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la Resistenza romana
"Sulla Resistenza romana e
sulle vicende di via Rasella si sono dette troppe sciocchezze. Anche a sinistra"
di Rosario Bentivegna
Un "revisionismo" mistificatore e falso ha colpito
soprattutto la Resistenza romana e la sua guerra di liberazione, e in particolare uno dei
suoi episodi più drammatici, la strage delle Fosse Ardeatine, che i nazisti perpetrarono
nella massima segretezza e con la massima fretta per paura delle reazioni preventive della
cittadinanza, dei parenti dei prigionieri in mano nazista e della Resistenza . Qui la
fantasia dei falsari e dei mistificatori ha raggiunto cime eccelse, e ne abbiamo colto
significative manifestazioni perfino su "LUnità" di Furio
Colombo, dove il 24 marzo scorso, in memoria di quella strage, si riproponeva una tesi
cara a tutti gli attendisti, e cioè che lattacco partigiano di via Rasella, in cui
fu annientata la 11° compagnia del terzo battaglione dellSS Polizei Regiment
Bozen "fu un atto di guerra, dettato da emotività più che da un
preciso ragionamento, discutibile sul piano dellopportunità e sbagliato se messo in
relazione con le finalità che si volevano raggiungere" (a parte lo spazio dato
nei mesi precedenti ad alcuni scritti del Vivarelli ove si ricordavano le benemerenze
patriottiche della X Mas e del suo eroico comandante, il principe golpista Valerio
Borghese, o le amene considerazioni sullo stato di "città aperta" di Roma, con
un titolo, il 15 agosto 2001, addirittura esilarante)
La nostra gente, pur affamata e terrorizzata, e ben sapendo di correre
rischi mortali, ci aiutava, checché ne dicano il De Felice, o il Montanelli, o il Lepre,
ecc. ecc., che sopravvennero dopo i primi exploit dei giornalisti repubblichini
Spampanato e Guglielmotti, o dello "storico" Giorgio Pisanò, cantore
dellepopea repubblichina, o, nel 1948, in piena "guerra fredda", dei
Comitati Civici dellAzione Cattolica di Pacelli e di Gedda.
Quella nostra gente ci nascondeva, ci sfamava quando poteva e ci curava
se ammalati o feriti, rifiutava di denunciarci, così come del resto aiutava e non
denunciava i giovani renitenti di leva, gli uomini che si sottraevano al lavoro forzato
imposto dai nazisti, i soldati e gli ufficiali sbandati, gli ebrei, i carabinieri, i
prigionieri alleati evasi, i ricercati politici antifascisti e i politici fascisti che non
avevano aderito al P.F.R. (bisogna pur ricordarlo: dei quadri del fascismo, solo il 10% di
quelli periferici e il 15% di quelli nazionali aderirono al governo collaborazionista
della Repubblica Sociale; degli oltre quattro milioni di italiani iscritti al P.N.F.,
costretti ad avere quella "tessera del pane", solo 200.000 - il 5% - si
iscrissero al P.F.R.).
I romani e la rete di solidarietà
I romani poi, dietro il loro menefreghismo ironico e apparentemente
opportunista, seppero costruire spontaneamente una rete straordinaria di solidarietà
attiva nei confronti delle centinaia di migliaia di ricercati e perseguitati che
affollavano la loro città. Essi, pur temendo per la loro vita e imprecando a parole
contro chi poteva turbare la loro sacrosanta voglia di quiete, non esitarono a schierarsi
nei fatti dalla parte della libertà e contro la crudele presenza dei tedeschi e dei
fascisti, isolati e "schizzati".
Da questa Resistenza, fatta di fame e di sofferenze, ha preso le mosse
la Guerra di liberazione nazionale, che è iniziata proprio a Roma, subito dopo l'8
settembre, oltre che con una intensa attività diplomatica, politica, di agitazione, di
"intelligence", anche con iniziative militari che hanno fatto della nostra
città la capitale dellEuropa occupata che ha dato più filo da torcere agli
eserciti tedeschi (Dollman), che ha fatto dire a Kappler che dei romani non ci si poteva
fidare, che ha fatto raccontare a Mhulhausen la paura che lo stesso Kappler aveva dei
partigiani e della gente di Roma.
Dice Renzo De Felice: ("Il Rosso e il Nero", pag. 60):
"Roma fu la città col maggior numero di renitenti: un po per la sua
configurazione sociologica, un po perché era stata lunica città in cui si
era tentata la resistenza armata contro i tedeschi dopo larmistizio, un po per
la presenza del Vaticano e del gran numero di luoghi ed edifici dove i renitenti potevano
nascondersi. Al primo posto ci fù la "difesa di se stessi", sia da parte di chi
rispose al bando, sia per chi riuscì a nascondersi, come per chi fu costretto a salire in
montagna. Molti di questi divennero valorosi partigiani. Per molti altri pesò sempre il
vizio di origine di una scelta opportunistica", che, aggiungo, ha aperto lo
spazio a tutte le fantasie e le menzogne della vulgata antipartigiana.
In quei terribili nove mesi Roma - anche per ragioni geografiche
(eravamo a poche diecine di chilometri dal fronte) - è stata all'avanguardia (politica e
militare) di tutte le città italiane occupate: la sua gente, i partigiani che da essa
provenivano, hanno reso impossibile il disegno strategico del nemico, che voleva fare di
Roma, dei suoi nodi stradali e ferroviari, dei suoi servizi, un comodo transito e un
rifugio per i mezzi e le truppe da e per il fronte di Cassino e di Anzio, una tranquilla
base per i suoi alti comandi, il luogo dove permettere un piacevole ristoro ai suoi
soldati impegnati sul fronte.
I romani, con i loro figli partigiani che colpivano e sabotavano il
nemico ogni giorno e ogni notte in città, nelle campagne intorno Roma e nel Lazio, con la
loro capacità di aiutarli, nasconderli, proteggerli, fecero di Roma "una città
esplosiva", come dovette ammettere Kappler, il boia delle Ardeatine, nel processo che
subì alla fine della guerra.
Questa era la strategia della Resistenza romana, che perfino il
collaboratore de LUnità mostra di non aver compreso.
Il Maresciallo Clark, comandante della V Armata americana, ebbe
a dire personalmente a Boldrini che soltanto quando le truppe anglo-americane entrarono in
Roma i Comandi Alleati capirono senza più alcun dubbio che lItalia era con loro.
Il costo della lotta partigiana
Abbiamo pagato cara questa nostra Resistenza: 650 Caduti, tra il il 9 e
il 10 settembee 1943, nella battaglia per Roma. Di essi 400 erano ufficiali o soldati, e
dei civili ben 17 furono le donne.
Oltre 50 furono i bombardamenti Alleati, dovuti alla presenza in città
di comandi, mezzi e truppe tedesche (altro che "città aperta"!); fame e
miseria; deportazioni; rastrellamenti in tutti i quartieri, centrali e periferici; il
coprifuoco alle 4 del pomeriggio; unica città in Italia, fu proibito a Roma l'uso delle
biciclette (altri mezzi, oltre quelli pubblici, non erano consentiti ai civili); feroci
esecuzioni e rappresaglie, le Ardeatine, Bravetta, La Storta, il Ghetto, il Quadraro, le
razzie, gli arresti, le torture (via Tasso, Palazzo Braschi, la pensione Oltremare, la
pensione Jaccarino, Regina Coeli, ecc.: operavano in Roma ben 18 "polizie",
tedesche e italiane, pubbliche e "private"!), gli assassinii compiuti a freddo
nel centro della città e nelle borgate.(10 fucilati a Pietralata, 6 renitenti fucilati a
Ladispoli, 10 donne fucilate a Portuense, dieci donne fucilate a Tiburtino 3°, circa 80
fucilati a Bravetta, 14 fucilati alla Storta.....più la strage del Quadraro: su 700
cittadini deportati ne sono tornati solo 300!... più la strage degli ebrei , circa
duemilacinquecento deportati, ne sono tornati circa 120....
I partigiani romani uccisi in combattimento, morti sotto la tortura o
fucilati, nei nove mesi che vanno dal 9 settembre 1943 al 5 giugno del 1944 sono 1.735,
oltre ad alcune migliaia di cittadini romani, ebrei e non, deportati nei campi di
sterminio in Germania e che non sono tornati; ma in questi stessi nove mesi in Roma furono
condotte azioni militari e di sabotaggio che in numero e in qualità non hanno pari, nei
limiti di quel periodo, in nessunaltra città d'Italia.
Fu così che il nemico pagò cara la sua permanenza in città, e si
vendicò manifestando la sua brutale ferocia.
Ma quando gli eserciti alleati incalzarono, i tedeschi e i fascisti
abbandonarono Roma precipitosamente, contro gli ordini di Hittler e Mussolini, che
volevano impegnare battaglia in città casa per casa e deportare tutti gli uomini validi
per il lavoro coatto, secondo i piani già approntati dal generale delle SS Wolff.
Roma era una "città esplosiva", e la non lontana esperienza
di Napoli convinse anche i più feroci tra i nostri nemici a non correre rischi già
sperimentati.
La Resistenza romana ebbe caratteristiche di spontaneità e di
diffusione capillare che è difficile trovare altrove. Sono diecine le formazioni
impegnate, grandi come come quelle dei partiti del CLN, in particolare i tre partiti di
sinistra, PCI, PdA e PSIUP, come Bandiera Rossa, o i Cattolici Comunisti, o come il
Centro Militare Clandestino dei "badogliani", ma anche piccole o piccolissime,
che, per non aver potuto o voluto trovare il collegamento con i partiti del CLN, operavano
autonomamente contro i tedeschi e i collaborazionisti fascisti.
Sono noti episodi di iniziative solidaristiche, ma anche di sabotaggio
e di guerriglia, condotti addirittura da famiglie o da singoli, fino allultimo
giorno delloccupazione tedesca.
Tutto ciò, e per molte ragioni, che ha esaminato di recente anche Alessandro
Portelli nel suo splendido libro "LOrdine è stato eseguito"
ed. Donzelli, che ha ottenuto nel 1999, con il Premio Viareggio per la saggistica il più
ambito riconoscimento letterario italiano, si è attenuato nella memoria storica della
città perché ha prevalso la disinformazione attraverso luso ripetuto di falsi e
mistificazioni, malgrado le smentite documentate e luniformità delle delibere di
tutti i livelli della magistratura, fino alle Cassazioni civili, penali e militari.
Guerra di liberazione nazionale
La nostra è stata una "guerra di liberazione nazionale", la
guerra di tutti gli italiani per la libertà e per la democrazia: furono i
collaborazionisti dell'invasore che cercarono di trasformarla in guerra civile, ma ci
riuscirono solo in parte perché la grande maggioranza degli italiani li respinse insieme
ai loro protettori e padroni nazisti.
Del resto anche i dirigenti politici e militari di Salò, ma anche i
tedeschi, sapevano molto bene come stavano le cose, altrimenti le feroci rappresaglie
messe in atto nelle città, e quelle ancor più feroci e indiscriminate compiute sui monti
e nelle campagne non avrebbero avuto motivo contro una popolazione schierata in qualche
consistente misura dalla loro parte.
Due canzoni, una delle brigate nere e una delle brigate partigiane,
ricordano in modo emblematico il clima in cui vivevamo: "Le donne non ci vogliono
più bene / perché portiamo la camicia nera" cantavano i fascisti; e dall'altra
parte: "Ogni contrada è patria di un ribelle / ogni donna a lui dona un sospiro"
cantavano i partigiani.
Basti ricordare, per chi c'era, l'atmosfera di cupo infinito silenzio
della nostra città, delle nostre contrade, deserte nei mesi dell'occupazione, e
l'esplosione improvvisa di gioia, affollata, urlata, felice, che accolse le forze militari
anglo-americane.
Eppure è sempre più frequente che la nostra guerra di liberazione
venga ricordata come guerra civile. Fa parte di una delle brecce che il revanscismo
fascista è riuscito ad aprire nella memoria corrente.
(da "la RINASCITA della sinistra", 18 ottobre 2002, pagg
28-29) |