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Biografia
Silvio Trentin

Nacque l'11 novembre 1885 a S. Donà di Piave, da una
agiata famiglia borghese di proprietari terrieri. Entrambi i genitori, Giorgio Trentin e
Italia Cian, erano figure di spicco nel gruppo dirigente cittadino, eredi di una
tradizione che univa l'impegno per la vita pubblica a un moderato riformismo sociale.
Sembra che spetti proprio ai Trentin il primato di aver istituito la prima cantina sociale
d'Italia. Il padre di Silvio, benchè socialdemocratico e ammiratore di Garibaldi, era un
leale servitore della monarchia. Era sindaco di S. Donà per la prima volta quando morì
di polmonite il 27 aprile 1893, all'età di 41 anni. Dal 1896 al 1903 Silvio frequentò il
liceo-ginnasio Canova di Treviso, poi si trasferì al liceo «Marco Foscarini» di
Venezia. Di quel periodo la sua più grande passione fu il volo. Prima dei 25 anni aveva
già all'attivo parecchie ore trascorse sui primi fragili biplani apparsi sui cieli
italiani.Arrivò quindi il tempo degli studi di legge. La sua iscrizione all'università
di giurisprudenza di Pisa data al 9 dicembre 1904.
Si laureò nell'autunno 1908 e la sua tesi fu giudicata meritevole di stampa. Ma Trentin
aveva già esordito come scrittore di diritto, pubblicando il suo primo lavoro, un anno
prima, ad appena 21 anni. Ottenne la libera docenza in diritto amministrativo e scienza
dell'amministrazione a Pisa il 10 giugno 1910, a 24 anni. Era allora il più giovane
insegnante di diritto in Italia.
Dall'autunno del 1911 Trentin insegnò all'università di Camerino. L'anno successivo, dal
settembre 1913 al luglio 1914, partecipò a un seminario di specializzazione presso
l'università tedesca di Heidelberg.
Questa felice esperienza di studio e di vita fu bruscamente interrotta dallo scoppio del
primo conflitto mondiale. Prima di cominciare il servizio militare come sottotenente
addetto alla Croce Rossa, Trentin trascorse l'estate del 1915 a S. Donà, trattenutovi da
gravi questioni personali. In febbraio, dopo una lunga malattia, gli era morto a soli 34
anni il fratello maggiore Giorgio. In questo periodo si fidanzò con Giuseppina Nardari,
per tutti Beppa. Si sposarono a Treviso il 1 aprile 1916: lei aveva 24 anni, lui 30. Il 23
luglio 1917 nacque il loro primo figlio a cui, come era tradizione familiare, fu dato il
nome di Giorgio. Quattro mesi dopo, occupata S. Donà, le truppe austriache avrebbero
requisito la casa per installarvi il loro Quartier Generale.
Trentin, dalla fine del 1915 agli ultimi mesi del 1917, fu occupato con funzioni
amministrative presso la Croce Rossa. Si era offerto volontario appena iniziate le
ostilità. Tutt'altro che nazionalista, Trentin era interventista come lo erano i gruppi
radicali, democratici e socialisti riformisti con cui da tempo si identificava. La guerra,
per Trentin, doveva essere compimento del Risorgimento, con la restituzione di Trento e
Trieste all'Italia, ma anche doveva provocare la distruzione dell'autocrazia
austro-tedesca e riaffermare il diritto all'autodeterminazione dei popoli.
Nell'ultimo anno di guerra Trentin fu trasferito dalla Croce Rossa al I° Gruppo Speciale
Informazioni della III Armata. Si trattava di un reparto aereo adibito alla ricognizione
fotografica e al collegamento con gli informatori che agivano in territorio nemico.
Raffaello Levi, amico del tempo, rivela che Trentin fu assai riluttante, nel novembre del
1919, a presentarsi come candidato dell'Associazione nazionale combattenti perchè,
secondo lui, troppo poco era il tempo in cui aveva prestato servizio attivo al fronte. E
in effetti Trentin entrò in azione per la prima volta, probabilmente, solo nella tarda
primavera del '18. Ma quei pochi mesi furono contrassegnati da imprese memorabili.
Durante la terribile battaglia del Solstizio, nel giugno 1918, che costò all'Italia
90.000 tra morti e feriti e in cui la stessa S. Donà fu completamente rasa al suolo,
Trentin fu costretto a sganciare bombe sulla propria casa, ancora sede del comando
austriaco. Già da qualche mese però egli poteva vantarsi di aver partecipato alla più
lunga ricognizione aerea della guerra. Da bordo di un dirigibile fu infatti fotografata
l'intera linea del fronte dal Trentino all'Adriatico. Questa missione gli procurò il
primo di una serie di encomi e medaglie. Una di queste medaglie gli fu assegnata per il
coraggio che lui e i compagni di equipaggio dimostrarono nella notte tra il 21 e il 22
agosto 1918. Nel rifornire i nostri informatori nel Friuli, il loro Caproni fu colpito
ripetutamente dalla contraerea nemica, ma ciò nonostante l'aereo riuscì a rientrare alla
base di Marcon. A quel tempo si parlò molto anche di una spericolata manovra di Trentin
che in volo si arrampicò sull'ala del suo biplano per spegnere un incendio.
Una settimana prima della fine della guerra Trentin compì la sua missione forse più
pericolosa. Come esperto di ricognizione e perfetto conoscitore della topografia della
zona, gli fu ordinato di guidare un attacco di bombardieri contro una batteria austriaca
che, posizionata alla periferia di S. Donà, seminava la morte nelle nostre linee.
L'attacco, compiuto in volo notturno a bassissima quota, ebbe pieno successo e
l'artiglieria nemica fu messa a tacere.
Nel novembre 1919 si candidò alle elezioni politiche nella lista della Democrazia sociale
veneziana. Si trattava di un cartello elettorale che comprendeva raggruppamenti della
sinistra democratica riformista. Trentin fu l'unico eletto della lista e il suo fu quindi
soprattutto un successo personale.
Sul finire del 1919 ci furono altre novità nella vita dei Trentin: presero stabile
domicilio a Venezia e nacque il loro secondogenito, una bambina, a cui fu dato il nome di
Franca.
L'esperienza parlamentare di Trentin si chiuse nel maggio del 1921. Non fu rieletto in
quelle elezioni anticipate che segnarono la sconfitta di tutte le forze politiche
intermedie. Nel frattempo decise di tornare all'insegnamento. Il 24 ottobre 1921 vinse il
concorso per la cattedra di diritto amministrativo a Macerata, dove insegnò due anni.
Dopo l'avvento del fascismo, Trentin reagì da par suo. Aumentò anzichè diminuire la sua
attività di oppositore, partecipò sistematicamente a tutti i tentativi di formare un
grande partito liberaldemocratico antitetico negli uomini e negli ideali al nuovo regime.
E il regime Trentin osò sfidarlo apertamente quando, con alcuni amici di S. Donà, il 4
novembre 1924 si recò a Fratta Polesine per rendere omaggio alla tomba di Giacomo
Matteotti. All'entrata in cimitero lui e gli amici furono costretti ad esibire i documenti
ai carabinieri. Questo affronto alla sua dignità di uomo libero si ripetè agli inizi del
1925 allorchè uno squadrista veneziano gli impedì di entrare a Ca' Foscari per svolgervi
la sua lezione.
Era dal 1923 che Trentin insegnava all'ateneo veneziano, la qual cosa gli aveva consentito
di essere nuovamente vicino ai vecchi compagni di lotta. Trentin però percepiva con
sempre maggiore insofferenza la situazione paradossale di essere al contempo un
funzionario di quello stesso governo di cui era ormai un irriducibile avversario. Così
quando il regime emanò il 24 dicembre 1925 un decreto che privava tutti gli impiegati
dello Stato della loro libertà politica ed intellettuale Trentin decise di dimettersi. Lo
fece il 7 gennaio 1926. La
sua scelta nelle università italiane fu seguita solo da Salvemini e Nitti, mentre altri
due docenti furono allontanati dall'incarico.
Insieme alle dimissioni, Trentin maturò l'idea dell'esilio. Attraversò il confine con la
Francia il 2 febbraio 1926, insieme alla famiglia. Si illudeva che la caduta del
fascismo sarebbe presto avvenuta. In realtà dovette attendere il settembre del 1943 per
rimettere piede in patria, quasi diciotto anni dopo.
Gli anni francesi furono senz'altro esaltanti per Trentin che sviluppò il suo pensiero
politico in modo straordinariamente originale e fecondo. Intensa e continua fu la sua
attività di saggista. Nel 1929 Trentin seppe ancora una volta anticipare tutti. Con la
sua opera Les transformations recentes du droit public italien, come gli riconobbe
Calamandrei Trentin attuò in assoluto la prima seria analisi scientifica dell'ordinamento
giuridico fascista. Come l'attività pubblicistica, anche quella politica fu continua ed
instancabile. Sebbene in disparte nella provincia francese, lontano da Parigi dove
risiedeva il nucleo centrale dell'antifascismo italiano, Trentin fu sempre considerato e
ascoltato come un leader, talvolta come guida di un'organizzazione, più spesso come guida
morale. Lo fu dapprima nel partito repubblicano e nella Lega italiana dei diritti
dell'uomo; lo fu quindi nella cosiddetta Concentrazione antifascista e nel movimento
Giustizia e Libertà; lo fu infine nella resistenza francese e in quella italiana, sino -
possiamo dirlo - agli ultimi giorni della sua vita. Suoi interlocutori furono uomini
altrettanto eccezionali come Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Gaetano Salvemini e poi, via
via, altri fuoriusciti come Francesco Volterra, Ruggero Grieco, Alberto Tarchiani e altri.
Se poi dovessimo indicare un solo elemento distintivo nell'azione politica di Trentin in
quegli anni, segnaleremmo il tenace perseguimento del fronte unico antifascista. Fu quasi
naturale perciò che proprio a Trentin toccasse il compito di sottoscrivere per Giustizia
e Libertà il cosiddetto patto di Tolosa del 1941 che ripristinava, con il partito
comunista., l'unità d'azione perduta con lo sciagurato accordo Molotov-Ribbentrop del
1939.
Ogni movimento di Trentin che veniva minuziosamente controllato
dall'OVRA, la polizia segreta fascista. I suoi scritti arrivavano in Italia solo per via
clandestina e poi circolavano alla macchia. Secondo Aldo Garosci, Trentin riuscì però
una volta a farsi beffa dei suoi controllori. Inviò copie del suo già citato Les
trasformations recentes... a diverse biblioteche italiane che le accettarono, ingannate
dal titolo inoffensivo.
L'esperienza fondamentale nella vita privata di Trentin in quel periodo fu però un'altra:
fu l'umile lavoro di manovalanza che Silvio esercitò per circa tre anni in una tipografia
di Auch. Si adattò a tagliare la carta, trasportare casse e scatoloni, portare il
materiale agli altri operai. Trentin non si sentì per nulla avvilito da questo lavoro che
anzi considerò come una delle parentesi più serene della sua vita. Insistè sempre per
essere trattato sotto tutti gli aspetti come chiunque altro alla tipografia.
Nel maggio 1934 Trentin fu però licenziato, dopo un periodo di tensione con la proprietà
della tipografia. Per cinque o sei mesi la situazione finanziaria dei Trentin fu davvero
disperata. Beppa dovette vendere i gioielli di famiglia e gli antichi mobili veneziani che
si era portati dall'Italia. Compì diversi viaggi in patria per chiedere l'aiuto di
parenti e amici. Fortunatamente giunse in
Francia a soccorerli Camillo Matter con una consistente somma di denaro. Silvio potè
così imbarcarsi in una nuova avventura: acquistò una piccola, ma nota libreria di
Tolosa, la Librairie du Languedoc. La libreria, con Trentin proprietario, divenne un vero
salon, dove si scambiavano idee e si lanciavano nuove imprese intellettuali, e anche
centro di azione politica al punto che, durante la guerra civile spagnola, fu - secondo
Emilio Lussu - "una specie di ambasciata, la sede dei collegamenti irregolari fra la
Francia e Barcellona". Più tardi, dopo la caduta della Francia e l'avvento del
regime di Vichy, divenne - per dirla con Jean Cassou - "le centre principal pour
l'intelligentsia (antifasciste) de Toulouse". La piccola bottega aveva anche un
qualcosa che non tutti conoscevano: uno scantinato segreto, dove, durante la resistenza,
trovarono nascondiglio cospiratori antifascisti e agenti inglesi e francesi per lunghi
periodi di tempo. Inoltre la cave si prestava benissimo alle riunioni clandestine.
Il 9 giugno 1937 Trentin provò ancora una volta il dolore e lo sgomento per la perdita di
una persona cara, una perdita che apparve subito una terribile tragedia per G. L. e
l'intero movimento antifascista. Quel giorno, a Bagnoles de l'Orne, sicari armati da Roma
assassinarono Carlo Rosselli e il fratello Nello. Il 24 giugno a Tolosa, davanti a 20.000 persone, Trentin lanciò il suo atto
d'accusa contro le alte gerarchie fasciste. La risposta minacciosa del regime non si fece
attendere. Roberto Farinacci, il ras di Cremona, disse che, se Trentin non avesse
desistito da questa violenta propaganda contro il regime fascista, avrebbe subito la
stessa sorte dei Rosselli. Una telefonata anonima, proveniente dal consolato di Tolosa,
avvertì che c'era in atto un complotto contro Trentin. Quella notte un amico armato
vegliò in casa Trentin, ma fortunatamente non accadde nulla.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, chiese di arruolarsi nell'esercito francese
nel settembre 1939. Restò deluso quando il governo Daladier respinse la sua domanda,
assieme a quella di altri esiliati italiani, per non inimicarsi Mussolini (a quell'epoca
l'Italia era non belligerante). A parte l'età - aveva allora 54 anni - Trentin
difficilmente poteva prestare servizio attivo per le sue cagionevoli condizioni di salute.
Passarono così altri due anni colmi di pericoli e sacrifici, ma
anche di passione civile e di impegno umano nella resistenza francese. E finalmente, con
la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, venne il tempo di tornare in patria.
In agosto il governo Badoglio tolse le restrizioni alla frontiera e Trentin potè
rientrare legalmente in patria. Con lui viaggiavano in treno la moglie, i figli Giorgio e
Bruno, mentre Franca restò in Francia.
Il 4 settembre furono a Mestre, il giorno dopo a Treviso, dove una folla festante si recò
spontaneamente ad accoglierlo alla stazione.
Il 6 settembre finalmente Trentin arrivò nella sua città natale. Fu un'accoglienza
trionfale quella che gli riservarono gli abitanti di S. Donà. Silvio naturalmente era
felice ed emozionato di rivedere i vecchi amici, ma non fu dello stesso umore con tutti.
Si rifiutò di stringere la mano a diverse persone che avevano aderito al partito
fascista, mentre il saluto al parroco, mons. Luigi Saretta, fu corretto ma freddo. La
seconda visita a S. Donà fu di ben altro tenore. Una settimana dopo l'armistizio dell'8
settembre, con il territorio controllato dai tedeschi, la popolazione terrorizzata gli
chiuse tutte le porte. Essere respinto in questo modo, nonostante le circostanze del
pericolo, fu una delle esperienze più penose della vita di Trentin.
Dal 9 settembre al momento dell'arresto, la sera del 19 novembre, Trentin lavorò in prima
linea all'organizzazione politica e militare della resistenza nel Veneto.
A Treviso e Feltre tentò invano di far distribuire dai comandi militari le armi alle
nascenti forze della resistenza. A Padova partecipò alle prime riunioni organizzative del
Comitato di liberazione nazionale per il Veneto. Si spostò poi a Mira, dove la casa della
famiglia Fortuni, per le successive quattro o cinque settimane, divenne il suo quartier
generale.
Fra il 15 e 25 settembre il professor Ferrari - questa era la sua falsa identità -
intervenne a tutta una serie di incontri in Bavaria, un piccolo centro sulla strada tra
Bassano e Treviso. Qui si posero le basi per costituire nel Veneto un comando militare
unificato delle forze della resistenza.
Il 23 ottobre Trentin scrisse una lunga lettera a Lussu, in cui declinava l'invito ad
entrare nella direzione centrale del CLN perchè il suo posto di battaglia era qui nel
Veneto e non nella capitale.
Tessari, forse il principale storico militare della resistenza veneta, riconosce a Trentin
il merito di aver dato l'impulso decisivo al movimento partigiano e soprattutto quello di
aver fatto valere la superiorità del comando politico su quello militare.
Il comando politico, fino al dicembre 1943, aveva la sua centrale a Padova; Trentin ne era
membro, insieme ad Egidio Meneghetti, per il Partito d'azione.
Il 1 novembre 1943, dalle pagine di «GL», il giornale degli
azionisti di Padova, Trentin lanciò il suo "Appello ai Veneti guardia avanzata della
nazione italiana". Verso la fine di ottobre si trasferì da Mira a Padova per
impegnarsi più intensamente sul fronte politico e della propaganda. Lo ospitarono i
coniugi Monaci, in un appartamento nel cuore della città, e lì lo raggiunse il figlio
sedicenne Bruno.
La sera del 19 novembre agenti fascisti irruppero nell'appartamento dei Monaci, arrestando
tutti i presenti. Silvio e Bruno furono sottoposti a interrogatori per due giorni nella
sede centrale della polizia e quindi trasferiti al carcere dei Paolotti. Fortunatamente al
momento dell'arresto erano riusciti ad ingoiare le carte più compromettenti. Così la
polizia fascista, ancora disorganizzata, si ritrovò ad avere in mano, come prigionieri,
un uomo malato e suo figlio con l'unica imputazione di possesso di documenti falsi e li
rilasciò.
Trentin uscì di prigione, ai primi di dicembre, debilitato dai suoi disturbi cardiaci. Un
grave attacco di angina pectoris lo colpì proprio nel giorno del rilascio e subito, il 6
dicembre, fu ricoverato all'ospedale di Treviso. Qui rimase poco più di due mesi, fino
all'11 febbraio 1944, quando i violenti bombardamenti aerei sulla città ne consigliarono
il trasferimento in un'altra clinica, a Monastier. Nei due mesi di dicembre e gennaio in
cui fu degente all'ospedale di Treviso, Trentin fece il possibile per mantenere i contatti
con i compagni di lotta che, in effetti, quasi quotidianamente gli facevano visita .
Riuscì persino a dettare a Bruno un abbozzo di costituzione per l'Italia del dopoguerra,
sulla falsariga di quello per la Francia, scritto un anno prima, e che costituiva la base
del suo progetto di democrazia socialista federale. Riuscì inoltre a scrivere un ultimo
"Appello ai lavoratori delle Venezie". Nel documento si riaffermava che la
rivoluzione federalista e socialista doveva necessariamente svilupparsi su scala mondiale.
Il suo sogno infatti non era solo la redenzione dal nazifascismo, ma da tutte le
forme di oppressione e di degradante sfruttamento.
Morì nella clinica Carisi di Monastier, il 12 marzo del 44. Fu sepolto a S. Donà di
Piave.
Biografia
Silvio Trentin (a cura Centro studi Silvio Trentin)
Centro studi e ricerca "Silvio Trentin"
(biografia, bibliografia, documenti, immagini)
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