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Donne, la Resistenza "taciuta"
La
Resistenza delle donne e la Toponomastica femminile
di
Duccio Pedercini
Quando
nel mese di giugno 2012 fui contattato da Maria Pia Ercolini, professoressa di geografia,
lei mi segnalò il lavoro che stava svolgendo. In particolare la collaborazione del gruppo
da lei creato, Toponomastica femminile, ad una serie di articoli sui municipi di Roma e
pubblicati su un periodico. Le segnalai allora che al Parco della Pace nel XX municipio
c'era una targa fantasma: il palo di sostegno indicava il cielo azzurro. Quell'ameno
viottolo era intitolato a Settimia Spizzichino, unica donna ebrea romana sopravvissuta ad
Auschwitz e scomparsa nel 2000.
Tutti
conosciamo la storia del rastrellamento del ghetto del 16 ottobre 1943, ma tanti, troppi,
sembrano essersene scordati. La targa era scomparsa da mesi e perfino l'amministrazione
comunale sembrava averla dimenticata, tanto che perfino i parenti di Settimia ne
ignoravano l'esistenza. Nessuno conosce il motivo per cui quella targa fu rimossa, se per
un gesto di intolleranza politica o razziale, o per un gesto di vandalismo, ma comunque
tutti da condannare con determinazione perché figli di disvalori culturali che minano le
basi fondamentali della convivenza civile. Fotografai quel palo e inviai la foto alla
professoressa Ercolini che la pubblicò nel profilo Facebook del gruppo Toponomastica
femminile. Ne nacque un caso civico e giornalistico con dichiarazioni istituzionali. Il 6
e il 7 luglio notizia e foto furono ripresi da molti quotidiani e siti internet e il 16
luglio a Viale Settimia Spizzichino fu riposizionata una nuova targa durante una cerimonia
pubblica. In questo modo conobbi Maria Pia Ercolini e il suo incredibile lavoro sulle
'Partigiane in città'. Nel dicembre scorso anche il nuovo cavalcaferrovia a Ostiense è
stato intitolato a Settimia Spizzichino.
Quello della
Resistenza al femminile, al pari e più di altre realtà di genere, è un argomento
difficile, sottaciuto e sottovalutato per decenni. La guerra contro il nazifascismo è
stata rappresentata quasi sempre al maschile relegando la donna a ruoli secondari. Eppure
oggi possiamo affermare che senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza e che le
donne furono la Resistenza dei resistenti, come disse Ferruccio Parri, poiché senza
loro sarebbe venuta meno l'organizzazione clandestina e senza le 'staffette' la
sopravvivenza dei partigiani sarebbe stata più difficile. Erano loro a portare messaggi,
medicine, cibo, giornali, armi, esplosivi e i famosi chiodi a tre punte, spesso a prezzo
della vita. Fu anche a causa loro che i tedeschi temettero le biciclette e imposero il
coprifuoco a Roma durante l'occupazione. Le donne hanno fatto la Resistenza a pieno
titolo, hanno partecipato con ruoli attivi, militari, politici, logistici, non ne hanno
solo preso parte. Si dice il contributo delle donne alla Resistenza, eppure a
nessuno verrebbe in mente di dire il contributo degli uomini. Dobbiamo opporci
alla visione storiografica che cancella le forme di lotta partigiana condotta senza armi.
Interpretare la lotta partigiana solo con la figura epica, eroica, che rappresenta il
partigiano con il mitra è fuorviante e funzionale a chi vuole sminuire il significato
della Resistenza che fu, purtroppo si deve ribadirlo ancora, una guerra per la liberazione
dell'Italia da un terribile nemico invasore e non una guerra civile, fu lotta di
liberazione di tutti per tutti, donne ed uomini. Per questo è importante la conoscenza
anche di un solo un nome, della storia di una donna resistente, ed è
importante dunque che si portino alla luce e si propongano ancora oggi intitolazioni di
vie e piazze a donne antifasciste e resistenti, come sta facendo Toponomastica femminile
con i progetti Partigiane in città, Largo alle costituenti e Una strada per Miriam, il
primo per monitorare le intitolazioni in tutto il Paese, il secondo per dare
riconoscimento e pari dignità alle protagoniste della Repubblica, il terzo per
raccogliere le firme per intitolare una via a
Miriam Mafai, scomparsa nel 2012, al quale si è purtroppo recentemente
aggiunta la campagna per intitolare una strada a Rita Levi Montalcini. Dietro tutto questo
c'è un patrimonio comune che non può e non deve essere dimenticato.
Dopo l'8
settembre del '43 donne operaie, casalinghe, contadine, studentesse, insegnanti,
impiegate, intellettuali, artiste, di ogni età ed estrazione sociale, lavorano nella
stampa e nella diffusione clandestina, danno vita ai Gruppi di difesa della donna e per
l'assistenza ai combattenti per la libertà, organizzano corsi di preparazione tecnica e
politica, formano reti, vivono la consapevolezza della giusta causa, entrano in
clandestinità, fanno le staffette, le partigiane, conquistano un'arma sul campo. Molte
diventano comandanti di bande partigiane, come Valchiria Terradura che a 18 anni è a capo
di una squadra di uomini, Medaglia d'Argento al valore militare, Croce al Merito di
guerra, Croce di Cavaliere al Merito della Repubblica e grado di Sottotenente. Ma accanto
alle partigiane famose, vi furono migliaia di donne che rischiavano la loro vita senza
imbracciare un fucile, pur trovandosi spesso, ai posti di blocco o nelle loro case, di
fronte quello dei tedeschi durante perquisizioni e retate. Erano loro a nascondere i
clandestini, ad aiutare gli ebrei, a vestirli e curarli. Erano le donne impiegate alla
posta ed adibite alla cernita della corrispondenza a nascondere le lettere che i delatori
inviavano ai comandi tedeschi per denunciare gli antifascisti, e a costo della loro vita
avvisavano gli interessati. E sono ancora una volta le donne a prendere parte attiva
nell'organizzazione degli scioperi. Sono loro che in assenza degli uomini fanno la fila
per il pane con la tessera annonaria, sono loro che lottano per la sopravvivenza dei loro
cari e organizzano gli assalti ai depositi di derrate alimentari. Famoso è l'assalto ai
forni delle dieci donne nel quartiere Ostiense di Roma, assassinate dai tedeschi e dai
militari della PAI al Ponte dellIndustria o 'ponte di ferro' come amano chiamarlo i
romani, dove solo nel 1997 è stata posta una lapide commemorativa, per
iniziativa di Carla Capponi, partigiana dei GAP, Medaglia doro al valor militare e
parlamentare. E sono ancora le donne a salvare i militari sbandati dai rastrellamenti, le
contadine ad ospitarli e guidarli. A Roma, la tredicenne Gloria Chilanti, figlia di
partigiani, entra in clandestinità e compila un diario (Bandiera rossa e borsa nera. La
resistenza di una adolescente. - Mursia, 1998 e omonimo docufilm della Sacher diretto da
Andrea Molaioli), come la sua coetanea Anna Frank. Nasconde civili, porta armi, messaggi,
fa attraversare la città a antifascisti ricercati, fonda una organizzazione clandestina
di ragazzi che incontra adulti e intellettuali. La sua storia non buca le coscienze e solo
da pochi anni è conosciuta agli addetti ai lavori.
E allora mi
viene in mente lefficacia e il ruolo del cinema neorealista, primo fra tutti il film
Roma città aperta, con il quale Roberto Rossellini nel 1945 fece conoscere a
tutto il mondo il dramma delloccupazione nazista a Roma. A ispirare la pellicola
furono le vicende di Don Pietro Pappagallo (Aldo Fabrizi Don Pietro), martire della
Chiesa del XX secolo e Medaglia doro al merito civile, assassinato alle Fosse
Ardeatine il 24 marzo del 44 per aver aiutato la Resistenza, e di Teresa Gullace
(Anna Magnani Sora Pina), anche lei Medaglia doro al merito civile,
assassinata dai nazisti il 3 marzo dello stesso anno per aver tentato di avvicinarsi e
parlare al marito rinchiuso in una caserma a seguito di un rastrellamento. Il film non lo
racconta, ma alla scena assistono due partigiane, la già ricordata Carla Capponi, e
Marisa Musu Medaglia dargento al valor militare. Vedendo luccisione della
Gullace, Carla tira fuori la pistola ma viene contemporaneamente protetta dalle altre
donne ed arrestata dai tedeschi. Marisa le toglie la pistola e le infila in tasca una
tessera fascista che le salverà forse la vita. La scena di Pina che grida Francesco
prima di essere mitragliata è entrata profondamente nel nostro patrimonio culturale, ma
pochi conoscono la storia di Teresa, ricordata in una targa in Viale Giulio Cesare a Roma.
Una targa non serve solo a ricordare una persona e a commemorarla, ma a trasmettere e
condividere valori positivi, proprio come un film o un libro.
A via Tasso a
Roma, tra il settembre del 43 e il giugno del 44 finirono rinchiuse e
torturate 122 donne ma nessuna di loro parlò o tradì i compagni. Il silenzio di quelle
donne fu una delle armi più efficaci contro la macchina di morte nazifascista. Quello
delle donne era un esercito solidale, silenzioso, senza divisa e senza gradi, un esercito
di volontarie della libertà che restituirono senso e valore al ruolo della donna nella
società dopo anni di dittatura fascista che le aveva relegate a ruoli secondari in ogni
ambito della vita sociale.
Durante la
guerra e loccupazione molte donne furono impiegate in lavori maschili mentre gli
uomini erano al fronte, svolgendo i loro ruoli spesso meglio dei maschi. Le storie delle
donne che in vario modo partecipano alla Resistenza sono storie eterogenee di donne che
trovano però motivazioni ideali comuni che le conducono a scelte coraggiose ed
orgogliose, mai scontate o rinnegate. Allinizio è anche la guerra privata di donne
che smettono improvvisamente di sentirsi solo madri o figlie, che decidono di lottare non
solo contro loccupante tedesco o i fascisti di Salò, ma per liberare se stesse dai
pregiudizi morali e dalle discriminazioni imposte dalla cultura maschile. La Resistenza,
delle donne e degli uomini dunque, è nata come spinta a difendersi da una condizione
sociale e dalla dittatura e dagli orrori trasformandosi in una reazione attiva e in una
volontà di costruire qualcosa di nuovo, al di là della conquista della libertà.
Troppe donne
non sono state riconosciute patriote o partigiane e dei loro nomi e coraggio si è persa
memoria. Occorre ricordare allora anche il loro contributo di sangue. Di 460.933
qualifiche partigiane riconosciute, circa 53.000 furono assegnate a donne, solo l11,5%.
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa
della Donna. Furono 4.653 le arrestate e torturate, oltre 2.750 vennero deportate in
Germania, 2.812 fucilate o impiccate, 1.070 caddero in combattimento, 19 vennero decorate
di Medaglia d'oro al valor militare, 54 con la medaglia dArgento, 167 con Medaglia
di Bronzo. Le donne dunque hanno partecipato a testa alta alla Resistenza ed hanno
contribuito al riscatto morale e civile di tutta la società.
E
per valorizzare tutto questo che lAnpi, aprendo le porte allassociazione dal
2006 a tutti gli antifascisti, pone una profonda attenzione alla formazione delle nuove
generazioni affinché possano essere preparate al passaggio generazionale e diventare
vigili custodi di una memoria che non è solo ricordo, ma riguarda la storia e il futuro
dellintero Paese.
Duccio
Pedercini
presidente
sez. ANPI Martiri de La Storta - Roma
Il
presente articolo, riveduto ed ampliato, è una nuova versione del testo pubblicato in
Sulle vie della parità. Atti del 1º Convegno di toponomastica femminile (Roma, 6-7
ottobre 2012), curato da Maria Pia Ercolini, Ed. Universitalia. |