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         | Le testimonianze 
 di Francesco Paternò Parla
        un celerino. "Le violenze alla Bolzaneto sono
        cominciate venerdì, con i Gom. "Faccetta nera"? L'ho sentita"
 
 Celerino, in forza a uno dei reparti impiegati a Genova nei giorni del
        G8, ha prestato servizio anche alla caserma Bolzaneto. Una storia e una cultura molto di
        sinistra ("no, non mi sento in contraddizione, come poliziotto penso di dover
        difendere le istituzioni democratiche"), un passato di tifoso ultrà di una squadra
        di calcio di serie A. Ha accettato di parlare con il manifesto di quei tragici
        giorni. Ne conosciamo ovviamente nome e grado."Le violenze contro i manifestanti portati alla Bolzaneto - inizia il racconto - sono
        cominciate già il venerdì sera. A compierle, sono stati quelli della penitenziaria, i
        signori del Gom. Gente presa a calci con estrema violenza e in modo sempre più
        scientifico, fino al trasferimento all'interno dove nessuno di noi dei reparti mobili ha
        potuto vedere quel che succedeva. Anche se mi risulta che alcuni colleghi, finito il
        servizio, si siano uniti a loro nel picchiare. Per picchiare non intendo uno scappellotto,
        uno spintone, quello ci può stare. Poi c'è stato il pestaggio della domenica, frutto di
        un'operazione collettiva e fatto da personaggi esterni alla truppa dei reparti mobili. Chi
        canticchiava ai fermati Pinochet e cose razziste? Sicuramente personaggi esterni alla
        caserma, gente che conosce bene quel retroterra di destra estrema. Anche se 'Faccetta
        nera' nella suoneria di un telefonino l'avevo già sentita prima".
 Sotto accusa, dunque, torna a essere la figura del "personaggio esterno",
        riconducibile agli uomini della penitenziaria. Presenti a Genova in una settantina,
        provenienti da Roma. Perché loro? "Vengono utilizzati - risponde il nostro
        interlocutore - per operazioni delicate. I Gom sono addestrati all'applicazione di tutte
        quelle che sono le garanzie di sicurezza legate al trattamento di personaggi sottoposti a
        regime di carcere duro. Qui, credo, ci sia stato l'errore: è gente abituata a trattare
        mafiosi, e un mafioso picchiato non parla, a differenza di un manifestante politicizzato
        che sa di poter contare su referenti politici esterni. I Gom debbono gestire trattamenti
        di sicurezza particolari, badando anche a salvaguardare loro stessi. E possono passare da
        trattamenti duri ad altro, qualcuno può eccedere di questo regime anche se io ritengo si
        tratti esclusivamente di colpe personali. Non ci sono ordini scritti ed è impossibile
        rintracciare le responsabilità. Ma a questo punto è tutto un gioco di scaricabarile. A
        cominciare dal capo della polizia che è stato messo alle corde". Alla Bolzaneto sono
        dunque stati usati i Gom perché davano maggiori "garanzie", se così si può
        dire? "Lasciare dei fermati alla furia cieca di quattrocento persone di un reparto
        mobile impegnato in piazza ai limiti di una guerra civile è una responsabilità talmente
        grande, che avrebbe potuto portare anche a morti in caserma. Così i vertici devono aver
        pensato di affidare la gestione di questa cosa a chi ha le competenze. Per identificare,
        fermare, picchiare".
 Sabato notte, l'incursione dentro le scuole Diaz e Pertini. Perché? "Non so da chi
        è partito l'ordine. Di sicuro, lì non c'erano i reparti mobili, ma una settantina di
        agenti del 7 raggruppamento di Roma, l'élite, quelli del nucleo antisommossa. Io ho una
        personalissima opinione: questa operazione non sarebbe avvenuta con un governo di
        centrosinistra, perché non avrebbe mai promosso un'azione che poteva anche essere giusta
        ma con significati politici di una rappresaglia. In un'informativa ricevuta dai servizi
        segreti, c'era l'annotazione che dentro la Diaz erano nascosti 15 terroristi di livello
        internazionale. E invece è stata portata via dentro i sacchi a pelo gente
        sanguinante". E' stata rappresaglia anche domenica dentro la Bolzaneto, con i fermati
        picchiati e maltrattati per ore? "Chiamiamola così - continua il nostro
        interlocutore -certo c'è stata un'esacerbazione degli animi portata avanti due giorni, la
        violenza era nell'aria anche se il vertice era finito, c'erano ancora voci che si
        rincorrevano da una parta all'altra della città che trasformavano per esempio un
        carabiniere ferito a un occhio in un carabiniere morto".
 Questo è il dopo. E prima, come siete state preparati? "Ci hanno detto: per il G8,
        preparatevi alla guerra. In piazza, c'è chi aveva avuto la brillante idea di comunicare
        attraverso la posizione dei manganelli, i manifestanti hanno risposto provando ad
        accecarci con il sole riflesso negli specchietti per coprire, per esempio, un lancio di
        sassi. Prima che cominciasse il G8, la stragrande maggioranza dei poliziotti diceva che
        quando i manifestanti sarebbero arrivati, anzi, quando le zecche o i comunisti sarebbero
        arrivati, ci avrebbero massacrati. No, non lo si diceva per paura, ma per i numeri che
        sentivamo, centomila, duecentomila persone. Noi siamo consapevoli del nostro ruolo e della
        nostra preparazione, che ritengo adeguata anche se le dotazioni aggiuntive per Genova
        alcuni reparti non le hanno avute. Si tratta di protezioni rigide per il corpo, corpetti
        tipo quelli indossati dai giocatori di hochey su ghiaccio, solo i carabinieri le hanno
        avute tutti. Ci alleniamo ogni domenica allo stadio contro i tifosi violenti, sono tutte
        situazioni gestibili, mentre a Genova si è rasentato la guerra civile. Ma il clima
        generale non era 'li andiamo a massacrare', non c'era questa volontà. C'era la volontà
        di portare la pelle in salvo. Da molto tempo arrivavano informative dei servizi segreti
        che parlavano di possibili attentati nella città e di possibile uso da parte di alcuni
        centri sociali più estremi e di frange dell'anarchia nera di mezzi tipo acido muriatico o
        sangue infetto. Per persone che vanno dai 20 ai 30 anni, sapere di scendere in piazza in
        questo clima non per difendere il paese da chissà che ma per fare un lavoro che finisce
        giornalmente, un lavoro come un altro, è dura. Bisogna sapere che ci si arruola in
        polizia ancora soprattutto dal sud, perché bisogna fare i conti con una disoccupazione ai
        massimi livelli. Un celerino di base guadagna come un poliziotto, 1.864.000 lire al mese,
        poi ci sono competenze e indennità. In un mese di particolare lavoro si possono sfiorare
        i 3 milioni".
 Che tipo di cultura c'è dentro i vostri reparti? "La base ha una cultura di destra,
        una cultura militare. Alla Bolzaneto ci sono simpatizzanti di Forza Nuova, si vede in giro
        qualche svastica. Ma nella celere non si va per vocazione, è il settore operaio della
        polizia di stato. E' una scelta di prima destinazione, per chi esce dalle scuole e non ha
        calci per finire da qualche altra parte. Magari qualcuno chiede di andare in sedi
        particolari, lì c'è un reparto mobile e così ti ritrovi nella celere e sei stato pure
        accontentato. C'è cultura della violenza, a molti piace l'idea di picchiare. Il livello
        di cultura è medio basso anche tra gli ufficiali, tutti di destra. E si sentono discorsi
        che rasentano il limite dell'incostituzionalità, di sfiducia estrema nelle istituzioni
        democratiche. La violenza nasce da questo retroterra".
 
 (Il Manifesto, 1 agosto 2001)
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