Rosselli e la cultura
antifascista genovese degli anni Venti, fu talvolta vicino allincrinarsi per la
peculiarità di certe posizioni sulle quali il professore si arroccava. Fu soprattutto
lala comunista e sindacalista dello schieramento della sinistra genovese a
respingere quelle che poi si rivelarono le tesi portanti del pensiero politico
rosselliano. Daltra parte era più che logico. Rosselli, come si è detto, aveva di
fatto rigettato i metodi e perfino buona parte delle finalità dellideologia
socialista marxista, evidenziando una quasi feroce ma lucida aderenza alla realtà e una
concretezza tali da suscitare lapprensione di parecchi esponenti di questo storico
schieramento che, proprio a Genova città industriale e operaia per eccellenza -
aveva conosciuto ampia notorietà e seguito tra le masse. Riguardo alla soppressione delle
classi, allegalitarismo forzato e al conseguente trionfo della fratellanza, della
giustizia e della pace mondiali, Rosselli dimostra di essere a dir poco scettico. "Per
i socialisti seri, colti e preparati scrisse coteste sono ormai delle
favolette delle quali è igienico non parlare. A tutti sono daltra parte chiari i
pericoli derivanti dalla elefantiasi burocratica, dalla invadenza statale (propugnata dal
fascismo), dalla dittatura dellincompetenza, dallo schiacciamento dogni
autonomia e libertà individuali, dal venir meno dello stimolo nei dirigenti come negli
esecutori". Molto significativa, riguardo al tipo di società auspicata
dallintellettuale, risulta unannotazione (inserita poi in Socialismo
Liberale) da lui fatta, probabilmente in seguito alla lettura di un trattato di
politica economica di Werner Sombart (autore chegli prediligeva), proprio durante il
suo soggiorno a Genova. "E probabile che in futuro il capitalismo debba
rinunciare alla sua egemonia, sottomettendosi sempre più a limitazioni e interventi da
parte dei pubblici poteri; mentre si andranno estendendo le forme di uneconomia
regolata, nelle quali il del soddisfacimento dei bisogni prevarrà sul principio del lucro".
Alla luce di questi interventi non si può certo mettere in dubbio lispirazione
innovativa, coraggiosa e lungimirante del pensiero di questo alfiere del nuovo socialismo
liberale, fautore di idee per alcuni molto difficili da digerire e fonte di tanti, utili
stimoli allavvio di indagini politiche, economiche e sociologiche coraggiose e
svincolate dalle pericolose catene dei dogmi intramontabili.
Ma oscure nubi stavano addensandosi nel cielo. La campagna di regime
contro lantifascismo della cultura iniziò nel marzo del 1926 con
lannuncio di provvedimenti contro gli insegnanti ostili al governo. Rappresentante
locale e culturalmente trasandato di questo programma di linciaggio fu Vincenzo Poggi,
editorialista dellaltrettanto trasandato e violento periodico avanguardista Il
Littorio. Avendo individuato in Carlo Rosselli un pericoloso avversario del regime,
Poggi prese a perseguitarlo con la penna intinta nel livore e nella menzogna,
richiedendone limmediato allontanamento dallateneo genovese. Rosselli, da
parte sua, non accettò le ripetute provocazioni e i gratuiti insulti, continuando la sua
attività didattica, appoggiato da una buona parte dei suoi allievi. Ai primi di aprile
del 26, il redattore de Il Littorio riprese la solita tiritera attribuendo al
povero Rosselli addirittura la responsabilità dei disordini provocati da un piccolo
gruppo di universitari antifascisti in occasione della costituzione del GUF. Ma come si è
detto, buona parte degli studenti e tutta la redazione di Pietre fecero quadrato
intorno al loro professore. Il 4 maggio dello stesso anno, la campagna diffamatoria nei
confronti di Carlo Rosselli raggiunse toni a dir poco beceri e nel contempo grotteschi.
Vincenzo Poggi, dopo essersi vantato di avere malmenato un paio di volte, pubblicamente il
professore (lepisodio si verificò forse davanti allateneo genovese) -
unimpresa che reputò importante al punto da immortalarla in un suo articolo apparso
su Il Littorio intitolato Schiaffeggio per la seconda volta il Prof. Carlo
Rosselli accusò addirittura Rosselli di ricoprire illegalmente il suo incarico
universitario. "Voi siete solo e semplicemente un dottore" scrisse
linvelenito e male informato Poggi, la cui prosa lasciava molto a desiderare. "Voi,
Rosselli, siete un insegnante incaricato
di materia non tecnica! Non siete professore
universitario, non siete nemmeno libero docente; voi non avete mai partecipato a concorsi [
]
Voi siete, Signor Rosselli, in aperto contrasto con larticolo 49 del Regolamento
per le Scuole Superiori di Scienze Commerciali, recante la data dell8 luglio 1925.
Il posto che avete dunque non vi spetta né moralmente, né materialmente. Traditore ed
usurpatore allora! Signor Rosselli, a Parigi vi aspetta Salvemini! A noi fate schifo!".
Nonostante la coraggiosa presa di posizione dei redattori di Pietre, in particolare
quella di Manzitti e Segre, Rosselli capì che il suo soggiorno a Genova era ormai agli
sgoccioli e, anche per non compromettere quelle persone che lo avevano accolto
fraternamente, decise di trasferirsi altrove. Su ciò che fece e che gli capitò in
seguito sono stati versati fiumi di inchiostro. Rosselli trascorse i suoi ultimi dieci
anni di vita in maniera molto movimentata. Aiutò Turati a fuggire in Francia, venne preso
dalla polizia fascista e messo al confino a Lipari. Riuscì ad evadere e a recarsi a
Parigi, fondò riviste, scrisse trattati di politica, combatté come volontario tra le
file dellesercito repubblicano spagnolo e fu ferito, emigrò nuovamente a Parigi in
seguito alla vittoria delle forze nazionaliste del generale Franco, e soprattutto
continuò sempre e in ogni luogo a tramare contro il regime di Mussolini, nella speranza
di vederlo crollare. Nel 1935, Rosselli era già considerato da tutti gli intellettuali
che affollavano la Parigi dellepoca come un punto di riferimento nella lotta non
soltanto al fascismo ma anche al nazismo e ai numerosi movimenti radicalmente nazionalisti
o di ispirazione fascista sorti un po in tutta lEuropa: Francia, Spagna,
Portogallo, Belgio, Ungheria, Romania, Yugoslavia e perfino Inghilterra. Un uomo di tal
fatta non poteva certo consentire sonni sereni ai suoi avversari, che allinizio del
1937 iniziarono ad organizzare nellombra lattentato che avrebbe posto fine
alla sua opera rivoluzionaria. Fu lOVRA, la polizia segreta mussoliniana, che si
mise a tessere la tela entro la quale lirriducibile dissidente sarebbe dovuto
cadere. Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Mussolini e dal
ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Rosselli che allora
risiedeva nella capitale francese dove, grazie ai suoi cospicui mezzi economici,
interamente investiti nella causa antifascista, continuava ad infastidire in tutti i modi
il regime. "Con grande intelligenza Rosselli invitava gli antifascisti
tradizionali a non perdersi in chiacchiere e a non attardarsi a identificare il regime con
il vecchio tipo di reazione capitalistica, ma a cogliere quanto di nuovo e di negativo
esso proponeva, come ad esempio il tentativo allora in atto di dirigere leconomia
con forme miste di proprietà e gestione (vedi lIRI)". Carlo Rosselli
profetizzava "la guerra che torna" a causa del fascismo e del nazismo.
Egli proponeva di battere sul tempo sia Hitler che Mussolini con un conflitto preventivo
promosso dagli intellettuali e necessariamente sostenuto dalle armi delle Democrazie
occidentali e non come è stato detto da molti innescando unancora prematura
insurrezione popolare, che avrebbe portato soltanto al massacro di milioni di persone.
Furono proprio questi intendimenti a fare di Rosselli il nemico più temuto. Ciano,
impegnando molto tempo e soprattutto molto denaro, diede quindi allOVRA tutti i
mezzi e gli strumenti necessari per creare la trappola mortale che scattò la mattina del
9 giugno 1937 lungo la strada principale di un piccolo villaggio normanno chiamato
Bagnoles-de-lOrne dove Carlo Rosselli, assieme a suo fratello Nello (che lo aveva
raggiunto da Firenze tre giorni prima), si erano recati da Parigi per trascorrere in un
albergo il fine settimana. Ad occuparsi dellesecuzione materiale del crimine fu un
"commando" composto da risoluti militanti "cagoulards" (gli
avanguardisti francesi). Quattro o cinque sicari, dopo un accurato pedinamento e
appostamento, bloccarono lauto sulla quale viaggiavano i due fratelli e, dopo averli
trascinati fuori dalla vettura, li pestarono e li colpirono ripetutamente al petto e al
collo con lunghi coltelli, lasciandoli privi di vita sullasfalto. In seguito,
ufficialmente, il regime fascista si dichiarò estraneo alla vicenda. Ma nel dopoguerra,
nel corso di un processo che si celebrò a Roma, la verità venne a galla, con la
certificazione della responsabilità diretta del duce ed anche quella del maresciallo
Pietro Badoglio che, a quanto pare, aiutò lOVRA nella sua missione. Badoglio, che
continuava a godere di forti appoggi, riuscì però ad uscire indenne dalla losca storia,
e a pagare se così si può dire fu soltanto il generale Mario Roatta,
lunico a finire sul banco degli imputati. Comunque per poco. Incredibilmente,
proprio alla vigilia del verdetto egli riuscì infatti a fuggire dal carcere e a svanire
nel nulla, sottraendosi ad una pena che secondo una consueta tradizione tutta
italiana gli verrà in seguito amnistiata.
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1988
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1992
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Caciulli V., Taranto, 1992
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