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Biografia

pallanimred.gif (323 byte) Guido Calogero

Nato a Roma nel 1904. Laureatosi nel 1925 in filosofia nell'università romana, con Gentile, manterrà con il filosofo del regime rapporti di cordialità e di amicizia, diventando presto uno dei collaboratori più assidui dell'Enciclopedia Treccani e assumendo poi una sorta di responsabilità del settore filosofico. Calogero diceva sempre di sì alle richieste di collaborazione di Gentile, anche se il superlavoro e i frequenti soggiorni di studio in Germania lo costringevano a qualche ritardo. Ma i contatti fra i due erano tutt'altro che burocratici. Si basavano su una vera confluenza di idee e di interessi teorici. Via via che il discepolo chiarì la sua opposizione al fascismo, la questione politica venne tenuta in disparte; mai appannerà l'affetto reciproco. Fin dal 1929, a venticinque anni, Calogero è schedato dalla polizia politica come antifascista. Fatica a farsi rinnovare il passaporto, e senza gli interventi di Gentile non ci riuscirebbe: occorre che ogni anno il Senatore faccia "una telefonata agli Interni".  Quella di Calogero diventerà una firma consueta del Giornale critico della filosofia italiana. Non riuscì a dividerli neppure l'incombente presenza di Benedetto Croce nel quadro culturale italiano. In una lettera del 1935, Calogero chiarì a Gentile senza dar adito a dubbi che i suoi maestri erano due: lui e Croce.

Calogero, chiamato fin dal 1934 alla cattedra di Storia della filosofia alla Normale, svolgeva dentro e fuori la Scuola attività antifascista  clandestina, a partire dai tardi anni Trenta. Ottenuta successivamente la cattedra di filosofia all’Istituto Magistrale di Firenze, tornava spesso a Roma, dove manteneva contatti, abilmente nascosti, con gruppi di opposizione liberale. In Toscana conobbe e frequentò Aldo Capitini, con il quale nacque un forte sodalizio politico. I due si conobbero, prima che di persona, attraverso le proprie opere. Capitini aveva letto La filosofia e la vita, il libro che Calogero aveva pubblicato nel '36 per la casa editrice Sansoni, e ne apprezzava la dottrina del ‘moralismo assoluto’, che, con quel saggio, cominciava a svilupparsi, come elemento autonomo, dall’idealismo gentiliano. A sua volta, Calogero aveva letto, tra i primi, Elementi di un’esperienza religiosa, trovando forti consonanze con la moralità coniugata all’antifascismo che traspariva dalle pagine del libretto. Dalla collaborazione strettissima tra i due pensatori nacque il manifesto del liberalsocialismo, nel 1937.

Anche il nome del movimento nacque da questa collaborazione, in cui era difficile anche per i due teorici distinguere i singoli apporti. Calogero stesso non sapeva attribuire ad uno dei due la paternità del nome: “nome che non ricordo più se sia stato usato per la prima volta da Aldo Capitini o da me, e che volevamo riecheggiasse quello scelto da Carlo Rosselli”. Ricordando che Capitini non conosceva l’opera di Rosselli, prima della Liberazione, possiamo noi attribuire la paternità del nome a Calogero. Calogero difese poi strenuamente la denominazione del movimento, in una lunga polemica con Croce, svoltasi prima, dal 1940 al 1943, oralmente, poi per iscritto, e continuata anche dopo la Liberazione. Attorno a loro si venivano stringendo le nuove leve dell’antifascismo nazionale, i giovani che si stavano aprendo all’opposizione per reazione alla guerra di Spagna. Si trattava, quindi, di un antifascismo etico-politico, distinto rispetto all’antifascismo sociale delle classi subalterne, che basavano la propria opposizione sull’insostenibilità delle proprie condizioni di vita. Mentre queste ultime si rivolgevano di preferenza, scelto l’antifascismo, ai partiti marxisti, i giovani intellettuali trovavano molto più vicina l’opposizione etico-culturale di Capitini e degli antifascisti laici borghesi. Aderirono al movimento tra i più noti esponenti del liberalsocialismo toscano, basti ricordare Enzo Enriques Agnoletti, Tristano Codignola (figlio di Ernesto, l’ex gentiliano passato all’ opposizione), Luigi Russo, Piero Calamandrei, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Carlo Furno, Alberto Carocci, Carlo Francovich a Firenze. Nel triennio che precedette l’entrata in guerra dell’Italia, l’attività principale del gruppo liberalsocialista consistette nel reclutamento di nuovi adepti. I canali di reclutamento furono di due tipi, Calogero e i liberalsocialisti toscani, inseriti nelle strutture della cultura nazionale (Calogero aveva ottenuto, nel 1937, la cattedra di Storia  della Filosofia nell’Università di Pisa, Codignola e Enriques Agnoletti occupavano posti direttivi nella casa editrice La Nuova Italia, Calamandrei era professore di Procedura Civile all’Università di Firenze), le sfruttavano per la propaganda antifascista; Capitini e i suoi amici perugini (insieme a Ragghianti, che a Bologna seguiva la via capitiniana), preferivano, invece, evitare ogni collaborazione con il regime, basandosi su una propaganda diretta. L’entrata in guerra dell’Italia non modificò l’azione dei liberalsocialisti, che era orientata verso un’unione, sempre più stretta, con i gruppi dell’antifascismo borghese. Mentre la collaborazione con cattolici e comunisti era limitata ai contatti individuali, con i giellisti operanti in Italia si giunse presto ad una collaborazione organica. L’assonanza tra il nome del movimento di Capitini e Calogero ed il titolo del libro di Rosselli che diede la base teorica a Giustizia e Libertà non deve far credere ad una coincidenza fra i due gruppi. Come abbiamo visto, il movimento liberalsocialista, dalla nascita, fu privo di influssi rosselliani diretti, e, dedicandosi principalmente all’attività interna, evitò di proposito contatti con l’emigrazione giellista. Altra differenza tra liberalsocialismo e Giustizia e Libertà, sottolineata da Mario Delle Piane, era che "il socialismo liberale di Rosselli […] è una delle eresie del socialismo, mentre il liberalsocialismo è un’eresia del liberalismo”. Rosselli partiva, infatti, dalle posizioni di Bernstein e De Man, per svilupparle fino all’accettazione completa del metodo liberale: Calogero nasceva invece da una costola di Croce, giungendo fino alla riproposta delle istanze socialiste. In questo modo, i due movimenti erano giunti, da punti di partenza opposti, a conclusioni simili. Fu facile, quindi, trovare punti comuni per una collaborazione organica, in un convegno tenuto ad Assisi, nei primi mesi del ’40, nella casa di Alberto Apponi, e cui parteciparono Calogero, Capitini, Bobbio, Apponi, Luporini, Codignola, Giuriolo per il movimento liberalsocialista, e Giorgio Agosti, Antonio Zanotti, Francesco Flora ed altri per Giustizia e Libertà. Il movimento raccoglieva sempre nuove adesioni, allentando le pressioni che l’avevano tutelato per quattro anni dall’intervento della polizia. Il primo a cadere nella rete dell’OVRA fu il gruppo pugliese, che venne sgominato quasi completamente all’inizio del 1942. Le indagini si estesero poi a Firenze, dove il 27 gennaio 1942 la polizia politica arrestò Calogero, Enriques Agnoletti, Codignola, Francovich e altri, insieme a Capitini a Perugia e a Ragghianti a Bologna, trasferiti tutti presso le carceri fiorentine delle Murate. Le indagini, molto accurate, durarono quattro mesi. Gli imputati resistettero con fermezza, negando ogni addebito e trasferendo ogni contatto con gli altri accusati sul piano culturale (Capitini portò come elemento di difesa il suo libro, che passò, dato il titolo, per un’innocua pubblicazione religiosa!). In tal modo, la polizia non poté attribuire con certezza agli arrestati i documenti sequestrati e li condannò a pene minime. Capitini fu rilasciato dopo aver ricevuto una diffida. Le pene più gravi furono comminate ad Enriques Agnoletti e al tipografo Bruno Niccoli, condannati a cinque anni di confino perché in contatto anche con i giellisti. Codignola fu condannato a tre anni di confino, Calogero a due anni di confino a Scanno, in Abruzzo, gli altri se la cavarono con diffide e ammonizioni.

Già nei mesi precedenti l’arresto del gruppo toscano e di Capitini erano iniziati i contatti tra liberalsocialisti e giellisti, da una parte, e democratici moderati, dall’altra. Soprattutto il gruppo milanese che faceva capo a Ugo La Malfa, Ferruccio Parri e Adolfo Tino premeva per l’unione degli antifascisti non socialisti e non cattolici in un partito che fosse in grado di esplicare un’azione antifascista adeguata al rapido tracollo del regime. Queste pressioni si scontravano con le perplessità di molti esponenti dei due movimenti, tra cui Capitini, nei confronti di una collaborazione organica con gruppi “piuttosto democratici repubblicani che socialisti”.

A questo punto caddero l’arresto e la detenzione dei liberalsocialisti, che li tolsero dal dibattito politico per sei mesi, dal gennaio al giugno. In tal modo rimase campo libero per l’impostazione che La Malfa, il migliore politico del gruppo milanese, intendeva dare al partito: una formazione che si collocasse al centro dello schieramento politico, come partito di governo”, espressione della borghesia piccola e media e dei suoi desideri di stabilità. La riunione che decise la nascita del partito, si tenne nella casa romana di Federico Comandini il 4 giugno 1942. Il giorno precedente erano stati inviati al confino i liberalsocialisti arrestati, mentre Capitini subiva la diffida e rientrava a Perugia controllato dalla polizia. Secondo De Luna alla riunione parteciparono La Malfa, Federico Comandini (cognato di Calogero, liberalsocialista ma vicino alle posizioni dei moderati), Mario Vinciguerra ed Edoardo Volterra (amici e collaboratori di Parri, in quel periodo fermato dalla polizia), il liberalsocialista perugino Franco Mercurelli, Vittorio Albasini Scrosati e Alberto Damiani, due giellisti milanesi amici di La Malfa, e due rappresentanti, non meglio identificati, per Italia meridionale e Sicilia.

La rappresentanza dei liberalsocialisti era dunque fortemente minoritaria, sia sul piano quantitativo, sia su quello qualitativo. Di fronte ad uno dei più abili politici dell’antifascismo, si trovava, a difendere le ragioni dei ‘movimentisti’, solo una figura di secondo piano. D’altronde, anche la riunione preliminare tenutasi a Milano una settimana prima, nella quale erano stati definiti i ‘sette punti’ programmatici del futuro partito, aveva visto la presenza del solo Giuriolo, tra i collaboratori di Capitini e Calogero.

I ‘sette punti’, elaborati da Ragghianti riflettendo le opinioni dei vari gruppi, avanzavano, nel campo economico, le prospettive di “economia a due settori” già teorizzate dai liberalsocialisti e dai giellisti. Sul piano giuridico, si riproponeva la pregiudiziale repubblicana. Mentre su quest’ultimo punto si registrava una completa unanimità, i progetti di nazionalizzazione erano concessioni fatte, per motivi puramente tattici, da La Malfa e dai suoi amici, poco convinti che spettasse al Partito d’Azione realizzare riforme di tipo socialista.

Quando i confinati e i diffidati poterono, pur tra mille cautele, riprendere l’attività politica, si trovarono, così, di fronte alla scelta sul cornportamento da tenere nei confronti della nuova formazione politica.

La maggioranza dei liberalsocialisti decise, individualmente, di aderire al nuovo partito. Tra questi, i nomi più famosi erano quelli di Calogero, Codignola, Enriques Agnoletti, Delle Piane, Fiore, Cifarelli (oltre a quelli non arrestati, come Apponi, Albertelli, Umberto Morra, Luigi Russo). Prima di accettare, Calogero chiese ed ottenne, da La Malfa, delle Precisazioni, che ribadissero l’importanza delle nazionalizzazioni previste.

Nell’aprile e nel maggio del 1943 un’ondata di arresti e di denunce al Tribunale speciale colpì severamente il Partito d’Azione: a Milano furono arrestati Mario Vinciguerra e Antonio Zanotti; a Firenze Carlo Furno, a Siena Mario Delle Piane; a Ferrara Giorgio Bassani, a Modena Ragghianti, a Roma Federico Comandini, Sergio Fenoaltea, Bruno Visentini, a Bari Guido Calogero, Guido De Ruggiero, Tommaso Fiore. Arrestato dalla polizia fascista, Calogero fu condannato al confino a Scanno, in Abruzzo. Qui, nel settembre del '43, dopo l'armistizio, ritrovò il discepolo Carlo Azeglio Ciampi, che anche per la sua influenza aderì al Partito d'Azione.

Nel dopoguerra, Calogero proseguì la sua battaglia per l'affermarsi delle idee liberalsocialiste. Mise al centro della propria riflessione il valore della libertà, ma, riprendendo criticamente i filosofi precedenti quali Hobbes, Hume, Locke e Smith, sosteneva che la libertà individuale non deve essere intesa egoisticamente. Calogero elaborò quindi un’etica dell’altruismo “tesa ad assumere in chiave laica il messaggio di solidarietà della morale cristiana”.

Fu importante anche il suo rapporto con Bobbio. Rispondendo a Calogero, che nel novembre del '45 lo invitava a collaborare alla sua nuova rivista "Liberalsocialismo", Norberto Bobbio scriveva: "Mi interessa e mi piace il programma della tua rivista ( .. ) per quanto l'esperienza ci abbia insegnato che le premesse per una politica "liberalsocialista" in Italia non ci sono, o ci saranno tra due secoli. Faremo i predicatori nel deserto, come del resto "abbiamo sempre fatto...".

Dopo lo scioglimento del Partito d'Azione, alle elezioni del '48, Calogero si schierò con il Fronte Popolare, insieme ad un folto gruppo di intellettuali e di personalità di grande prestigio, da Corrado Alvaro a Salvatore Quasimodo, da Renato Guttuso a Giorgio Bassani.

Dal '49 collaborò con una rubrica fissa a "Il Mondo" di Mario Pannunzio, dalle cui colonne si battè per la scuola laica.

Negli anni Cinquanta fu di nuovo al fianco di Capitini, a sostegno dell’azione che Danilo Dolci svolgeva in Sicilia contro la mafia. Da Norberto Bobbio a Carlo Levi, da Elio Vittorini ad Ignazio Silone, da Giulio Einaudi a Riccardo Bauer, forte e convinto venne il sostegno a Dolci.

Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito radicale, inizialmente denominato Partito Radicale dei Democratici e dei Liberali Italiani, insieme a Leo Valiani, Francesco Compagna, Giovanni Ferrara, Felice Ippolito, Franco Libonati, Alberto Mondadori, Arrigo Olivetti, Marco Pannella, Mario Pannunzio, Leopoldo Piccardi, Rosario Romeo, Ernesto Rossi, Nina Ruffini, Eugenio Scalfari, Paolo Ungari. Nel '58, fece parte della lista repubblicana-radicale per la Camera dei deputati, insieme a Pacciardi e a Luigi Delfini. Nel 1962 fu anche proposto come segretario del partito radicale(al suo posto venne poi eletto Leone Cattani), ma rifiutò per motivi personali. In seguito uscì dal partito, ma rimase vicino ai radicali.

Il 30 ottobre del 1966, insieme ad alcuni ex azionisti (Bruno Zevi, Norberto Bobbio, Manlio Rossi Doria), aderì al partito socialista unificato, che riuniva il Psi e il Psdi

Diventato direttore di "Panorama", nel 1972 rilanciò il tema della doppia tessera (quella radicale e quella degli altri partiti) quale fattore di evoluzione dei partiti verso la costruzione di uno stato moderno a democrazia bipartitica, poiché " i suoi veri partiti sono sempre e soltanto due, la destra e la sinistra, il partito della conservazione e il partito delle riforme."

Morì  nel 1986.

 

pallanimred.gif (323 byte) Bobbio su CALOGERO: "Il più giovane dei miei maestri"

 

Opere

La scuola dell'uomo, Sansoni;

Lezioni di filosofia, Einaudi;

Filosofia del dialogo, Comunità;

Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, Edizioni dell'Ateneo.

 

 

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