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Il Roma Social Forum

pallanimred.gif (323 byte) Quel "social forum" trasmutato in "political"

di Stefano De Martis


La nascita del Roma Social Forum, avvenuta ieri pomeriggio, invece di rappresentare l'ideale prosecuzione dell'esperienza nata intorno al vertice di Genova, ne segna piuttosto il radicale ridimensionamento e, per certi versi, indica la definitiva chiusura di una fase. Le dissociazioni, le puntualizzazioni, i distinguo da parte delle più significative organizzazioni cattoliche impegnate sul fronte di una "globalizzazione solidale" rappresentano, infatti, un elemento decisivo rispetto alla credibilità - ma anche all'entità - dell'intero movimento.

A onor del vero, già prima del G8 genovese una larga rappresentanza di cattolici, a prescindere dall'adesione o meno al Genoa Social Forum, aveva tenuto a marcare la specificità della propria presenza, radunandosi nel capoluogo ligure con due settimane di anticipo e precisando senso e contenuti del proprio impegno. Ma poi è successo quel che è successo e quando la sera di quel drammatico 20 luglio, al termine di una giornata di violenza e di devastazione, quasi tutti i responsabili delle organizzazioni cattoliche hanno invitato i loro associati a disertare la manifestazione del sabato, si è messo in moto un meccanismo di riflessione che ha condotto negli ultimi giorni alla presa di distanza nei confronti del nascente Rsf.

In un primo momento, e non poteva essere che così, il fattore discriminante è apparso quello del rifiuto di ogni violenza, senza tentennamenti e contorsioni ideologiche. E questo dato resta valido, oggi come sempre, in tutta la sua irriducibile forza di discernimento. La non-violenza è una pregiudiziale non trattabile.

Ma, a partire da questo caposaldo, la riflessione è andata avanti, di pari passo con l'emergere del tentativo di strumentalizzare politicamente e a fini interni un movimento nato - così pareva - per sostenere la causa dei popoli più poveri della Terra. Un tentativo messo in atto sempre più apertamente da gruppi politici ben precisi, da Rifondazione comunista ai Comunisti italiani, ai Verdi.

Di fronte a questa deriva, la reazione di tanti leaders cattolici è stata netta. E si tratta di personalità che, pur senza voler distribuire etichette, certamente non possono essere sospettate di simpatie destrorse.

Bisogna però sgombrare il campo anche da un altro possibile equivoco, quello di una risposta legata esclusivamente a motivi confessionali e dottrinali. I valori in campo, non v'è dubbio, sono importanti e carichi di implicazioni etiche. Ma prima ancora qui sembra di cogliere uno scatto di orgoglio, un sussulto di autonomia della società civile che non accetta di essere ridotta a massa di manovra per operazioni di partito o di schieramento. Autonomia che in campo cattolico è stata coltivata e difesa più che in altri ambiti, ma che è un bene prezioso per tutti. Per questo sarebbe molto significativo se anche altre organizzazioni facessero sentire la loro voce, rispetto a un Forum che di "social" rischia ormai di avere ben poco.

Quale che sia la sorte di questa formula organizzativa, comunque, non subirà certo battute d'arresto l'impegno di tanti cattolici, organizzati e no, per una globalizzazione al servizio dei popoli. E' un impegno che viene da molto lontano, che ha radici profonde e che sa manifestarsi in mille forme e iniziative. Ma non verrà meno neanche lo sforzo di cercare su questi temi cruciali la collaborazione con ogni uomo di buona volontà. Nella convinzione, tuttavia, che diventa possibile far convergere forze e persone di matrice anche radicalmente diversa soltanto se obiettivi e metodi sono chiari e condivisi e se nessuna componente cerca di fagocitare le altre per egemonizzare il movimento secondo i propri fini.

(Avvenire, 6 settembre 2001)

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