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I lager della morte di Franco

di Pietro Ramella

La specificità più tragica della Guerra Civile Spagnola fu il sistematico ricorso all’eliminazione fisica degli avversari perpetrata da ambedue i contendenti.

Le violenze dei repubblicani

Nella zona repubblicana la violenza toccò il suo acme nei primi tempi della rivolta (18 luglio – fine ottobre 1936), quando più prepotente era la voglia di vendicare i massacri dell’Asturie nel 1934 e di porre fine alle ingiustizie sociali, generate da secoli di sfruttamento, mentre massimo era il caos interno per la defezione delle istituzioni pubbliche (burocrazia, magistratura e forze di polizia), passate in gran parte ai ribelli. Le uccisioni colpirono indiscriminatamente militari golpisti, ecclesiastici (circa 7.000), falangisti, borghesi e grandi proprietari terrieri. Particolarmente efferati furono i massacri dei fascisti di Ciudad Real precipitati nel pozzo di una miniera, o di Santander gettati giù dalla scogliera del Cabo Mayor o dei 512 maschi delle famiglie borghesi della cittadina andalusa di Ronda scaraventati in un dirupo. Fatto quest’ultimo ripreso da Ernest Hemingway in Per chi suona la campana, forse il maggior veicolo di conoscenza della guerra di Spagna presso il gran pubblico. Quando Madrid fu investita nell’ottobre dalle truppe franchiste molti prigionieri (in prevalenza ufficiali dell’Esercito che avevano dichiarato il loro sostegno ai ribelli) vennero, con il pretesto di essere trasferiti in altri penitenziari, condotti a Paracuellos del Jarama ed a Torrejón de Ardoz ed uccisi; finita la guerra furono esumate più di duemila salme. Altri, detenuti in carceri o battelli-prigione, furono massacrati dopo i bombardamenti delle città dalla folla inferocita per vendicare i civili inermi uccisi. La psicosi della temuta Quinta Colonna1 favorì l’assassinio di presunti oppositori in libertà operati dalle checas, squadre d’incontrollabili, quali la Brigada del Almanacer, che giustiziavano qualsiasi persona denunciata, anche anonimamente, senza prove certe dopo un processo sommario.

Il 5 novembre 1936 il nuovo governo, presieduto da Llargo Caballero, che contava tra i suoi componenti quattro ministri anarchici con García Oliver alla Giustizia, per mettere un freno ai tanti tribunali del popolo che agivano al di fuori d’ogni legalità, adottò due provvedimenti: la riorganizzazione dell’Esercito, per controllare le milizie anarchiche, che amministravano in proprio la giustizia, e la creazione dei Tribunali Popolari composti di tre magistrati di carriera e quattordici giurati. Istituì inoltre il Servicio de Investigación Militar (SIM) e i Tribunales de Espionaje y Alta Traición per debellare lo spionaggio ed il sabotaggio e i Tribunali Permanenti dell’Esercito per giudicare i numerosi disertori e renitenti alla leva. Dopo di che, le uccisioni sommarie diminuirono drasticamente. García Oliver istituì numerosi campi di lavoro dove internare i prigionieri fascisti, nei quali il trattamento era duro ma era vietata la violenza fisica. Si pretendeva che il prigioniero lavorasse, e non ignorando come la mancanza di libertà limiti l’impegno, all’entrata dei campi era posta la scritta: "Lavora e non perderai la speranza" e come incentivo alla fatica la promessa che nove anni di lavoro ne valevano trenta di pena. Con l’avanzare dei ribelli, i campi divennero mobili, cioè i prigionieri erano aggregati alle truppe combattenti ed utilizzati a scavare trincee o costruire fortificazioni.

 

Le violenze dei franchisti

Da parte franchista il ricorso all’eliminazione fisica dei nemici fu perseguito sin dai primi giorni della rivolta, quando in Marocco furono eliminati i militari rimasti fedeli al legittimo governo centrale e gli esponenti dei partiti democratici e dei sindacati che li avevano appoggiati

Paul Preston, nella biografia di Francisco Franco, (Mondadori, 1995) mette in evidenza l'uso strategico del terrore da parte delle truppe nazionaliste sin dall'inizio del conflitto, quando erano formate in prevalenza da Regulares marocchini e Legionari del Tercio2. Truppe che, appena conquistata una città grande o piccola, procedevano sistematicamente a massacrare i prigionieri: ufficiali e sottufficiali dell’esercito o delle milizie, commissari politici, soldati semplici o volontari stranieri delle Brigate Internazionali. Subito dopo entravano in azione squadre di falangisti, borghesi, proprietari terrieri, di massima figli di vittime dei repubblicani, che in preda ad una frenesia di vendetta, infierivano sugli oppositori in particolare: insegnanti, sindacalisti, esponenti e militanti dei partiti democratici, sindaci ed amministratori comunali e quanti accusati di delitti contro la Chiesa, le proprietà o i simpatizzanti della ribellione. Prelevati dalle carceri o dalle loro abitazioni, erano portati a "fare una passeggiata (dar un paseo)", dopo di che i loro corpi venivano ritrovati lungo i muri dei cimiteri o in zone fuori mano. Praticavano violenza carnale alle loro donne oltraggiate con il taglio dei capelli, saccheggiavano le case, bastonando selvaggiamente quanti vi incontravano senza distinzione di sesso ed età. Il ricorso all'intimidazione ed al terrore, definito eufemisticamente castigo, era specificatamente previsto dagli ordini superiori, infatti, alla fine d’agosto - dopo le stragi di Merida e Badajoz - Franco si vantò delle misure che i suoi uomini avevano adottato per "reprimere il movimento comunista". I massacri facevano comodo per più di una ragione: appagavano la sete di sangue delle colonne africane, eliminavano in massa potenziali avversari (anarchici, socialisti, comunisti, che Franco sprezzantemente definiva marmaglia) e soprattutto generavano un terrore dagli effetti devastanti sulle improvvisate e male armate milizie repubblicane.

Preston conferisce a Franco una patente d’autentico stratega, dal momento che, anche se fu un mediocre comandante operativo per il carattere non risolutivo e l'altissimo costo delle sue campagne, fu un eccellente stratega perché realizzò compiutamente l'obiettivo di fondo, consistente nello sterminio o nel castigo di chiunque, consapevolmente o no, avesse avversato la sua idea di Spagna.

Nel febbraio 1937 il tenente colonnello italiano Faldella, capo di Stato Maggiore del generale Roatta comandante del Corpo Truppe Volontarie3, mandate da Mussolini, esortò Franco ad imprimere un ritmo più celere alle operazioni ma egli dichiarò: "In una guerra civile la sistematica occupazione del territorio nemico accompagnata dalla necessaria limpieza (pulizia cioè sterminio di tutti gli oppositori) è preferibile ad una rapida disfatta degli eserciti avversari che lascerebbe il paese infestato di nemici". Il Caudillo, poco prima della fine delle ostilità, per dare un crisma di legalità alla resa dei conti che aveva in mente fece promulgare il 13 Febbraio 1939 la Legge sulle responsabilità politiche che istituiva Tribunali per giudicare tutti gli atti di sovversione compiuti dal 1° ottobre 1934 (rivolta di Barcellona e delle Asturie) e i delitti di ribellione contro il Movimento dal 1936, (cui faranno seguito il 1 Marzo 1940, la Legge speciale sulla repressione della massoneria e del comunismo ed il 29 Marzo 1941, la Legge sulla sicurezza dello Stato).

Dopo la fine della guerra, (1° aprile 1939) il nuovo ordine, internò, nella attesa di processarli uno ad uno, in almeno cinquanta campi di concentramento improvvisati, oltre settecentomila soldati repubblicani ed instaurò nel paese un regime poliziesco basato su denunce e delazioni, che portò in breve, secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, a raddoppiare il numero dei detenuti. Furono creati in tutte le città della Spagna oltre un migliaio di tribunali militari, composto ognuno di sette ufficiali, e si raccolse per ogni prigioniero nei luoghi di residenza informazioni ed eventuali denunce sulla sua partecipazione ad atti contro il Movimento, il che comportò l’accumulo di centinaia di migliaia d’atti giudiziari. L’esame delle pratiche fu svolto dai giudici con rapidità a danno della verità – non erano, infatti, prese in considerazioni prove a discarico – mentre gli imputati erano sottoposti durante gli interrogati a brutali torture per indurli a confessare le colpe loro ascritte, quindi veniva istruito un processo che poteva essere singolo o collettivo, come pure le sentenze. Un processo durava anche meno di mezz’ora e numerosissime erano le condanne a morte. Secondo il Ministero della Giustizia furono 192.684 i giustiziati dall’aprile 1939 al giugno 1944; le sentenze capitali erano eseguite dalla Guardia Civile, mentre le squadre della morte falangiste nelle zone di recente occupate dai nazionalisti si scatenavano in paseos, soprattutto di quanti erano stati assolti nei processi o erano sfuggiti alla giustizia, oltre alle sopra citate violenze e saccheggi. Le fucilazioni o gli strangolamenti con la vil garrote si succedevano senza posa e le vittime erano inumate in fosse comuni privando i famigliari anche del conforto di un fiore o di un omaggio alla tomba del congiunto. Come la cava di granito in disuso sulla collina del Montjuic a Barcellona, le cui alte mura di pietra fanno da cornice ad un grande spiazzo d’erba in cui si ritiene siano sepolti tremiladuecento oppositori catalani. Nello stesso luogo, tra le lapidi commemorative dei volontari delle Brigate Internazionali, vi è la tomba di Lluis Companys, presidente della Generalitat catalana, arrestato dai tedeschi in Francia e consegnato ai suoi carnefici. Un’altra fonte (non controllabile) parla di trentasettemila cadaveri accatastati per uno spessore di 25 metri. Uno dei delitti più agghiaccianti fu la fucilazione avvenuta il 5 agosto 1936 nel carcere di Ventas di tredici ragazze, tra i quindici ed i diciassette anni, appartenenti alla Gioventù Socialista Unificata, accusate di aver progettato l'attentato di un generale. Una poesia a loro dedicata le definirà le tredici rose. La giustizia nazionalista mise a morte seimila insegnanti, compresi cento docenti universitari, che la Repubblica aveva definito "milicianos de la cultura"4. Le condanne a morte erano eseguite, per aumentare l’angoscia del condannato, anche diversi mesi dopo essere state pronunciate, cosicché egli non sapeva quando sarebbe stata la sua ora e viveva momenti di terrore ogni volta che, soprattutto di notte, sentiva prelevare dalle celle i predestinati, le preghiere dell’immancabile prete accompagnato dal campanello del Sanctus. Arthur Koestler ricorderà:

"La notte del martedì ne furono fucilati diciassette.

La notte del giovedì ne furono fucilati otto.

La notte del venerdì ne furono fucilati nove.

La notte del sabato ne furono fucilati tredici.

Sei giorni tu lavorerai, disse il Signore,

e il settimo giorno riposerai.

La notte della domenica ne furono fucilati tre".

Dal 1943 le esecuzioni diminuirono e molte condanne a morte furono commutate in trent’anni di carcere.

Il carattere spietato del nuovo ordine franchista è confermato dalla testimonianza, del conte Costanzo Ciano, Ministro degli Esteri di Mussolini che nei suoi Diari annota con soddisfazione: "La situazione è buona in Catalogna e Franco la migliora procedendo ad un'accorta epurazione, con rigorosa severità. Molti italiani, anarchici e comunisti sono stati fatti prigionieri. Io l'ho comunicato al Duce ed egli mi ha ordinato di farli tutti fucilare: i morti non raccontano la Storia".

Quelli sfuggiti ai plotoni d’esecuzione ma condannati a lunghi anni di detenzione, scontavano la pena in penitenziari fatiscenti, in locali malsani sovraffollati, infestati da topi e parassiti, sottoposti ad una disciplina durissima, aggravata dalla brutalità dei guardiani e dalla scarsità di vitto e di cure, il che determinò la morte di moltissimi di loro; il più famoso fu il poeta Miguel Hernández, deceduto nel 1942 nella prigione d’Alicante per tubercolosi contratta in carcere. Un elevato numero di carcerati, non riuscendo a sopportare l'atmosfera d’incubo delle prigioni, si tolse la vita, tanto che all’interno delle carceri gruppi di detenuti vegliavano per impedire i tentativi di suicidio dei compagni di sventura. Le prime vittime di tanta crudeltà furono i figli delle carcerate, cui il vitto delle prigioni, insufficiente per quantità e valore nutritivo, fu causa di rachitismo e morte.

Già due anni prima, il 25 marzo 1937, il governo di Burgos aveva promulgato il decreto n. 281 in cui "concedeva il diritto al lavoro ai prigionieri di guerra e ai detenuti per delitti non comuni". Il 7 ottobre 1938 fu costituito il "Patronato Central de Redención de Penas", su ispirazione del gesuita Pérez del Pulgar, che prevedeva il loro recupero spirituale e politico con un’opera d’apostolato ed il loro utilizzo nella ricostruzione di quanto avevano collaborato a distruggere. Dall’inizio dell’anno seguente cominciarono ad operare i Batallones Disciplinarios de Trabajadores (Batallones de Trabajo), poi Destacamentos Penales. Nei quali, quanti erano in attesa di giudizio o erano stati condannati a pene non gravi, erano utilizzati, come mano d'opera schiava, alla ricostruzione di città, strade e ponti o ad innalzare il faraonico mausoleo della Valle de los Caidos, iniziato nel 1940 e terminato nel 1959 con un costo di duecento milioni di sterline dell'epoca (in quest’opera furono impiegati in vent’anni circa 20.000 di questi lavoratori). Se lavoravano per imprese pubbliche percepivano il giorno 5 pesetas (recluso con moglie – naturalmente sposata in Chiesa - ed un figlio) di cui 1,50 servivano per il mantenimento, 0,50 restavano al prigioniero e 3 andavano alla famiglia. Se erano ingaggiati da imprese private la paga era di 14 pesetas il giorno di cui 1,40 per il vitto, 0,50 per il detenuto, 3 per la famiglia mentre le restanti 9,10 venivano versate allo Stato. (La paga media all’epoca di un manovale o bracciante era di 10 pesetas il giorno). Per questi forzati era stato previsto che tre giorni di lavoro valessero due di pena – secondo l’Associació Catalana Ex Presos Politicos – o un giorno di lavoro valesse due di pena – secondo Gabriel Jackson in The Spanish Republic and The Civil War, 1931 –1939.

La disciplina era durissima, il lavoro pesante talora in condizioni atmosferiche proibitive, il vitto scarso per i "prelievi" dei guardiani, ma soprattutto le violenze erano all’ordine del giorno. I sorveglianti tolleravano che di notte i falangisti si divertissero a picchiare, senza alcun giustificato motivo, i prigionieri presi a caso, il che determinò numerosi decessi, che si aggiunsero a quelli derivanti da sfinimento fisico, tubercolosi, dissenteria e tifo, morti giustificate dai medici con falsi certificati.

Altri centri di sfruttamento furono i Trabajos en Regiones Desastradas, le Columnas Penitenciaria Militarizadas ed i Talleres Penitenciarios, destinati ai condannati a lunghe pene detentive. L’inumano trattamento accomuna questi luoghi di tortura ai campi d’internamento nazisti, infatti, anche qui fu praticata la "spersonalizzazione dell’individuo", ed in proposito vanno ricordate le parole del Direttore del Carcel Modelo di Barcellona, Isidro Castrillón López che rivolto ai prigionieri affermò: "Parlo alla popolazione reclusa: dovete ricordare che un prigioniero é la decimilionesima parte di una merda". Dovettero passare molti anni prima che la Chiesa rivedesse le sue posizioni, infatti, non si può tacere la partecipazione attiva del clero, che tentava con ogni mezzo, lusinghe e minacce, di riportare a Dio queste anime perdute. Anche dopo aver espiato la pena ed essere tornati alle loro case, il calvario di questi desafectos non era finito, infatti, erano soggetti ad una lunghissima serie di sanzioni e vessazioni: obbligo di presentarsi ogni giorno alla Guardia Civil per sottoscrivere il Registro delle presenze (di mussoliniana memoria), confisca di denari, immobili o attività, pesanti multe, perdita dell’impiego, nessun diritto civile riconosciuto, ripetute umiliazioni. Ad esempio, nei Paesi Baschi su una popolazione di 1.325.000 persone, 929.630 subirono le conseguenze della guerra, di cui 48.000 i morti, 50.000 i feriti gravi, 87.000 i prigionieri, 150.000 gli esiliati e 596.000 i sancionados. In nessuna nazione la vendetta dei vincitori fu così spietata e duratura; vi furono delle limitate amnistie, ma fino al 1969 (trent’anni dopo) la legge sulle Responsabilità non fu abrogata. La parola riconciliazione non fu mai pronunciata dal regime, che tenne sempre viva la divisione delle Dos Españas, i vincitori avevano vinto e governavano, ai vinti era consentito sopravvivere. Quanto sopra dovrebbe far riflettere chi affermò che fu un bene per la Spagna la vittoria di Franco, in quanto la preservò dal diventare una Repubblica Democratica Popolare, eufemismo per non dire comunista. Dimenticando che democratica e popolare lo era già per libera scelta della maggioranza degli spagnoli alle elezioni del febbraio 1936.

Non voglio entrare nel merito del numero delle vittime della repressione delle due parti, in quanto gli storici sono in netto disaccordo tra loro, denunciando scarsa oggettività, per cui mi limiterei ad un’arida elencazione di cifre, difficilmente riscontrabili. Tenuto conto della durata delle repressioni, sicuramente quelle attribuibili ai nazionalisti superano di gran lunga quelle imputabili ai repubblicani.

(TRIANGOLO ROSSO, n. 2 – luglio 2001 – pag. 30)

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