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I giornali della Resistenza
Il Ribelle
Esce come e quando può (1944-1946)
Il 19 novembre 1944 fu stampato il primo numero di "Brescia
Libera", giornale che continuò le sue pubblicazioni fino a quando, nel gennaio
successivo, furono arrestati Ermanno Margheriti e Astolfo Lunardi, due giovani impegnati
nella diffusione del foglio clandestino. La condanna inflitta loro dal Tribunale Speciale
per la Sicurezza dello Stato, cui seguì il 6 febbraio 1944 la fucilazione, pose termine
allesperienza del giornale provocando la diaspora del gruppo che vi gravitava
attorno.
La maggior parte dei collaboratori si trasferì a Milano dove da un
incontro fra Claudio Sartori, che su "Brescia Libera" curava la cronaca e le
notizie delle Fiamme Verdi, e Teresio Olivelli, ufficiale del 2° Reggimento Alpino
fuggito in ottobre dal campo di prigionia di Markt Pongau e nominato dal Cln comandante
nel settore Bresciano, sorse lidea di riabilitare la memoria dei due martiri
bresciani. Il 5 marzo del 1944 venne così alla luce, a scopo commemorativo, il primo
numero del "Ribelle" che fu diffuso con una tiratura di 15 mila copie
riscuotendo un successo << enorme >>.
I risultati lusinghieri ottenuti con la prima uscita spinsero gli autori a continuare
nella loro esperienza che si protrasse così lungo tutti i mesi della lotta di
liberazione. Espressione dei cattolici inquadrati nelle Fiamme Verdi, il giornale riuscì
a pubblicare altri 25 numeri affiancati dalla serie dei "Quaderni". Di questi
ultimi si succedettero 11 pubblicazioni nelle quali, oltre a svolgere unanalisi del
fascismo, furono stilati i princìpi che avrebbero dovuto regolare la nuova società e
ipotizzate alcune soluzioni ai probabili problemi, quali ad esempio il rapporto fra Stato
e Chiesa, che sarebbero sorti allindomani della liberazione.
"Il Ribelle", contando su squadre di distributori ben
organizzate, sul notevole appoggio fornito dalle donne, << le
protagoniste più coraggiose e spericolate >>, e sul diffuso
entusiasmo dei cattolici, fu in grado di raggiungere tutti i maggiori centri del nord
Italia, penetrando largamente in Emilia, in Lombardia, nel Veneto, in Piemonte, arrivando,
per lo meno fino a quando fu possibile, a Roma e anche in Svizzera dove era riprodotto
dalla "Squilla Italica".
Il periodico fece suo il motto già adottato da "Brescia
Libera": "Esce come e quando può" e, simbolicamente, continuò a riportare
in tutti i numeri la data di Brescia. Il foglio in realtà fu sempre composto fra Milano,
dove era disponibile un linotipista, e Lecco dove fra il sabato e la domenica era
impaginato e stampato. In totale i collaboratori furono allincirca una ventina; fra
i più noti vi era Teresio Olivelli mentre altri, come Laura Bianchini, don Giuseppe
Tedeschi, Enzo Petrini, avevano in precedenza collaborato attivamente con "Brescia
Libera".
Il successo del primo numero indusse i fondatori a continuare, << nel nome dei morti, più vivi dei vivi >>,
il proprio lavoro proclamando << linesorabile e vitale
necessità >> della rivolta. Nella pubblicazione successiva,
datata 26 marzo, Teresio Olivelli, con un articolo contrassegnato da una grande tensione
morale, espose la piattaforma ideologica del giornale. Nellarticolo, che era
intitolato "Ribelli", Olivelli portava in superficie tutta la rabbia e lo
sdegno della nuova generazione cresciuta e formatasi sotto il fascismo. Era uno scritto di
alta intensità nel quale si riflettevano le stesse vicende dellautore che, dopo un
lungo travaglio interiore, aveva ormai assunto una netta posizione antifascista.
Personalità animata da un profondo sentire religioso e da un forte rigore morale,
Olivelli, come molti cattolici, aveva aderito al regime con lintenzione di agire al
suo interno per trasformarlo in senso cristiano. Del fascismo, nonostante alcuni dubbi che
egli manifestò nei suoi scambi epistolari, era giunto anche ad accettare limpegno
bellico tanto da arruolarsi volontario prendendo parte alla campagna di Russia. Visse
così in prima persona la tremenda ritirata iniziata nel gennaio del 1943, trovandosi a
compiere gesta al limite delle possibilità umane. Il sacrificio sopportato da tanti
giovani in terra sovietica gli apparve << troppo grande >> e << troppo difficile >>
da giustificare, egli non riuscì né a trovargli un senso, né a conferirgli una
qualsiasi utilità, un esperienza che troncò in lui qualsiasi illusione sulla
possibilità di modificare il fascismo in senso cristiano aprendogli la strada ad una
profonda riflessione critica.
Ad un anno di distanza da quegli avvenimenti e dopo la caduta del
fascismo, la disfatta dell8 settembre, la nascita della Repubblica di Salò, tali
considerazioni sfociarono in una critica che prese la forma di una decisa rivolta morale << contro un sistema e unepoca, contro un modo di pensiero e
di vita, contro una concezione del mondo >> che segnava, fra
coloro che intendevano proseguire lesperienza passata e quanti invece puntavano a
distaccarsene, un << abisso inadeguabile >>.
Tutta la prima parte dellarticolo "Ribelli" è
caratterizzata da una lunga, intensa e decisa requisitoria contro i costumi che avevano
dominato un ventennio di storia italiana. Nulla era tralasciato. Lo Stato onnipotente che
aveva annichilito la persona, la classe politica che aveva utilizzato per i propri fini di
potenza le istituzioni, una cultura servile, gli ideali dellapparire, le masse
apatiche e passive e, per finire, i fascisti irriducibili, che in onore ai loro ideali si
erano tramutati in << prezzolata appendice dello straniero>>; tutto era travolto da una critica che partiva dalla
consapevolezza dellimpossibilità di poter salvare qualcosa del vecchio mondo e
dallorgoglio di aver ritrovato, nel fondo delle coscienze, la capacità di
ribellarsi ad un ordine tirannico. Di fronte al crollo morale e sociale del paese, che
aveva raggiunto il parossismo con lo scoppio della guerra civile, la parola dordine
che veniva lanciata era quella di rompere con << una
tradizione decaduta a retorica per riprendere "ab intus" ed "ab imis"
ledificazione della personalità e della cultura >>, in
modo da << riprodurre in termini nuovi lordine delle
convivenze >> e realizzare così una nuova società << più libera, più giusta, più solidale, più
"cristiana">>. Il giornale professò quindi fin
dallinizio la sua ispirazione cristiana, un indirizzo che fu mantenuto anche dopo
luscita di scena di Olivelli, grazie soprattutto agli assidui interventi di Laura
Bianchini nei quali si avverte, come si vedrà, la forte influenza del pensiero
neotomista.
La ragione della nascita del "Ribelle" era motivata dal
desiderio di edificare un nuovo ordine fondato su una maggiore giustizia e
dallambizione di diventare una palestra dove i giovani potessero liberamente
dibattere e formarsi in vista della società futura; il giornale si proponeva il compito
di fungere da << fermento di una libera sana profonda cultura >>, e di diventare un << campo di
intransigente moralità >>. Tutti, senza alcuna preclusione
politica, di partito, di classe o di fede religiosa, erano invitati a partecipare alla
costruzione del nuovo ordine contribuendo sia con il braccio sia con la mente, << collidea e con le armi >>,
prendendo parte attiva al processo di liberazione senza attenderla in dono da alcuno. La
vera libertà poteva essere conquistata solo con il sacrificio e con una scelta attiva
compiuta dal singolo individuo, un principio che trovava la sua formula nella frase << non esistono liberatori. Solo, uomini che si liberano >>. Questo desiderio di raggiungere autonomamente alla libertà,
unito alla fede della propria scelta, assumeva il significato di una rottura totale con il
passato più recente, consentendo ai "ribelli" di conquistare con il proprio
coraggio e con il proprio sacrificio una piena dignità personale che assumeva anche i
caratteri di un risorgimento nazionale in quanto dava a chi si ribellava il diritto di
rappresentare pienamente la nazione:
<< Lottiamo, perché sentiamo con noi
nascere il dolore e la speranza del popolo italiano e, [
] sentiamo di essere
lavanguardia dello spirito e delle armi, lesercito "reale" della
nazione e dellumanità >>.
Unavanguardia, completò il discorso qualche mese più tardi
Laura Bianchini, costretta ad usare << la forza in difesa del
diritto >> contro quanti riponevano il <<
loro diritto nella forza >>.
Un altro contributo importante di Olivelli alla storia del giornale è
rappresentato dalla distribuzione, con luscita del terzo numero, del foglio
contenente la "Preghiera del ribelle", << il più
alto documento spirituale della guerra partigiana >>. La
preghiera, fatta stampare per la comunione pasquale dei partigiani, esprimeva il profondo
sentimento religioso dellautore. In questo scritto la passione di Cristo era assunta
come fonte da cui attingere la forza per ribellarsi e il coraggio di sopportare i
sacrifici più grandi contro lingiustizia in nome dellamore e della libertà,
della verità, della giustizia e della carità. La fede in Dio si traduceva nella fiducia
in un domani migliore che avrebbe dovuto essere contraddistinto dalla pace e dal sorgere
di una patria capace di essere benevola, rispettosa delluomo e al contempo
moralmente rigorosa. Nelle mani di Dio, ragione di gioia anche nei momenti più cupi e
dolorosi, erano affidati gli affetti più cari, i compagni di lotta e la resurrezione
della nazione:
<< Signore che fra gli uomini drizzasti la
Tua croce, segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito
contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noi
oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte
di libere vite, dà la forza della ribellione.
Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intesi, alita nel nostro
proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua
armatura. Noi Ti preghiamo, Signore.
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocefisso,
nellora delle tenebre ci sostenti la tua vittoria: sii nellindigenza viatico,
nel pericolo sostegno, conforto nellamarezza. Quanto più saddensa e incupisce
lavversario, facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci non lasciarci piegare.
Se cadremo fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a
quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu ce dicesti: "Io sono la resurrezione e la vita" rendi nel
dolore allItalia una vita generosa e severa.
Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu, sulle nostre
famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle
prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia,
ascolta la preghiera di noi ribelli per amore >>.
Larticolo "Ribelli" e la preghiera costituiscono
i due momenti salienti dellimpegno intellettuale di Olivelli nella lotta partigiana,
due interventi ad ogni modo strettamene legati alla guerra in corso. La sua riflessione e
il suo lavoro erano però anche concentrate sul futuro. Nei primi mesi del 44 furono
diffusi due scritti dai titoli: "Schema di discussione di un programma ricostruttivo
ad ispirazione cristiana" e "Schema di impostazione di una propaganda rivolta a
difendere la Civiltà Cristiana e a propugnare la realizzazione della vita sociale".
Gli schemi furono pubblicati dal "Ribelle" solo nel numero commemorativo
dedicato ad Olivelli stampato nel giugno del 1945.
Negli schemi erano delineati i tratti principali che avrebbe dovuto
assumere la società futura. Il nuovo ordine, di fronte alla <<
decomposizione e risoluzione >> dellepoca economica e
mercantile, avrebbe dovuto ispirarsi << a un effettivo e non
declamatorio spirito cristiano ove la persona umana [doveva essere] principio e fine
dellordinamento delle solidarietà >>. I punti basilari
di questo nuovo assetto democratico, liberale e pluralista, erano individuati nella
libertà e nelleguaglianza, questultima intesa come uguali possibilità
iniziali per sviluppare la propria personalità. Per ciò che riguardava il lavoro si
affermava che avrebbe dovuto esprimere il valore della persona la quale, tramite di esso,
avrebbe portato a termine il suo principale dovere politico. Era poi ripreso un tema caro
al pensiero cattolico sociale, cioè la compartecipazione operaia agli utili, strumento
consequenziale al principio di una società a base interclassista. Gli altri punti
sottolineavano la legittimità della proprietà e il ruolo fondamentale della famiglia
ritenuta il nucleo fondante dello Stato. A questultimo, per concludere, era affidato
il compito di garantire la difesa della persona e assegnato il dovere di promuoverne la
crescita, nonché la funzione di indirizzare le diverse attività della società al
conseguimento del bene comune. I valori cristiani dovevano costituire il nucleo fondante
di questa nuova società e pertanto era indispensabile compiere unintensa opera di
propaganda e di educazione che, una volta sconfitto il fascismo, doveva permettere di
resistere e vincere lassalto ordito dalla propaganda comunista. Lesempio da
seguire, per superare tale sfida, era quello di imitare il comportamento assunto dai
cattolici liberali nei riguardi del liberalismo e compiere un <<
opera di purificazione, rielaborazione, assimilazione >> in
modo da accogliere quegli elementi di verità presenti nella dottrina comunista. Al centro
doveva essere posto il problema sociale, in passato non compiutamente affrontato dai
cattolici criticati per aver trascurato << lhumanitas >> e << lansia di perfettibilità
del mondo umano >>, cui doveva far seguito un impegno totale
da parte del cristiano opponendo così alla << concezione
integrale >> del comunismo unidentica <<
concezione integrale >> di chiara connotazione cattolica.
Il contributo di Olivelli alla storia del "Ribelle" cessò a
causa del suo arresto avvenuto a Milano il 27 aprile del 1944. Dopo un breve periodo a San
Vittore spese gli ultimi mesi della sua vita in diversi campi di internamento dove, a
imitazione dei più limpidi esempi di martiri cristiani, donò tutto se stesso ai compagni
di prigionia morendo a causa dellinedia e delle violenze subite. Nonostante le
difficoltà derivate dal suo arresto, il " Ribelle" continuò le sue
pubblicazioni. Il giornale, oltre che divulgare informazioni di carattere militare
preziose per il movimento partigiano, si caratterizzò per il suo orientamento apolitico e
per lattenzione dedicata ai problemi di ordine morale e riguardanti la figura della
persona umana.
Lapoliticità costituì sempre un vanto del "Ribelle"
come dimostrano le seguenti parole apparse sul numero tredici del 30 settembre:
<< Noi del Ribelle non siamo
liberali. Noi del Ribelle non siamo democristiani. Noi del Ribelle non siamo del Partito
dAzione, non siamo comunisti, non siamo socialisti, e non siamo neppure
progressisti, né, Dio ce ne scampi monarchici . Se avviene dunque che i democristiani ci
credano dei loro e dei più puri, se avviene dunque che i liberali affermino che noi
facciamo del più bel liberalismo, se avviene che qualcuno ci creda lemanazione del
P. di A., la colpa sapete di chi è ? Del nostro far sincero, del nostro parlar onesto.
Ché in casa nostra spira buon vento di sincerità, di libertà, e ognuno può o sa dire e
difendere il proprio ideale. E ognuno cerca di capire, di discutere e talvolta anche di
accettare. Ma redini sul collo e niente paraocchi >>.
Questa lunga citazione appare da un lato come lorgogliosa
rivendicazione dellindipendenza intellettuale del giornale, mentre dallaltro
sottintende un impegno che trascendeva gli interessi di parte per fissare come principale
obiettivo quello della liberazione del paese. Troppi apparivano infatti al
"Ribelle" coloro che sembravano preoccuparsi più del domani che dellora
presente. Il problema immediato da risolvere non poteva invece che essere quello di porre
fine, nellinteresse di tutti, alla guerra in corso. E se a nessuno era negato il
diritto di prepararsi in vista della società a venire, tutti erano invitati ad evitare di
scivolare nello scontro e nella polemica fine a sé stessa, a sfuggire i contrasti
finalizzati solo alla raccolta di consensi per la conquista del potere politico a
liberazione avvenuta, a scansare divisioni che non potevano che avvantaggiare fascisti e
tedeschi. Nella sua lotta antifascista il "Ribelle" non risparmiava dunque la
critica a quelle forze che continuavano a procedere mantenendo atteggiamenti faziosi e a
queste opponeva lesempio della nuova generazione tempratasi nella <<
sofferenza amorosa >> e purificata dalla
volontà di essere diversa da tutti coloro che lavevano preceduta. La scelta di una
linea apolitica era quindi dettata dal bisogno di fare causa comune per risolvere i
problemi più importanti creati dalla guerra rinviando al domani le discussioni sul nuovo
ordine da costruire. Questa considerazione spiega i continui appelli rivolti dal
"Ribelle" allunità della Resistenza come premessa per creare quel
patrimonio comune in cui potersi riconoscere e da cui poter poi ripartire .
Al di là delle pur legittime aspirazioni di ogni singolo partito, per
il giornale era innanzitutto fondamentale trovare un terreno comune dove le forze
antifasciste potessero incontrarsi. Il riconoscimento e la condivisione di identici valori
avrebbero così permesso la formazione di un rinnovato rapporto di fiducia che, unito ad
un serio impegno di collaborazione, rappresentavano le migliori e necessarie premesse per
la costruzione di una nuova convivenza civile. Solo partendo da questi presupposti si
sarebbe ottenuta una liberazione reale e non di facciata, una liberazione conquistata
grazie al << coraggio della concordia >> che
avrebbero consentito di inaugurare una fase politica nuova capace sia di superare quel
tormentato periodo storico, sia di guardare al futuro nel migliore dei modi.
Il sorgere di un serio spirito collaborativo era visto come il primo
passo affinché fossero neutralizzati gli << effetti di una
ventennale educazione allodio, alla violenza, al disprezzo della vita umana >>, e affinché, alla base della vita nazionale e internazionale,
potesse instaurarsi << la reciproca comprensione, il rispetto
del diritto, lesercizio della solidarietà >>.
Lapoliticità, concepita come momento di ricerca di identità comuni, si trasformava
così in unità che doveva essere segnata dallamore per il prossimo poiché, prima
di qualsiasi risultato politico, avrebbe dovuto affermarsi il principio del "volersi
bene"; per poter avviare un giusto processo di ricostruzione diventava essenziale << far rinascere nel cuore degli italiani lamore, la stima, il
rispetto reciproco >>.
Linsistenza sul tema dellunità era dovuta anche al timore
di un risorgere del fascismo. Dalle colonne del "Ribelle" emergeva infatti la
preoccupazione che le divisioni e la tendenza a badare più al proprio interesse che non
al bene comune, potessero aprire ancora le porte, come negli anni venti, al ripetersi di
unaltra esperienza dittatoriale. A questa preoccupazione si accompagnò lo sforzo di
fornire una spiegazione del regime da poco crollato. Nellanalisi del giornale il
sistema mussoliniano era raffigurato come una categoria che trascendeva la particolare
contingenza storica per assumere un carattere universale; unesperienza che, pur
avendo avuto alcuni caratteri peculiari, avrebbe potuto riprodursi e ripresentarsi
nuovamente sotto altre forme perché ritenuta non estirpabile in maniera assoluta. I
tratti caratteristici del fascismo erano individuati in <<
quella particolare attitudine spirituale che fa luomo dimissionario della dignità
che gli è propria; che lo curva e lo annulla in pratica [
] sotto la tirannia di
falsi idoli, delle pesanti mistiche della collettività >>.
Altra espressione tipica del fascismo appariva anche << quella
mentalità sbrigativa che pretende di risolvere le difficoltà intervenendo con la
violenza e di sostituire la forza alla leale discussione, alla persuasione, agli accordi
liberamente stipulati e lealmente osservati >>. Lanalisi
catalogava come fasciste anche altre esperienze come la formazione di un capitalismo di
Stato, lonnipotenza delle oligarchie economiche, la possibilità di vivere di
rendita sottraendosi al dovere del lavoro, lannullamento in favore della politica
del momento sindacale . Uninterpretazione molto ampia e generalizzata nella quale,
come si può ben capire, è possibile farvi rientrare ogni forma di dittatura e di
totalitarismo. Da questa impostazione derivava la conclusione che qualsiasi acquisizione
democratica non poteva essere considerata definitiva e qualunque crisi, se gestita con una
mentalità intransigente e non votata al compromesso, avrebbe riaperto il pericolo di un
nuovo fascismo.
Questa analisi così generalizzata può essere spiegata per via del
timore, espresso più volte, di passare ad unesperienza diversa nella forma ma
identica nella sostanza: il popolo italiano doveva evitare di lasciarsi abbagliare da
nuovi miti per non cadere << nel triste gioco illusorio di
liberarsi da una dittatura per cadere sotto unaltra >>.
Al fine di evitare tale pericolo, era necessario abbandonare ogni illusione di poter dar
vita ad un uomo perfetto; allontanarsi da ogni forma di mistica sotto qualsiasi aspetto di
presentasse; cercare un terreno comune sul quale far convergere tutte le distinte opzioni
per poter costruire un rapporto di stima e fiducia reciproca. La <<
tentazione fascista >> poteva essere scongiurata solo se si
fosse trovato un minimo comune denominatore a cui fare sempre riferimento e solo se si
fosse instaurata << la concordia fra i migliori che hanno
sofferto, lottato per unItalia risorta a vita nuova >>.
Per costruire una nuova società il "disarmo degli spiriti" e
la predisposizione allaccordo dovevano essere poi integrati da una profonda
rivalutazione delluomo. Limpossibilità di prescindere dalla centralità della
persona e da una valida riforma morale furono sottolineati in più interventi ed erano
assunti come il cardine attorno al quale far ruotare lintera società. In primo
luogo era indispensabile rivalutare luomo nella sua veste integrale e riconoscere
che i mali del mondo avevano la loro radice nel << disordine
della vita personale >>:
<< Limperativo dellora presente
è riaffermare la dignità della persona umana [
] riaffermare innanzitutto
lintegrità unitaria e concreta delluomo : corpo e spirito, intelligenza e
volontà, essere dal quale sgorga lazione come lacqua dalla sorgente >>.
La persona umana doveva essere il punto di partenza da cui procedere
per qualsiasi progetto di ricostruzione, era lelemento principale reputato ancora
più importante della società cui luomo era anteposto:
<< Cè più di un ordine politico,
sociale, economico, internazionale da rifare; cè luomo che è elemento primo
di tutti gli ordini. [
] Ci vuole, insomma, unazione spirituale alla quale si
deve cominciare col riconoscere di diritto e di fatto il primato delliniziativa e il
dominio dei fini, che vanno direttamente alluomo in sé e non al benessere sociale,
a cui arrivano solo indirettamente >>.
Il primato assegnato alla persona era la logica conseguenza di
unidea che poneva alla base la necessità di riconoscere e rispettare la << gerarchia dei fini >>: fini
temporali, quelli della società, fine eterno quello delluomo. Era questultimo
un principio che permetteva di completare e di vivificare, unendole e sostenendole, le
norme atte a garantire lordine sociale. Se era infatti importante tutelare la
sicurezza personale e nazionale, dare a ognuno la possibilità di lavorare e di procurarsi
i mezzi di sostentamento, instaurare fra i diversi rami produttivi rapporti armoniosi e
garantire la tranquillità pubblica, linsieme di questi elementi, in quanto limitato
alla natura temporale, rappresentava soltanto una << fragile
struttura esteriore >>. Il riconoscimento e il rispetto dei
fini permetteva invece che questa struttura non solo fosse animata, ma che i suoi elementi
costitutivi fossero convogliati in direzione di un ordine superiore confacente al
carattere più intimo delluomo rinvenuto nella sua natura immortale. La società
doveva essere quindi ordinata alluomo ed era concepita come una <<
persona di persone >> con il compito di creare le condizioni
necessarie per garantire lo sviluppo della persona umana in modo da permetterle di
riconoscere << in piena libertà la propria vocazione e di
seguirla >>.
Questi argomenti erano pienamente inseriti nellalveo della
tradizione cattolica e come tali non costituivano certo una novità. Rispetto al passato
mutava però la posizione assunta nei confronti del sistema politico che doveva mettere in
pratica tali ideali. Durante tutti gli anni trenta, infatti, la realizzazione di questi
princìpi era rimasta indissolubilmente legata allambizione di restaurare uno Stato
cattolico. Questa linea aveva determinato un atteggiamento benevolo nei confronti di quei
sistemi che, pur manifestando un carattere autoritario, avevano mostrato di voler
salvaguardare la religione cattolica. Il fascismo italiano, le esperienze corporative del
Portogallo di Salazar e dellAustria di Dolfuss, la nascita del regime di Franco in
Spagna, avevano ricevuto così lappoggio di gran parte del mondo cattolico, fautore
di una terza via alternativa al liberalismo e al collettivismo e desideroso di restaurare
un suo modello di Stato influenzando i regimi esistenti.
Ora invece, indipendentemente dalla connotazione che avrebbe potuto
assumere, il carattere autoritario dello Stato era decisamente rifiutato in quanto
giudicato già in partenza negazione della persona umana.
<< Lo Stato autoritario, comunque si
denomini, pretende farsi come un assoluto e sostituirsi alla legge morale della stessa
intimità della coscienza, negando in tutto o in parte quei diritti che sono essenziali
alla dignità della persona, e senza dei quali non esiste sostanzialmente persona >>.
Nel nuovo contesto la soluzione auspicata dal periodico era quella di
un sistema democratico i cui caratteri erano comunque completamente diversi rispetto a
quelli propugnati da altre scuole di pensiero e realizzati fino ad allora. Nei diversi
ordinamenti che si richiamavano alla dottrina democratica erano infatti riscontrati
difetti che non si conciliavano con una corretta idea di democrazia. Il sistema americano
e quello inglese, ad esempio, erano criticati per leccessivo peso rivestito dal
denaro, mentre quello francese era tacciato di << parlamentarismo
parolaio >>. Per il "Ribelle" quindi la democrazia
da << difendere >> e da << servire >> non era stata ancora
realizzata da alcuno Stato ed era << qualche cosa di soltanto
sognato, accarezzato dal pensiero di pochi >>. A queste
critiche faceva poi seguito lesposizione delle linee fondamentali che avrebbero
dovuto caratterizzare una vera democrazia. Per cominciare questa avrebbe dovuto
concretizzarsi come il regno del diritto in contrapposizione a quello del numero, dando
vita ad un << regime personalista >>
capace di << rispettare e valutare e sollecitare le vocazioni
dei singoli >>, organizzandole in funzione del conseguimento
del bene comune. In secondo luogo la libertà doveva essere concepita non come un fine in
se stesso, ma come << condizione dellazione >> e andava adeguatamente limitata al fine di evitare che le scelte
compiute dal singolo intaccassero la libertà altrui. Luguaglianza doveva trovare
invece la sua realizzazione mediante il riconoscimento dato ad ognuno del <<
diritto di essere pienamente se stesso >>. In pratica un
compiuto sistema democratico poteva essere considerato tale solo nel caso in cui da un
lato i princìpi della sovranità, della libertà e delluguaglianza avessero
pienamente rispettato la persona, dallaltro quando le singole vocazioni, grazie
allintervento delle istituzioni, fossero state adeguatamente coordinate e
armonizzate fra loro.
Ideali che dopo un anno dalla liberazione apparivano ben lontani
dallessere in via di realizzazione. Nel numero unico uscito in occasione
dellanniversario della liberazione e dedicato a << tutti
i morti in purezza >> senza distinguere sul loro colore
politico , il "Ribelle" ribadiva con fermezza il senso della propria storia
basata soprattutto sul motivo patriottico contrapposto allantifascismo partitico di
quei raggruppamenti che avevano privilegiato nella loro azione il momento politico
rispetto alla guerra di liberazione stessa. Dopo questaffermazione, che conteneva
ancora una volta una critica contro quanti continuavano ad anteporre i propri interessi al
bene comune della nazione, il giornale constatava amaramente che quella rivolta morale,
tante volte richiamata nelle sue pubblicazioni e ritenuta elemento imprescindibile per
qualsiasi rinnovamento, aveva ormai subito una battuta darresto:
<< In nome della libertà e della
democrazia continuano ingiustizie e delitti, si fa legge del proprio arbitrio e, quasi che
non fosse piaga recente un ventennio di abbrutimento politico, si ripete lerrore di
dividersi e di avvelenarsi per poter rimanere in pochi al potere >>.
Il "Ribelle" vedeva nella nuova fase storica il ripetersi dei
vecchi errori tipici dellepoca prefascista quando il momento politico era stato
sopravvalutato a scapito di quello economico e di quello morale, difetti che avevano
raggiunto il loro culmine durante il corso del ventennio. Riserve erano poi mosse a quanti
davano la democrazia come fenomeno definitivamente acquisito senza preoccuparsi di
lavorare per unampia diffusione dei suoi princìpi e per educare in tale senso ogni
cittadino. Un atteggiamento che contrastava con lorientamento da sempre assunto dal
giornale, proteso in direzione di una rivoluzione morale permanente volta a superare i
limiti insiti nella natura umana.
Per uscire da questa difficile situazione era richiesta una forte dose
di coraggio finalizzata a fare << pulizia di tutta la gente in
malafede >> senza badare alle dichiarazioni di appartenenza
politica. Solo una ferma posizione contro << gli arrivati
insensibili e gli arrivisti senza scrupoli >> e
unintransigente difesa della verità, della giustizia e della solidarietà avrebbero
permesso di porre le basi per una vera e sana moralizzazione del paese avviando un nuovo
corso del tutto differente rispetto al passato. Furono gli ultimi richiami del Ribelle
che, dopo questo numero, cessò definitivamente la sua attività. |