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L'inchiesta della Procura di Genova

pallanimred.gif (323 byte) Bolzaneto, j'accuse dei pm. "Fu un luogo di tortura" Ipotizzato un concorso di reati, dall'abuso di autorità fino alle lesioni con sevizie e crudeltà

di Marco Preve

GENOVA - Nell'inchiesta giudiziaria sui fatti di Bolzaneto entra la parola tortura. Imputazione che non esiste nel nostro codice penale ma che, sostanzialmente, potrebbe essere contestata ai picchiatori della caserma attraverso un concorso di reati, dalle lesioni alla violenza privata aggravati dall' «aver adoperato sevizie o l'aver agito con crudeltà». Accuse cementate da un articolo del codice - citato in conferenza stampa dal procuratore capo Francesco Meloni - che è il 608, quello che punisce gli abusi dell'autorità nei confronti di persone arrestate o detenute. Davanti alle telecamere nessuno si sbilancia, ma quando le porte si chiudono i magistrati, non possono nascondersi che «anche se siamo all'inizio del lavoro, i racconti delle violenze, le testimonianze fotocopia di decine di persone che in ore e in giorni diversi sono transitate nel carcere del G8, fanno pensare a un metodo sistematico di torture, a vere e proprie violazioni dei diritti dell'uomo». Detenuti costretti a stare in piedi anche per 1516 ore, divieto di andare in bagno, manganellate sotto le piante dei piedi, teste sbattute contro i muri, calci, insulti, offese (l'avvocato Simonetta Crisci annuncia una denuncia anche per violazione della legge Mancino sul razzismo), filastrocche naziste cantate dai carcerieri o fatte cantare a suon di sberle ai detenuti, medici che a gente con la testa rotta dicevano «abile e arruolato». Le stesse storie su decine di verbali italiani, tedeschi, svizzeri, inglesi.
Non siamo stati noi, dissero a turno i poliziotti del Reparto Mobile e gli agenti della polizia penitenziaria presenti, in numero consistente, anche con le teste di cuoio del Gom. «Quando sono stato a Bolzaneto nella notte di sabato e ho visitato personalmente l'area detentiva, non ho visto nulla di irregolare» disse il ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, e tutto si svolse con assoluta normalità anche per i responsabili in loco della struttura, Alessandro Perugini funzionario Digos, Anna Poggi vicequestore aggregato, e pure per Alfonso Sabella, magistrato e alto dirigente del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che l'altro giorno in procura è stato sentito, e ha portato i primi registri con gli elenchi del personale impiegato nei vari turni.
Anche se i pm Monica Parentini, Patrizia Petruzziello, Enrico Zucca e Francesco Pinto ripetono fino alla noia che per ora stanno raccogliendo le testimonianze di chi è passato nella caserma di via Sardorella, si intuisce che dietro all'ennesimo scaricabarile tra le forze dell'ordine potrebbe esserci di nuovo la confusione, l'anarchia che ha generato anche il pasticcio del blitz alla Diaz. Perché è vero che a Bolzaneto c'era chi comandava, ma, sembra emergere dalle prime ricostruzioni, i regolamenti sarebbero stati riscritti. Ad esempio, le severe norme che regolano l'ingresso in una struttura carceraria anche per gli appartenenti alle forze dell'ordine, nei tre giorni di delirio del G8 vennero cancellati. Negli stanzoni dei reclusi entrava chiunque. Gli agenti della penitenziaria avrebbero aperto le porte anche a chi non era autorizzato. Bastava appartenere all'armata dei bravi ragazzi, essere «uno di noi», poi si poteva picchiare, insultare, oppure semplicemente (e tanti lo hanno fatto) guardare.
Nelle prime denunce presentate alla procura e dai tantissimi stralci degli interrogatori di convalida trasmessi dai gip ai piemme, la descrizione delle violenze e dei soprusi, si comincia sempre con le botte, si prosegue con forme di detenzione che sfiorano il sadismo, e si finisce con insulti e offese quasi sempre di natura politica (Che Guevara bastardo, inni a Pinochet, per i comunisti è finita, e via di seguito). A differenza di quanto accaduto alla Diaz, dove è difficilissimo riuscire a individuare i singoli agenti responsabili delle violenze, a Bolzaneto questo compito potrebbe risultare più semplice una volta ricostruito l'organigramma e gli orari del personale indicato nei registri dei turni. E per riuscire a definire anche le responsabilità dei vari corpi il pool di pm ha fatto acquisire tutte le divise indossate nei giorni del summit dai poliziotti, dagli agenti penitenziari e anche dai carabinieri che, in numero ridotto, erano presenti anche loro. Inoltre, il video che un consulente ha filmato l'altro ieri nel corso del sopralluogo dei magistrati con tre dei ragazzi che hanno presentato denuncia, servirà durante gli interrogatori per far indicare ai testimoni i luoghi delle violenze. Una scelta decisa per evitare a tanti un traumatico ritorno nella prigione della paura.

(la Repubblica, 5 agosto 2001)

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