home |
|
la Resistenza romana
Saggi
Roma città
aperta nelle fotografie ufficiali dellepoca
di Stefano Mannucci
Romani,
dopo lappello di S.M. il Re Imperatore agli Italiani e il mio proclama, ognuno
riprenda il suo posto di lavoro e di responsabilità. Non è il momento di abbandonarsi a
dimostrazioni che non saranno tollerate. Lora grave che volge impone ad ognuno
serietà, disciplina, patriottismo fatto di dedizione ai supremi interessi della Nazione.
Sono vietati gli assembramenti e la forza pubblica ha lordine di disperderli
inesorabilmente. Badoglio.
Così era
scritto in un manifesto affisso sulle mura di Roma il 26 luglio del 1943, e fotografato
dagli operatori dellIstituto Luce.
Quando la radio
aveva annunciato la destituzione di Mussolini, gli operatori dellIstituto, che per
tutto il Ventennio avevano ripreso le adunate oceaniche di Piazza Venezia e le
acclamazioni popolari ai discorsi del duce, si gettarono di nuovo per le strade di Roma,
questa volta con lintento, però, di fotografare il consenso della popolazione alla
decisione di porre fine al regime fascista.
Gli operatori
del Luce fotografarono così la popolazione riversare nelle strade di Roma per acclamare
Badoglio nella veste del nuovo Capo del Governo. Essi fotografarono la città
imbandierata, nonché la folla di persone che gremiva via del Corso, via Nazionale,
innalzando cartelloni con sopra scritto W lItalia libera.
In una piazza
Colonna riempita dalla folla, gli operatori del Luce ripresero alcune persone innalzare un
cartello con sopra impressa la scritta Piazza G. Matteotti; per poi
seguire le persone che, arrampicandosi su lunghe scale, iniziavano a demolire i fasci
littori dalle mura dei palazzi.
Ma presto tali
manifestazioni di esultanza popolare iniziarono ad essere sgradite al nuovo governo
insediatosi, arrivando al punto di ordinare alle forze dellordine di sciogliere
molti assembramenti con luso della forza, e così il Luce, dopo aver fotografato il
popolo che si gettava nelle vie a distruggere tutti i simboli del fascismo che trovava
lungo il suo corso, iniziò a riprendere anche i primi provvedimenti del nuovo governo
Badoglio, i primi picchetti armati e laffissione del sopra citato primo manifesto
murale.
E bisognò
aspettare la giornata del 15 agosto per trovare nuovamente fotografie di assembramenti
popolari consentiti, quando gli operatori del Luce fotografarono la folla che riempiva
Piazza San Pietro per acclamare Pio XII a testimoniare laffetto ed il ringraziamento
che la popolazione gli donava per aver visitato i luoghi colpiti dai bombardamenti, oltre
alla riconoscenza per lintervento e linteressamento che la diplomazia vaticana
aveva avuto nel far dichiarare Roma città aperta, riflettendo, così, come la
popolazione romana ormai affidasse le proprie speranze soltanto alla Santa Sede ed al Papa.
Nei giorni
dellagosto del 1943, il Reparto Guerra del Luce, nel frattempo, tornò spesso a
documentare gli effetti dei bombardamenti a Roma, riprendendo una cerimonia militare con
la bandiera italiana a mezzasta in segno di lutto, ma soprattutto fotografando i
cadaveri che affioravano fra le macerie. Gli operatori del Reparto fotografarono i corpi
morti di un gruppo di neonati, i cadaveri stesi sul selciato divelto davanti ad un asilo
comunale nella zona romana di Tiburtina, i treni incendiati nella stazione Casilina, o i
corpi senza vita che venivano ritrovati fra le macerie, o stesi nel mezzo della ferrovia
bombardata. Ma queste fotografie furono tutte archiviate come riservate, a testimoniare
come la censura sullimmagine fotografica continuasse, nonostante il cambio di
governo.
Il Luce, per
certi versi, nei giorni seguenti testimoniò emblematicamente anche la confusione in cui
fu gettata la nazione, ed in assenza di vere e proprie direttive politiche su cosa
fotografare, nei quarantacinque giorni di Badoglio, si concentrò a produrre
un innumerevole quantitativo di fotografie sulla lavorazione del vetro a Murano, a
Trieste, sulla produzione ortofrutticola di Chioggia, o effettuando un ampio servizio
fotografico sulle varie fasi di lavorazione della sezione conserviera dellindustria
Arrigoni.
E nessun
operatore dellIstituto si aggirò per Porta San Paolo, la mattina del 10 settembre,
quando civili e reparti dellesercito, dopo la fuga di Badoglio e del re, cercarono
di resistere alloccupazione della città da parte dellesercito nazista.
Nessuna immagine fu ufficialmente prodotta dallIstituto, e se vogliamo cercare
qualche scorcio di quella giornata, lo possiamo rinvenire in fotografie di privati che
riprendevano i resistenti nellatto di difendere Roma dietro barricate improvvisate o
proteggendosi dietro le vetture, opponendo, nonostante limmenso divario di forze
umane e militari che giocava a favore delle truppe del maresciallo Kesselring, una strenua
e coraggiosa battaglia.
E prima di essere trasferito definitivamente a Venezia, dove
dallottobre del 1944 sarebbe stato dotato di una spaziosa residenza a
SantElena dei Giardini, nel cineborgo della Repubblica di Salò, il Luce tornò ad
aggirarsi per la città, per riprendere essenzialmente la costituzione del Partito
Fascista Repubblicano. Gli operatori fotografarono le varie manifestazioni pubbliche, le
visite degli esponenti del partito ad asili e sanatori, la messa e le manifestazioni alla
memoria di Ettore Muti, le iscrizioni degli aderenti al partito, il maresciallo Graziani
tenere il discorso del teatro Adriano, i valori di Montecassino portati a Castel
SantAngelo, la Federazione Romana del PFR rendere omaggio al Milite Ignoto e
allAra dei Caduti Fascisti, o confezionare i pacchi dono per sinistrati e sfollati.
Una rappresentazione fotografica che cercava di costruire
limmagine di un partito vivente ed ancora presente nella vita italiana. Ma la vera
realtà della città iniziava ad essere tratteggiata in una delle ultime fotografie
scattate dal Luce sul suolo romano, quando gli operatori ci consegnarono limmagine
di una Roma ormai pattugliata dai soldati tedeschi, a vigilare sulla linea di
confine a Piazza San Pietro, come recitava la didascalia impressa nei registri
dellArchivio Fotografico del Luce.
Una volta trasferito lIstituto, gli operatori del Luce
raramente tornarono a Roma per fotografare gli eventi della città durante i mesi
delloccupazione nazista. Poche furono le fotografie scattate sul suolo romano,
qualche raro spettacolo in onore dei feriti italo-tedeschi alla presenza di Pizzirani,
qualche immagine raffigurante soldati alleati a marciare prigionieri per le vie del
centro, pubblicate con sotto impresse didascalie quali: Gli anglo-americani hanno
visto Roma; oppure le immagini dei bombardamenti angloamericani che continuavano
a colpire la città, come lampia documentazione sui bombardamenti
avvenuti nel marzo del 1944, fotografando gli effetti di tali bombardamenti sulla
parrocchia di San Benedetto, al quartiere Ostiense, sulla Casa della Maternità alla
Garbatella, sul convento delle suore Orsoline o sullasilo dinfanzia in via
Lorenzo il Magnifico.
Furono altri fotografi a rappresentare ufficialmente gli eventi della
città. Accanto allIstituto Luce, infatti, durante il periodo delloccupazione
nazista, operarono nella ripresa degli avvenimenti in Italia anche i vari fotografi
tedeschi della Propaganda Kompanien dellesercito, dellaviazione, della marina
e della Waffen-SS, presso le quali erano appunto distaccati i vari fotografi di guerra. I
fotografi dipendevano dallOberkommando der Wehrmacht, cioè dalla sezione del
comando supremo delle forze tedesche, incaricata della propaganda, ed a cui giungevano
tutte le immagini, per essere sottoposte al vaglio della censura prima di poter essere
distribuite alle agenzie di stampa.
Ed erano state proprio le PK,
daltronde, a fotografare la liberazione di Mussolini, il 12 settembre del 1943, a
Campo Imperatore sul Gran Sasso, ritraendolo rattrappito in un cappotto col bavero
rialzato, intento a salire su di un piccolo aereo.
E sarebbero state sempre loro
molto spesso a consegnare alla storia la terribile testimonianza di molti eccidi
perpetrati dai nazisti contro la popolazione civile italiana. Fotografie scattate con
lintenzionalità politica di elevare la morte a monito contro i partigiani affinché
non continuassero la loro resistenza, fotografie scattate per una consuetudine militare di
ritrarre immagini di morte violenta per esorcizzare la morte stessa, fotografie che poi
sarebbero rimaste a testimoniare latrocità di quelle rappresaglie ed in molti casi
furono anche utilizzate come prove giudiziarie durante i processi che si sarebbero avuti
nel dopoguerra.
Molte di queste fotografie sono
state raccolte da Mignemi e De Luna nel loro libro Storia fotografica della
Repubblica Sociale Italiana,
ed osservando alcune fotografie, limmagine risalente che i fotografi delle PK
tratteggiarono di Roma, per certi versi, sembra quasi tessere una trasfigurazione della
realtà cittadina.
Basti vedere quei servizi
fotografici che forse intendevano propagandare limmagine di una Roma senza alcun
problema alimentare. Gli operatori ripresero i greggi e le piccole mandrie che
attraversavano le piazze della città per essere portati al mattatoio, o si aggirarono per i mercati rionali, fotografando
banchi pieni di frutta, verdura e pollami. Una rappresentazione che stridente contrastava
con le voci e le testimonianze che si levavano dalla popolazione a tratteggiare una
realtà di continua fame, in una città in cui la distribuzione delle razioni alimentari
sembrava sempre più divenire quantitativamente insufficiente, come veniva anche attestato
nelle relazioni fiduciarie che riportavano il malcontento della popolazione e nei
documenti del Ministero dellInterno. Una rappresentazione che certo non fotografava
la realtà di quei vasti settori della popolazione che venivano gradualmente stritolati
fra le disposizioni che aumentavano il prezzo del pane, la distribuzione ritardata della
razione di pasta, le speculazioni crescenti dei borsari neri.
Ma questa, daltronde, era
una rappresentazione che ricordava la coreografia fotografica effettuata dal regime
fascista durante i primi anni di guerra, quando i fotografi del Luce si aggirarono per
Roma a riprendere lallestimento dei vari orti di guerra, con lintento di
attestare la produttività dellagricoltura italiana, di enfatizzare la mobilitazione
della popolazione, e ricollegare la rappresentazione dellItalia fascista come
continuazione storica dellantica Roma, in cui il cittadino era dipinto come
guerriero e contadino veterano.
Al fine di negare la drammaticità
economica e sociale del paese, sin dallestate del 1941, il Luce aveva così iniziato
a fotografare i vari orti di guerra che riempivano gli spazi pubblici delle città. Gli
operatori fotografarono gli orti di guerra di Villa Torlonia, nei giardini di San
Giovanni, od ancora il 6 agosto del 1941 allUniversità La Sapienza. In
questultimo caso, con lulteriore intento di propagandare limpegno di
tutta la società agli sforzi della guerra, gli operatori del Luce fotografarono alcune
giovani studentesse sorridenti mentre raccoglievano delle patate nellorto di guerra,
impiantato nei giardini di fronte alla facoltà di Fisiologia Generale.
Gli orti di guerra iniziarono a
riempire sempre di più ogni angolo delle città, ed il Luce, nel febbraio del 1942,
fotografò il loro allestimento a Villa Umberto, a San Giovanni in Laterano, lungo viale
dellImpero, al Colle Oppio, per poi riprendere nellestate successiva, la
popolazione intenta nelle varie fasi della lavorazione e della trebbiatura del grano in
piazza del Popolo a Roma.
Ancora più surreali sembravano i
servizi fotografici delle PK che riprendevano le tranquille passeggiate nelle città, le
persone sedute sui bar ad ascoltare musica e sorseggiare tranquillamente aperitivi, od
appoggiati sotto un sole primaverile a leggere le ultime notizie dei giornali, così
contrastanti con la realtà di una città schiacciata dal coprifuoco e attonita dalla
paura dellinvasore. Alcune fotografie sembrerebbero scattate a ricordo di una
situazione privilegiata che vivevano i soldati, come nelle immagini che ritraevano lo
spettacolo di una ballerina in un locale notturno frequentato dalle truppe tedesche. Ma
forse, a tali immagini, era anche soggiacente il disegno politico di propagandare il
messaggio di come soltanto gli anglo-americani violassero con i loro bombardamenti lo
status di città aperta della capitale.
>Immagini che certo sembrano assurde rispetto alla realtà di via Tasso
145, la caserma della Gestapo diretta dallufficiale Kappler, nel cui carcere durante
i mesi delloccupazione nazista, furono
rinchiusi e torturati civili e partigiani prima di essere deportati o fucilati a Forte
Bravetta; rispetto alle continue torture perpetrate dallaguzzino Koch e dalla sua
banda nella pensione Jaccarino, rispetto al numero di persone deportate, dal
rastrellamento del ghetto ebraico a quello del Quadraro.
Una realtà che emerse agghiacciante oltre laspetto patinato
delle fotografie di costume, quando dopo lattentato partigiano in via Rasella, con
cui fu annientata la 11° compagnia del terzo battaglione delle SS Polizei Regiment Bozen,
le PK fotografarono il 23 marzo 1944 le fasi del rastrellamento, riprendendo un
sottoufficiale del comando di Roma intento ad esaminare i resti della bomba, ma
soprattutto immortalando i militari altoatesini del Polizei-Battaillon Bozen pattugliare
la strada con le spalle al muro ed i fucili puntati alle finestre delle case.
Quelle case che furono crivellate di proiettili dai nazisti alla
disperata ricerca di colpire gli esecutori dellattentato. Una foga ed una voglia di
vendetta che spinse i soldati ad arrestare chiunque passasse nei paraggi, prelevando dagli
appartamenti e dai fabbricati da cui si pensava fosse stato sparato chiunque vi si
trovasse in quellistante, perquisendo abitazioni arrestando un gran numero di
abitanti totalmente estranei al conflitto in atto. Una massa di arrestati, perseguiti, i
cui volti compaiono in quelle fotografie, ritratti addosso alle mura di palazzo Pittoni,
sotto lo sguardo vigile ed armato dei soldati.
E furono ancora le PK a fotografare le persone schierate davanti la
cancellata del Palazzo Barberini, controllate a vista dai fucili spianati dei soldati del
III battaglione del Polizei-Regiment Bozen e del battaglione Barbarigo della X Mas. Visi di
persone che poi sarebbero stati sottoposti a strenuanti interrogatori condotti con sevizie
e senza alcun rispetto della dignità umana, testimoniando linizio di una foga di
rappresaglia che culminò con leccidio delle Fosse Ardeatine, in cui 335 italiani
furono uccisi per soddisfare la voglia di vendetta di Hitler e del comando militare
tedesco operante in Italia.
E se nessuna immagine è stata rinvenuta di quei drammatici momenti,
se la strage fu condotta nella più assoluta segretezza, è senzaltro vivida nel suo
dolore la testimonianza lasciata dal documentario Giorni di Gloria relativa alla scoperta delle salme. Quelle immagini in
bianco e nero a riprendere le ricerche degli scavatori nei cunicoli che i tedeschi avevano
ostruito con le esplosioni dei genieri e con mucchi di immondizia per meglio occultare lo
scempio da loro perpetrato. Quelle immagini a testimoniare il momento del ritrovamento di
quei corpi ammassati in una lugubre piramide, sommersi dal terriccio causato dalle
esplosioni, trasportati ormai irriconoscibili sopra i tavoli dove si sareb
be ricercato di ridonare
loro quellidentità strappata dalleccidio nazista. Visibili nelle
immagini erano ancora le mani delle vittime legate con fili e corde dietro le schiene. E
poi oggetti, soltanto oggetti appartenuti alle vittime, in molti casi unico legame
possibile rimasto per donare un nome a quegli scheletri e teschi appartenenti a persone
consumate dallatrocità nazi-fascista. Orologi, frammenti di lettere, parole scritte
per un ultimo addio od unultima preghiera, brandelli di stoffe, unico legame per
effettuare unidentificazione altrimenti impossibile. Ed ancora le immagini
strazianti del pianto e delle urla dei parenti, la disperazione dopo aver riconosciuto
qualche caro fra i martiri delle Fosse Ardeatine. Ma anche il dolore composto di quei
parenti che con la loro testimonianza raccontavano quelle giornate di smarrimento, quando
non avevano notizie dei propri cari, e temevano quella sorte avversa che poi si sarebbe
avverata.
E dopo qualche mese avvenne la
Liberazione della città, e furono questa volta gli operatori foto-cinematografici a
seguito delle truppe americane
a riprendere i momenti di quelle giornate. Gli operatori fotografarono i soldati
allingresso di Porta Maggiore nella giornata del 5 giugno, per poi riprendere la
popolazione festeggiare nelle vie della città, le ragazze sorridenti e le jeep americane
con seduti sopra bambini e civili in festa. I fotografi ripresero un Altare della Patria
gremito di soldati statunitensi accerchiati da una popolazione trepidante per la
liberazione dai tedeschi. Nei giorni seguenti, gli operatori fotografarono le persone
riunite in cerchio a leggere i giornali che annunciavano levento, come lAvanti
che recitava Da Roma liberata un solo grido: Italia libera! od il Tempo che annunciava Le truppe anglo-americane sono entrate ieri a Roma. Ma soprattutto si aggirarono per la città a fotografare i
soldati americani offrire cibo ai civili dalle proprie scatolette o mentre si apprestavano
a curare una ragazza ferita, nel cui viso era ancora vivida unespressione di timore.
Ed anche nei mesi successivi, gli operatori americani cercarono, attraverso le proprie
fotografie, di testimoniare le attenzioni e linteresse che i soldati apprestavano
alla popolazione romana, come nelle immagini che ritraevano la coda di persone accorrere
per ricevere assistenza alimentare al Centro Cucina Popolare n.15; per poi produrre le
immagini di una serena amicizia fra i soldati e le ragazze del luogo, come quelle
fotografie che ritraevano soldati intenti a passeggiare serenamente per strade o a farsi
accompagnare per i monumenti della città da quelle ragazze sorridenti che nelle
didascalie venivano indicate come le segnorine.
Una metodologia fotografica che
pian piano pose le fondamenta nellimmaginario collettivo del mito del soldato
americano liberatore. Emblematico esempio era limmagine scattata nel centro di Roma,
con un soldato americano sorridente in piedi sulla propria jeep a sorreggere un bambino,
mentre le persone gremivano tutta via del Corso che si apriva sullo sfondo della
fotografia, e visi esultanti salutavano e toccavano di gratitudine il soldato.
Una ripresa fotografica che,
riprendendo il corpo del soldato in primo piano, gli conferiva la potenza e la
statuarità, innalzandolo ala centro della fotografia e pertanto propagandando un
messaggio di potenza, ma allo stesso tempo, ritraendolo intento a stringere e cullare al
proprio petto un neonato, creava limmagine degli Stati Uniti amici, protettori
paterni dellItalia.
Unimmagine paterna e
protettrice degli Stati Uniti nei confronti dellItalia, che in molte crisi del
dopoguerra, e tuttoggi durante il conflitto iracheno, è stata spesso fatta
risaltare dalle forze politiche intenzionate ad avallare le decisioni internazionali
americane.
Il soldato liberatore, il soldato
protettore, che salvava la città dalla violenza nazista e donava carezze e cioccolato
alla popolazione, la costruzione fotografica di un messaggio politico che sarebbe stato
ricordato negli anni.
Ed infine venne il tempo della
Roma dei processi che avrebbero condannato alcuni fascisti allesecuzione capitale,
come quelle avvenuta contro Caruso,
o successivamente contro laguzzino Koch.
E furono ancora gli operatori americani a fotografare lodio e la rabbia che tanti
anni di dittatura fascista prima e occupazione nazista poi avevano creato negli animi
della popolazione. Così possono essere lette quelle tremende fotografie che riprendevano
la popolazione intenta a linciare Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli. Fotografie che ritraevano il corpo di Carretta
gettato nelle acque del Tevere, con la popolazione a fissare composta dai bordi del fiume
il suo corpo cercare di tornare a galla ma sempre respinto da alcune persone che lo
colpivano ripetutamente sulla testa con i remi di una barca,
a costringerlo ad affogare tramortito dentro il fiume, prima di essere prelevato ormai senza più vita.
Ed anche il Luce, dopo aver
fotografato la Liberazione di Venezia il 25 aprile, ritornò a Roma. Ma la sua attività
fotografica oramai veniva sempre più messa in discussione dallapertura
concorrenziale di molte agenzie fotografiche. Il monopolio dellimmagine fotografica
dettato dallIstituto Luce oramai andava sempre più in frantumi. Sempre meno
immagini furono prodotte, fin quando lIstituto non sciolse definitivamente il
servizio.
Ma proprio alcune delle ultime immagini prodotte dallIstituto furono
le fotografie che seguirono la seduta inaugurale della Costituente, riprendendo le varie
personalità politiche che affluivano a Roma, per partecipare ai lavori di
quellassemblea che avrebbe dato una costituzione democratica allItalia
repubblicana.
Breve Bibliografia.
Chabod Federico, LItalia
contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961.
Colarizi
Simona, Lopinione degli italiani sotto il regime (1929-1943), Roma-Bari,
Editori Laterza, 1991.
De Luna
Giovanni, Mignemi Adolfo (a cura di), Storia fotografica della Repubblica
sociale italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
Griner
Massimiliano, La banda Koch. Il Reparto Speciale di Polizia,
Torino, Bollati Boringhieri, 2000.
Insolera
Italo, Roma fascista nelle fotografie dellIstituto Luce, Roma, Editori
Riuniti, 2002.
Katz
Robert, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine, Roma, Editori Riuniti,
1996.
Lualdi
Aldo, La banda Koch. Un aguzzino al servizio del regime, Milano, Bompiani,
1972.
Mignemi
Adolfo, Storia fotografica della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1995.
Mignemi
Adolfo, La seconda guerra mondiale (1940-1945), Roma, Editori Riuniti, 2000.
Olla
Roberto, Combat film, Roma, RAI-ERI, 1997.
Troisio
Armando, Roma sotto il terrore nazi-fascista, Roma, Mondini, 1944.
Furono circa 3.500.000 le fotografie di guerra scattate dalle PK
sui vari fronti, nelle retrovie o nei paesi occupati dalle truppe tedesche, fra il 1939 ed
il 1945. Per larchiviazione di tali fotografie esistono tre fondi: il Bild 101 I,
che raccoglie le fotografie scattate dalle compagnie di propaganda dellesercito e
dellaviazione; il Bild 101 II, che raccoglie quelle provenienti dalla marina;
il Bild 101 III, che infine detiene la produzione delle compagnie di propaganda
della Waffen-SS. A causa delle ingenti perdite subite durante la guerra e nel dopoguerra,
il fondo Blind 101, conservato a Coblenza, è composto oggi da circa 1.100.000
fotografie restituite dagli Stati Uniti al Bundesarchiv nel 1962.
Per le
violenze commesse da Pietro Koch e la sua banda durante il periodo della loro permanenza a
Roma, vedi Griner Massimiliano, La banda Koch. Il Reparto Speciale di
Polizia, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; Lualdi Aldo, La banda Koch. Un
aguzzino al servizio del regime, Milano, Bompiani, 1972.
Vedi
Olla Roberto, Combat film, Roma, RAI-ERI, 1997.
|