Tutti hanno ben presente la foto che ritrae il miliziano della guerra
civile di Spagna mentre cade, a braccia aperte, centrato da un proiettile, ma
nessuno ne ha mai visto il cadavere e ora si scopre che non c'e' neppure un pezzo
di carta che certifichi il decesso.
Le ricerche fatte da un appassionato italiano di fotografia, Luca Pagni, gettano nuove
ombre sul mito di Robert Capa, all'anagrafe Endre Erno' Friedmann, autore fra le
altre della celebre immagine del ''miliziano colpito a morte'', divenuta
l'emblema della Guerra Civil.
Quella foto scattata da Capa nel 1936 e' alla base del mito del primo ''fotoreporter di
guerra'', che all'ingombrante macchina a soffietto aveva sostituito un'agile Leica
gettandosi nella mischia per documentarla attraverso l'obiettivo.
Ma l'autenticita' dell'istantanea e' controversa: i primi dubbi risalgono agli anni '70,
quando si accerto' che di miliziani che vengono colpiti e cadono al suolo, nello
stesso identico posto, Capa ne fotografo' piu' d'uno, e con la macchina sul
cavalletto. In seguito, un giornalista britannico, O' Dowd Gallagher, riferi' che lo
stesso Capa aveva ammesso con lui che la foto era il risultato di una compiacente
sceneggiatura. Piu' recentemente, testimoni hanno raccontato che il miliziano
presunto morto era vivo e vegeto ben dopo il '36.
Contro l'ipotesi di un falso e a difesa della reputazione di Capa si sono pero' schierati
in molti. Primo fra tutti il suo biografo ufficiale, Richard Whelan, che a titolo di
prova ''definitiva'' dell'autenticita' della foto e della morte cita il libro
''Retazos de una epoca de inquietudes'' dello storico spagnolo Mario Brotons Jorda',
in cui si riporta che l'uomo ritratto da Capa era stato riconosciuto dal fratello
Evaristo come Federico Borrell Garcia, nato ad Alcoy.
Brotons aggiunge che negli archivi governativi e' registrata la morte di
Borrell Garcia, membro fondatore del movimento anarchico sindacalista Juventudes
Libertarias, avvenuta nel luogo e nella data indicati da Capa, ovvero a Cerro
Muriano, il 5 settembre 1936.
Luca Pagni, fotografo e storico della fotografia, si e' preso la briga di
controllare la veridicita' di queste affermazioni, e si e' messo in contatto con
Miguel Angel Jaramillo Guerreira, direttore dell'Archivio General de la Guerra Civil
Espagnola.
Il direttore ha recisamente negato che la morte di Federico Borrell Garcia risulti
schedata e ha manifestato per iscritto la sua meraviglia per la ''leggerezza'' con
cui e' stata diffusa una notizia priva di riscontri.
Ricorda Pagni che ''sulla foto del 'miliziano colpito a morte' e' stato detto piu'
volte, nel corso degli anni, che 'vera o falsa che sia, comunque non cambierebbe il
suo significato, ne' il suo potere concettuale. Ma accettare questa affermazione per
vera e' come voler confondere un documentario con la fiction''.
''Se infatti il 'falso' venisse spacciato ed accettato come 'vero', noi - conclude
l'indignato Pagni - avremmo perso quella cognizione del 'distinguo' che e' uno degli
elementi che caratterizzano la specie umana''.
I 'trucchi fotostorici' sono peraltro ben noti: si va dai bersaglieri di Porta
Pia, 'clonati' in stampa e capovolti, ai soldati in Bosnia che sparano a beneficio
del cameraman, dall'issa bandiera di Iwo Jima nel 1944 al celeberrimo 'bacio'
di Robert Doisneau.
Gli estimatori del grande fotografo francese rimasero molto delusi quando -
nel dicembre del 1992 - scoprirono che i due fidanzatini ritratti nel 1950 mentre si
scambiano un bacio appassionato davanti all'Hotel de Ville di Parigi non erano li'
per caso. Lo spiego' lo stesso Doisneau, per difendersi in una causa
intentatagli da una coppia che sosteneva di essersi riconosciuta nella foto e
chiedeva un risarcimento di mezzo milione di franchi. Esibendo una serie di
fotografie analoghe, realizzate in diversi punti della capitale, Doisneau dimostro'
che non si
trattava di un'istantanea rubata.
Perse la causa anche la vera protagonista del 'bacio', l'ex attrice Francoise Bornet, che
chiedeva il pagamento di diritti d'autore, perche' Doisneau dimostro' che la sua
prestazione era stata remunerata.
(Gianni Catella, Ansa 14 gennaio 2003)