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La Resistenza in Europa
Biografia
di Charles De Gaulle
Nato nel 1890 a Lilla, De Gaulle fu allievo di Saint-Cyr. Prese parte alla 1a Guerra
Mondiale, distinguendosi per valore. Al termine del conflitto, entrò dal 1925 nel
gabinetto di Petain, allora vicepresidente del Consiglio Superiore della Guerra. La sua
vita negli anni trenta è caratterizzata dall'interesse teorico nell'organizzazione
dell'esercito francese che si traspone in tre opere quali Le Fil de l'épée (1932), Vers
l'armèe de métier (1934), la France et son armée (1938).
Fu proprio a causa dell'ostracismo provocatogli dalla sua opera del 1934 che De Gaulle
rimase decisamente una figura di basso profilo fino allo scoppio della seconda guerra
mondiale. Egli si era, infatti, battuto per la creazione di un esercito di mestiere,
basato non più sulla coscrizione obbligatoria delle leve giovanili, bensì su soldati di
carriera, ben retribuiti, che fossero coadiuvati da divisioni di mezzi corazzati che nella
sua previsione della guerra futura avrebbero sostenuto un ruolo fondamentale nelle
operazioni terrestri.La diatriba che si scatenò con gli alti vertici del Consiglio
Superiore della Guerra fu in riferimento alla catena di comando in cui dovessero essere
collocate le divisioni corazzate. Secondo De Gaulle, la piena indipendenza dei reparti
corazzati in corpi d'armata autonomi, avrebbe consentito il pieno sfruttamento della
velocità di questa nuova arma, liberandola da collegamenti con i reparti più lenti. Al
contrario i denigratori, anche personali, della teoria gollista si arroccarono su
posizioni più tradizionali. Riagganciandosi alle tattiche e strategie utilizzate durante
la prima guerra mondiale, si sosteneva che il ruolo dei carri armati si dovesse limitare
all'appoggio dei reparti di fanteria, una sorta di artiglieria con le ruote che fungesse
da copertura a breve raggio delle avanzate dei soldati appiedati.
Il punto di vista, perfettamente corretto se analizzato alla luce della guerra di
trincea, denotava i propri limiti se analizzato alla luce delle più moderne teorie sulla
guerra di movimento che allora stavano affermandosi nell'esercito tedesco. I mezzi
corazzati presso la Germania sarebbero stati usati come strumento principe di quella
blitzkrieg teorizzata nella guerra del 1914 e mai perfettamente realizzata. De Gaulle
aveva colto l'essenza dell'utilizzo delle divisioni corazzate, anticipando di un lustro
quella che sarebbe stata la realtà della seconda guerra mondiale. Purtroppo l'assoluta
mancanza di estimatori del suo pensiero negli alti ranghi di comando dell'esercito
francese non permise l'utilizzo dei mezzi corazzati se non nell'imminenza dello scoppio
del conflitto e in ogni caso secondo l'ormai sorpassato presupposto che dovessero fungere
solo da supporto tattico e nulla più.
All'inizio delle ostilità, la tranquillità assoluta del fronte occidentale fece
credere a torto che si stesse per rivedere una replica delle grandi battaglie di posizione
nello stile di Verdun. Forti delle fortificazioni della linea Maginot, il generale
comandante Gamelin, rimaneva nell'assoluta inerzia, nell'attesa dell'offensiva tedesca.
Traendo esperienza dalla campagna di Polonia, dove la Wehrmacht tedesca si era avvalsa
delle Panzerdivisionen come punta avanzata d'invasione e puntello per offensive in
profondità oltre il raggio d'azione della fanteria, De Gaulle, scavalcando l'ordine
gerarchico in un atto di aperta insubordinazione, scrisse una lettera direttamente a Paul
Reynaud, Presidente del Consiglio, dove, vista l'impossibilità di una riforma interna
dell'esercito, lo invitava a intervenire attraverso il suo potere politico nella creazione
di forze corazzate autonome. Durante il Consiglio dei Ministri del giorno 9 Maggio 1940,
la riforma fu posta all'ordine del giorno senza che fosse adottata. Anche se i risultati
della riunione fossero stati differenti, difficilmente avrebbero influito su quello che
sarebbe avvenuto il giorno successivo: il 10 Maggio ebbe inizio l'offensiva tedesca sul
fronte occidentale.
La disastrosa condotta delle operazioni da parte dei francesi e la fulminea
penetrazione delle armate corazzate di Guderian e Rommel si propose come conferma della
fondatezza dei timori di De Gaulle. Per somma ironia, proprio nel momento peggiore per i
transalpini, nei giorni che vanno dal 16 al 18 Maggio, con i tedeschi sulla strada di
Parigi dopo essersi aperti una stretta testa di ponte nella zona di Sedan, De Gaulle viene
a trovarsi al comando dell'unica divisione corazzata (4a) disponibile per contrastare
l'avanzata nemica. A onor del vero, definire divisione ciò che esisteva solo sulla carta
fino al giorno undici Maggio sarebbe veramente troppo. Il 15, quando De Gaulle giunse al
posto di comando della Divisione a Laon, era l'unico presente. Riorganizzando quel poco
che riceva il giorno successivo e facendo leva su un'abilità tattica ancora non
sperimentata, riesce a portare in assetto di combattimento una forza sufficiente per
compiere delle operazioni. Sebbene non gli venga comunicato alcunché, a causa del
terribile stato di dissesto in cui si trovano le linee di comunicazione francesi, l'allora
colonnello decide di passare in azione. Al comando di tre soli battaglioni di carri,
alcuni dei quali niente più che evoluzioni di mezzi della prima guerra mondiale, esegue
una penetrazione nelle retrovie tedesche, riportando in un solo giorno 120 prigionieri. La
limitatezza delle risorse a sua disposizione non gli permise di fermare o rallentare
l'avanzata tedesca, ma fu sufficiente per mostrare quanto avrebbero potuto essere
determinanti delle forze corazzate autonome per l'esercito francese.
Come Napoleone durante la Rivoluzione Francese, così De Gaulle nel pieno dei torbidi
degli ultimi giorni della resistenza francese sale alla ribalta della scena politica.
Viene nominato Sottosegretario di Stato alla Guerra nell'ultimo rimpasto del governo
Reynaud. Per espletare le funzioni che competono alla sua carica sarà presente a una
riunione tra i Ministri francesi e i rappresentanti inglesi a Briare, dove avrà
l'occasione di prendere contatto con Winston Churchill. Sebbene De Gaulle provenisse dagli
stessi ambienti religiosi e conservatori che si prodigarono per firmare un armistizio con
la Germania, egli fu sempre contrario. L'idea di cessare le ostilità, capitolando a una
resa senza condizioni che abbandonava metà del paese in mano al nemico, lo faceva
inorridire. Si sarebbe potuto continuare la lotta nelle colonie, trasferendo laggiù il
governo legittimo e la flotta, pressoché integra. Lo sfinimento morale oltre che fisico
dell'esercito francese portò invece alla soluzione contraria.
Trasferitosi a Londra come rappresentate governativo, il giorno precedente l'armistizio
si fece latore presso Reynaud di una proposta del governo inglese che prevedeva una
fusione tra le due Nazioni alleate. Ogni cittadino inglese avrebbe ricevuto anche la
cittadinanza francese e viceversa, creando un'unione tra i due stati che avrebbe permesso
all'esercito e alla flotta francesi sopravvissuti di continuare la guerra dal territorio
inglese. Anche di fronte ad una proposta di tale portata Ormai però si era già
sorpassato il momento delle riflessioni e l'accoglimento di un espediente giuridico di tal
fatta presupponeva maggiore tempo per valutarne le conseguenze e l'unico bene di cui non
si disponeva dopo la caduta di Parigi era proprio il tempo. Se non si fosse accettata la
proposta tedesca, le loro armate avrebbero proseguito l'avanzata verso i Pirenei e tutto
sarebbe stato perduto. Per salvare almeno parte della sovranità territoriale della
Francia da Bordeaux, dove si era rifugiato il governo, Reynaud presenta le sue dimissioni
il 17 Giugno. Le redini del governo vengono affidate al Maresciallo Petain che prende la
decisione di proclamare il cessate il fuoco.
La notizia dell'armistizio separato da parte della Francia viene colta con un certo
stupore a Londra. Tenuti pressoché all'oscuro dello sfaldamento militare francese, gli
alleati anglosassoni avevano previsto un maggiore lasso di tempo prima della
capitolazione, periodo da sfruttare per trovare delle alternative valide alla venuta meno
dell'appoggio francese sul continente. De Gaulle riesce a prendere in mano la situazione,
presentandosi come l'uomo della provvidenza. Il giorno 17 giugno si fa condurre a Downing
Street alla presenza di Churchill per rivendicare la possibilità di rappresentare la
Francia nella continuazione della lotta armata. L'inglese, pur lamentandosi in seguito
dell'assoluto anonimato di De Gaulle, fino ad allora semplice corrispondente diplomatico,
cede di fronte alle insistenze, permettendo l'utilizzo della BBC per l'indomani. Il
proclama del 18 Giugno dopo la guerra verrà ricordato come il primo di una lunga serie di
quello sconosciuto generale che si arrogava il diritto di presentarsi come il vero
esponente della legittimità politica di un paese sconfitto. Le reazioni del tempo in
Francia al messaggio furono tutt'altro che entusiasmanti. Esso veniva ventiquattr'ore dopo
l'accorato richiamo del Maresciallo Petain da un uomo che non aveva ancora la statura
politica del grande militare vincitore nella prima guerra mondiale. La madre patria
battuta sul campo dalle forze tedesche preferisce credere alla propria inferiorità
militare piuttosto che un'utopistica resistenza ad oltranza reclamata a viva voce da De
Gaulle. In pratica al generale che viene pur sempre riconosciuto dagli inglesi quale
interlocutore privilegiato per gli affari francesi non rimane nulla a disposizione se non
la possibilità di crearsi un gabinetto in esilio e tentare di riorganizzare le truppe
francesi evacuate a Dunkerque.
Le difficoltà che si appresta ad affrontare De Gaulle per creare un governo della
Francia Libera sono enormi. La scarsità di disponibilità finanziarie lo costringe a
procurarsi come ufficio un vecchio immobile commerciale, Stephen's House, nel cuore del
porto di Londra. Ancora maggiori sono gli ostacoli da superare per mettere insieme le
forze umane. Gli stessi inglesi gli precludono l'accesso ai campi dove i francesi
attendono il rimpatrio o nei casi più fortunati, passano subito dopo di lui per avvertire
gli uomini delle clausole dell'armistizio con la Germania che prevedono la fucilazione per
coloro che avessero brandito le armi sotto una bandiera straniera. I motivi di questa
diffidenza nei confronti del generale ribelle sono molteplici. Anzi tutto, sebbene il
governo Petain avesse firmato una pace separata con Hitler, era indubbio che esso
costituisse almeno in linea di principio la continuità e la legalità del governo
francese. In secondo luogo la popolazione era stanca dei combattimenti e non vedeva nella
persona di De Gaulle un vero condottiero da seguire anche nei tempi cupi che si presagiva
arrivassero. Pur con questi grandi punti interrogativi sulla vera importanza del generale,
la Gran Bretagna a poco a poco comprende la sua importanza, soprattutto per portare dalla
propria parte i grandi possedimenti d'oltremare della Francia.
Come già ricordato in precedenza, si era ipotizzata la possibilità di un
trasferimento in Africa del governo francese, ma con le dimissioni di Reynaud la proposta
era stata accantonata, lasciando in pratica alla fedeltà dei proconsoli coloniali
l'accettazione del neo governo di Vichy o l'avventura della Francia Libera. In Estremo
Oriente, l'Indocina, di lì a poco occupata di fatto dai giapponesi, rimane fuori gioco.
Tra le colonie più importanti, Marocco, Algeria, Tunisia e Siria arrivano al limite della
disubbidienza aperta nei confronti di Vichy per poi ritornare sui propri passi a causa
della mancanza di abboccamenti validi con gli uomini di De Gaulle. Solo l'Africa
Equatoriale Francese si unì in blocco sotto la bandiera della Francia Libera. I territori
che seguono il governo in esilio sono vastissimi: due milioni di chilometri quadrati.
Sfortunatamente sono le risorse prime oltre che umane a scarseggiare. Si hanno solo tre
milioni di indigeni e qualche migliaio di bianchi per riorganizzare un esercito dal nulla.
Per ovviare alla evidente inferiorità che costringerebbe De Gaulle ad un rapporto di
sudditanza con Churchill, viene per la prima volta menzionata la possibilità di una
spedizione contro Dakar. La florida colonia del Senegal garantirebbe non solo una giusta e
necessaria sicurezza in fatto di materiali, ma contemporaneamente una crescita di
prestigio per il generale. L'idea iniziale doveva essere quella di impossessarsi in
sequenza prima del Gambia per poi penetrare nel Senegal, sempre via terra. La fattibilità
dell'impresa era stata dimostrata con la presa di potere in Camerun di Leclerc, fedele a
De Gaulle. Con un pugno di soldati aveva guadagnato l'appoggio di un'intera colonia.
Oltretutto l'autonomia nel compimento dell'operazione non avrebbe permesso agli inglesi di
accaparrarsi nessun tipo di merito al riguardo. Nel mezzo di questi preparativi interviene
Churchill in persona.
Il 6 Agosto dimostra chiaramente a De Gaulle che i suoi progetti di una lenta avanzata
verso Dakar non sono realizzabili in breve tempo come invece richiederebbe la messa in
sicurezza della parte meridionale dell'Atlantico. Giusto in quello stesso periodo
divampava la lotta sottomarina con gli U-boote tedeschi che minacciavano il traffico
mercantile con gli Stati Uniti e i paesi orientali del Commonwealth. Per favorire la
riuscita dell'impresa, Churchill si offre di inviare una flotta britannica che sostenga
l'intervento francese. Di fronte alla proposta inglese, De Gaulle si trova interdetto. Da
una missione interamente francese si passerebbe a una preponderante maggioranza della Gran
Bretagna che avrebbe potuto compromettere le finalità politiche che non costituivano
affatto un elemento secondario dell'impresa. Come avrebbe risposto il governatore di Dakar
di fronte alla richiesta di aprire le porte a colui che si presentava come un liberatore,
ma si faceva accompagnare dalla Royal Navy in assetto di guerra? Inoltre la segretezza
doveva essere assoluta per impedire che giungessero rinforzi tali da modificare i rapporti
di forza e di conseguenza anche i valori politici.
Non sono tuttora chiari le linee di condotta che portarono allo scontro frontale di
Dakar. Su di un solo punto si concorda e cioè sull'imbarazzante pressappochismo con cui
fu portata avanti l'organizzazione dell'attacco da parte francese. La voce dello sbarco in
Senegal fu sbandierata dagli stessi militari in licenza che affollavano i pub della city.
Al fianco della disorganizzazione si ebbe anche un netto ridimensionamento dell'appoggio
britannico. Ventilato inizialmente da Churchill nell'ordine del centinaio di navi, al
momento della verità si ridusse a poco più di venti navi tra le quali le uniche degne di
note erano le corazzate di vecchio tipo Barham e Resolution oltre alla portaerei Ark
Royal. Il piano prevedeva che di fronte all'imponente dispiegamento di forze della flotta
inglese, il governatore del Senegal avrebbe dovuto consegnare le chiavi della città agli
emissari di De Gaulle che sarebbero scesi a terra coperti dalla bandiera bianca, senza
spargimento di sangue e con impiego minimo della forza. Venuta meno la forza per imporre
la pax imperii, non un solo elemento di quanto previsto si realizzò. Già le condizioni
atmosferiche del 23 Agosto 1940, giorno X, si presentarono avverse: nebbia all'alba su
tutta la rada di Dakar. I parlamentari di De Gaulle che presero terra non vennero certo
ricevuti dal governatore locale che anzi li fece attendere sul molo, per poi comunicargli
l'ordine perentorio di risalire a bordo e arretrare di venti miglia il dislocamento delle
navi, non prima di aver colpito con artiglieri di grosso calibro l'incrociatore inglese
Cumberland. Posto di fronte a resistenze inaspettate, De Gaulle azzardò la mossa di far
sbarcare un battaglione della Legione Straniera che anziché riuscire nella conquista
della città, viene ricacciato in mare a forza.
Fallito l'intervento francese, la flotta inglese intima due ultimatum consecutivi per i
giorni 24 e 25 Agosto che vengono disattesi, al che la squadra britannica non può far
altro che aprire il fuoco. Gli scontri che seguirono costarono la vita a centinaia di
uomini da ambo le parti oltre alla distruzione di buona parte del naviglio francese
presente nel porto di Dakar. Al vantaggio in termini di potenza di fuoco degli inglesi non
corrispondeva una reale possibilità di sfruttamento dello stesso attraverso l'impiego di
truppe da sbarco, completamente assenti. Trovandosi in una situazione di stallo, la
ritirata via mare si rivelò la sola strada percorribile. L'insuccesso registrato
nell'operazione in Senegal minò la credibilità di De Gaulle in Francia, senza però
intaccarne l'importanza a livello internazionale.
Tale importanza tuttavia cominciò a decrescere col passare del tempo. Le schiere dei
sostenitori di De Gaulle rimanevano sempre esigue e l'apporto militare alla continuazione
della guerra era davvero irrilevante. Dal fallito intervento a Dakar fino ai primi giorni
del 1941, le truppe della Francia Libera si limitavano a poco più di sparuti commandos
agli ordini di Leclerc, Ornano, Legentilhomme e altri. Autonomamente avevano avuto
successo solo in raid isolati contro il Sahara italiano, penetrandovi attraverso il Ciad e
azioni di guerriglia in Eritrea, oltre al lavoro di scorta dei convogli nell'Atlantico,
dove la situazione critica degli alleati richiedeva ogni uomo abile disponibile. In buona
sostanza l'apporto dei francesi nella guerra non poteva dirsi superiore a quello di altre
nazioni occupate quali l'Olanda, la Norvegia o la Polonia. Anzi le imprese degli aviatori
polacchi durante la battaglia d'Inghilterra avevano assunto il tono della leggenda,
mettendo in secondo piano le altre nazioni cobelligeranti. Se si fosse mantenuto tale
status quo era probabile, se non certo, che De Gaulle non avrebbe conservato alcuna
possibilità di esercitare un ruolo di primo piano nella Francia del dopo guerra.
L'occasione della rivincita si presenta nel 1941, con l'intervento inglese nel mandato
francese della Siria e del Libano. La colonia, ufficialmente appartenente alla Repubblica
di Vichy che si aggrappava tenacemente al suo stato di paese non intervenuto nella guerra,
era stata utilizzata come strada di passaggio dai tedeschi per rifornire i ribelli
dell'Iraq. Gli inglesi una volta schiacciata la ribellione armata di Rashid Ali, doveva
risolvere anche la presenza di quella spina nel fianco costituita appunto dai territori
siro-libanesi.
L'inevitabilità dell'invasione era lapalissiana, si doveva prendere possesso di quelle
terre per non correre rischi con il petrolio iracheno, di vitale importanza per la
campagna di Libia e per la guerra in generale. Un nuovo attacco inglese contro territori
francesi non poteva che inasprire i già tesi rapporti con Vichy e con la Francia tutta.
Andando contro i consigli degli uomini a lui più vicini, De Gaulle si adoperò per
mandare un corpo di spedizione della Francia Libera al fianco delle truppe inglesi. Ciò
fu fatto anche per guadagnarsi una legittimazione politica che ancora il governo inglese
gli rifiutava. A Londra, seppure lo si trattava come rappresentante della Francia, non si
riconosceva il suo establishment come il governo in esilio della nazione transalpina,
ritenendo che ci si dovesse fare riferimento ancora a Vichy. Nacque così all'interno
della seconda guerra mondiale anche una guerra civile francese: i seguaci di De Gaulle
contro quelli di Petain, la Francia Libera contro la Francia di Vichy. Sul piano logistico
l'apporto di uomini fu molto ridotto, nell'ordine dei 5000-6000, caricando l'intero peso
dell'attacco sulle spalle inglesi. Non si poteva sperare di agire con un azione di
persuasione come si era già tentato di fare a Dakar visti i risultati. Si doveva usare la
forza ed era chiaro che le truppe di Vichy, al cui comando si trovava il generale Dentz,
non avrebbero opposto una resistenza puramente simbolica. E così fu. Solo la superiorità
numerica degli inglesi e il blocco navale dei rifornimenti dalla madre patria permise di
avere ragione della resistenza.
Ancor più significativa fu la crudeltà degli scontri tra francesi, sempre all'ultimo
sangue. Cessate le ostilità De Gaulle sperava di aumentare il suo seguito facendo
proseliti tra le truppe sconfitti, senza aver fatto i conti con l'amor patrio dei propri
connazionali. Solo il 15% di tutti i prigionieri si avvalse, attraverso l'istituto della
libera opzione posto in essere dagli inglesi, della facoltà di aderire alla Francia
Libera. Il resto ritornò come prigioniero di guerra alle proprie case, ritenendo che
almeno per il momento fosse preferibile una pace sotto il controllo tedesco piuttosto che
una guerra gollista.
Un nuovo capitolo dello scontro fratricida si ha con l'operazione "Torch", lo
sbarco anglo-americano nel Nord Africa. L'entrata in guerra degli Stati Uniti non portò
giovamento alcuno a De Gaulle, in quanto il presidente Roosvelt diffidava ancora di quel
generale ribelle. Passando sopra alle diffidenze personali rimaneva comunque da stabilire
chi avrebbe preso il potere nelle colonie più importanti della Francia, data per scontata
la vittoria alleata. De Gaulle viene sì visto come portabandiera della libertà, ma solo
nella Francia occupata, dove i suoi discorsi fatti attraverso Radio Londra infiammano i
cuori di chi deve sopportare il nemico in casa. Nei territori d'oltremare i sentimenti
sono opposti. Di De Gaulle si ricordano solo le aggressioni contro Dakar e la Siria e
null'altro. Perciò non si può certo dire che fosse una sorpresa la ricerca di un
candidato alternativo al comando. Sorprendente fu invece il nome che fu scelto dagli
alleati per ricoprire quella carica: Henri Honorè Giraud. Generale di lungo corso fu
fatto prigioniero durante la disfatta del 1940 e dopo una rocambolesca fuga dalla Germania
si era ritirato a vita privata. Si pensa che sia la figura adatta per guadagnare il favore
dei rappresentanti ufficiali del governo in Africa del Nord.
uesta almeno è l'idea che circola nell'ambito del Comando Generale Alleato. Si arriva
ad ipotizzare di trasferire sotto il suo comando tre intere divisioni americane, in modo
che le città che aprissero ad esse le porte si arrendessero a delle forze di diritto
comandate da un francese. Questo punto sarà frutto di innumerevoli incomprensioni ed
equivoci che arriveranno addirittura a mettere in pericolo la riuscita dello sbarco. Il
giorno 7 Novembre 1942 è tutto pronto per procedere allo spiegamento dei 113.000 uomini
radunati per la conquista in successione di Marocco, Algeria e Tunisia affinché si tagli
la strada della ritirata a Rommel, già in difficoltà nella Libia italiana. Il pomeriggio
Giraud arriva a Gibilterra reclamando il comando supremo delle forze d'invasione,
confondendo la sua parte piuttosto marginale con quella del protagonista. Le resistenze
del generale americano Patton e dell'inglese Mack conducono alla rottura con Giraud che si
chiama fuori dall'affare. Gli alleati si trovano senza l'uomo su cui avevano confidato per
penetrare a fondo in Africa senza troppe difficoltà, ancora prima di toccare terra! I
francesi resistono fieramente all'invasione seguendo le direttive del Maresciallo Petain
che sosteneva l'inviolabilità del suolo francese per chiunque, tedesco o americano che
fosse.
Nello stesso tempo a Londra, De Gaulle viene avvisato che è in atto lo sbarco. Tenuto
all'oscuro di tutto fin dopo il primo giorno delle operazioni, molti si aspettano che col
suo carattere notoriamente poco accondiscendete, cada in una crisi d'ira. Al contrario si
assume l'obbligo di informare i francesi tutti attraverso un comunicato radio che gli
americani si sono attivati per ricacciare Hitler in Germania e i francesi dell'Africa del
Nord che gli alleati non spareranno un colpo in più se verranno accolti in pace.
Difficilmente l'appello avrebbe sortito effetto se non fosse entrato in gioco un terzo
uomo: l'ammiraglio François Darlan. Fortuitamente presente ad Algeri al momento della
presa della città da parte degli americani, si convince a dichiarare un cessate il fuoco
"in nome del maresciallo Petain". Guardandosi bene dal riferire che il
maresciallo in realtà era all'oscuro del suo ordine e che anzi una volta venutone a
conoscenza lo avesse disconosciuto, la presa di potere da parte di Darlan crea una
situazione a dir poco grottesca. La Francia si trova divisa in quattro parti: i territori
occupati dai tedeschi sotto amministrazione diretta dei nazisti, il rimanente dello stato
metropolitano sotto l'autorità di Vichy, l'Africa Equatoriale e la Siria che obbedivano
De Gaulle ed infine Marocco e Algeria come prefettura d'oltremare agli ordini di Darlan.
Le ultime due fazioni citate che a rigore di logica avrebbero dovuto essere dalla
stessa parte fin da subito arrivarono ai ferri corti fondamentalmente per la
riorganizzazione dei territori appena liberati che costituivano un'inesauribile fonte di
ricchezza per chiunque le avesse controllate. Si arrivò quasi sull'orlo dello scontro
armato aperto nel momento in cui avvenne l'omicidio di Darlan. L'esecutore materiale
dell'assassinio fu tale Bonnier de la Chapelle, ventunenne, non fu mai ricondotto
ufficialmente a nessun mandante. Si sospettò a lungo dello stesso De Gaulle, ma ben
maggiore interesse ne ricavò sicuramente Giraud che con la morte di Darlan ritornò sulla
scena, riprendendosi quel potere che aveva sdegnosamente rifiutato a Gibilterra, il giorno
dello sbarco. Da un reato così truce come quello perpetrato ai danni dell'Ammiraglio
emerge il turpe gioco che si stava svolgendo alle spalle della lotta pubblica. De Gaulle
non nascose mai la sua ambizione personale, ma mai durante la seconda guerra mondiale
prepose i suoi interessi privati al bene della Francia o al limite operò affinché
coincidessero.
La perdita di tutti i territori d'oltremare in Africa diede una scossa all'interno del
governo di Vichy. Petain fu sul punto di lasciare la capitale per unirsi agli insorti
d'Algeria. Una mossa così audace apparteneva sì al bagaglio emozionale del maresciallo
che l'avrebbe pure messa in atto se avesse avuto trent'anni di meno e non si prospettasse
alle soglie un intervento diretto dell'esercito tedesco nella Repubblica di Vichy. La sua
mancanza d'audacia lo costrinse a condividere il destino di quel governo che stava
lentamente degenerando verso la piena criminalità, adeguandosi suo malgrado agli
interessi nazisti. Si può rinvenire in questo periodo il più grande voltafaccia
dell'opinione pubblica francese. Il popolo vide per la prima volta quale fosse l'essenza
di Petain: un ottuagenario che aveva sì reso enormi servizi alla sua patria, ma che
oramai viveva fuori dalla realtà. A un anno e mezzo dallo sbarco in Normandia, la nazione
cercava un nuovo leader e lo rintracciò nell'unica persona che fin dall'inizio aveva
lottato contro l'ambiguità del collaborazionismo: Charles De Gaulle.
Le prime travolgenti vittorie alleate, dovute all'intervento in grande stile
dell'esercito americano, stavano dissipando le nubi di tempesta che si erano addensate
minacciose sull'Europa nel momento di massimo fulgore di Hitler. Ora la Wehrmacht languiva
nelle steppe russe, bloccata al suolo dal terribile Generale Inverno. In Gran Bretagna
già aveva avuto inizio il dispiegamento delle forze per il D-Day e sia a Roosvelt sia a
Churchill, l'entrate 1943 parve il momento migliore per organizzare una conferenza
internazionale tra gli alleati dove mettere per iscritto le linee guida della guerra
futura o almeno provarci. Si dimostrò assai complicata la convocazione degli invitati.
Inglesi e Americani procedettero per più di due settimane da soli, ma nel momento di
rendere pubbliche le risoluzioni definitive, non potevano ignorare l'esistenza
dell'alleato francese. Dopo la morte di Darlan, De Gaulle e Giraud avevano creato due
distinti Comitati di Liberazione, uno ad Algeri e l'altro a Londra, che agivano
autonomamente e spesso in contrasto l'un l'altro. Un unico fronte francese con cui
parlamentare era reputato di fondamentale importanza dagli anglo-americani che ritennero
giunto il momento di una conciliazione tra i due contendenti proprio durante la conferenza
di Casablanca. Giraud accettò di buon grado l'invito, mentre De Gaulle rifiutò
stizzosamente. Il generale ricordò a Churchill che il congresso delle nazioni si stava
tenendo in territorio francese, ma con la protezione di soldati stranieri. Era un modo per
nulla velato per rinfacciargli di essere stato tenuto all'oscuro dell'operazione Torch
fino all'ultimo minuto.
Lo statista inglese scarso di moderazione nel contrattare con il corrispettivo
francese, minacciò di andarsi a cercare un nuovo interlocutore se non si fosse fatto
vedere in Marocco. De Gaulle, vista messa in pericolo la sua posizione si piegò
all'invito più o meno cortese e sotto scorta della RAF giunse nella città marocchina
negli ultimi giorni della conferenza. Forzato a intraprendere un viaggio di cui non voleva
saperne, il generale restò fermo sulle sue posizioni. Rifiutò di firmare qualunque
compromesso di sorta con Giraud e l'unica concessione che fece fu di farsi fotografare
insieme all'altro francese. Da parte sua Giraud permise che un inviato del Comitato di
Londra entrasse a pieno titolo come rappresentante nel comitato di Algeri, segnando a sua
insaputa un punto a favore dell'avversario che avrebbe ben presto il sopravvento.
Questo minimo piano d'accordo raggiunto fu vitale per le sorti della Francia del
dopoguerra, ma ancora non era sufficiente per soddisfare i tre maggiori alleati. Gran
Bretagna, Stati Uniti e Russia si sarebbero incontrati ancora a Teheran dal 28 Novembre al
2 Dicembre 1943. Stalin, forte dei nascenti successi russi nella campagna invernale sul
fronte orientale, riesce a fare la parte del leone. Si discutono gli assetti futuri del
mondo liberato dal nazismo e il l'alleato sovietico non si capacita dei motivi che
spingono Churchill a premere per una ricostituzione della Francia al rango delle grandi
potenza. Il russo arriva ad accettare la partecipazione della Cina a quello che poi sarà
il Consiglio di Sicurezza delle nazioni unite, in quanto il paese asiatico forniva grande
ausilio all'Unione Sovietica, bloccando l'espansionismo giapponese nel Pacifico, però
riconosceva Petain comelegittimo governante francese. Di conseguenza, collaborando Vichy
con la Germania, era impensabile restituire l'impero coloniale francese al termine del
conflitto. Churchill invece, a differenza di Roosvelt che ancora non aveva capito la
natura di Stalin, voleva una Francia forte a sufficienza per contrastare il dominio
sovietico in Europa: un'alleata e non una sottomessa. Solo l'evoluzione della guerra e lo
sbarco in Normandia con la conseguente liberazione francese condotta dagli anglo-americani
permetterà di impedire la realizzazione dei propositi stalinisti.
Il 1943 è anche l'anno del consolidamento della Resistenza francese. Le notizie dal
fronte per i tedeschi continuano a peggiorare. Gli sbarchi in serie in Italia degli
alleati dimostrano la possibilità di invadere l'Europa centrale attraverso la costa della
Manica o della Provenza. I principali gruppi di resistenza detti "maquis" si
concentrano soprattutto nella zona montagnosa del Giura, a ridosso del confine svizzero.
Inizialmente privi di supporto materiale e di scarsa consistenza numerica, vedono
incrementata la propria forza ad ogni rovescio tedesco. Gli inglesi hanno adibito un
apposito ufficio, lo Special Operation Executive all'organizzazione di una rete
informativa continentale che non tiene però conto delle peculiarità della situazione
francese. I maquis minacciano direttamente la capitale Vichy, rendendo insicuro mantenervi
il potere esecutivo facendolo ben presto fuggire verso Parigi controllata dai tedeschi.
Esistendo due unità diverse per il Nord e per il Sud dello stato è difficile per la
resistenza agire coordinatamente. La soluzione sarebbe la creazione di un unico organismo
che emani direttive per le cellule locali. La difficile impresa viene portata a termine da
De Gaulle. Dopo aver fondato un Ufficio Centrale di Informazione e Azione a Londra, ha la
grande abilità di organizzare a Parigi, in territorio occupato, una riunione a cui
parteciparono tutti i maggiori responsabili dei maquis. Da essa scaturirà il Consiglio
Nazionale della Resistenza che prendendo atto di una delegazione dei poteri fatta dallo
stesso De Gaulle ne riconosce implicitamente la qualità di capo di stato.
La pacificazione dei vari gruppi della Resistenza corrisponde a solo una parte della
grande opera di riorganizzazione delle forze armate francesi. La seconda fase dovrebbe
essere la costituzione di un'armata d'oltremare in Algeria di circa 400.000 uomini. Giraud
quale comandante in capo si era impegnato a fornire tre divisioni di pronto impiego per
l'Italia al più presto. Tardando a mantenere la promessa si espone ad un intervento di De
Gaulle. Il 3 Giugno 1943 i due si accordano per dividersi la presidenza del Comitato di
Liberazione Nazionale. Teoricamente il dualismo preesistente viene eliminato, in pratica
si accentua. Le forze armate di cui dispone De Gaulle, inferiori di numero, sono le stesse
che hanno combattuto a Dakar e in Siria e che al momento dell'armistizio, già avevano
scelto la Francia Libera. Gli uomini di Giraud sono invece estratti dalle truppe che
avevano prestato giuramento al maresciallo Petain e che avevano sparso il sangue alleato
nella battaglia per il Marocco e l'Algeria. Da questi contrasti non potevano che nascere
ulteriori dissidi. I favori del fato sembrano andare a Giraud che coglie al volo
l'opportunità offertagli dall'evacuazione tedesca dalla Corsica. La Guarnigione
dell'isola, messa alle strette dalla mancanza di vettovagliamenti seguita all'invasione
dell'Italia, sta procedendo all'imbarco immediato di tutte le divisioni e del materiale.
li Inglesi che dovrebbero fornire le truppe per la prese della Corsica si dichiarano
impossibilitati a farlo per l'enorme impegno che si sono assunti nel risalire lo stivale
italiano. Così Giraud che da tempo preparava la conquista, può intervenire con 15.000
uomini. La resistenza fu nulla, dato che i tedeschi si preoccuparono più di mettersi in
salvo piuttosto che difendersi. La liberazione del primo dipartimento metropolitano non
concesse molto tempo alla gloria del suo organizzatore. De Gaulle, incassando
cavallerescamente il colpo basso infertogli dal concorrente, si guadagna la maggioranza
all'interno del Comitato di Liberazione, ottenendo alla fine l'esonero dal comando
militare di Giraud. La manovra, non proprio limpida dal punto di vista morale, mise in
luce tutta l'abilità di De Gaulle che riuscì a superare un en passe pratica attraverso
il gioco politico.
Eliminati gli avversari interni e accentrati nella propria persona tutti i poteri di
rappresentanza, De Gaulle si poteva ben definire come il presidente di un governo in
esilio. Stesso punto di vista non fu per nulla adottato dagli americani durante lo sbarco
in Normandia. Nei giorni immediatamente precedenti il 6 Giugno, il generale si batté a
lungo per vedere scongiurata l'infamia di sottoporre la Francia liberata a un Governo
Militare Alleato per i Territori Occupati (AMGOT). In un turbolento colloquio intercorso
tra lui e Winston Churchill fece notare che la Francia non poteva essere paragonata alle
colonie fino ad allora occupate, perché aveva davvero un governo che la rappresentava e
lui era lì per dimostrarlo. Non avrebbe accettato politicanti e moneta straniera sul
suolo francese o altrimenti si sarebbe fatto da parte. Indispettito dalle bizze del
francese, Churchill racconta nelle sue memorie che si dimostrò inflessibile, invitando De
Gaulle ad un colloquio chiarificatore con Eisenhower, comandante militare dello sbarco. La
discussione con il generale statunitense fu, se possibile, ancor meno cordiale. Da accordi
presi precedentemente all'atto dell'invasione, tutti i capi di stato dei paesi occupati
avrebbero dovuto prendere la parola alla BBC per un comunicato congiunto, seguito da un
discorso di Eisenhower e concluso dalle parole di De Gaulle. Nulla da eccepire se non
fosse stato per una frase contenuta nello scritto che avrebbe letto l'americano. Egli
dichiarava a chiare lettere che una volta terminata la guerra i francesi avrebbero potuto
scegliere quale tipo di governo darsi. Per De Gaulle era nient'altro che un insulto. Se
lui rappresentava il governo francese, doveva essere lui a riorganizzare la nazione. Solo
in un secondo tempo avrebbe garantito libere elezioni. Vista l'inconciliabilità tra
l'AMGOT e il Comitato di Liberazione Nazionale, si decise che nessun messaggio conclusivo
sarebbe stato fatto.
Fu questa forse la pagina meno felice di De Gaulle. A distogliere la cattiva luce in
cui si era messo giunse per fortuna l'accorato richiamo che effettuò la sera del 6 Giugno
attraverso Radio Londra. Nel suo comunicato citò solo di sfuggito l'enorme sforzo degli
americani e degli inglesi, ma mai in un solo passo di quel che lesse, li sminuì o si
dissociò dalla condotta delle operazioni. Una frase sibillina venne lanciata: "La
battaglia è della Francia e per la Francia
[
] La Francia dovrà condurla in
buon ordine. Prima condizione è che le consegne date dal governo francese e dai capi
francesi qualificati siano seguite scrupolosamente
[
]". Non citare quale
fosse il governo francese e chi il capo qualificato, non lasciava comunque molto spazio
alla fantasia: Charles De Gaulle e il Comitato di Liberazione Nazionale. Se pure
Eisenhower o chi per lui avesse voluto contrastare le intenzioni dei gollisti, non sarebbe
stato possibile. La grande macchina della rivolta civile era ormai in moto. I maquis
prendevano le armi ovunque, liberando i paesi e reclamandone il controllo a nome della
Francia Libera. I tedeschi opponevano già sufficiente resistenza per andare a
preoccuparsi di questioni puramente politiche.
I pochi mesi che vanno dal maggio ad Agosto del 1944 segnano anche la fine della
Repubblica di Vichy. Ancora prima dello sbarco in Normandia risultava chiaro che era
impossibile mantenere in vita uno stato fantoccio senza l'aiuto dei gerarchi nazisti.
Petain, nella sua ingenuità, arriverà persino in Maggio ad inviare una lettera a De
Gaulle, richiedendo di condividere con lui il potere in vista di un passaggio delle
consegne una volta sbarcati gli alleati. Questa soluzione già impraticabile a causa dei
troppo stretti legami avuti con i tedeschi dal regime di Vichy, diventa impercorribile una
volta che le difese del vallo atlantico si sgretolarono. Laval, il primo ministro di
Vichy, tenterà di salvare il salvabile, ricorrendo all'Assemblea Nazionale, organo
costituzionale che già nel 1940 aveva portato alla repubblica di Vichy. Le intemperanze
della Germania, stanca di doversi accollare le difficoltà del piccolo alleato francese,
faranno fallire la manovra. Prima Laval e poi lo stesso Petain finiranno agli arresti
dietro ordine della Gestapo, facendo finire miseramente anche quella piccola parvenza di
legalità che ancora ostinatamente si voleva conservare.
In questo succedersi di avvenimenti De Gaulle ha anche il tempo di evitare il tanto temuto
spettro dell'AMGOT sulla Francia liberata. Il 14 Giugno 1944 è già nella terra natia a
Bayauex, nulla più che un assaggio, visto che il giorno successivo partiva già alla
volta di Algeri. Da lì, convince Roosvelt a riceverlo alla Casa Bianca.
l presidente americano non era mai stato molto favorevole al generale, in quanto lo
vedeva troppo ancorato alla visione imperialistica della Francia, però nel sano
pragmatismo che lo caratterizzava, aveva confidato ai suoi collaboratori che nel caso il
popolo francese lo avesse riconosciuto come proprio rappresentante anche lui si sarebbe
adeguato. Dopo lo sbarco, i sondaggi effettuati rivelano che De Gaulle viene quanto meno
visto come autorità provvisoria e per tanto Roosvelt decise che sarebbe controproducente
per gli interessi degli Stati Uniti utilizzare un governo militare anziché uno civile.
Ottenute garanzie sull'amministrazione politica, i mesi estivi di quell'anno trascorsero
nell'aspettativa dell'evento più importante per un francese durante la seconda guerra
mondiale: la liberazione di Parigi. Gli alleati, una volta usciti dalle sacche di sbarco
della Normandia, si trovarono con la strada spianata verso la storica capitale.
Strategicamente esistevano diversi motivi per evitare di investire in pieno con un'armata
la città. Essendo un grande agglomerato urbano, Parigi si prestava a meraviglia per
diventare la tomba delle truppe corazzate, sicuramente più protette in campo aperto che
non nelle vie cittadine. Stalingrado aveva insegnato che delle truppe ben motivato
potevano impedire la conquista cittadina a tempo indefinito. Secondariamente, passare alla
ali della Senna avrebbe prodotto due effetti importanti. Anzitutto a Nord le truppe
alleate avrebbero rastrellato la costa della Manica, interrompendo i lanci delle V2 che
martoriavano Londra e a Sud avrebbero potuto rifare a ritroso la strada dei tedeschi verso
Sedan, entrando nel cuore della Germania. Dovendo scegliere tra le esigenze militari e
quelle politiche, De Gaulle si adoperò perché si realizzassero queste ultime. Attraverso
una non facile opera di convinzione, portò il generale Bradley, capo operativo delle
operazioni sul continente a preferire l'attacco diretto su Parigi.
Presa la decisione di arrivare alla capitale restava ancora scoperto il nome
dell'unità che avrebbe compiuto la storica impresa. Accantonata l'ipotesi che vi
potessero arrivare uomini americani o inglesi, la scelta cadde sulla seconda divisione
corazzata di Leclerc, un fedelissimo gollista. La preventivata entrata trionfale in Parigi
si dovette però scontrare con l'inaspettata ribellione dei maquis parigini. In massima
parte composti da nuclei di ideologia comunista, essi volevano cogliere l'opportunità
della guerra contro i tedeschi per dare inizio alla rivoluzione proletaria. Se fossero
riusciti a liberare da soli la città, l'arrivo di De Gaulle e delle sue divisioni sarebbe
passato in secondo piano. Il comandante tedesco della città, Choltitz, aveva sì ricevuto
l'ordine di trasformarla in una Festung, una piazzaforte, ma non aveva nessuna volontà di
agire in quella direzione. Ci mancò poco che dichiarasse Parigi città aperta. Il suo
irrigidimento e i conseguenti scontri furono dovuti all'intempestiva rivolta partigiana
che andava a colpire le retrovie tedesche in fuga. Purtroppo per i rivoltosi, le forze a
loro disposizioni non erano assolutamente sufficienti per sconfiggere gli occupanti della
Wehrmacht. L'annientamento della resistenza fu evitato solo per la magnanimità di
Choltitz che concesse una tregua, concedendo il tempo necessario a Leclerc per arrivare a
Parigi. L'entrata dei carri armati francesi e di De Gaulle sui Campi Elisi il 26 Agosto fu
così salutata come la vera liberazione, mandando in fumo tutte le trame parallele.
L'inverno 1944 e la primavera 1945 vedono la Francia ormai liberata, ma ancora con
grandi problemi tutti i livelli. Le vittorie degli alleati fanno presagire una fine
prossima della guerra e si pensa quindi a quale sorta debba spettare alla Germania.
Durante la conferenza di Casablanca, Roosvelt aveva pronunciato per la prima volta la
teoria dell'unconditional surrender, cioè una resa incondizionata. La formula era mutuata
da quella utilizzata dal generale Grant durante l'assedio di Fort Donelson nella Guerra di
Secessione Americana. La Germania avrebbe dovuto cedere le armi senza nessuna condizione,
consegnandosi inerte nelle mani dei vincitori. Questa visione fu appoggiata dallo stesso
De Gaulle, conscio che qualsiasi altra pace non sarebbe stata duratura. Ciò nondimeno
quando venne alla luce il cosiddetto piano Morgenthau, dal nome del Segretario al tesoro
di Roosvelt, che prevedeva di ridurre la nazione tedesca a un paese totalmente e solamente
rurale, il generale si oppose con ostinazione. Così come Churchill anche lui riconosceva
nella Germania un baluardo contro il comunismo da preservare dopo averla liberata dal
nazismo. La sua visione moderata non gli venne per nulla in aiuto durante l'ultimo
difficilissimo inverno di guerra. Sciolte dietro suo ordine tutte le brigate del Consiglio
Nazionale di Resistenza, l'esercito francese rimane composto quasi interamente da gente
del Nord Africa.
Per tutti gli altri, la liberazione della Francia significava la fine della guerra.
Mercato nero, fame e prostituzione divennero all'ordine del giorno, intaccando lo stesso
tessuto sociale francese. Il governo De Gaulle, sebbene accettato, incontrava continue
difficoltà nel riaffermare la propria autorità su tutte le prefetture in particolare su
quelle confinanti con il fronte. Il tutto avrebbe pure potuto degenerare nel caos se fosse
riuscita la grande offensiva tedesca delle Ardenne. Nel momento più acuto della crisi
alleata, i tedeschi furono sul punto di riconquistare la città francese di Strasburgo. La
perdita di quel borgo simbolo per tutti gli alsaziani di lingua francese avrebbe coinciso
con il definitivo disfacimento dell'unità nazionale, nella forse fondata convinzione di
un ritorno nazista. Fu a protezione di quelle poche case ancora integre che la Francia
diede la miglior prova di sé durante la guerra, difendendo ogni strada e ogni ponte come
se fosse stato questione di vita o di morte. Affermare che il comportamento francese abbia
fatto fallire l'offensiva sarebbe certo azzardato, ma con maggiore convinzione si può
dire che abbia contribuito a ridare una verginità professionale a un esercito troppo
provato dalla sconfitta del 1940.
Il crollo della Germania e la nascita della quarta repubblica in Francia avrebbero messo
in disparte un eroe della grandezza di De Gaulle che sarebbe tornato protagonista sulle
scene solo nel 1958 durante la riforma presidenziale. Dell'uomo si poteva criticare il
carattere e le ambizioni; dello statista lo scarso senso delle proporzioni per il ruolo
avuto dalla Francia nella seconda guerra mondiale; del patriota non un solo punto negativo
si sarebbe mai potuto trovare. |