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la resistenza romana
4 giugno 2004
Sessantesimo Anniversario della
Liberazione di Roma
(a cura di Massimo Rendina)
Non c' è stata città europea nella
Seconda Guerra Mondiale che abbia vissuto come Roma nella convinzione, per un periodo di
tempo non breve, di essere immune dai bombardamenti aerei, e poi, più volte, per quasi un
anno, nell' illusione che la pace fosse imminente, questione di giorni, o addirittura di
ore. Attesa sempre frustrata da cocente delusione, e, specie dopo lo sbarco di Anzio (22
gennaio 1944), con conseguenze drammatiche. La sacralità vaticana riconosciuta in tutte
le sedi internazionali non l' ha protetta dalle offese dal cielo che hanno distrutto
quartieri e provocato migliaia di vittime. All' autodissolvimento del fascismo, il 25
luglio 1943, non è seguito l' armistizio che l' opinione pubblica dava per certo,
destando l' euforia dei romani e spingendoli a
frantumare, con una kermesse fatta di scorribande cittadine, i simboli del regime,
collegati soprattutto ai disastri militari, al
razionamento alimentare, al mito mussoliniano
di cui credevano essersi liberati . Quando, invece, ci fu la resa italiana, l'8 settembre
1943, essa finì col coincidere con l'
aggressione e l' occupazione tedesca. E di lì a qualche giorno ecco ritornare il fascismo
peggiore, con la banda Pollastrini, Bardi, Franquinet istallata nel palazzo Braschi a
praticare la tortura e ad organizzare spedizioni per impadronirsi degli antifascisti, compiere furti ed estorsioni, tali da provocare
persino l'indignazione della Gestapo che la sciolse arrestandone i capi lasciando tuttavia
spazio ad altre bande perché, al suo diretto
servizio, potessero compiere delitti ancora più esecrabili ( il tristo primato va alla
banda Koch).
Gli
Alleati sarebbero giunti nel Lazio dal
Meridione alle soglie dell' inverno 1943, con
una avanzata che, per quanto contrastata, sembrava inarrestabile, ma rimasero bloccati
davanti a Cassino sino all' inizio della primavera successiva; sbarcati con un altro corpo ad Anzio senza una
seria opposizione della Wehrmacht, si sarebbero inesplicabilmente schierati a difesa non procedendo di un solo chilometro lungo una
strada sguarnita di ostacoli efficaci. Solo all'
inizio dell' estate 1944, il 4 giugno, Roma
sarebbe stata liberata, con il congiungimento, davanti a Valmontone, dei reparti alleati
provenienti dai due fronti, il ripiegamento delle armate tedesche verso una nuova linea
fortificata più a nord, l' abbandono della città nottetempo senza far brillare le mine
predisposte per ogni dove, sotto le arcate dei ponti sul Tevere e l' Aniene, lungo le
strade consolari, nei sotterranei di molti edifici civili anche del centro storico.
La cronologia, che si trova nel nostro
sito, indica l'evolversi della "campagna
d' Italia" e degli avvenimenti che l' accompagnarono (risparmiandoci qui di dare
datazioni e particolari numerici). Da essa
risulta quanto frequenti siano state le docce scozzesi cui fu sottoposta la popolazione
romana, portata via via a ritenere certo un facile e subitaneo ritorno alla vita normale,
libera dalle costrizioni della dittatura, dalle vessazioni nazifasciste, e subito
ricondotta ad una realtà sempre più dura.
Certo revisionismo ne ricava che la
maggioranza della gente, dati i patimenti e le violenze cui era sottoposta durante l'
occupazione, non partecipò allo scontro in atto tra cosiddette minoranze - collaborazionisti da una parte, partigiani dall'
altra-, impegnata soprattutto a destreggiarsi per sopravvivere. Uno stato comune a tutta la
popolazione italiana delle zone occupate, "zona
grigia" -come la definisce Renzo De Felice, peraltro storico di tutto rispetto, ma in
questo caso inattendibile, specie per quanto
riguarda Roma.
Ciò emerge dai documenti stilati dagli
occupanti, dai rapporti delle diciotto
organizzazioni poliziesche -della Gestapo, delle SS, dei collaborazionisti- coordinate dal
tenente colonnello Herbert Kappler. Ogni romano, di qualsiasi età e
condizione, è un irriducibile nemico. Dalle carte conservate negli archivi italiani e
tedeschi affiora, come una costante, il timore
dell' insurrezione popolare (il ricordo delle quattro giornate di Napoli era davvero
indelebile). D' altra parte, è acclarato che
non sarebbe stata possibile una attività partigiana cittadina tanto intensa e capillare
se fosse mancata la diffusa corresponsabilità
della gente comune (con la partecipazione anche di collaborazionisti, infiltrati dalla
Resistenza nella PAI, nella questura, nella Guardia di Finanza, o convinti al doppio
gioco, per paura del dopo, o per patriottismo, come i carabinieri rimasti in servizio,
evitata la deportazione col passaggio alla Guardia Repubblicana.) A conferma della ostilità generalizzata nei confronti di
nazisti e fascisti, sono i fallimenti della
chiamata alle armi delle nuove leve, del richiamo dei congedati, dell'invito ai fuggiaschi
dell' 8 settembre a presentarsi ai distretti, dei bandi
per il lavoro obbligatorio.La sanzione è sempre la stessa: la pena di
morte. Le contro misure prese dal comando germanico: perquisizioni notturne di casa in
casa, forti ricompense a coloro che
faciliteranno la cattura non solo dei partigiani e degli ebrei (i superstiti dalla retata
nel Ghetto) ma anche dei militari nascosti, stranieri fuggiti dai campi di concentramento
e italiani che per varie ragioni si erano dati alla clandestinità, rastrellamenti a tappeto per procurare mano d' opera da adibire alle difese lungo il fronte o da inviare al lavoro coatto in
Germania.
Più di 500 mila persone erano ospitate da
parenti e amici, in conventi o case religiose in modo fortunoso, molti con carte d'
identità ed annonarie false, avute da organizzazioni
o singole persone, alcune negli uffici comunali (uno dei responsabili,
Celani, sarà arrestato a seguito della delazione di due impiegati del governatorato e
ucciso alle Ardeatine).
Unico esempio di adesione numerosa al
collaborazionismo fascista , anche se molto particolare, è dovuto ai generali e ufficiali
superiori del Regio Esercito cui Graziani si
rivolge, con un discorso nel cinema Adriano, appena diventato capo delle forze armate
della Repubblica Sociale. Gli stipendi saranno altissimi, elargiti anche a quegli
ufficiali, la maggior parte dei quali,
mancando i reparti da comandare, se ne resterà a casa.( Molti saranno reintegrati in servizio e addirittura promossi dopo
la Liberazione come se nulla fosse accaduto.)
Per contro, un notevole valore positivo
assume nella storia della Resistenza romana (ma anche,
come vedremo,in ambito nazionale), il Centro
Militare clandestino formato da ufficiali e soldati fedeli al giuramento al Re. Per il
contributo alle azioni di guerriglia, per il rifornimento di armi e specialmente di
esplosivi (anche ai GAP), per l'opera di intelligence fornendo via radio informazioni allo
Stato Maggiore italiano nel Sud , e da questo agli Alleati, ad integrazione del servizio
compiuto dalla missione americana dell' OSS comandata da Peter Tompkins. C'è però un
particolare non sufficientemente considerato
dagli storici riguardante l'atteggiamento assunto dal colonnello Giuseppe Cordero Lanza di
Montezemolo, il quale, formato il Centro
collegandolo con il governo di Badoglio,
riceve l' ordine di operazione n. 333 datato 10 dicembre 1943 che dichiara impossibile ogni forma di resistenza
armata in Italia in base a considerazioni cervellotiche quali la situazione orografica del Paese. Il Centro avrebbe dovuto operare solo nel
campo della raccolta e invio di informazioni e
tuttalpiù compiere sabotaggi, uscendo dalla clandestinità solo con gli Alleati alle
porte, soprattutto per assicurare l' ordine pubblico, esibendo una coccarda tricolore,
simbolo riconosciuto ai patrioti dalle convenzione internazionali. In sostanza niente
guerra partigiana, per timore che, diventando movimento popolare, si rivolgesse contro la
monarchia per la sua comprovata complicità con il fascismo. Montezemolo accetta l' ordine
formalmente, ma non lo esegue. Bande armate dipendenti dal Centro erano già attive in
città, sui Castelli Romani, nel Viterbese, sul Monte Amiata e in altre località. Estende
l'attività nelle regioni contigue. Continuerà e
alimenterà la lotta armata, proseguita sulla stessa linea dalle forze residue del Centro
-falcidiato dagli arresti e dalle esecuzioni capitali- anche dopo la cattura e la morte
del suo primo comandante, Una decisione
che concorrerà con quella di altri ufficiali
partigiani al nord -come Sogno, Martini Mauri,
i fratelli Cotta - a dare alla Resistenza italiana un forte carattere unitario, assicurandole la leale partecipazione dei
monarchici.
In questo senso, per la sua sostanziale
unità, la Resistenza italiana si distingue da altri movimenti che si contrappongono e si
combattono anche in forma violenta e sanguinosa, in Grecia, Jugoslavia, o si dividono
irriducibilmente come in Polonia e in Francia.
A Roma, la stretta cooperazione tra formazioni
, politicamente orientate anche in modo diverso, alcune in forte polemica ideologica ,
come appare dalla stampa clandestina, non è mai venuta meno sul piano militare. Ci sono formazioni che non vogliono dipendere dal
comando unico espresso dal CLN, ma stabiliscono contatti permanenti per intraprendere
operazioni comuni e soprattutto per coordinare
i piani insurrezionali, più volte rinviati, annullati alla vigilia dell' offensiva finale
angloamericana, in accordo con il CLN per ragioni differenti, ma concomitanti.
Perché non vi fu l' insurrezione? Certo, i tedeschi
rinunciarono alle difesa, lasciando la città in poche
ore (la sede di Kappler precipitosamente) abbandonando i caposaldi che avevano preparato,
senza combattere (tranne che in pochi e sporadici scontri con i partigiani e con militari alleati in avanscoperta) . Un'altra
causa fu certamente la scarsità delle forze
partigiane da mettere in campo, depauperati i
quadri di comando dalle delazioni e uccisioni. C' è anche da annoverare l' intervento del
Papa sul CLN per evitare distruzioni di monumenti
e la carneficina dei civili e da considerare, in questo quadro, il probabile accordo tra
Pio XII e Karl Wolff, affinché non ci fosse la difesa ad oltranza di Roma ordinata da
Hitler. Il comandante delle SS in Italia era stato ricevuto dal Papa il 10 maggio 1944 per
essere accreditato tramite il vescovo di Milano, il cardinale Shuster, presso
il responsabile del governo
americano in Europa , Allan Dulles, con
l'intento di iniziare trattative, all' insaputa di Hitler, ma probabilmente per ordine di
Himmler, al fine di arrivare all' armistizio con gli Alleati nella prospettiva di una
intesa comune (rivelatasi impossibile, come ci dice la storia) contro la Russia di Stalin.
Sono vicende cui corrisponde una storiografia corposa, integrata da una diaristica
ricca e suggestiva anche per quanto riguarda la "battaglia per Roma" -con una documentazione fotografica di valore non solo spettacolare, ma
pure scientifico, come la raccolta curata da Umberto Gentiloni e informatizzata
presso il nostro Centro Telematico-, tanto da apparire, nel complesso esaustiva, se non
mancassero dati ancora da accertare, mediante indagini e confronti metodologici propri di
un revisionismo, beninteso non strumentale, ma rigorosamente rivolto all' approssimazione
della verità (con la riserva che mai si possa
raggiungere completamente), non il revisionismo che ricorre alla interpretazioni
arbitrarie, fino alle falsificazioni per adattare la storia all' uso politico.
Se, compiendo questa revisione storica con
metodo scientifico (ricorrendo ad un ventaglio di fonti, compresa la memoria orale
rivalutata in questi ultimi tempi mediante la sistemazione di archivi audiovisivi privati,
tra i quali, a Roma, fornitissimo, il Circolo Gianni Bosio) risultano errori tattici e
strategici anche gravi a carico degli Alleati -si pensi, tanto per fare degli esempi, al
bombardamento di Montecassino, tra i più massicci e distruttivi della campagna d' Italia,
che favorì anzi che sconvolgere il sistema di
difesa germanico;si consideri l'orrore delle violenze anche carnali compiute nel Frusinate
dai soldati marocchini del contingente
francese (i goumiers del generale Guillame)-
e, proseguendo l 'esame, si trovino deficienze all' organizzazione della Resistenza romana
-imputandole, ma ingiustamente, persino, come abbiamo accennato, la responsabilità della
mancata insurrezione- o azioni di guerriglia
comportanti ritorsioni nei confronti di
cittadini innocenti, ebbene, ciononostante, il giudizio storico rimane intatto, come ferma
resta l'opposizione al revisionismo strumentale, sulla base di documenti inoppugnabili,
opposizione corroborata dall' etica della libertà ispiratrice della guerriglia
partigiana, non conciliabile, come qualcuno vorrebbe, con l' ideologia della sopraffazione
e dello stragismo praticata dai nazisti e dai collaborazionisti fascisti.
Solo gli epigoni fascisti possono dolersi della vittoria alleata e maledire
la sorte toccata a Hitler e a Mussolini. Ma si
tratta ormai di una pattuglia sparuta di nostalgici senza seguito (anche se qualcuno che ha
responsabilità di governo continua a dire
nelle cerimonie ufficiali che l'eroismo dei nostri soldati
-mandati a morire male armati, e peggio equipaggiati, sulle Alpi francesi,
nei Balcani , in Africa, in Russia- fu "sfortunato", come se le guerre di
aggressione fasciste meritassero la vittoria dato il comportamento nobile e generoso dei
nostri militari. Comportamento eroico storicamente provato in molte occasione, come è
provata la generosità in tanti episodi, senza che questo possa però stravolgere la
storia, che registra anche i crimini compiuti dall' esercito italiano -impuniti i maggiori
responsabili- con stragi di innocenti specie
in Jugoslavia e, durante il Ventennio fascista, in Libia ed Etiopia).
Tra
gli errori strategici imputati agli Alleati c'è
anche quello di non essere sbarcati piu a nord, sulla penisola, invece che in Sicilia,
risparmiando così tante sofferenze alla popolazione e anticipando notevolmente l'
"effetto simbolico" che Churchill e Roosevelt attribuivano sì alla caduta del Fascismo, da affrettare invadendo
l' Italia, ma anche alla conquista della capitale, la prima da far cadere (come sarebbe
avvenuto) tra quelle delle nazioni dell' Asse. I pianificatori dello stato maggiore anglo-americano avevano
considerato in effetti l' opportunità di effettuare più di
uno sbarco nel nord Italia, ma quando sembrava preminente privilegiare il
teatro di guerra balcanico, per raggiungere Berlino attraversando la Grecia, la Jugoslavia
e l' Austria. In questo caso l' Italia
conquistata avrebbe costituito la grande base logistica dell' operazione principale. L'
ultima cosa che però voleva Stalin -come concordano gli storici- era una diversione delle forze anglo-americane verso la sua progettata sfera
di influenza nei Balcani. Ottenne da Churchill già il 12 agosto 1942 , nel colloquio
svoltosi al Cremlino, che il "secondo fronte europeo", per investire la Germania
anche da ovest, sarebbe stato aperto in Francia. L' attacco alla Sicilia sarebbe diventato
un "prolungamento logico" della vittoria sull' Asse in Africa Settentrionale e ,
insieme, "la prova generale" dello sbarco in Normandia, ma la campagna d' Italia
avrebbe perduto d'importanza, assegnandole il
compito di impegnare gli italiani sul suolo
patrio e, una volta ottenutane la resa separata, trattenere
più divisioni germaniche possibile lontano dal nuovo fronte da ritenersi il più
importante e decisivo, cui dedicare lo sforzo maggiore..
Senza addentraci oltre nello svolgimento
della guerra in Italia , ci limitiamo a constatare come al
potenziale anglo-americano vennero sottratti, già nell inverno 43-44,
ingenti forze e una gran parte dei mezzi anfibi -da impiegare
per lo sbarco in Francia- tanto da rendere impossibile i progettati sbarchi
successivi più a nord della penisola limitandoli a uno solo, dopo quello di Salerno il 9
settembre 43 , e neppure come previsto inizialmente, in Liguria e sulle coste dell' alto Adriatico, ma, il
22 gennaio 44, ad Anzio e Nettuno. Dopo l'impresa imponente compiuta i Sicilia (l'operazione Husky iniziata il
10 luglio 1943 con un numero di aerei e navi (2650) mai impiegati prima in operazioni
militari) gli sbarchi di Salerno e Anzio.Nettuno furono eseguiti con un potenziale
ridotto, al di sotto di quello necessario ad assicurare il rapido e sicuro successo alle
teste di ponte. Il contingente sbarcato ad Anzio e Nettuno era dotato di forze di gran lunga inferiori rispetto alle richieste del
comandante dell' operazione, il generale americano Lucas.
Al quesito se Lucas abbia commesso lo sbaglio di aspettare per sei giorni
rinforzi dal mare invece di spingersi subito in avanti verso Roma data l'esiguità delle unità germaniche che aveva
davanti (un battaglione della divisione Panzer Granadieren neppure a pieni ranghi, e un
contingente della Herman Goering con pochi carri , entrambi in riposo tra Anzio e
Cisterna), oppure se eseguisse l'ordine di attirare contro la testa di sponte forze
ingenti, nel quadro generale della guerra (e particolarmente in vista di Overlord, lo
sbarco in Francia che sarebbe avvenuto il 6 giugno), non è mai stata data una risposta
tale da togliere ogni dubbio (anche se nelle
sue memorie Churchill accusa di eccessiva prudenza il generale americano). Fatto sta che
Kesserling riuscì in pochissimo tempo a schierare sul nuovo fronte l'equivalente di nove
divisioni (la 715ma di fanteria fatta arrivare dal sud della Francia). Ci furono
addirittura momenti in cui sembrò che gli anglo-americani fossero costretti ad un
reimbarco disastroso anche perché non c'era la speranza di un'avanzata concomitante della
Quinta armata che era riuscita solo a superare il Garigliano con il Xmo corpo, ma subendo
gravi perdite.
Il prolungarsi delle operazioni belliche
sui due fronti (solo il 16 maggio Kesserling
ordina il ritiro da Montecassino preso d'assalto dai polacchi di Anders e dai goumiers di
Guillame, e gli americani avanzeranno nella valle del Liri) ha, come abbiamo scritto, gravi conseguenze sulla Resistenza romana portata a
reagire con ogni mezzo contro gli occupanti che intensificano l' azione repressiva temendo
l'insurrezione popolare, e spinta a non dare tregua al nemico dagli Alleati che hanno paracadutato a ridosso delle linee
tedesche di Anzio e Nettuno un'altra missione OSS (composta da italiani comandati da Fred
Michelagnoli ) per compiere sabotaggi, guidare i caccia sugli obbiettivi, ma anche in
aiuto ai partigiani impegnati a paralizzare, con agguati
e colpi di mano, le colonne di rifornimenti
verso i due fronti . Anche Tompkins servendosi
di una squadra di informatori italiani (alcuni
ci lasceranno la vita) dà riferimenti puntuali all' aviazione americana, riuscendo anche
ad evitare, comunicando obbiettivi precisi, nuovi bombardamenti sui centri abitati. Tra i
piani di Tompkins per sbloccare la situazione di Anzio c' è anche l'atterraggio di un
reggimento di paracadutisti americani in pieno centro della città (progetto prima accolto
dal suo comandante Donovan, poi annullato). Con questa attività frenetica saltano molte
coperture indispensabili a proteggere uomini e donne che agiscono nella clandestinità. Si
moltiplicano gli arresti, le fucilazioni nel forte Bravetta, le uccisioni nelle carceri di
Kappler e Koch dove i patrioti sono ferocemente
torturati.
Anche l'attacco in via Rasella, il 23
marzo, se risponde alla determinazione dei GAP (gruppi di Azione Patriottica) di rendere
difficile la vita agli occupanti, è
conseguenza delle sollecitazioni degli Alleati nel momento in cui sembrano davvero
impotenti a sfondare le difese nemiche a
Cassino e ad
Anzio e Nettuno. Richiedono atti che colpiscano il nemico e nello stesso
tempo siano dimostrativi della vitalità
resistenziale per indebolirne il morale. Le modalità e gli esiti dell'azione in via
Rasella susciteranno sentimenti e valutazioni
contrastanti che investono la guerra
partigiana e la guerra in se stessa . A parte le illazioni e le menzogne che hanno
alimentato, anche qui, il revisionismo per addossare ai
partigiani l' eccidio delle Ardeatine e non a coloro che lo vollero anche come
intimidazione nei confronti dell' odiato popolo romano e lo eseguirono materialmente, si
trascura di considerare il carattere assunto dalla rivolta armata in tutte le nazioni
occupate dai nazisti, nel quadro del Secondo Conflitto Mondiale nel quale era caduta ogni
distinzione tra militari e civili soprattutto con
i bombardamenti aerei (ma anche in conseguenza dell'ideologia nazista
rispetto al concentrazionismo e allo stragismo, condivisa dai fascisti di Salò) una guerra passata alla storia quindi come "guerra totale". Se ci fosse stata tale distinzione, non vi
sarebbero stati, ripetiamo, bombardamenti aerei, sotto i quali sono morti milioni di
persone in Europa, Asia, Africa, compiuti da entrambe le parti sugli abitati, con la
consapevolezza dunque che non sarebbero stati colpiti soltanto gli obbiettivi militari -il
puntamento nello sganciare le bombe da grande altezza considerava il bersaglio entro un'
area di circa un chilometro quadrato, quindi con un altissimo margine di errore-, ma anche per la volontà di sterminare
indiscriminatamente migliaia di innocenti (si pensi a Coventry, ma anche a Dresda, a
Hiroschima e Nagasaky). Il massacro di civili, dunque, come strumento di guerra per fiaccare il morale dell' avversario e ridurlo
alla resa (come avrebbe voluto Hitler con le ondate di bombardieri su Londra , e poi con i
razzi imbottiti di esplosivo -le bombe "V"- e come ottenne Truman con lo sgancio
delle atomiche sulle due città del Giappone (anche se - come sostengono autorevoli
storici- la guerra in Asia sarebbe finita ugualmente molto presto senza quella
dimostrazione apocalittica).
Quanto alla "totalità" della
guerra, come definizione derivante dalla
barbarie nazista nell' adottare come sistema le stragi di civili innocenti, si leggano gli
ordini di servizio di Kesserling e i verbali, ora venuti alla luce, delle indagini
nascoste nell' "armadio della vergogna" .Per l'ideologia che le ha promosse
restano esemplari i saggi di Hannah Arendt.
In questo scenario è difficile sostenere
che solo la guerra partigiana non dovesse tenere
conto del rischio da far correre ai civili con
le azioni militari. Da ridurre possibilmente al minimo,ma sostanzialmente inevitabile. A
parte il fatto che efferate stragi -di donne, vecchi, bambini anche appena nati- furono
compiute da nazisti e fascisti anche dove non vi era guerriglia, ma- come spiegava
Kesserling- " c'erano le condizioni perchè ci
fosse ", una particolare metodologia di sterminio codificata come "guerra
preventiva".
Se non
si affronta la storia
considerandone ogni aspetto, e le regole profondamente disumane che la condizionavano,
ecco che anche l' attacco partigiano in via Rasella appare all' opinione pubblica , sotto
l' influenza -ripetiamo- di un revisionismo
esclusivamente politico, un atto sconsiderato se non condannabile
per le motivazioni nascoste -qui la fantasia
si è sbizzarrita- quali l'intenzione da parte del Partito Comunista di liberarsi degli
avversari sia a sinistra ("Bandiera
Rossa") sia a destra (il Centro Militare) che si trovavano in carcere e che sarebbero
stati certamente vittime della rappresaglia. L'azione eseguita con tecnica militare -l'
esplosivo fatto brillare in quel modo, nell' impossibilità di usare un pezzo di
artiglieria per aprire l' assalto di sedici partigiani compiuto con armi leggere e il
lancio di bombe da mortaio Brixia modificate sostituendo la miccia al percussore- è stato
definito anche dalla magistratura atto di guerra in un territorio che gli occupanti
avevano dichiarato, attraverso comunicati e manifesti, soggetto alla legge germanica, pertanto in mano al nemico; il reparto nazista non era composto da "anziani territoriali
altoatesini" come si continua a far
credere alla opinione pubblica, ma da poliziotti volontari delle SS appartenenti a un reggimento che si sarebbe
macchiato di orribili stragi in Istria e nel Bellunese, a Fois e Falcade. Non fu diramato
, infine, nessun comunicato per invitare i partigiani a consegnarsi evitando così la
rappresaglia.
Abbiamo indugiato sulle considerazioni
riguardanti via Rasella per l'interesse, contrastante, che il fatto ancora suscita. Ma è
solo un episodio -sia pure il più importante nella memoria collettiva- tra i molti che la
lotta partigiana romana annovera, storicamente intrecciata con le azioni militari alleate
che portarono alla liberazione della capitale italiana.
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