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         | Le testimonianze 
  "Urlai stampa, stampa, stampa - ma questo veniva ignorato, e
        fui picchiata"
 La colloboratrice di Junge Welt Kirsten Wagenschein sull'assalto
        poliziesco alla scuola Diaz a Genova e il suo arresto. 
 
 Da mercoledí sono fuori dal carcere di Voghera. Finalmente.Al momento sto abbastanza
        bene, psichicamente. Sono semplicemente contenta di essere fuori di lí. Fisicamente sto
        bene di per sé. Sono stata una delle pochissime persone arrestate che non si è presa
        delle botte. Quando la polizia lo scorso fine settimana ha assalito la scuola Diaz di
        Genova mi misi, come altri, a correre di qua e di lá per l'edificio, temendo per la mia
        vita. Inizialmente mi fu possibile rifugiarmi in un ripostiglio,e speravo che non mi
        trovassero. Ero giunta alla scuola giusto cinque minuti prima dell' assalto per svolgere
        dei lavori di ricerca. Se fossi arrivata un quarto d' ora piú tardi non avrei potuto
        entrare nella scuola. Sono stata arrestata per puro caso.
 
 Dopo un po', i poliziotti mi hanno effettivamente trovata. A quel punto la prima ondata
        della carica d' assalto era passata e i poliziotti avevano iniziato a percorrere l' intero
        edificio e a rastrellare ogni ambiente. Nel frattempo facevano tutto a pezzi con i loro
        manganelli.
 
 Fui accompagnata in basso nell' atrio principale, senza venire picchiata. In quel momento
        vi si trovavano ancora circa settanta persone, delle quali almeno cinquanta erano ferite.
        La metá di queste era inondata di sangue e gravemente ferita. Delle aggressioni che erano
        precedute a ció non vidi nulla di persona, avendo indugiato nel mio nascondiglio. Vidi
        peró nell' atrio, come alcune persone venivano brutalmente picchiate. Nessuno opponeva
        resistenza, assendo la presenza numerica e la brutalitá della polizia troppo massiccia.
        Vidi una donna in piedi su una scala. Ogni poliziotto che passava accanto a lei, la
        colpiva con il suo manganello. Un colpo sul viso ha frantumato la sua mascella e fatto
        saltare i denti anteriori.
 
 Fin dall' inizio avevo chiaramente fatto notare che sono una giornalista. Portavo sul
        petto la mia autorizzazione, avevo in mano la mia tessera stampa e ho continuamente
        ripetuto: stampa, stampa, stampa. Questo peró non aveva alcun peso e veniva ignorato. Un
        poliziotto in borghese ha infine dato un' occhiata ai documenti e fatto un fischio, come
        per dire: ma guarda qua chi abbiamo beccato. Alla fine mi venne tolto tutto: lo zaino, i
        documenti, tutto. Le autoritá italiane sapevano fin dall' inizio: Kirsten Wagenschein é
        una giornalista autorizzata.
 
 In seguito fui condotta con altri arrestati in una caserma. Le mani sulla testa - cosí
        fummo perquisiti. In circa quaranta fra uomini e donne fummo messi al muro della cella. La
        maggior parte era in un modo o nell' altro ferita. Moltissimi avevano lesioni al capo e
        fratture al naso. I poliziotti avevano evidentemente picchiato sulla testa. Coloro che
        avevano tentato di proteggersi il viso con le mani avevano inoltre anche un braccio
        ingessato. Tutti stavamo faccia al muro, con le gambe divaricate e le mani sulla testa.
        Non so dire quanto tempo fummo costretti a rimanere in quella posizione. In una tale
        situazione si perde completamente il senso del tempo.
 
 Ripetutamente i poliziotti entravano nella cella e ci divaricavano le gambe a calci, e
        tiravano su le nostre braccia perché stessimo il piú possibile scomodi. Anche quelli che
        avevano un braccio o una gamba rotta dovevano rimanere cosí. Continuamente i poliziotti
        sussurravano: tonfa, tonfa. Fu per ore un assoluto terrore psichico e di continuo la gente
        veniva percossa.
 
 Non ho visto, perché come tutti gli altri stavo faccia al muro. Ognuno di noi peró ha
        sentito i colpi e le grida.
 
 Di tanto in tanto alle donne veniva permesso di sedersi, agli uomini no. Alla fine le
        donne poterono sedersi con la schiena appoggiata al muro. Se qualcuno voleva andare al
        gabinetto, doveva passare accanto a un cordone di poliziotti. Al ritorno in un caso ho
        visto con i miei occhi come in un' altra cella un uomo veniva colpito al ventre con un
        tonfa. Il poliziotto lo teneva su per una spalla, e con l' altra mano picchiava. L' uomo
        picchiato gridava e gridava, ma continuava a venire picchiato.
 
 Fino al lunedí mattina fummo trattenuti in questo primo centro di raccolta prigionieri.
        Per tutta la durata della nostra permanenza persone detenute furono picchiate. Stavamo in
        celle di venti metri quadri, seduti su un freddo pavimento di pietra, non abbiamo ricevuto
        praticamente nulla da mangiare e quasi niente acqua. Non vi erano interpreti, né esisteva
        la possibilitá di entrare in contatto con un avvocato o con il consolato tedesco. Niente.
        Non sapevamo nemmeno dove eravamo. Il lunedí fummo tutti sottopsti ai procedimenti di
        identificazione e schedatura. Furono fatte fotografie e prese impronte digitali. Alfine
        ebbe luogo una prima visita medica. Fummo costretti a spogliarci, un medico e due
        poliziotte controllavano se avessimo degli ematomi e in caso positivo prendevano nota. Al
        momento di venire portati alla visita noi peró non sapevamo che cosa ci sarebbe capitato,
        se ci si portava via, o da qualche altra parte per essere picchiati.
 
 Solo alla prigione di Voghera, dove fui condotta con altre donne nel pomeriggio del
        lunedí, fui trattata con una certa correttezza e il terrore psichico e i pestaggi ebbero
        un fine. La tortura duró trentasei ore. In nessun momento ebbe un peso la mia posizione
        di giornalista. Nessuno ha reagito a questo fatto. Non mi fu inoltre permesso di mettermi
        in contatto con un' avvocatessa o un avvocato. Nessuno ottenne un tale permesso. Ci fu
        sempre detto che un colloquio telefonico con un avvocato sarebbe stato possibile solo
        quando fossimo davanti al giudice.
 
 Martedí sera mi visitó per la prima volta un collaboratore del consolato tedesco, che mi
        spiegó che ero stata scelta per una visita a un prigioniero in quanto giornalista. Fu la
        prima volta che mi parve che qualcuno notasse che io sono della stampa. Due ore prima di
        questa visita mi era stato concesso di nominare un' avvocato difensore. Ció accadde il
        terzo giorno della mia detenzione, molto oltre le quarantott' ore previste dalla legge.
 
 Il mercoledí noi donne incarcerate fummo "finalmente" presentate al giudice.
        Per la prima volta vi era un' interprete e un gruppo di avvocati E difensori d' ufficio
        che si occupavano di noi. Per la prima volta venni a sapere di cosa fossi accusata:
        sospetta appartenenza a una associazione internazionale chiamata black block. Verso le ore
        venti fui rilasciata e potei lasciare Voghera alle mie spalle. Insieme ad altri rilasciati
        fui espulsa via Brennero. Secondo una notifica preliminare del giudice non mi é permesso
        visitare l' Italia per i prossimi cinque anni.
 (traduzione dell'articolo della giornalista di Junge Welt) torna a Speciale G8     |