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La Resistenza nel Nord
La Resistenza in Trentino
di Giorgio Tosi
Anche in Trentino la nostra repubblica antifascista ha tratto alimento e
radici dalla resistenza. Ma anche in Trentino il passaggio difficile e sanguinoso dal
fascismo alla emocrazia è stato sepolto da decenni di silenzio, che hanno oscurrato non
solo la memoria di eventi ormai lontani ma l'identità stessa dei trentini e il loro stare
nella comunità nazionale. Per esempio pochi sanno, anche in Trentino, che la battaglia
per la liberazione di Riva del garda [al confine con la repubblica di Salò] fu una delle
più notevoli combattute dopo l'insurrezione nazionale del 25 aprile 45. Durò tre giorni,
e vide impegnate notevoli forze militari con alterne vicende. Alla fine la brigata
Garibaldi "Eugenio Impera", guidata dal comandante comunista Dante Dassatti, e i
battaglioni degli operai Fiat [interi reparti erano stati trasferiti dopo l'8 settembre da
Torino nelle gallerie della Gardesana occidentale] ebbero ragione della guarnigione
tedesca e dei fascisti in fuga dalle viceni province di Verona e di Brescia, salvando la
città dal bombardamento americano. Pochi sanno, anche in Trentino, che la vittorios
abattaglia di Riva aveva radici lontane, tra cui la costituzione nella zona del Basso
Sarca di un gruppo antifascista studentesco attorno a un insegnante del locale liceo, il
prof. Guido Gori; gruppo poi allargatosi e trasformatosi in formazione partigiana guidata
dal tenente degli alpini Gastone Franchetti. Questo gruppo partigiano che ebbe una
struttura organizzativa, basi e armi già prima dell'8 settembre 43, venne successivamente
distrutto dalla brutale repressione nazista. All'alba del 28 giugno 44 reparti SS
operarono decine di arresti e assassinarono nel triangolo Riva, Arco, Torbolo-Nago 16
persone tra cui i giovani studenti Eugenio Impera e Enrico Meroni: "Ragazzi in
guerra", come li definisce un bellissino filmato per le scuole che ha visto la luce
in questi giorni a cura del Museo del Risorgimento e della Libertà di Trento e
dell'Istituto Parri di Bologna. Giovani martiri la cui epopea è raccontata nel libro
"Stagioni interrotte" di Luciano Baroni, uno dei protagonisti di quella storia
insieme a Renato Ballardini, a Giulio Poli e a tanti altri. Tra i sopravvissuti alla
strage cinque partigiani vennero processati il 2 agosto 1944 dal tribunale militare
tedesco di Bolzano: Gastone Franchetti, comandante della formazione, Giuseppe Porpora.
Giuseppe Ferrandi, Gino Lubich e il sottoscritto. Il procuratore militare Werner von
Fischer chiese la pena di morte per tutti. Il Tribunale presieduto dal generale Sprung
condannò a morte Franchetti e Porpoa, che vennero fucilati, e al ccarcere duro gli altri
che vennero liberati alla fine della guerra [gli atti del processo sono stati recentmente
ritrovati e acquistati dal Museo del Risorgimento e della Libertà di trento]. la violenza
del pluridecennale silenzio fa emergere in folla le memorie di quell'epoca che cambiò la
mia vita. Voglio ricordare soltanto che nel carcere di Bolzano ebbi la ventura di
incontrare Tita Piaz, il leggendario arrampicatore delle Dolomiti e Francesco Jori, altro
grande dell'alpinismo, e di rimanere nella loro cella oltre un mese. Entrambi trentini,
entrambi arrestati perché considerati nemici del Reich nazista.
Pochi sanno queste cose [e numerose altre che potrei raccontare] a causa dell'oblio in cui
è stata sepolta la Resistenza anche in Trentino. Le ragioni della rimozione sono
molteplici e comuni al resto d'Italia: non ultima la contraddizione insita nella
Resistenza stessa, che è stata nello stesso tempo autentica opposizione e guerra di
popolo, ma anche zattera di salvataggio sulla quale la classe dominante riuscì a
traghettare la continuità dello stato, facendo abortire sul nascere quella rivoluzione
[nel senso gobettiano e gramsciano del termine] di cui l'Italia aveva bisogno. Ma nel
biennio 43-44 il Trentino ha avuto inoltre una sua storia particolare, che molto ha pesato
e sulla quale solo da qualche tempo gli studiosi cominciano a riflettere. Essa può essere
sintetizzata col titolo di un libro apparso nel 1975 e presto ignorato: "Trentino
provincia del Reich" - [P. Agostini, ed. Temi, Trento, 1975].
Dopo l'8 settembre 1943 la provincia di Trento, insieme a quelle di Bolzano e di Belluno,
fece parte della "zona di operazione delle Prealpi" [Alpenvorland] e venne posta
da Hitler direttamente sotto il dominio del Gauleiter di Innsbruck, Franz Hofer.
A differenza che nel bellunese, che ebbe una storia del tutto diversa, i nazisti attuarono
una politica intelligente basata sinteticamente su questi punti: proibizione in Trentino
[e in Alto Adige] delle organizzazioni fasciste, chiusura delle sedi, divieto alle milizie
repubblichine di oltrepassare i confini della regione [sottratta di fatto alla sovranità
di Salò]; leva dei giovani trentini in un corpo di sicurezza [che non fu inviato al
fronte]; mantenimento dei fondamentali rifornimenti alimentari; nomina a capo della
amministrazione civile di un avvocato liberale trentino [de Bertolini] esponente di un
moderato antifascismo. Con questa operazione politica i tedeschi fecero venir meno fin
dall'origine [per il Trentino] una delle tripartizioni suggerite da Claudio Pavone per la
Resistenza: "Guerra civile".
I partigiani, infatti, non ebbero occasione durante i 18 mesi di occupazione [salvo che
negli ultimi giorni di guerra] di scontrarsi militarmente con i repubblichini che le forze
armate tedesche tenevano rigorosamente fuori dei confini. Nessun'altra provincia italiana
conobbe questa strana sorte, recentemente sottolineata dallo storico prof. Vincenzo Calì
[direttore del museo del Risorgimento e della resistenza di trento] nella conferenza
tenuta a Riva del Garda il 9 maggio 1994, sul tema: "La Resistenza in una provincia
di confine". Non vi è dubbio che sotto questo profilo la resistenza trentina fu
essenzialmente guerra di liberazione dal tedesco invasore, e solo indirettamente [come
parte di un tutto] dal fascismo. Ma l'operazione politica sopra accennata produsse altri
più rilevanti effetti. Un giovane storico ha recentemente evidenziato che gli obiettivi
sottesi all'operazione non erano riconducibili alla sola dimensione militare, e cioè
all'esigenza di garantire la sicurezza del Brennero [come via di rifornimento al fronte].
In realtà i nazisti miravano, illusoriamente, più lontano: porer i fondamenti politici e
amministrativi di una futura annessione del Trentino al grande Reich. L'incontro del
Gauleiter Hofer subito dopo l'8 settembre 43 con un centinaio di notabili trentini ,
accompagnata dalla nomina a Prefetto dell'avvocato de Bartolini, voleva apparire la pedana
di lancio di una "autonomia trentina" all'interno della galassia ariana ideata
dai nazisti. L'evento fu accolto favorevolmente dall'opinione pubblica trentina -
[Giuseppe Ferrandi, "Resistenza armata e resistenza civile, riflessioni sul caso
trentino" in "Archivio trentino di storia contemporanea" 1. - 1995].
Del resto i trentini avevano conosciuto l'Italia dopo la prima guerra mondiale attraverso
la funesta esperienza fascista, e non c'è da meravigliarsi che il gesto di Hofer
apparisse loro come una chance verso la sospirata autonomia. A parte ogni altra
considerazione non vi è dubbio che le autorità naziste riuscirono, con quella operazione
politica, a neutralizzare la maggioranza della popolazione che almeno fino al 28 giugno
1944 rimase sostanzialmente indifferente [talvolta ostile] ai nuclei resistenziali. Questi
restarono di conseguenza un fenomeno elitario e minoritario, almeno sul piano militare,
nche se di inestimabile valore su quello eticopolitico, segnato da un grande sacrificio di
sangue [arresti, internamenti, fucilazioni, torture, veri e propri massacri].
L'"anomalia" trentina durante la Resistenza sembra dunque nascere da un errato
sogno di autonomia nel quadro del grande Reich. Non è da escludere che la successiva
rimazione della Resistenza possa trovare una delle sue cause remote in quella "falsa
autonomia", e una causa prossima nel torpore indotto dalla "pingue
autonomia" dei decenni che seguirono al 1945: torpore che ha rischiato di corrompere
la autentica "koinè" trentina. ora che nuovi barbari premono alle porte, ora
che la "democrazia di Barabba" [secondo la felice espressione di Gustavo
Zagrebelsky] sembra prevalere sulla democrazia nata dalla Reistenza, anche in Trentino
nascono iniziative per riscoprire le radici della nostra storia e per controllare la
fondatezza di rinate speranze. Nonostante l'"anomalia", o forse proprio per
causa delle particolari difficoltà da esse create, i trentini possono essere fieri della
loro Resistenza che ha visto intrecciate le tradizioni forti della nostra storia,
impersonate da straordinarie figure: Gigino Battisti [figlio di Cesare Battisti],
Giannantonio Manci di giustizia e Libertà, i partigiani della Val Cadino e del
battaglione "Gherlenda" tra cui le due donne medaglie d'oro Ancilla Marighetto
[di Ora] e Clorinda Menguzzato [di Veglia], i martiri del 28 giugno 1944, e tanti altri
che bisognerebbe ricordare ad uno ad uno. E' stato ccertamente un contributo di alto
valore quello che i resistenti trentini hanno dato alla guerra di liberazione nazionale,
base dell'accordo costituzionale che ancora regge la nostra repubblica. E' necessario che
i trentini, e quanti con loro combatterono allora [provenendo da altre regioni] lo
ricordino oggi, a cinquant'anni dalla riconquistata libertà contro il fascismo, nemico di
tutte le libertà.
(tratto da ilmanifesto.it)
Partigiani
in Trentino (da "Questo Trentino", 13 gennaio
2001)
La
Resistenza, la popolazione, la memoria (da "Questo
Trentino", 13 ottobre 2001)
Ribelli
di Confine - La Resistenza in Trentino (da "Questo Trentino" 13 ottobre
2001)
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