Alla memoria di Cesare De Simone,cronista giudiziario e
scrittore, che concepiva il suo lavoro come un appassionato contributo alla ricerca di
verità
La vicenda della cosiddetta "archiviazione
provvisoria" da parte della procura generale militare dei procedimenti per le stragi
naziste e fasciste è stata ricostruita su basi documentali e testimoniali
dal Consiglio della magistratura militare con una relazione approvata il 23 marzo 1999.
Oggi essa costituisce il documento base per ogni intervento e per ogni riflessione su
questo tema. Essa individua i tempi e i modi in cui vennero commesse irregolarità ed
omissioni nonché gli uffici e i titolari di essi sui quali gravano le responsabilità di
averle compiute.
Quanto alle responsabilità politiche, individuarle non poteva essere
compito di quellorganismo, ma di un organismo parlamentare. La relazione, tuttavia,
ha indicato precise circostanze di tempo che permettono di risalire ai responsabili
politici dei dicasteri interessati: le "archiviazioni provvisorie" risalgono,
infatti, al biennio 1958-60; negli anni 1965-68 ben 1250-1300 fascicoli vennero trasmessi
dalla procura generale militare alle procure militari territoriali, ma si trattava
per lo più di procedimenti nei quali per il passare del tempo non
era più possibile individuare i responsabili. È a questa fase che dovrebbe farsi
riferimento particolare per cercare di comprendere chi agì per la dimenticanza e perché.
A questa ricerca a integrazione di quanto Franco Giustolisi ha
meritoriamente scritto sia su LEspresso, sia su Micromega ho il
dovere di recare un elemento di verità riferendo quanto mi testimoniò Paolo Emilio
Taviani, già ministro della difesa prima di quel periodo e poi ministro dellinterno
nella fase successiva: con lui ho avuto la fortuna di intrattenere rapporti di
collaborazione, soprattutto nellambito del Museo storico della Liberazione (Roma,
Via Tasso), che aveva risollevato dal declino e dalloblio e alla presidenza del
quale volle che fossi io a succedergli.
Come già aveva fatto quando fu intervistato da Giustolisi e come
confermò nelle sue memorie, egli rivendicò pienamente e con onestà la responsabilità
di avere concordato nellottobre 1956 con il ministro degli affari esteri Gaetano
Martino di evitare di richiedere, in quel momento, lestradizione di uno dei
responsabili della strage dei militari italiani a Cefalonia del settembre 1943. Egli
sottolineava: "in quel momento e per quellevento soltanto". Ricordava e
invitava a considerare che si era non solo genericamente in anni di "guerra
fredda", ma nel pieno di una duplice crisi internazionale nei rapporti tra Est e
Ovest, con la guerra di Suez da un lato e la rivolta dUngheria dallaltro. Con
le truppe e i carri armati sovietici a poco più di 200 km da Vienna, il ruolo militare
delle forze armate della Repubblica federale di Germania (la cui ricostruzione era
ostacolata anche allinterno dellopinione pubblica di quel paese) era
considerato assolutamente necessario per le politiche di difesa dei paesi dellEuropa
occidentale. Lo svolgimento di un processo per crimini di guerra ad ufficiali delle forze
armate tedesche secondo il ministro degli affari esteri italiano avrebbe
potuto "alimentare la polemica sul comportamento del soldato tedesco". A tale
giudizio politico Taviani aveva aderito pienamente e consapevolmente e restava convinto di
aver preso una decisione saggia e nellinteresse dellItalia, dei suoi alleati e
di quella particolare pace basata sulla capacità di dissuasione (da altri definita
"equilibrio del terrore") che era caratteristica delletà della di
"guerra fredda".
Personalmente come forse anche molti fra i presenti ho
partecipato numerose volte a manifestazioni contro la NATO e sostenuto politicamente per
lItalia delle posizioni di "neutralità attiva" (come tanti nostri
maestri, quali Ferruccio Parri, Gerardo Bruni, Piero Calamandrei, Enzo Enriques Agnoletti,
Arturo Carlo Jemolo, e tanti altri): tuttavia, come studioso di storia che si sforza di
comprendere il passato nella sua integralità attraverso documenti e analisi delle
circostanze, anche quando questo va contro le nostre scelte e le nostre convinzioni, debbo
dire che quel comportamento di Gaetano Martino e di Paolo Emilio Taviani facendo
valere esigenze che erano ritenute primarie per linteresse nazionale e statale della
Repubblica italiana era in coerenza non solo con le loro scelte personali, ma anche
con quelle dei loro partiti (rispettivamente PLI e DC), della maggioranza parlamentare e
dei governi della Repubblica da essa espressi.
Come sanno tutti coloro che sono stati in qualche modo partecipi della
vita politica italiana dopo 1960 o che lhanno studiata con attenzione, conoscendo
lattività successiva di Taviani e il ruolo che in essa ha avuto
lantifascismo, non possono dubitare sulla lealtà e sulla sincerità con la quale
egli valoroso comandante partigiano ed esponente del CLN di Genova, presidente
della FIVL, organizzazione dei partigiani non di sinistra dichiarava di non essere
stato al corrente delle archiviazioni e che, qualora lo fosse stato, ad esse si sarebbe
opposto, anche perché successivamente erano gradualmente venute meno alcune delle ragioni
della sua decisione del 1956. Tra laltro, non va dimenticato che nella sua attività
partigiana egli, almeno due volte, era scampato a rastrellamenti preliminari a stragi
nelle quali erano stati uccisi suoi compagni di lotta.
Vi è un altro elemento sul quale va resa nota la testimonianza di
Taviani e che è strettamente legato con la ricerca delle responsabilità delle
archiviazioni. Egli mi disse che diversamente da quanto in un primo momento aveva
dichiarato a Franco Giustolisi aveva verificato bene il comportamento di Randolfo
Pacciardi leader repubblicano "storico", antifascista anticomunista
suo successore al ministero della difesa, finendo per convincersi che non aveva
avuto alcun ruolo decisivo nella vicenda. Si sarebbe dovuto allora
scandagliare meglio su quanto era avvenuto in seguito, analizzando loperato di
diversi ministri e sottosegretari alla difesa e, in particolare, i rapporti tra dirigenza
politica ministeriale e vertici della magistratura militare: questultima,
sottolineava, temeva fortemente labolizione dei tribunali militari o un forte
ridimensionamento del suo ruolo, in armonia e in applicazione del dettato della
Costituzione. Mi aggiunse che egli non era a conoscenza di fatti specifici e di
coinvolgimenti diretti di persone, nel qual caso come per altri eventi non
avrebbe esitato a renderli noti nelle sedi competenti, giudiziarie e/o parlamentari: erano
lesperienza consolidata e la riflessione accurata a spingerlo a formulare tale
ipotesi.
Ho dedicato spazio a questo aspetto perché mi sembra che esso
trascenda il caso puramente personale e dal punto di vista del metodo sia
indicativo della necessità di valutare politicamente lattività delle persone in
relazione a tutte le circostanze e a tutti gli elementi che ne condizionano e ne motivano
i comportamenti.
Vorrei, ora, accennare brevemente a due altri aspetti che entrano di
più nel merito della questione.
Il primo è quello della necessità di non fermarsi ai soli fascicoli
della procura generale militare. La realtà che essi presentano e già, di per sé,
impressionante:
1 Notizie complessive di reato registrate 2274
2 Fascicoli trasmessi nel dopoguerra alle procure militari
territoriali 19
3 Fascicoli trasmessi allautorità giudiziaria ordinaria
(reati non militari) 270
4 Fascicoli trasmessi alle procure militari territoriali nel
1965-68 (in genere contro ignoti) 1250-1300
5 Fascicoli trasmessi alle procure militari territoriali nel
1996 695
Tra essi, contro ignoti 280
Tra essi, contro identificati 415.
Oggi, quindi, noi ci mobilitiamo sdegnati di fatto contro
la vergogna dell insabbiamento di 415 procedimenti su un totale di 2274 notizie di
reato.
Nel 1996 Livio Fumiani e Tristano Matta pubblicarono una Carta delle
principali stragi nazifasciste nellItalia occupata 1943-1945, che indicava i
luoghi di circa 400 stragi con oltre 8 morti. Nello stesso periodo, con Cesare De Simone
avevamo discusso a lungo per predisporre un progetto più ampio di ricerca che, per lui,
doveva riguardare i massacri, ulteriormente distinti in eccidi e stragi.
"Per quanto attiene al dato fondamentale da
rilevare scriveva Cesare De Simone (il massacro come crimine di
guerra delle truppe naziste o delle formazioni di Salò) si è convenuto di procedere
sulla base della definizione giuridica che ne dà la magistratura militare sia
italiana che straniera che negli anni dal 1945 al 1949 ha processato alcuni dei
maggiori responsabili (in particolare: processi Kappler e Mackensen a Roma; processo
Kesselring a Trieste; processo Reder a Bologna; processo per la strage di Oradur sur Glane
in Francia; processo per la strage di Kalamatis in Grecia; processo di Karkov in Urss).
Viene definito eccidio luccisione da 2 a 4 persone; viene definita strage luccisione
da 5 persone in su".
Ma, secondo lui, andava individuata meglio e con
precisione la tipologia di episodi ai quali riferirsi
.
"Per quanto attiene alle modalità del massacro
aggiungeva Cesare De Simone anche qui il rilevamento si attiene alla
definizione giuridica del crimine di guerra che è stata messa a punto dal processo di
Norimberga del 1946 comprendente, tra laltro e per i casi che attengono al nostro
rilevamento: a) luccisione di civili per rappresaglia ad azioni di guerra
del movimento partigiano; b) luccisione preventiva di civili per
esigenze di carattere militare; c) luccisione di civili per motivi
razziali e/o per vendetta; d) luccisione di partigiani e/o prigionieri
di guerra catturati in combattimento e/o in azioni di rastrellamento; e) luccisione
di ostaggi per motivi di rappresaglia e/o razziali e/o di vendetta"
Per quanto mi riguarda, pur aderendo nel caso
concreto a tali limiti, continuavo e continuo ad essere convinto che lindagine debba
estendersi anche a quello stillicidio di uccisioni individuali determinate da ragioni
analoghe, o anche a quelle di persone estranee a precisi atti di guerra uccise dopo un
sommario giudizio di un organo più o meno improvvisato di giustizia militare.
Avevamo stimato che rispetto alla cifra dellelenco di
Fumiani e Matta il numero degli episodi da considerare sarebbe almeno raddoppiato,
se non triplicato. E va ricordato che eccezion fatta per la Sardegna, dove non vi
fu occupazione nazista pressoché tutte le regioni italiane, dalla Sicilia al
Trentino, Friuli e Valle dAosta hanno conosciuto episodi di massacri. Ora
lipotesi è che nella versione più ampia il numero complessivo
finirebbe per riguardare almeno il quintuplo dei casi, se non di più.
Nonostante questo ampliamento, ci troveremmo di fronte solo ad una
parte delle morti dovute a cause "non naturali". Ritengo, infatti, che l
"armadio della vergogna" costituisca solo la punta di un iceberg la cui massa
sia ancora sommersa e inesplorata.. Bisognerebbe, infatti, non limitarsi a considerare le
sole notizie di reato di competenza dellautorità giudiziaria militare. Ben 260 di
quelle giunte alla procura generale militare erano per reati di competenza
dellautorità giudiziaria ordinaria: erano il 10% del totale dei procedimenti
dell "armadio della vergogna" e circa il 60% di quelli contro persone
identificate. Dovrebbero esistere se così vogliamo continuare a chiamarli
altri "armadi della vergogna" in alcune città sedi di tribunali e anche
altrove. A tale riguardo, vorrei infatti ricordare che le norme anagrafiche
richiedevano/ono che per registrare morti dovute a cause "non naturali" era/sia
necessario un provvedimento delle procure del re/della repubblica e che le procure
decidevano/ono sulla base di indagini della polizia giudiziaria (in genere, per la loro
diffusione sul territorio, allepoca, soprattutto i carabinieri). Inoltre, in tutti i
casi in cuii registri anagrafici dei comuni sono andati distrutti per causa di guerra,
ufficiali danagrafe, carabinieri e procure si sono avvalsi dei registri delle
parrocchie e/o di quelli degli ospedali e dei cimiteri, oltre che delle dichiarazioni
giurati di testimoni diretti: così, nella maggior parte dei casi, sono state identificate
le vittime di bombardamenti e cannoneggiamenti e di altri atti "normali" di
guerra; così ed esiste unagghiacciante serie di riprese cinematografiche per
i caduti delle Fosse Ardeatine - evidentemente, sono state identificate anche le vittime
degli atti "non normali" di guerra, come le stragi, le esecuzioni sommarie, le
rappresaglie e gli atti doffesa contro i civili.
Questo insieme di cose mi ha spinto in passato a
sostenere la proposta di Enzo Collotti di unindagine sistematica sulla materia e a
collaborare con Cesare De Simone a elaborare un progetto concreto presso la presidenza
nazionale dellANPI e il comitato nazionale per il cinquantenario. Esso si è arenato
dopo la morte di Cesare De Simone, mentre con intenti e metodologie in parte
diversi un altro progetto è stato sviluppato e realizzato da un pool di gruppi
universitari (Pisa, Bologna, Napoli, Bari) che su esso hanno realizzato anche un convegno
internazionale a Bologna. Su entrambi oggi informano due appositi siti web.
Ma cè qualcosa che mi fa ritenere necessario insistere perché
anche in altre regioni si sviluppi la ricerca e perché si proceda in maniera più
sistematica. Nel sito delluniversità di Pisa esiste una cronologia di episodi
registrati da Carlo Gentile (Operazioni antipartigiane, rappresaglie, stragi in Italia
1943-1945) attraverso la consultazione di fonti darchivio tedesche,
inglesi e americane, oltre che della relativa bibliografia specifica. Si tratta di solo
329 episodi, a volte di solo rastrellamento: quelli del Lazio, ad esempio, non arrivano a
20, a fronte degli oltre 120-130 episodi di uccisioni (anche individuali) che ho censito
sulla base di pubblicazioni locali e dellelenco riportato da Ricciotti Lazzero.
Questo mi fa chiedere oggi a gran voce che si aprano tutti gli altri "armadi della
vergogna", ovunque collocati, ma anche che anche solo attraverso i censimenti
delle lapidi e lo spoglio delle fonti e della pubblicistica locale si compilino
degli elenchi e dei repertori più analitici e più credibili.
Fare, a questo proposito, processi retrospettivi alla classe politica
della Democrazia cristiana e degli altri partiti antifascisti o costituzionali del primo
cinquantennio dellItalia repubblicana mi interessa decisamente di meno oggi
del conoscere lesatta portata della "guerra ai civili" recata in
Italia dai nazisti e dai fascisti nel 1943-45 (e, sia detto a scanso di ogni equivoco,
anche di quella recata dagli italiani armati più o meno fascisti in Libia, Etiopia,
Slovenia, Croazia, Albania e Grecia). Non si tratta di unoperazione di puro e
semplice recupero di memoria offesa.
"Siamo dei combattenti, non degli assassini", era la divisa
morale dei GAP romani quando i loro militanti si ponevano il problema di evitare che le
loro azioni colpissero persone estranee ai loro "obiettivi" (in genere,
esponenti più o meno rilevanti degli apparati militari o polizieschi degli occupanti o
dei loro complici).
Chi, come me, appartiene al movimento dei nonviolenti ritiene suo
compito non solo di far conoscere e affermare le proprie ragioni ma anche suo dovere
morale di richiedere a tutti coloro oggi ancora maggioritari che ritengono
di avere ragioni di combattere con le armi (ammesso che ve ne possano essere) che operino
per delle radicali riduzioni del danno alle persone innocenti, cioè per evitare le
uccisioni e le menomazioni casuali e indiscriminate di non combattenti e per operare per
lumanizzazione dei conflitti, cioè per lopposto di quanto oggi prevale negli
scenari delle guerre in atto o potenziali.
Per queste ragioni abbiamo tutti la necessità di conoscere
analiticamente nei suoi termini reali quella particolare "guerra totale"
costituita dallaggressione nazista ai popoli dellEuropa. Da parte del fronte
antifascista stati ed eserciti non meno che popoli, movimenti, ideologie
essa richiese una reazione militare non meno dura, distruttiva e sanguinosa, anche se esso
non aveva lo sterminio sistematico dellavversario come fine e non solo come mezzo (e
la differenza non è di poco conto). Fu proprio infatti la messa in opera di
quella "guerra totale" - come era stato per le aggressioni indiscriminate anche
dei neutrali da parte degli Imperi nella prima guerra mondiale a legittimare i
vincitori a considerare i nemici sconfitti (o, meglio, i loro capi) come "criminali
di guerra" e a considerare le morti (anche di civili) causate dalle proprie forze
armate come giustificate da unesigenza primaria di liberazione da essi.
Per questo, in relazione al nostro paese e al nostro popolo non meno
che in relazione agli altri paesi e agli altri popoli dEuropa, abbiamo bisogno di
avere la conoscenza più adeguata e precisa possibile della minaccia e della realtà della
violenza che furono costretti a subire.
La conoscenza sistematica delle uccisioni dei civili e dei massacri
operati dagli occupanti tedeschi e dalle forze armate e di polizia della RSI è, infatti,
una necessità fondamentale per la costruzione della nostra identità per due ordini di
ragioni.
Vi è ed è stato finora laspetto maggiormente indagato
il rapporto fra, da un lato, lotta di sopravvivenza e lotta di liberazione (armata
e non armata) dal nazismo e dal fascismo e, dallaltro, aspirazioni popolari alla
libertà, allindipendenza e identità nazionale, alla giustizia,
alluguaglianza, alla pace che accomunano alla radice tutti i popoli dEuropa,
al di là dei regimi e delle forme della politica che divennero egemoni nel dopoguerra.
Ma vi è qualcosa di altro e di più profondo, sulla quale non abbiamo
posto a fondo la nostra attenzione.
È qualcosa per cui ho una sensibilità particolare. Il mio paese,
Cisterna di Latina (allora Littoria), era sulla linea del fronte di Anzio e fu distrutto
al 99% dai bombardamenti aerei americani. Nella battaglia per conquistarlo, poi, il
reggimento Rangers di Fort Smith (Arizona), perse tutti suoi effettivi tranne sette od
otto, alcuni dei quali ho conosciuto quando ormai erano dei reduci settantenni,
sopravvissuti, ma con le gambe amputate, le braccia meccaniche o con qualche turba
psichica di un certo rilievo. Nella guerra di massa è una fortuna salvarsi non solo per i
liberati, ma anche per i liberatori e anche chi vince e chi ha la fortuna di salvarsi, non
sempre resta integro o indenne da terribili conseguenze.
Ma quello che voglio dire è molto specifico. Come accennavo
pocanzi, per giustificare i bombardamenti sistematici e indiscriminati degli alleati
che ad esempio rendevano Dresda non dissimile da come i tedeschi avevano
reso Coventry (per non dire di quelli nucleari degli americani sulle città giapponesi di
Hiroshima e Nagasaki), fu elaborato il complesso teorico giuridico e politico dei
"crimini di guerra". Quella durezza crescente dellazione militare degli
alleati e quel potente dispiegamento di capacità distruttiva indiscriminata trovava la
sua giustificazione nelleccezionale gravità del nemico cui si era di fronte e nella
minaccia che esso aveva posto in atto contro gli stessi fondamenti biologici e materiali
dellesistenza dei popoli dEuropa, non solo contro le loro espressioni
culturali, civili e statali.
Se oggi noi ci riconosciamo giustamente eredi di quella
lotta e delle ragioni che la sostennero, dobbiamo avere chiaro anche quale fosse
lentità della minaccia e come, dove e in quale misura essa era diventata tragica
realtà. Lo sterminio nei lager non era solo un aspetto accessorio del Nuovo ordine
europeo del nazismo e di Hitler. Esso era il punto culminante di una spirale di violenza
che come un tragico vortice aveva colpito in maniera consapevole e diretta
le singole vittime civili delle uccisioni immotivate, i piccoli gruppi di ostaggi, le
centinaia di prigionieri uccisi per rappresaglia, le migliaia di donne, bambini e anziani
sterminati nelle grandi stragi. Ecco, allora, che il conoscere come, quando, dove e con
quali dimensioni i nazisti e i fascisti posero in atto la "politica della
strage" diventa lindispensabile pietra di paragone con la quale misurare le
circostanze che storicamente giustificarono ex post i bombardamenti
aerei ed i cannoneggiamenti marini e terrestri contro obiettivi civili e popolazioni. In
altri termini, per capire perché fu necessario porre in essere un così offensivo e
distruttivo male minore, è indispensabile conoscere la reale portata del male maggiore
che era necessario abbattere per la salvezza di tutti (o, meglio, dei superstiti).
Di questo abbiamo bisogno nella nostra epoca più di
cinquantanni dopo perché nellopinione pubblica internazionale e di
numerosi paesi si fa a volte molto sfacciato ed intenso un "uso
pubblico della storia" di tipo analogico per giustificare i bombardamenti contro gli
obiettivi civili e le popolazioni del nostro tempo. Non con la loro ipotetica efficacia
nelleliminare una minaccia comparata come analoga a quella che allora fu perpetrata
contro lumanità (secondo un procedimento tipico delluso della consuetudine
come fonte del diritto) ma con il semplice fatto che allora vi sono state distruzioni e
morti di civili operate dagli alleati.
Anziché domandare a chi oggi ritiene immorali i bombardamenti contro
obiettivi civili e popolazioni se cinquantanni fa si sarebbe opposto ai
bombardamenti degli alleati in guerra contro Hitler, chi vuole sostenere la necessità e
la moralità dei bombardamenti di oggi ha lobbligo di dimostrare che le minacce
allumanità siano oggi della stessa natura di quelle di cinquantanni fa e che
siano in grado di recare alle persone innocenti gli stessi danni e le stesse minacce
recati alle persone innocenti cinquantanni fa da Hitler, dalle sue forze armate e
dai suoi collaborazionisti.
Riferimenti bibliografici essenziali
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al convegno internazionale "Identità e storia della Repubblica. Per una politica
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F. Giustolisi, Gli scheletri nellarmadio, in
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P. Pezzino, Sui mancati processi in Italia ai criminali di guerra
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R. Ricci, Processo alle stragi naziste? Il caso ligure. I fascicoli
occultati e le illegittime archiviazioni, in "Storia e memoria", n. 2/1998,
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P. E. Taviani, Politica a memoria duomo, Il Mulino,
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I. Tognarini, Kesselring e le stragi nazifasciste. 1944: estate di
sangue in Toscana, Carocci- Giunta regionale della Toscana, Roma-Firenze 2002
Un percorso della memoria. Guida ai luoghi della violenza fascista e
nazista in Italia, a cura di T. Matta, Electa, Milano 1996
Siti web
www.guerraaicivili.it
www.stm.unipi.it/straginaziste