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La Resistenza in Europa

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La Resistenza in Albania

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pallanimred.gif (323 byte) L'occupazione italiana (1939)

Il ministro degli esteri Italiano Galeazzo Ciano visitò l’Albania per due volte consecutive, negli anni 1937 e 1939. Tali visite erano di carattere amichevole. La seconda volta fu invitato al matrimonio del re d’Albania Zogu e si rese conto grazie a questa ulteriore permanenza in Albania, cosi vicina all’Italia e al tempo stesso cosi ricca,  che molti luoghi, dopo essere stati bonificati, avrebbero potuto garantire lavoro a molte famiglie Italiane   e che la popolazione del Paese poteva essere aumentata di ben tre volte rispetto a quel periodo. Prese allora la decisione, facendosi consigliere del Duce, di invadere questa terra e di annetterla all’Italia. Non doveva però sembrare un’occupazione, ma un’unione e, per poterlo fare, era necessario innanzi tutto rendere più debole l’esercito albanese, aumentare il numero di ufficiali Italiani e   realizzare centri di carattere economico-politico  gestiti da italiani. Il capo del governo Italiano, Benito Mussolini, l’8 gennaio del 1939 firmò il piano di Ciano di invasione e centomila uomini furono trasportati nel Italia meridionale pronte allo sbarco. Il 25 Marzo 1939 fu presentato al re d’Albania una proposta di annessione all’Italia, alla quale il re Zogu non diede alcuna risposta. Il due di Aprile dello stesso anno la proposta fu presentata di nuovo, ma questa volta sotto forma di ultimatum al quale dare risposta entro il giorno sei dello stesso mese. Il 5 Aprile il governo Albanese rese nota la sua opposizione  e lo stesso fece il parlamento il giorno seguente.Vi furono molte dimostrazioni in quasi tutte le città con le quali il popolo chiedeva di essere armato per combattere il nemico che stava invadendo l’Albania.

Il primo attacco delle forze italiane avvenne via mare; esse cercarono di occupare per prime le città portuali: Durazzo, Valona e Saranda. L’avvicinamento delle navi militari ai porti albanesi avvenne intorno alle ore 04 del giorno 7 Aprile 1939. La colonna che sbarcò nella città di Valona aveva come compito quello di occupare, oltre alla città, anche i luoghi e le altre città vicine. La colonna era formata da un reggimento di bersaglieri composto di due battaglioni, un gruppo di milizia fascista, più mezzi pesanti e leggeri.  L’attacco degli italiani fu rapido e  in poco tempo occuparono tutto il paese. Le perdite sono ridotte (12 morti) e dovute più al confuso coordinamento dei reparti che alla reazione locale. All’opinione pubblica italiana viene presentata l’immagine di un’Albania dalle gradi risorse, affascinante come un bazar, ma al tempo stesso arretrata e selvaggia, bisognosa di un fratello maggiore che l’aiuti a modernizzarsi. Il 9 Aprile 1939 gli Italiani crearono il Comitato di amministrazione provvisoria  e due giorni dopo nominarono un’Assemblea Costituente, che già il 12 aprile votò l’unione dell’Albania all’Italia e nominò un governo albanese e decise di donare al re d’Italia, Vittorio Emanuele III, la corona di “Re d’Albania”.

Nel paese si stabilirono circa centomila soldati Italiani. Il 2 Giugno fu creato il partito fascista albanese, le cui scelte dipendevano direttamente dagli ordini impartiti dallo stesso Mussolini. Il giorno seguente fu promulgato un decreto secondo il quale tutti i dipendenti pubblici dovevano fare atto di fedeltà di al re d’Italia e ai suoi discendenti, pena la sospensione dal lavoro. Durante il periodo della stabilizzazione del regime fascista, nel paese vi furono molte rivolte e scioperi degli operai che lavoravano nelle aziende italiane sorte in Albania. Gli operai richiedevano migliori salari, rivendicavano migliori condizioni di lavoro e una riduzione delle tasse. In seguito, oltre ai soldati già arrivati nel Paese, furono portati molti altri  operai di varie specializzazioni, i quali avevano un trattamento di favore  da parte delle autorità italiane, rispetto agli operai di nazionalità albanese. Soltanto nel periodo che va dal luglio del 1939 ai primi mesi del 1940 arrivarono dall’Italia in Albania circa 50 o 60 mila uomini. Nella città di Valona oltre alle società che già vi si trovavano prima dell’invasione vi si crearono molte altre società, il cui scopo era di costruire aeroporti e porti, caserme e armerie. L’occupazione italiana dell’Albania dura oltre quattro anni, fino al settembre 1943. Il fascismo, quali che siano i suoi piani sul paese invaso, non ha che il tempo di abbozzarli. Le vicende della guerra, il conflitto italo-greco, poi la resistenza armata albanese, annullano ogni progetto di Roma sull’Albania. I propositi dell’inizio sono baldanzosi: fusione dell’economia albanese con quella "metropolitana"; italianizzazione del popolo albanese; fascistizzazione della società schipetara. Benché sino al 1941 gli albanesi accettino passivamente l’iniziativa italiana, questa ha scarsi esiti.

La mancata opposizione albanese nella prima fase dell’occupazione italiana si può spiegare con la sproporzione delle forze in campo. E’ difficile ad un albanese immaginare di opporsi alla potenza italiana, finché l’Asse sembra avere nella guerra mondiale una schiacciante superiorità. Inoltre l’economia albanese, nel primo anno dopo l’occupazione, risente positivamente dell’afflusso improvviso di moneta e aziende italiane. Dispiace la perdita dell’indipendenza, ma non c’è forte opposizione all’Italia. La creazione della Grande Albania, o Albania etnica, piace ovviamente agli albanesi che manterranno, soprattutto in Kosovo e in Macedonia occidentale, duratura gratitudine agli italiani per averli messi in grado di prevalere sugli slavi, loro storici antagonisti. Nel 1941 gli italiani assisteranno passivamente alla pulizia etnica condotta dagli albanesi contro serbi e montenegrini in Kosovo, in restituzione di analoghi trattamenti subìti in precedenza, secondo le peggiori tradizioni balcaniche.

 

pallanimred.gif (323 byte) Nascita della Resistenza albanese (1941)

L’atteggiamento albanese cambia con i primi rovesci italiani nella campagna contro la Grecia e poi con l’attacco tedesco all’Urss, che dà impulso all’azione dei comunisti. Gli italiani non sono riusciti a migliorare la situazione economica del paese. La ricchezza è aumentata ma concentrandosi in poche mani. Il numero dei dipendenti statali albanesi viene triplicato (da 6.000 a 18.000), così come in Italia il fascismo aveva fatto per aumentare consenso e stabilità sociale, ma la miseria popolare cresce. Il governo italiano privilegia tra gli albanesi i notabili feudali di sempre, i bey e i bajraktar.

Nel '41, dopo l'invasione nazista dell'URSS, si uniscono tra loro alcuni piccoli gruppi armati di orientamento comunista, Enver Hoxha ne assume la leadership immediatamente. In questo contesto l'8 novembre del 1941 nasce il Partito Laburista Albanese, strettamente collegato al partito comunista jugoslavo: gli jugoslavi avevano bisogno di una resistenza antifascista in Kosovo che non nascesse da gruppi partigiani Serbi (ben conoscendo l’avversione degli albanesi della regione nei confronti del dominio serbo), gli uomini di Tito erano consapevoli che una lotta di liberazione non sarebbe stata popolare se non nella prospettiva della conservazione dell'unità della "grande Albania". Nel programma del partito fu affermato che esso si sarebbe impegnato per l’unione di tutti gli albanesi, senza distinzione di religione, di etnie e di idee, che avrebbe organizzato la rivolta armata contro l’invasore fascista e che avrebbe instaurato un governo democratico popolare. Il partito comunista si avvalse dei legami con dei noti nazionalisti per presentare il suo programma e per renderlo accetto a tutto il popolo. Organizzò, inoltre,   gruppi di combattimento che svolgevano azioni militari contro l’occupante.

 

pallanimred.gif (323 byte) La Conferenza di Peza e il Fronte Nazionale di Liberazione (1942)

I successi raggiunti nella guerra comune del popolo albanese contro il fascismo resero possibile la conferenza di Peza il 16 settembre 1942. Ad essa parteciparono rappresentanti delle diverse correnti politiche del paese, ma prevalse il partito comunista guidato da Enver Hoxha. L’organizzazione del popolo prese il nome di Fronte Nazionale di liberazione. Questo fronte sarebbe divenuto un’organizzazione pluralista e organi di esso, per la mobilitazione del popolo in armi, sarebbero stati i consigli nazionali locali di liberazione. Questi consigli furono accettati da tutti i partecipanti, ma essi non dovevano essere dominati da un'unica forza politica. Le discussioni che furono fatte, durante la conferenza, per la denominazione dei gruppi partigiani e per l’apposizione della stella rossa sul cappello portarono allo scontro di alcuni nazionalisti con il partito comunista. La conferenza scelse l’organo dirigente del fronte, il consiglio comune nazionale, composto da alcuni membri scelti dal PKSH. Le decisioni della prima conferenza furono ben accolte dal popolo e seguirono alcune azioni militari, come quella nella città di Scrapar, che portò alla liberazione di questo paese. Il 17 Settembre del 1942 nella città di Tirana fu organizzata una protesta da parte delle donne.

 

 

pallanimred.gif (323 byte) Le divisioni tra partigiani nazionalisti e comunisti

 

I nazionalisti che accettarono le condizioni della conferenza di Peze parteciparono attivamente nei combattimenti contro gli invasori. Nonostante ciò, alcuni di loro vedevano che il PKSH tendeva a prendere la guida di tutte le operazioni del fronte, dei consigli e dei gruppi combattenti,  escludendo gli altri gruppi politici. A questo punto, alcuni nazionalisti, non riconoscendo il Fronte nazionale di liberazione (Fronti nacionalclirimtar), iniziarono ad organizzarsi in maniera autonoma, come un’scelta per unire tutti i ceti sociali, che non credevano nella soluzione comunista e nel novembre 1942 crearono un altro Fronte nazionale (Balli kombetar), con a capo Mithat Frasheri. Questo fronte, nel suo programma, prevedeva una lotta per i diritti del popolo albanese, per un’Albania libera, democratica con fondamenti sociali moderni, per una società dove regnasse libertà di parola e di pensiero e la guerra contro gli invasori. Questo programma fu apprezzato da gran parte della popolazione. Furono così organizzati nuovi gruppi di combattimento a Valona, a Skrapar, a Kolonje e altrove. Si crearono altrettanti consigli di questo nuovo fronte che, comunque, erano disponibili a collaborare con le altre forze antifasciste, e  a creare, quindi, un organismo comune per la direzione della guerra. Questi consigli  svolsero spesso delle riunioni con la presenza di delegati del partito comunista.

La questione che separava queste forze politiche era la posizione nei confronti delle etnie albanesi fuori dai confini dello stato (Kosovo, Macedonia e Grecia), questione che i comunisti volevano rinviare a dopo la guerra. Una parte della direzione del fronte nazionale non voleva combattere subito contro gli italiani, l’altra parte invece era pronta a combatterli e alcuni gruppi svolsero azioni armate. Attraverso contatti con il partito comunista si arrivò, nel 1943 ad un compromesso per la formazione di commissioni  per coordinare la lotta armata. Nel dicembre del 1942, valutando la lotta di liberazione del popolo albanese,  la Gran Bretagna, gli Usa e la Russia riconobbero ufficialmente la Resistenza albanese. Questo rinforzò la fiducia del popolo nella vittoria contro il fascismo. Nonostante ciò in quella dichiarazione rimase imprecisata la questione dell’integrità   del territorio albanese.

 

 

pallanimred.gif (323 byte) La reazione delle forze di occupazione italiana

 

Le forze d’occupazione italiane non stettero a guardare. Nel dicembre del 1942 appiccarono il fuoco a centinaia di case ed effettuarono massacri contro la popolazione del luogo, fecero altre operazioni di repressione. Il 30 dicembre il comando fascista mandò in Mesapik più di due reggimenti militari. Aspri combattimenti si svolsero nella cittadina di Gjorm il primo gennaio del 1943, ai quali presero parte molti partigiani (comunisti) e ballisti (nazionalisti). I reparti italiani furono sconfitti e fu ucciso il comandante dell'operazione, Clementis. Per rappresaglia i fascisti   uccisero poi il prefetto della città di Valona. Il 16 gennaio 1943 i partigiani della città di Korca attaccarono i fascisti a Voskopoja. Altri combattimenti vi furono in altre parti dell'Albania nei quali persero la vita molti militari Italiani, ma vi furono gravi perdite anche nei reggimenti partigiani Albanesi. Ci furono molti combattimenti nella città di Valona, Selenice, Mallakaster, in Domje e altri luoghi. Un importante e al tempo stesso molto duro combattimento vi fu   a Tepelene, (la città dove lord Byron era stato ospite di Alì Pascià, nei primi anni del 1800): anche qui persero la vita molti militari del reggimento fascista dislocato a Valona. Il 4 luglio del 1943 il comitato del consiglio di liberazione nazionale si posizionò nella città di Elbasan e formò qui l'organo ufficiale dell’UNCSH (esercito nazionale per la liberazione dell’Albania), composto da 12 membri. Il 10 dello stesso mese fu creato ufficialmente l'esercito di partigiani volontari per liberazione nazionale (UNCVP). L'esercito fu organizzato in divisioni di reggimenti, battaglioni e gruppi di piccola portata. Vi furono in seguito a tal evento molti attacchi contro gli invasori in molte città come ad esempio nella città di Burrel, nel castello di Berat ed in molte altre zone del paese.

 

pallanimred.gif (323 byte) La caduta del fascismo e la rottura del fronte partigiano

 

In seguito alla caduta di Mussolini, nel luglio del 43, in Albania aumentò il numero di attacchi contro gli invasori fascisti da parte di tutte le forze politiche. Dapprima un membro del fronte di liberazione nazionale chiese l'alleanza politica e militare con il fronte nazionale. Tale richiesta fu accordata il 9 luglio nella riunione di Mejka. Tale riunione aveva come scopo la riunificazione delle due forze politiche albanesi per giungere a una soluzione del problema base che preoccupava tutta la popolazione e cioè quello di combattere il nemico invasore per giungere alla liberazione del paese. Per unirsi ambedue le parti fecero delle concessioni l'una all'altra. Le decisioni prese furono: guerra comune ed immediata a fianco ai grandi alleati (Inghilterra, USA e URSS) e agli altri popoli oppressi,  guerra per un’Albania indipendente, libera e democratica. La forma del governo sarebbe stata scelta dal popolo dopo la fine della guerra. Inoltre si voleva creare un organo comune chiamato “Comitato per la salvezza dell’Albania”,  il quale avrebbe guidato la guerra e il paese fino alla formazione di un governo regolare in seguito ad elezioni generali, subito dopo la fine della guerra. La formazione di questo comitato pluralistico con sei rappresentanti per parte  fu giudicata come la scelta più adeguata per l’unione e l’organizzazione delle forze politiche albanesi in guerra. L’entusiasmo di quest’accordo storico però svanì  molto presto perché in agosto Enver Hoxha, sotto  l’influenza di emissari jugoslavi, lo rifiutò denunciandolo come inaccettabile. I comunisti, in particolare, non accolsero la proposta di Balli Kombetar di indire nel Kosovo, una volte deposte le armi, un plebiscito sul futuro della regione. Da allora la presenza jugoslava in Albania si fece ancor più consistente, mentre le divisioni scoppiate nel movimento Balli Kombetar spinsero questa organizzazione in parte a fianco dei Tedeschi e in parte a battersi, con l'aiuto dei clan Gheg del Nord, per il ritorno di re Zog. Al contrario, i comunisti presero slancio, diventando presto la forza egemone nella lotta antinazista

 

pallanimred.gif (323 byte) La situazione dopo l'armistizio italiano (8 settembre 1943)

Le disfatte che subì l’esercito italiano su tutti i fronti della guerra, soprattutto dal momento dello sbarco delle forze anglo-americane in Sicilia,  portarono l’Italia verso la capitolazione che fu annunciata l’8 settembre del 1943. Secondo l’accordo dell’armistizio la IX Armata italiana, stanziata in Albania avrebbe dovuto cessare le azioni militari e consegnare le armi alla Resistenza albanese, riconosciuta ufficialmente dagli Alleati. Il comandante in capo, Renzo Dalmazo, residente a Tirana, non accettò e ordinò alle sue truppe di arrendersi soltanto alle truppe tedesche. Quindici mila soldati, in maggioranza della divisione “Firenze”, non accettarono ad arrendersi ai nazisti,  1500 di questi si aggregarono all’esercito per la liberazione nazionale albanese formando il battaglione “Antonio Gramsci”. Gli altri si rifugiarono nelle zone liberate dove ricevettero un’ospitalità molto calorosa da parte dei contadini albanesi. Il popolo albanese seppe fare la distinzione tra i semplici soldati e i fascisti veri e propri.

 

pallanimred.gif (323 byte) La Resistenza degli Italiani contro i tedeschi in Albania (1943)

 

pallanimred.gif (323 byte) La rottura con Tito, l'amicizia con Stalin (1946-1948)

Sconfitte le truppe di occupazione e portata a termine la lotta per liberazione, alla guida della quale aveva prevalso il partito comunista, l’11 gennaio 1946 nasce la Repubblica Popolare Albanese sul modello di quella Sovietica. Koci Xoxe, uomo di Tito in Albania, si prepara a prendere il posto di Hoxha, che è stato nominato capo del Governo. Il trattato di amicizia Jugoslavo-Albanese del luglio '46 sancisce in modo inequivocabile la sudditanza albanese nei confronti dei potenti vicini: viene imposto nelle scuole lo studio della lingua serba e si formano delle società miste controllate dagli jugoslavi per lo sfruttamento delle materie prime albanesi. Il processo di integrazione alla federazione jugoslava viene però interrotto nel '48 dalla rottura dei rapporti tra Tito e Stalin. L’Albania, schierandosi con una URSS nemica di Tito, riesce a riacquistare la sua autonomia rispetto alla Jugoslavia. La dittatura comunista di Enver Hoxha si basò  su di un’economia centralizzata a piani quinquennali, tipica dei Soviet e portò all'isolamento del paese. 

 

info.gif (232 byte) per approfondire:

pallanimred.gif (323 byte) Biografia Enver Hoxha

pallanimred.gif (323 byte) La Resistenza dei militari italiani in Albania (anpi.it)


  

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