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la resistenza romana

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4 giugno 2004

Sessantesimo Anniversario della Liberazione di Roma

(a cura di Massimo Rendina)

Non c' è stata città europea nella Seconda Guerra Mondiale che abbia vissuto come Roma nella convinzione, per un periodo di tempo non breve, di essere immune dai bombardamenti aerei, e poi, più volte, per quasi un anno, nell' illusione che la pace fosse imminente, questione di giorni, o addirittura di ore. Attesa sempre frustrata da cocente delusione, e, specie dopo lo sbarco di Anzio (22 gennaio 1944), con conseguenze drammatiche. La sacralità vaticana riconosciuta in tutte le sedi internazionali non l' ha protetta dalle offese dal cielo che hanno distrutto quartieri e provocato migliaia di vittime. All' autodissolvimento del fascismo, il 25 luglio 1943, non è seguito l' armistizio che l' opinione pubblica dava per certo, destando l' euforia dei romani  e spingendoli a frantumare, con una kermesse fatta di scorribande cittadine, i simboli del regime, collegati soprattutto ai  disastri militari, al razionamento alimentare, al  mito mussoliniano di cui credevano essersi liberati . Quando, invece, ci fu la resa italiana, l'8 settembre 1943, essa finì col  coincidere con l' aggressione e l' occupazione tedesca. E di lì a qualche giorno ecco ritornare il fascismo peggiore, con la banda Pollastrini, Bardi, Franquinet istallata nel palazzo Braschi a praticare la tortura e ad organizzare spedizioni per impadronirsi degli antifascisti,  compiere furti ed estorsioni, tali da provocare persino l'indignazione della Gestapo che la sciolse arrestandone i capi lasciando tuttavia spazio ad altre bande perché, al  suo diretto servizio, potessero compiere delitti ancora più esecrabili ( il tristo primato va alla banda Koch).

 Gli Alleati  sarebbero giunti nel Lazio dal Meridione  alle soglie dell' inverno 1943, con una avanzata che, per quanto contrastata, sembrava inarrestabile, ma rimasero bloccati davanti a Cassino sino all' inizio della primavera successiva;  sbarcati con un altro corpo ad Anzio senza una seria opposizione della Wehrmacht, si sarebbero inesplicabilmente schierati a difesa  non procedendo di un solo chilometro lungo una strada sguarnita di ostacoli efficaci. Solo  all' inizio dell' estate 1944, il 4 giugno,  Roma sarebbe stata liberata, con il congiungimento, davanti a Valmontone, dei reparti alleati provenienti dai due fronti, il ripiegamento delle armate tedesche verso una nuova linea fortificata più a nord, l' abbandono della città nottetempo senza far brillare le mine predisposte per ogni dove, sotto le arcate dei ponti sul Tevere e l' Aniene, lungo le strade consolari, nei sotterranei di molti edifici civili anche del centro storico.

La cronologia, che si trova nel nostro sito, indica l'evolversi  della "campagna d' Italia" e degli avvenimenti che l' accompagnarono (risparmiandoci qui di dare datazioni e  particolari numerici). Da essa risulta quanto frequenti siano state le docce scozzesi cui fu sottoposta la popolazione romana, portata via via a ritenere certo un facile e subitaneo ritorno alla vita normale, libera dalle costrizioni della dittatura, dalle vessazioni nazifasciste, e subito ricondotta ad una realtà  sempre più dura. Certo revisionismo ne ricava  che la maggioranza della gente, dati i patimenti e le violenze cui era sottoposta durante l' occupazione, non partecipò allo scontro in atto tra cosiddette minoranze  - collaborazionisti da una parte, partigiani dall' altra-, impegnata soprattutto a  destreggiarsi  per sopravvivere. Uno stato comune a tutta la popolazione italiana delle zone occupate,  "zona grigia" -come la definisce Renzo De Felice, peraltro storico di tutto rispetto, ma in questo caso inattendibile,  specie per quanto riguarda Roma.

Ciò emerge dai documenti stilati dagli occupanti,  dai rapporti delle diciotto organizzazioni poliziesche -della Gestapo, delle SS, dei collaborazionisti- coordinate dal tenente colonnello  Herbert  Kappler. Ogni romano, di qualsiasi età e condizione, è un irriducibile nemico. Dalle carte conservate negli archivi italiani e tedeschi  affiora, come una costante, il timore dell' insurrezione popolare (il ricordo delle quattro giornate di Napoli era davvero indelebile).  D' altra parte, è acclarato che non sarebbe stata possibile una attività partigiana cittadina tanto intensa e capillare se fosse mancata  la diffusa corresponsabilità della gente comune (con la partecipazione anche di collaborazionisti, infiltrati dalla Resistenza nella PAI, nella questura, nella Guardia di Finanza, o convinti al doppio gioco, per paura del dopo, o per patriottismo, come i carabinieri rimasti in servizio, evitata la deportazione col passaggio alla Guardia Repubblicana.) A conferma  della ostilità generalizzata nei confronti di nazisti e fascisti,  sono i fallimenti della chiamata alle armi delle nuove leve, del richiamo dei congedati, dell'invito ai fuggiaschi dell' 8 settembre a presentarsi ai distretti, dei bandi   per il lavoro obbligatorio.La sanzione è sempre la stessa: la pena di morte. Le contro misure prese dal comando germanico: perquisizioni notturne di casa in casa, forti  ricompense a coloro che faciliteranno la cattura non solo dei partigiani e degli ebrei (i superstiti dalla retata nel Ghetto) ma anche dei militari nascosti, stranieri fuggiti dai campi di concentramento e italiani che per varie ragioni si erano dati alla clandestinità, rastrellamenti  a tappeto per procurare mano d' opera  da adibire alle difese  lungo il fronte o da inviare al lavoro coatto in Germania.

Più di 500 mila persone erano ospitate da parenti e amici, in conventi o case religiose in modo fortunoso, molti con carte d' identità ed annonarie false, avute da organizzazioni   o singole persone, alcune negli uffici comunali (uno dei responsabili, Celani, sarà arrestato a seguito della delazione di due impiegati del governatorato e ucciso alle Ardeatine).

Unico esempio di adesione numerosa al collaborazionismo fascista , anche se molto particolare, è dovuto ai generali e ufficiali superiori del Regio Esercito  cui Graziani si rivolge, con un discorso nel cinema Adriano, appena diventato capo delle forze armate della Repubblica Sociale. Gli stipendi saranno altissimi, elargiti anche a quegli ufficiali, la maggior parte  dei quali, mancando i reparti da comandare, se ne resterà a casa.( Molti saranno  reintegrati in servizio e addirittura promossi dopo la Liberazione come se nulla fosse accaduto.)

Per contro, un notevole valore positivo assume nella storia della Resistenza romana (ma  anche, come vedremo,in ambito nazionale), il  Centro Militare clandestino formato da ufficiali e soldati fedeli al giuramento al Re. Per il contributo alle azioni di guerriglia, per il rifornimento di armi e specialmente di esplosivi (anche ai GAP), per l'opera di intelligence fornendo via radio informazioni allo Stato Maggiore italiano nel Sud , e da questo agli Alleati, ad integrazione del servizio compiuto dalla missione americana dell' OSS comandata da Peter Tompkins. C'è però un particolare  non sufficientemente considerato dagli storici riguardante l'atteggiamento assunto dal colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, il quale,  formato il Centro collegandolo con  il governo di Badoglio, riceve l' ordine di operazione n. 333 datato 10 dicembre 1943  che dichiara impossibile ogni forma di resistenza armata in Italia in base a considerazioni cervellotiche quali la situazione orografica del  Paese. Il Centro avrebbe dovuto operare solo nel campo della raccolta e invio di  informazioni e tuttalpiù compiere sabotaggi, uscendo dalla clandestinità solo con gli Alleati alle porte, soprattutto per assicurare l' ordine pubblico, esibendo una coccarda tricolore, simbolo riconosciuto ai patrioti dalle convenzione internazionali. In sostanza niente guerra partigiana, per timore che, diventando movimento popolare, si rivolgesse contro la monarchia per la sua comprovata complicità con il fascismo. Montezemolo accetta l' ordine formalmente, ma non lo esegue. Bande armate dipendenti dal Centro erano già attive in città, sui Castelli Romani, nel Viterbese, sul Monte Amiata e in altre località. Estende l'attività nelle regioni contigue. Continuerà  e alimenterà la lotta armata, proseguita sulla stessa linea dalle forze residue del Centro -falcidiato dagli arresti e dalle esecuzioni capitali- anche dopo la cattura e la morte del suo primo comandante,   Una decisione che  concorrerà con quella di altri ufficiali partigiani al nord  -come Sogno, Martini Mauri, i fratelli Cotta - a dare alla Resistenza italiana un forte carattere unitario,  assicurandole la leale partecipazione dei monarchici.

In questo senso, per la sua sostanziale unità, la Resistenza italiana si distingue da altri movimenti che si contrappongono e si combattono anche in forma violenta e sanguinosa, in Grecia, Jugoslavia, o si dividono irriducibilmente come in  Polonia e in Francia. A Roma, la stretta  cooperazione tra formazioni , politicamente orientate anche in modo diverso, alcune in forte polemica ideologica , come appare dalla stampa clandestina, non è mai venuta meno sul piano militare.  Ci sono formazioni che non vogliono dipendere dal comando unico espresso dal CLN, ma stabiliscono contatti permanenti per intraprendere operazioni comuni e soprattutto per  coordinare i piani insurrezionali, più volte rinviati, annullati alla vigilia dell' offensiva finale angloamericana, in accordo con il CLN per ragioni differenti, ma concomitanti.

Perché non vi fu l' insurrezione?  Certo, i  tedeschi rinunciarono alle difesa, lasciando la città in  poche ore (la sede di Kappler precipitosamente) abbandonando i caposaldi che avevano preparato, senza combattere (tranne che in pochi e sporadici scontri con i partigiani  e con militari alleati in avanscoperta) . Un'altra causa  fu certamente la scarsità delle forze partigiane da mettere  in campo, depauperati i quadri di comando dalle delazioni e uccisioni. C' è anche da annoverare l' intervento del Papa sul CLN per evitare distruzioni di  monumenti e la carneficina dei civili e da considerare, in questo quadro, il probabile accordo tra Pio XII e Karl Wolff, affinché non ci fosse la difesa ad oltranza di Roma ordinata da Hitler. Il comandante delle SS in Italia era stato ricevuto dal Papa il 10 maggio 1944 per essere accreditato tramite il vescovo di Milano, il cardinale  Shuster, presso   il  responsabile del governo americano  in Europa , Allan Dulles, con l'intento di iniziare trattative, all' insaputa di Hitler, ma probabilmente per ordine di Himmler, al fine di arrivare all' armistizio con gli Alleati nella prospettiva di una intesa comune (rivelatasi impossibile, come ci dice la storia) contro la Russia di Stalin.    

Sono vicende cui corrisponde una  storiografia corposa, integrata da una diaristica ricca e suggestiva anche per quanto riguarda la "battaglia per Roma"  -con una documentazione  fotografica di valore non solo spettacolare, ma pure scientifico, come la raccolta curata da Umberto Gentiloni  e  informatizzata presso il nostro Centro Telematico-, tanto da apparire, nel complesso esaustiva, se non mancassero dati ancora da accertare, mediante indagini e confronti metodologici propri di un revisionismo, beninteso non strumentale, ma rigorosamente rivolto all' approssimazione della verità  (con la riserva che mai si possa raggiungere completamente), non il revisionismo che ricorre alla interpretazioni arbitrarie, fino alle falsificazioni per adattare la storia all' uso politico.

Se, compiendo questa revisione storica con metodo scientifico (ricorrendo ad un ventaglio di fonti, compresa la memoria orale rivalutata in questi ultimi tempi mediante la sistemazione di archivi audiovisivi privati, tra i quali, a Roma, fornitissimo, il Circolo Gianni Bosio) risultano errori tattici e strategici anche gravi a carico degli Alleati -si pensi, tanto per fare degli esempi, al bombardamento di Montecassino, tra i più massicci e distruttivi della campagna d' Italia, che favorì anzi che  sconvolgere il sistema di difesa germanico;si consideri l'orrore delle violenze anche carnali compiute nel Frusinate dai soldati marocchini  del contingente francese (i goumiers  del generale Guillame)- e, proseguendo l 'esame, si trovino deficienze all' organizzazione della Resistenza romana -imputandole, ma ingiustamente, persino, come abbiamo accennato, la responsabilità della mancata  insurrezione- o azioni di guerriglia comportanti  ritorsioni nei confronti di cittadini innocenti, ebbene, ciononostante, il giudizio storico rimane intatto,  come  ferma resta l'opposizione al revisionismo strumentale, sulla base di documenti inoppugnabili, opposizione corroborata dall' etica della libertà ispiratrice della guerriglia partigiana, non conciliabile, come qualcuno vorrebbe, con l' ideologia della sopraffazione e dello stragismo praticata dai nazisti e dai collaborazionisti  fascisti.

Solo gli epigoni fascisti  possono dolersi della vittoria alleata e maledire la sorte toccata  a Hitler e a Mussolini. Ma si tratta ormai di una pattuglia sparuta di nostalgici senza seguito (anche se  qualcuno che  ha responsabilità di governo continua  a dire nelle cerimonie ufficiali che l'eroismo dei nostri soldati   -mandati a morire male armati, e peggio equipaggiati, sulle Alpi francesi, nei Balcani , in  Africa, in Russia-  fu "sfortunato", come se le guerre di aggressione fasciste meritassero la vittoria dato il comportamento nobile e generoso dei nostri militari. Comportamento eroico storicamente provato in molte occasione, come è provata la generosità in tanti episodi, senza che questo possa però stravolgere la storia, che registra anche i crimini compiuti dall' esercito italiano -impuniti i maggiori responsabili- con stragi di innocenti  specie in Jugoslavia e, durante il Ventennio fascista, in Libia ed Etiopia).

 Tra gli errori strategici imputati agli Alleati  c'è anche quello di non essere sbarcati piu a nord, sulla penisola, invece che in Sicilia, risparmiando così tante sofferenze alla popolazione e anticipando notevolmente l' "effetto simbolico"  che Churchill  e Roosevelt attribuivano sì  alla caduta del Fascismo, da affrettare invadendo l' Italia, ma anche alla conquista della capitale, la prima da far cadere (come sarebbe avvenuto) tra quelle delle nazioni dell' Asse. I pianificatori  dello stato maggiore anglo-americano avevano considerato in effetti l' opportunità di effettuare più di   uno sbarco nel nord Italia, ma quando sembrava preminente privilegiare il teatro di guerra balcanico, per raggiungere Berlino attraversando la Grecia, la Jugoslavia e l' Austria.  In questo caso l' Italia conquistata avrebbe costituito la grande base logistica dell' operazione principale. L' ultima cosa che però voleva Stalin -come concordano gli storici- era una diversione delle  forze anglo-americane verso la sua progettata sfera di influenza nei  Balcani. Ottenne  da Churchill già il 12 agosto 1942 , nel colloquio svoltosi al Cremlino, che il "secondo fronte europeo", per investire la Germania anche da ovest, sarebbe stato aperto in Francia. L' attacco alla Sicilia sarebbe diventato un "prolungamento logico" della vittoria sull' Asse in Africa Settentrionale e , insieme, "la prova generale" dello sbarco in Normandia, ma la campagna d' Italia avrebbe perduto d'importanza, assegnandole  il compito di  impegnare gli italiani sul suolo patrio e, una volta ottenutane la resa separata, trattenere   più divisioni germaniche possibile lontano dal nuovo fronte da ritenersi  il  più importante e decisivo, cui dedicare lo sforzo maggiore..

Senza addentraci oltre nello svolgimento della guerra in Italia , ci limitiamo a constatare come al   potenziale anglo-americano vennero sottratti, già nell’ inverno ’43-’44, ingenti forze  e una gran parte dei mezzi  anfibi -da impiegare   per lo sbarco in Francia- tanto da rendere impossibile i progettati sbarchi successivi più a nord della penisola limitandoli a uno solo, dopo quello di Salerno il 9 settembre ‘43 , e neppure come previsto inizialmente, in  Liguria e sulle coste dell' alto Adriatico, ma, il 22 gennaio ’44, ad Anzio e Nettuno. Dopo l'impresa imponente  compiuta i Sicilia (l'operazione Husky iniziata il 10 luglio 1943 con un numero di aerei e navi (2650) mai impiegati prima in operazioni militari) gli sbarchi di Salerno e Anzio.Nettuno furono eseguiti con un potenziale ridotto, al di sotto di quello necessario ad assicurare il rapido e sicuro successo alle teste di ponte. Il contingente sbarcato ad Anzio e Nettuno era dotato di forze  di gran lunga inferiori rispetto alle richieste del comandante dell' operazione, il generale americano Lucas.                     

Al quesito se Lucas abbia  commesso lo sbaglio di aspettare per sei giorni rinforzi dal mare invece di spingersi subito in avanti verso Roma  data l'esiguità delle unità germaniche che aveva davanti (un battaglione della divisione Panzer Granadieren neppure a pieni ranghi, e un contingente della Herman Goering con pochi carri , entrambi in riposo tra Anzio e Cisterna), oppure se eseguisse l'ordine di attirare contro la testa di sponte forze ingenti, nel quadro generale della guerra (e particolarmente in vista di Overlord, lo sbarco in Francia che sarebbe avvenuto il 6 giugno), non è mai stata data una risposta tale da togliere ogni dubbio (anche  se nelle sue memorie Churchill accusa di eccessiva prudenza il generale americano). Fatto sta che Kesserling riuscì  in pochissimo tempo a  schierare sul nuovo fronte l'equivalente di nove divisioni (la 715ma di fanteria fatta arrivare dal sud della Francia). Ci furono addirittura momenti in cui sembrò che gli anglo-americani fossero costretti ad un reimbarco disastroso anche perché non c'era la speranza di un'avanzata concomitante della Quinta armata che era riuscita solo a superare il Garigliano con il Xmo corpo, ma subendo gravi perdite.     

Il prolungarsi delle operazioni belliche sui due fronti (solo  il 16 maggio Kesserling ordina il ritiro da Montecassino preso d'assalto dai polacchi di Anders e dai goumiers di Guillame, e gli americani avanzeranno nella valle del Liri) ha, come abbiamo scritto,  gravi conseguenze sulla Resistenza romana portata a reagire con ogni mezzo contro gli occupanti che intensificano l' azione repressiva temendo l'insurrezione popolare, e spinta a non dare tregua al nemico dagli Alleati  che hanno paracadutato a ridosso delle linee tedesche di Anzio e Nettuno un'altra missione OSS (composta da italiani comandati da Fred Michelagnoli ) per compiere sabotaggi, guidare i caccia sugli obbiettivi, ma anche in aiuto ai partigiani impegnati a paralizzare, con  agguati e colpi di mano,  le colonne di rifornimenti verso i due fronti . Anche Tompkins  servendosi di una squadra di informatori  italiani (alcuni ci lasceranno la vita) dà riferimenti puntuali all' aviazione americana, riuscendo anche ad evitare, comunicando obbiettivi precisi, nuovi bombardamenti sui centri abitati. Tra i piani di Tompkins per sbloccare la situazione di Anzio c' è anche l'atterraggio di un reggimento di paracadutisti americani in pieno centro della città (progetto prima accolto dal suo comandante Donovan, poi annullato). Con questa attività frenetica saltano molte coperture indispensabili a proteggere uomini e donne che agiscono nella clandestinità. Si moltiplicano gli arresti, le fucilazioni nel forte Bravetta, le uccisioni nelle carceri di Kappler e Koch dove i patrioti sono  ferocemente torturati.

Anche l'attacco in via Rasella, il 23 marzo, se  risponde alla determinazione  dei GAP (gruppi di Azione Patriottica) di rendere difficile la vita agli occupanti,  è conseguenza  delle sollecitazioni  degli Alleati nel momento in cui sembrano davvero impotenti a  sfondare le difese nemiche a Cassino e  ad   Anzio e Nettuno. Richiedono atti che colpiscano il nemico e nello stesso tempo siano  dimostrativi della vitalità resistenziale per indebolirne il morale. Le modalità e gli esiti dell'azione in via Rasella susciteranno sentimenti  e valutazioni contrastanti  che investono la guerra partigiana e la guerra in se stessa . A parte le illazioni e le menzogne che hanno alimentato, anche qui, il revisionismo per addossare  ai partigiani l' eccidio delle Ardeatine e non a coloro che lo vollero anche come intimidazione nei confronti dell' odiato popolo romano e lo eseguirono materialmente, si trascura di considerare il carattere assunto dalla rivolta armata in tutte le nazioni occupate dai nazisti, nel quadro del Secondo Conflitto Mondiale nel quale era caduta ogni distinzione tra militari e civili soprattutto  con i bombardamenti  aerei  (ma anche in conseguenza dell'ideologia nazista rispetto al concentrazionismo e allo stragismo, condivisa dai fascisti di Salò)  una guerra passata alla storia quindi  come "guerra totale".  Se ci fosse stata tale distinzione, non vi sarebbero stati, ripetiamo, bombardamenti aerei, sotto i quali sono morti milioni di persone in Europa, Asia, Africa, compiuti da entrambe le parti sugli abitati, con la consapevolezza dunque che non sarebbero stati colpiti soltanto gli obbiettivi militari -il puntamento nello sganciare le bombe da grande altezza considerava il bersaglio entro un' area di circa un chilometro quadrato, quindi con un altissimo margine di errore-,  ma anche per la volontà di sterminare indiscriminatamente migliaia di innocenti (si pensi a Coventry, ma anche a Dresda, a Hiroschima e Nagasaky). Il massacro di civili, dunque, come strumento di guerra  per fiaccare il morale dell' avversario e ridurlo alla resa (come avrebbe voluto Hitler con le ondate di bombardieri su Londra , e poi con i razzi imbottiti di esplosivo -le bombe "V"- e come ottenne Truman con lo sgancio delle atomiche sulle due città del Giappone (anche se - come sostengono autorevoli storici- la guerra in Asia sarebbe finita ugualmente molto presto senza quella dimostrazione apocalittica).

Quanto alla "totalità" della guerra, come definizione derivante  dalla barbarie nazista nell' adottare come sistema le stragi di civili innocenti, si leggano gli ordini di servizio di Kesserling e i verbali, ora venuti alla luce, delle indagini nascoste nell' "armadio della vergogna" .Per l'ideologia che le ha promosse restano esemplari i saggi di Hannah Arendt.

In questo scenario è difficile sostenere che solo la guerra partigiana non dovesse  tenere conto del rischio da far correre  ai civili con le azioni militari. Da ridurre possibilmente al minimo,ma sostanzialmente inevitabile. A parte il fatto che efferate stragi -di donne, vecchi, bambini anche appena nati- furono compiute da nazisti e fascisti anche dove non vi era guerriglia, ma- come spiegava Kesserling- " c'erano le condizioni perchè  ci fosse ", una particolare metodologia di sterminio codificata come "guerra preventiva".

Se non   si affronta  la storia considerandone ogni aspetto, e le regole profondamente disumane che la condizionavano, ecco che anche l' attacco partigiano in via Rasella appare all' opinione pubblica , sotto l' influenza  -ripetiamo- di un revisionismo esclusivamente politico, un atto sconsiderato se non  condannabile per le motivazioni nascoste  -qui la fantasia si è sbizzarrita- quali l'intenzione da parte del Partito Comunista di liberarsi degli avversari  sia a sinistra ("Bandiera Rossa") sia a destra (il Centro Militare) che si trovavano in carcere e che sarebbero stati certamente vittime della rappresaglia. L'azione eseguita con tecnica militare -l' esplosivo fatto brillare in quel modo, nell' impossibilità di usare un pezzo di artiglieria per aprire l' assalto di sedici partigiani compiuto con armi leggere e il lancio di bombe da mortaio Brixia modificate sostituendo la miccia al percussore- è stato definito anche dalla magistratura atto di guerra in un territorio che gli occupanti avevano dichiarato, attraverso comunicati e manifesti, soggetto alla legge germanica,  pertanto in mano al nemico; il reparto nazista  non era composto da "anziani territoriali altoatesini" come si  continua a far credere alla opinione pubblica, ma da poliziotti volontari delle SS  appartenenti a un reggimento che si sarebbe macchiato di orribili stragi in Istria e nel Bellunese, a Fois e Falcade. Non fu diramato , infine, nessun comunicato per invitare i partigiani a consegnarsi evitando così la rappresaglia.

Abbiamo indugiato sulle considerazioni riguardanti via Rasella per l'interesse, contrastante, che il fatto ancora suscita. Ma è solo un episodio -sia pure il più importante nella memoria collettiva- tra i molti che la lotta partigiana romana annovera, storicamente intrecciata con le azioni militari alleate che portarono alla liberazione della capitale italiana.         

               

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