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Carlo Giuliani
"Addio Carletto. Volevi un mondo
migliore"
di Renato Rizzo
Il dolore ha braccia tatuate, orecchie e labbra bucate dal piercing, capelli a
treccioline rasta: si muove a scatti nervosi in questo cimitero dove lunico incenso
è il fumo delle sigarette passate di mano in mano, lunica preghiera un cenno della
mano o un pugno levato al cielo, lunico addio una bottiglia di birra posta sul
feretro alla quale, come in un laico rito da strada, tutti strappano un sorso che li fa
sentire ancora vicini al loro amico chiuso nella cassa chiara. Lacrime, sì, tante.
E abbracci che partono spontanei quando le parole accendono un ricordo o la pressione
si fa troppo alta per star chiusa in questi toraci magri. Carlo Giuliani è stato sepolto
ieri. Ad accompagnarlo, con la sua famiglia, il popolo degli sperduti a cui non interessa
ritrovare la rotta, i giovani dei centri sociali e quelli della sinistra genovese. Vicini
sì, mescolati mai. Perché chi ama la strada è gente inquieta che non sopporta né
bandiere né collari. Sotto un sole quasi sfacciato per un funerale, disperazione che
diventa rabbia che diventa disperazione.
La bara di Carlo Giuliani arriva alle 10 nel piazzale davanti al cimitero di Staglieno:
a coprirla una bandiera della Roma, di cui il giovane era tifoso, e un drappo screziato
dai colori sbiaditi e con una scritta eloquente: «Disagio». Ci sono oltre mille persone
ad attenderla: nessuno striscione, nessun cartello per una cerimonia che i genitori
dellucciso hanno preteso privata. Tra la folla, il vicesindaco Montaldo, il
portavoce del Gsf, Agnoletto, don Gallo della comunità di San Benedetto, i vertici della
Cgil genovese, sindacato di cui il padre di Carlo è stato dirigente. Sul palco
improvvisato davanti al camposanto monumentale si alternano tre degli amici «di piazza
delle Erbe».
Ricordano il «tormento e la vitalità» dun ragazzo che «ha percorso vie
diverse per soddisfare le sue esigenze di giustizia». Parlano del suo impegno come
obiettore di coscienza ad Amnesty International, della sua «generosità». Voci pacate
che, comè ovvio in certi momenti, scavano alla ricerca delle virtù e dimenticano i
passi difficili e le debolezze. Fanno nascere singhiozzi, voglia di stringersi. Si
avvicina al microfono il padre del giovane morto. Con voce ferma dice il suo «grazie» a
suo figlio: «Ha avuto una vita breve, questo ragazzo piccolo eppure così grande, ma mi
ha dato tante cose: mi ha insegnato, ad esempio, a non giudicare un giovane per i
pantaloni bucati, per il piercing o le treccine.
Ho commesso errori anchio, mi sono fatto prendere da giudizi frettolosi. Ora so
che dietro queste magliette sdrucite ci sono cuori pieni e testa che pensano. E cè
uninsaziabile sete di giustizia» Lacrime e sudore sulle facce attonite del popolo
della strada: «Questi giovani - insiste Giuliani - vogliono un mondo migliore, magari
solo meno schifoso, ma lo pretendono domattina. Noi vecchi diciamo che ci vuole pazienza.
Ma non si può aspettare 100 anni: bisogna accorciare i tempi. Dobbiamo intraprendere
insieme un cammino di giustizia». E davvero arrivata lora delladdio.
Ecco le note duna chitarra, la voce strinata dalla commozione di Pier Ugo,
musicista dei carrugi: canta il suo De Profundis laico, una canzone che sintitola
«Il viaggiatore». La bara scivola nellombra dellandrone, inseguita dalle sue
strofe: «Sono stato reietto, bandito, cane randagio, ma non traditore». Fuori, nel sole,
una «tuta bianca» di Padova cerca di far virare in politica la cerimonia: «Non ci sono
né carabinieri né poliziotti in questo cimitero: solo Carlo». Lo zittiscono a raffiche
di «basta» e di fischi. Il senso di questa mattinata è un altro: intimo, fatto dei
gesti e dei simboli che innervano il linguaggio dei viandanti di città: un ragazzo si
stacca dal gruppo e posa sulla bara una sigaretta spezzata, un altro lascia un involucro
con due pastiglie.
E una processione. Una giovane dai capelli corvini «regala» allucciso una
farfalla che non volerà mai: è di carta colorata. Unaltra «offre» il suo
fermacapelli, un silenzioso barbuto si priva dellapribottiglie, un altro ancora
straccia la carta didentità e ne ordina i pezzetti sulla bandiera giallorossa. E ci
sono lecca-lecca, messaggi, sassolini. Giuliano Giuliani si avvicina: «Calma ragazzi,
siamo in un cimitero. Tornate alle vostre case». Non lascoltano: eccoli nella
cappella mortuaria. Sulla bara di Carlo si piange e si fanno tristi brindisi con birra.
«Vado a bere un sorso là dentro» annuncia un ragazzo con lo stesso tono di chi
avvertirebbe: entro per dire un requiem aeternam.
(la Stampa, 26 luglio 2001)
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