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La Resistenza nel Nord
La Resistenza in Alto Adige
di Andrea Mascagni
La Resistenza nella nostra regione è rimasta circoscritta
alla presenza di minoranze combattive e tenaci, votate inevitabilmente al sacrificio,
precluse di fatto dalla possibilità di dar vita ad un movimento di massa. L'episodica è
vasta e ricca di aspetti interessanti e significativi, ma - fatta salva l'incidenza
apprezzabile di centri politicamente organizzati e di momenti di particolare rilievo - è
pur sempre una episodica articolata a livello di gruppi che cospirano, stabiliscono
contatti in ambiti territoriali e nei luoghi di lavoro, effettuano azioni di collegamento
e di aiuto nei confronti delle iniziative più organiche, agiscono anche direttamente,
quando le circostanze lo permettano, con azioni di disturbo, di sabotaggio o più spesso
«si preparano» per il momento atteso.
Di vere e proprie formazioni partigiane armate che si organizzino militarmente per la
guerriglia, in grado di impegnare il nemico, e siano in grado di coinvolgere in una vasta
azione di sostegno diretto o indiretto settori interi di popolazione non è possibile
parlare, se non di situazioni particolari. Tali possono considerarsi le formazioni della
valle di Fiemme (Val Cadino) e della valle di Non e, con caratteristiche diverse per
diverse condizioni ambientali, i gruppi armati del Basso Sarca, che assumono un
particolare rilievo nel periodo finale della Resistenza. A queste formazioni affluirono
numerosi giovani della provincia di Bolzano. Più consistenti sono le formazioni
partigiane sorte ai margini del territorio della provincia, in collegamento con «zone
calde» di territori limitrofi: basti ricordare il Battaglione «Gherlenda» che coinvolge
la zona del Tesino nell'intensa azione partigiana di contigue zone del Bellunese, e la
Brigata «La Pasubiana» che saldamente unisce l'attivissima provincia di Vicenza con la
zona di Folgaria - Rovereto, formazioni nelle quali entrano e valorosamente combattono
numerosi trentini. La stessa organizzazione del Basso Sarca trae rilevante sostegno dai
collegamenti che fin dai primi periodi della lotta partigiana stabilisce con le formazioni
del Bresciano. E' superfluo dire, per completare il quadro territoriale, che in provincia
di Bolzano il movimento di resistenza è costretto in spazi ancora più limitati in
conseguenza dell'inesorabile occupazione nazista.
Si riduce alla città di Bolzano e in centri vicini e, per la popolazione di lingua
tedesca, al gruppo antinazista della Valle Passiria, che pure conta su limitati
collegamenti con persone e nuclei sparsi nella provincia. e ai numerosi disertori, molti
dei quali catturati e giustiziati.
Va notato in proposito che tra i gruppi di resistenza italiani e quelli sudtirolesi non si
verificò alcun collegamento salvo incontri tra i maggiori responsabili (Longon e Amonn).
Non esistevano dunque nella regione condizioni favorevoli all'affermarsi della lotta
armata. Basti valutare l'importanza eccezionale del territorio dal punto di vista
strategico per la guerra nazista, come linea di diretto collegamento tra la Germania e
l'Italia. Donde la particolare «cura» assegnata al Trentino e all'Alto Adige dai comandi
politici e militari nazisti, i quali, realizzando una annessione di fatto del territorio
con quello della provincia di Belluno, al Reich (Alpenvorland - zona delle Prealpi)
adottano una decisione estremamente realistica e, per così dire, funzionale alle
condizioni psicologiche di gran parte delle popolazioni: la proibizione di qualsiasi
organizzazione di tipo fascista italiano. La repressione nazista del resto, nei confronti
dei nuclei di resistenza e di organizzazione partigiana, fu durissima e tese a liquidare
inesorabilmente ogni tentativo. Le perdite furono gravissime. Il campo di concentramento
in via Resia fu luogo di durissime repressioni e di morte per tanti e tanti patrioti
italiani e anche sudtirolesi.
Ma per intendere a fondo le condizioni di lotta è necessario dedicare attenzione agli
orientamenti delle popolazioni, passate attraverso difficili esperienze durante il
ventennio fascista. Tale valutazione non può prescindere da un riferimento parallelo alle
due province e alle rispettive condizioni di esistenza profondamente diverse. La
popolazione tedesca dell'Alto Adige troppo aveva pagato in venti anni di oppressione
fascista. La pesante vicenda, conclusasi con il ricatto delle «opzioni», non le aveva
lasciato margine utile per una presa di coscienza dei drammatici problemi che investivano
l'umanità intera, mentre era ancora in giuoco la sua stessa esistenza come gruppo
linguistico. E d'altro canto quali istanze democratiche avrebbe potuto esprimere una
popolazione sottoposta per vent'anni ad un implacabile processo di alienazione, una
popolazione che si era vista privare della propria lingua e della propria cultura,
strumenti fondamentali di conoscenza, di riflessione critica, ed aveva doppiamente subìto
il fascismo, sul piano politico-istituzionale e su quello nazionale? Su questa
popolazione, coinvolta per comprensibile reazione dell'ingannevole richiamo esercitato
dalla Germania nazista, pesavano condizionamenti di ordine storico-politico tali da
precludere ogni reale possibilità di comprensione verso la Resistenza italiana.
In questi elementi oggettivi vanno ritrovati i motivi caratterizzanti il movimento di
resistenza altoatesino. Che, per altro verso, non poteva non risentire della stessa
formazione della popolazione italiana superficialmente legata all'ambiente, priva di
quelle radici storiche di lotta sociale e di esperienze dal basso, che nelle altre regioni
avevano rappresentato l'elemento determinante, l'irrompere delle masse popolari nella
lotta armata. Nel Trentino le tradizioni antifasciste, di matrice cattolica, socialista,
comunista, ben più saldamente radicate e di lunga esperienza, avevano consentito rapporti
e legami di notevole portata con i centri più attivi dell'antifascismo.
(altoadige.kataweb.it)
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