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L'8 Settembre 1943
L'opinione di Indro Montanelli
Quello che io, con la mia flebile voce, ho sempre contestato e continuo a
trovare vergognoso, fu il nostro modo di arrenderci. Noi eravamo un Paese vinto, che non
si batteva più nemmeno per difendere il proprio suolo. Gli anglo-americani avevano
preparato lo sbarco in Sicilia come un assaggio o prova generale di quello che si
apprestavano a fare in Normandia. E ad accoglierli trovarono invece della gente che gli
batteva le mani e gli chiedeva scatolame, cioccolata e sigarette. Cos'altro poteva fare,
se non arrendersi, il governo di un popolo che si era già arreso? Solo che la resa
potevamo farla in due modi: alle spalle e all'insaputa dell'Alleato, oppure avvertendolo
che lo avremmo fatto perché non avevamo alternativa. Scegliendo la seconda strada, noi
non avremmo salvato nulla, come nulla salvammo scegliendo la prima. Nulla, meno una
piccola cosa, a cui noi italiani non diamo mai alcun peso: l'onore. Vinti sì, come può
capitare a qualsiasi esercito e a qualsiasi popolo. Traditori, no. Fra le tante critiche
mosse al Re e a Badoglio per il modo in cui condussero quella vicenda, non viene mai
citata la parola d'onore che il Maresciallo dette all'Ambasciatore di Germania il 7
settembre, quando l'armistizio di Cassibile era ormai firmato, con cui il nuovo governo
attestava la sua ferma volontà di continuare a battersi. Della nostra condizione politica
e militare, nulla - intendiamoci - sarebbe cambiato. I tedeschi avrebbero ugualmente
occupato quanto potevano occupare della Penisola, forse avrebbero arrestato il Re e
Badoglio e disarmato le nostre truppe. E noi saremmo stati un Paese che, riconoscendosi
vinto, deponeva le armi, e basta. Quello che ci disonorò fu il nostro passaggio nel campo
nemico alle spalle dell'alleato, e quello che ci ridicolizzò fu la nostra pretesa, alla
fine della guerra, di sedere al tavolo dei vincitori.
(Corriere della Sera del 17 novembre 2000) |