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Le testimonianze

Il mio carcere in Italia
Christian M. è ora tornato a casa in Germania, a Oberhausen. Arrestato a Genova il
24 luglio, è stato rilasciato il 17 agosto. Ci ha mandato questa testimonianza sui
pestaggi subiti nel carcere di Marassi da lui e dagli altri ragazzi tedeschi lì
rinchiusi. Quattro di loro vi sono ancora detenuti, gli altri sono stati rilasciati sabato
scorso. CHRISTIAN M.
Sono stato arrestato vicino a Nervi, in un campeggio autorizzato dei
dimostranti contro il vertice, il pomeriggio di lunedì 23 luglio. Al momento dell'arresto
erano presenti 20-30 agenti, che hanno cominciato col perquisire le auto. Tra le altre
anche l'auto di amici, con la quale ero andato a Genova. In questo controllo sono stati
coinvolti una ventina di altri partecipanti al campeggio. Durante la perquisizione il
contenuto di zaini, borse e portabagli veniva rovesciato in un grosso mucchio,
apparentemente senza alcun criterio.
Alla fine ci hanno arrestato. Con alcuni altri sono stato portato in una sede della
polizia a Genova, in un locale al piano terra dell'edificio. Era spoglio, senza mobili e
sui vetri delle finestre erano incollati fogli per renderli opachi. In questo locale siamo
dovuti restare a lungo in piedi, e ci era consentito solo di guardare il muro davanti a
noi. In questo piccolo locale si trovavano fino a otto-dieci prigionieri e circa
altrettanti poliziotti. Un poliziotto ha disegnato sul muro una croce uncinata.
Da qui sono stato portato in un'altra sede della polizia, più piccola, dove mi hanno
fotografato e preso le impronte digitali. Alla fine di questa procedura sono passato in
una stanza con circa dieci agenti, che in parte indossavano guanti e che mi hanno
costretto a firmare un "formulario" in italiano. In queste due sedi della
polizia io e gli altri siamo stati quasi interrottamente investiti da urla: ci accusavano
gridando di essere del "blocco nero". Da questo commissariato sono stato portato
a sera in una terza sede della polizia, dove ho dovuto aspettare fino a notte fonda.
Dopo l'una sono arrivato nel carcere di Marassi. Due poliziotti mi hanno consegnato a un
gruppo di sette o otto secondini. I secondini indossavano tute grigie e si erano infilati
guanti di gomma. Hanno cominciato a colpirmi e a prendermi a calci. Dopo i primi minuti mi
sono dovuto spogliare davanti a loro, e hanno ripreso con intensità ancora maggiore.
Mentre picchiavano continuavano a chiedermi se ero venuto a Genova per il vertice del G8.
All'inizio di questa specie di interrogatorio c'era a qualche metro di distanza una
persona vestita di bianco che sembrava divertirsi nel guardare la scena. Questa persona mi
è stata dopo presentata come un medico del carcere. La procedura è durata un'ora, alla
fine mi hanno portato in una cella singola per il resto della notte.
L'indomani sono stato trasferito in un'altra cella in cui erano cinque detenuti, arrestati
anche loro il giorno prima. Anche loro mi hanno descritto i pestaggi all'arrivo nel
carcere di Marassi. Uno mi ha raccontato di essere stato vittima di un tentativo di
sodomizzazione, o almeno della sua messa in scena.
Nei primi giorni nella cella comune hanno continuato a picchiarci sistematicamente. A
intervalli di tempo regolari entravano più secondini per colpirci e strillarci addosso
insulti. Dovevamo stare a lungo in piedi nella cella, oppure ci costringevano a stenderci
a terra. Una volta un secondino è entrato facendo il saluto fascista a braccio teso, e
pretendeva a forza di botte da un altro detenuto che lo imitasse ricambiando il saluto.
Dopo questi primi giorni la situazioni si è andata sdrammatizzando, sono subentrate le
angherie quotidiane. La maggior parte dei secondini continuava però a apostrofarci
strillando, e le barriere linguistiche erano uno strumento importante per queste angherie.
Anche nel carcere di Marassi ci è stato chiesto di firmare, talvolta sotto minaccia di
ritorsioni, formulari in italiano. Perfino durante la prima udienza di riesame della
carcerazione mancavano le condizioni per una comunicazione adeguata. L'interprete presente
pro forma disponeva di conoscenze linguistiche così scarse da farci temere travisamenti.
A questa udienza non mi è stato possibile farmi rappresentare da un avvocato di fiducia.
Per tutta la detenzione ci è stato vietato telefonare e ho potuto incontrare il mio
avvocato solo dopo una settimana e mezza.
C'e un altro aspetto che vorrei ricordare. Dopo circa due settimane eravamo nella cella in
dieci. Questo è stato possibile solo sistemando un letto supplementare: siccome alle
pareti non c'era più posto, il letto è stato messo nel centro della cella, che misurava
circa 25 metri quadri e dove eravamo rinchiusi per 23 ore al giorno. Ma per quanto fosse
dura questa situazione di sovraffollamento, era sempre meglio che essere esposti da soli
all'arbitrio dei secondini.
(Il Manifesto, 6 settembre 2001)
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