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Asturie 1934

di Maurizio Attanasi

La campagna elettorale dell’autunno del 1933 in Spagna era stata particolarmente accesa, specie in alcune regioni, come nelle Asturie, che avevano conosciuto a partire dagli anni venti una forte sindacalizzazione della forza lavoro, costituita in gran parte da minatori.

Nelle Asturie la Ceda, il partito neo-fascista di Gil Robles, aveva affermato, in maniera non tanto velata, che la vittoria nelle elezioni sarebbe stata il primo passaggio verso uno stato corporativo, come altre esperienze che si andavano affermando in quegli anni in Europa.

Tale minaccia, insieme alla dichiarata mancanza di fedeltà alla repubblica di alcuni partiti che facevano parte della coalizione governativa, generò nel proletariato, ma anche in alcuni settori della borghesia, il timore che si potesse verificare a Madrid quello che era già successo in Italia, Austria e Germania, dove forze fasciste, appoggiate da liberali e conservatori, che credevano di poterle usare, avevano preso il potere con gli strumenti democratici, sopprimendo poi le libertà borghesi e scagliandosi con particolare furore contro il proletariato e i partiti e le associazioni sindacali che lo rappresentavano.

Il governo Leorrux, formatosi dopo le elezioni del ‘33, con l’appoggio esterno della Ceda, si dimise per protesta contro l’atteggiamento troppo prudente del Presidente della Repubblica Alcala Zamora in merito alla concessione della grazia a coloro che avevano partecipato al tentativo di sollevazione di qualche mese prima, guidato dal generale Sanjuro.

A Lerroux nell’aprile del 1934 succedette, per volontà dello stesso Presidente Zamora, un debole governo Samper formato dalle stesse forze politiche che avevano sostenuto Lerroux e con la Ceda alla finestra, pronta a presentare agli alleati il conto dell’appoggio esterno che di fatto garantiva la vita del governo, con la richiesta di dicasteri per i propri uomini.

Gil Robles mise in pratica quando si andava ormai da mesi dicendo nelle coortes, cioè che avrebbe chiesto più peso per il proprio partito, che era determinante per le sorti della coalizione.

Facendo cadere il governo, Robles costrinse il Presidente della Repubblica Zamora il 4 ottobre 1934 a nominare un nuovo governo presieduto da Lerroux, nel quale furono assegnati dicasteri importanti (agricoltura, lavoro e giustizia) a uomini del suo partito.

Prima ancora di conoscere la composizione del governo, il proletariato spagnolo, spaventato dal pericolo fascista, scese in piazza per dire no all’ingresso di forze di destra nel governo e per affermare che era arrivata l’ora della rivoluzione, chiedendo, così come avevano detto i leader del partito socialista (il Psoe), "il potere al proletariato".

Ma se nelle piazze il Psoe era stato abile arringatore, nel momento dell’azione si tirò indietro. Di fronte ad un proletariato che autonomamente scendeva in piazza a chiedere armi per la lotta, i dirigenti del Psoe si limitarono a proclamare uno sciopero generale pacifico.

Scioperi e manifestazioni scoppiarono in tutte le piazze delle maggiori città e un’intera regione si infiammò: le Asturie.

A Barcellona, in reazione alla nomina di un governo in cui era più pesante il ruolo di forze contrarie all’autonomia della regione catalana, fu proclamata la repubblica catalana. Il presidente Company, però, rifiutò l’aiuto delle forze proletarie, che chiedevano le armi per la difesa della neonata repubblica. Preferì appoggiarsi al generale Batet, contando che il comandante in capo delle forze repubblicane presenti nella regione fosse fedele alla causa catalana. Ma compì un grossolano errore di valutazione. Quando il governo ordinò di ristabilire l’ordine nella capitale catalana, Batet obbedì a Lerroux.

Il 5 ottobre1934 a scioperare fu Madrid, che venne bloccata dallo sciopero generale. Sporadiche sparatorie si verificarono sino all’8 ottobre, con i militari impegnati a garantire i servizi essenziali, e i giovani sostenitori del partito radicale (al governo) a fare i netturbini, per aiutare l’esecutivo nella sua lotta contro il proletariato.

Lo sciopero venne proclamato però soltanto dalla Ugt (union general de trabajadores- il sindacato socialista), non dalla Cnt (Confederacion nacional de trabajo il sindacato anarchico), che si defilò dagli avvenimenti di quell’ottobre.

Episodio molto particolare fu rappresentato dalla scoperta che un vaporetto, il Turquesa, trasportava armi con direzione Asturie. Il sospetto che fossero implicati alcuni dirigenti socialisti, fornì il pretesto che la destra aspettava; la Ceda organizzò una imponente manifestazione nella regione delle Asturie, manifestazione che si concluse con i dimostranti che tornarono a piedi alle proprie case, per uno sciopero generale proclamato dai lavoratori contro la stessa manifestazione.

La rivoluzione scoppiò nelle Asturie all’alba del 5 ottobre del 1934. Qui il proletariato più cosciente, rappresentato dai minatori, fortemente sindacalizzati (il Sindicato de obreros mineros de Asturias –SOMA- nel giro di pochi anni, quelli caratterizzati da un forte conflitto, raggiunse ad avere tra i propri iscritti il 60% dei lavoratori del settore), aveva una forte consapevolezza classista, e si ribellò al governo formatosi a Madrid; ma la rivolta non era contro determinate forze politiche, ma contro lo stesso sistema capitalista, tant'è che nella breve vita dell’esperienza asturiana si diede vita a una nuova organizzazione economica e sociale.

Di lì a qualche giorno quasi tutte le Asturie saranno sotto il controllo dei lavoratori insorti. I minatori, per attaccare e disarmare 98 caserme della Guardia Civil, utilizzarono lo strumento del proprio lavoro, la dinamite, che possedevano in abbondante quantità.

Anche se non ci fu un modello unico di organizzazione, si formarono in tutte le città liberate comitati rivoluzionari costituiti dal proletariato e dai lavoratori in armi, ed un comitato provinciale ad Oviedo, capoluogo delle Asturie, uno dei principali centri della lotta dei minatori. In quasi tutte le città si formarono anche milizie armate.

Ad Oviedo, tuttavia, ci furono gravi scontri e la città non fu mai completamente sotto il controllo degli operai perché le forze militari della regione erano tutte concentrate all’interno del capoluogo. Qui l’8 ottobre il comitato pubblicò un bando con cui si puniva qualsiasi atto di saccheggio, rivolgendo un appello agli insorti per la costituzione di guardie rosse e prendendo provvedimenti volti ad organizzare l’approvvigionamento. Il bando affermava, tra l’altro,"la fine radicale di ogni atto di saccheggio, prevedendo che qualsiasi individuo colto sul fatto sarebbe stato passato per le armi". Nel contempo veniva prevista "la confisca di tutti gli articoli di vestiario e viveri esistenti".

I lavoratori, una volta preso il potere, procedettero ad organizzare la vita delle proprie comunità attraverso la creazione di sette commissioni: approvvigionamento e risorse, sanità, lavoro, comunicazione, propaganda, ordine pubblico e giustizia.

Tra le più importanti misure adottate, vi furono l’abolizione della moneta con la sostituzione in alcuni casi dello scambio diretto di beni; le fabbriche di importanza militare, come ad esempio a Mieres (esplosivi) e Turon (mezzi blindati), vennero gestite direttamente dagli operai, che procedettero ad aumentare la produzione per venire incontro alle esigenze del proletariato nella impari lotta contro le ingenti forze che il governo di Madrid si stava preparando ad inviare nella regione.

Molto si è discusso sulla violenza cieca che i minatori avrebbero esercitato sui nemici di classe e in particolar modo su religiosi e uomini di chiesa.

Testimonianze rilasciate negli anni successive da religiosi (vedi Storia della Repubblica e della guerra civile spagnola di Tunon de Lara) confermano come in moltissimi casi i rivoluzionari difendessero e proteggessero i religiosi che si trovavano nei conventi, rispettando i simboli della loro religione e in alcuni casi procurando loro anche del cibo.

La violenza che ci fu, dovuta a secoli di oppressione che il proletariato subiva ad opera dei possidenti e spesso dello stesso clero, fu dunque una vicenda riconducibile a singoli episodi e non la linea politica dei rivoluzionari.

La rivoluzione attecchì anche tra i militari, come dimostrano episodi come l’assalto all’arsenale ad Alicante da parte dei marinai, o ad Oviedo i novecento soldati che, pur assediati dai rivoluzionari, rifiutarono di sparare sulla folla come era stato loro ordinato dai superiori.

Il governo convocò i generali Goded e Francisco Franco e li incaricò, in qualità di capi di stato maggiore, di dirigere le operazioni per la repressione. I due generali accettarono, a condizione che fossero utilizzate le truppe scelte africane. Proposta che venne accettata subito dal governo.

Le Asturie facevano paura e per questo il colonnello Aranda fu incaricato di creare un dispositivo di truppe lungo un arco di cinquanta km, dalla Galizia fino a Valencia, per evitare che truppe di rivoluzionari si recassero in altre regioni a cercare appoggi e sostenitori.

Intorno al 10 ottobre iniziarono i bombardamenti aerei, mentre a Gjion continuavano ad arrivare navi che trasportavano legionari e regulares africani.

Le truppe guidate da Franco e Goded avanzavano a fatica, incontrando una strenua resistenza da parte dei lavoratori insorti. Ma, seppur lentamente, le truppe scelte dell’esercito spagnolo conquistavano casa dopo casa, villaggio dopo villaggio.

Il 18 ottobre 1934 il generale Lopez Ochoa inviò dei messi a Sama per trattare la resa. Bellarmino Tomas, portavoce del comitato provinciale, accettò la proposta di resa, purché le truppe africane non entrassero alla testa delle truppe che conquistavano le città.

La proposta venne accettata solo dal generale Ochoa, non dal ministero della guerra. Le truppe della legione straniera e i regulares mori si comportarono come "un esercito straniero vincitore che gode delle sofferenze dei vinti". (H. Thomas, pag. 87)

La repressione fu durissima; le fonti parlano di centinaia di morti (il numero varia dai 400 ai 2000), con centinaia di uomini e donne imprigionati nelle case del pueblos, trasformate da luoghi di incontri in luoghi di detenzione del proletariato.

Molti abbandonarono le città e si rifugiarono sulle montagne, per continuare la lotta armata.

 

Bibliografia essenziale

H. Thomas, Storia della guerra Civile spagnola, Einaudi, 1963

M. Lobo, La lotta dei minatori asturiani nella Spagna Franchista, Liguori, 1977

H. Browen, La guerra Civile spagnola, Il mulino, 1996

M. Tunon de Lara, Storia della repubblica e della guerra civile in Spagna, Ed. Riuniti, 1966

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