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Carlo Giuliani
Diecimila in piazza per Giuliani
A Genova black bloc isolati, i pacifisti
"invadono" i luoghi del G8 |
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di Alberto Puppo |
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GENOVA Sfila lento, tranquillo, quasi sommesso, il lungo corteo che
ricorda Carlo Giuliani. Sfila in via XX settembre, dove a luglio trionfavano grate e
battaglioni a cavallo, si ferma davanti a Palazzo Ducale, il palazzo degli Otto Grandi.
Sono in diecimila, senza sigle, qualche bandiera rossa, un grande striscione firmato
"Gli amici": «Credete di averlo ammazzato, ma Carletto vive attraverso noi». E
mille volantini con il volto da bambino di Carlo Giuliani: «Ho 23 anni, sei mesi fa lo
stato mi ha ucciso». Sei mesi esatti, in quella piazza Alimonda trasformata da allora in
un sacrario e da cui parte, intorno alle 16, la manifestazione. I leader del movimento ci
sono tutti: Vittorio Agnoletto, Luca Casarini, Piero Bernocchi, Francesco Caruso, con
Fausto Bertinotti. Nessuno però si impossessa delle prime file. I vecchi amici di Carlo
lo hanno chiesto espressamente: niente cappelli, niente protagonismi.
La parola d'ordine è semplice, quasi ingenua: accompagnare Carlo da quello spiazzo
d'asfalto in cui ha trovato la morte al palazzo dei potenti, dove avrebbe voluto arrivare.
Senza alcuna tentazione di riaprire lo scontro.
Ma dopo il G8 Genova ha ancora paura. E quando, nella notte, decine di cassonetti
dell'immondizia vengono rimossi dalla zona della Foce, teatro degli incidenti più
violenti, più di un brivido percorre la gente. Anche perché, un paio di giorni prima,
aveva pensato il nuovo questore, Oscar Fioriolli, a lanciare l'allarme: nessun problema
per il corteo autorizzato, ma attenzione alle infiltrazioni di gruppi estremisti. E gli
stessi organizzatori avevano deciso di dotarsi di un robusto servizio d'ordine. Alla fine
l'unico momento di tensione rimarrà la divagazione a margine del percorso da parte di un
gruppo di giovani di un centro sociale genovese, conclusa grazie alla mediazione di
Giuliani Giuliani. «Quando c'è la volontà di tutti di comportarsi correttamente, le
manifestazioni si svolgono pacificamente» commenterà il questore.
Il grosso scorrerà via, sotto gli occhi di pochi poliziotti e di ancor meno carabinieri,
sempre in posizione defilata, tra le vetrine del centro illuminate come in un qualsiasi
giorno di shopping e neppure sfiorate dai manifestanti. Ignorate, come quelle dei due Mc
Donald's che neppure interrompono il lavoro. Non è giorno di slogan, i gruppi sembrano
volutamente dissolversi nel magma silenzioso. L'unico grido, ripetuto, rimane quell'
«assassini» che accompagna ogni incrocio con una divisa.
Il servizio d'ordine vigila, ma si limita a un paio di cordoni, con buffetti affettuosi a
chi si avvicina troppo alle forze dell'ordine. Il resto è poco più un brusio, che lascia
spazio alle canzoni di Fabrizio De Andrè, alla banda che intona l'Internazionale, ai
pugni alzati che accompagnano "Bella Ciao".
Basta meno di un'ora, pur al rallentatore, per percorrere l'unico grande rettilineo in cui
procede il corteo. In piazza De Ferrari si attende in silenzio che scocchino le 17 e 27.
E' l'ora esatta in cui è partito il colpo di pistola che ha ucciso Carlo.
Poi un interminabile applauso, quasi ritmato. La vicina Piazza Matteotti, proprio davanti
all'ingresso principale di palazzo Ducale, preferita per motivi di sicurezza, non basta
per ospitare tutti. Aprono i compagni di strada di Carlo, con le loro poesie, poi sale sul
palco un ex professore di Carlo Giuliani, fino a Andrea Ranieri, sindacalista e due
sacerdoti, don Piero Tubino, storica anima della Caritas genovese e don Andrea Gallo.
Amici, solo loro: anche stavolta per i leader non c'è posto. E poi i genitori. Prima il
padre, che chiede un minuto di raccoglimento perché a riempire la piazza sia solo «Il
rumore assordante del nostro silenzio», poi la madre, Heidi, che, con un sorriso, si
rallegra per avere visto in corteo anche i volti di chi, a luglio, per le strade non
c'era. «La prossima volta dovremo essere ancora un po' di più. Le persone oneste e
democratiche sono sempre ben accette». Tocca alla musica. La prossima volta è già
fissata: tra sei mesi, ancora qui. |
(la Repubblica, 22 gennaio 2002)
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