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Le prime bombe sui civili?
Italiane
di Alberto
D'Argenzio
(da Il Manifesto
del 3 aprile)
70 anni fa il bombardamento della cittadina basca di Durango
Tre settimane prima di Guernika, fu
l'Aviazione Legionaria italiana a inaugurare in Europa l'era dei bombardamenti
terroristici contro la popolazione civile, per indebolire il fronte nemico. Gli attacchi
durarono 4 giorni e uccisero 366 abitanti su novemila.
Durango, villaggio industriale nel
cuore dei Paesi baschi, non è famoso come la vicina Guernika, ma ha un primato: ha
inaugurato (in Europa) l'era dei bombardamenti aerei come arma di distruzione di massa. La
differenza con Guernika l'ha fatta il miglior pittore del XX secolo, che ha elevato la
mattanza compiuta dalla Legione Condor a simbolo universale della barbarie, mentre Durango
è passata dalla tragedia al dimenticatoio, anche perché così conveniva a Franco. Eppure
è proprio qui che per la prima volta in Europa andò in scena un bombardamento
«pianificato e realizzato sistematicamente», come spiega Jon Irazabal, autore del libro
Durango, 31 marzo 1937.
Settanta anni fa, alle 7.20 di un mercoledì di Pasqua, quattro
bombardieri e nove caccia iniziano quattro giorni d'inferno. Bombe da 500 libbre iniziano
a piovere dal cielo; in pochi giorni tonnellate di esplosivo vengono riversate su questa
cittadina di poco meno di 9.000 abitanti: 366 moriranno, centinaia saranno i feriti. Gli
aerei sono quelli dell'Aviazione Legionaria italiana inviata dal Duce, sotto le forti
pressioni del genero Galeazzo Ciano, a sostegno di Franco.
«Ho deciso di concludere
rapidamente la guerra nel Nord» - si legge in un volantino indirizzato alla popolazione
civile nel marzo 1937 dal generale Emilio Mola, direttore del levantamiento fascista. «Se
la resa non sarà immediata distruggerò Vizcaya (la provincia di Bilbao, ndr) fin dalle
fondamenta, iniziando dalle industrie di guerra. Dispongo dei mezzi per farlo. Generale
Mola». Mola concentra 40.000 combattenti per la campagna nei Paesi baschi, ma gli aerei
li mettono gli italiani e la famigerata Legione Condor, agli ordini di Hugo Sperrle e di
Wolfram Von Richthofen, cugino del mitico Barone Rosso. «Non è irragionevole alcuna
misura in grado di distruggere il morale del nemico. Ed è preferibile farlo
rapidamente», diceva Von Richthofen a Mola. La prima a pagare questa dottrina è Durango.
«Durango è una città molto
religiosa ed ordinata» - scrive il giornalista di guerra George Lowter Steer (l'unico a
dare eco della mattanza di Guernika dalle pagine di Time) nel libro L'albero di Guernika.
Uno studio sul campo della guerra moderna. Alle 7.20 c'erano moltissime persone ad
ascoltare la messa, delle quali quasi la metà era segretamente e sentimentalmente dal
lato dei bombardieri». Quella mattina del 31 marzo 1937 José Manuel Azurmendi aveva nove
anni e stava andando a messa nella chiesa dei Gesuiti. Ma era in ritardo e non volendo
disturbare il prete decise di sedersi nell'ultimo banco, giusto sotto il coro. L'unica
parte della chiesa che resistette alle bombe. «Mi ha salvato la cappella del coro -
ricorda - ho visto un enorme bagliore e poi una palla di fuoco rosso sul tetto e un enorme
boato». Sotto le macerie rimasero in 40, della cinquantina di fedeli che stava seguendo
la messa. Steer racconta che la bomba esplose proprio mentre padre Rafael Billalabeitia
stava offrendo ai fedeli il corpo di Cristo: «In quel solenne istante il tetto cadde sul
prete, i fedeli e il Santissimo Sacramento, seppellendo tutti».
Marisun Bengoetxea giocava con
un'amica sotto il portico della chiesa di Santa Maria. Scattano gli allarmi, Marisun corre
verso il rifugio che si trova sotto il negozio di famiglia, dall'altro lato della strada;
il tempo di arrivare sulla porta, di girarsi e la sua amica era già morta. Quando si
ritira l'aviazione, Steer racconta di «127 corpi estratti dalle macerie, senza includere
le membra sparpagliate. Molti erano in stato irriconoscibile ed tra loro c'era una grande
quantità di donne e bambini».
Gli aerei italiani arrivarono la mattina del 31 marzo con il sole alle spalle, calarono
sul paese seguendo l'asse est-ovest segnato sul terreno dalla linea che unisce le due
chiese e lì riversarono il loro carico di bombe. L'operazione fu ripetuta per quattro
giorni, fino al 4 aprile
1937, giorno di
Pasqua. E dopo che i bombardieri avevano finito il loro lavoro passavano i caccia. Alberto
Barreña aveva 13 anni, scappò con la famiglia nei campi che attorniavano la città e da
un boschetto osservò come «mitragliavano la gente che scappava: volavano così bassi che
potevi vederli in faccia».
Gli aerei calati su Durango
difendevano Dios y la Patria e scelsero come obiettivi chiese e fedeli in piena Settimana
Santa. E, come successe tre settimane dopo a Guernika, usarono le vittime anche da morte.
Da Radio Sevilla la voce del Generale Queipo de Llanos scandiva la versione ufficiale: «I
nostri aerei bombardarono obiettivi militari a Durango e dopo i comunisti ed i socialisti
rinchiusero i preti e le suore nelle chiese, assassinandoli senza pietà e bruciando le
chiese». C'è voluta la caduta di Franco per disseppellire la versione reale, coperta da
quella dei vincitori.
Dopo sette decadi, la mattanza è
stata ricordata quest'anno con una serie di atti e con la presentazione di due documentari
- Durango: il bombardamento dimenticato, che ricostruisce i fatti, e Il 31 marzo nel
ricordo, che racconta invece come i giovani vedono quei giorni. «Prima di Durango ci
furono altri attacchi aerei - spiega Arazabal - ma non con questo grado di pianificazione.
L'obiettivo di quella tattica era causare l'affossamento del fronte provocando il panico
nella retroguardia». Pur con tutto ciò, conclude Arazabal, «Durango non ha avuto
l'impatto internazionale di Guernika». E non è il rammarico di chi si sente meno
fortunato, è la paura di rimanere dimenticati dalla storia. Soprattutto in queste epoche
di revisionismi vari. |