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L'8 Settembre 1943

pallanimred.gif (323 byte) L'invasione lampo del Trentino-Alto Adige

di FABIO GOBBATO

La notte dell´8 settembre di sessant´anni fa, e cioè poche ore dopo l´annuncio alla radio italiana della firma dell´armistizio con gli alleati, l´intero Trentino Alto Adige era passato sotto il controllo dei nazisti. A Bolzano bastarono pochi colpi contro il Corpo d´armata e gli altri obiettivi. A Trento ci fu una più corposa reazione dei militari, ma servì a poco. Un´occupazione lampo, insomma. Gli ufficiali e i burocrati dell´Alpenvorland, la zona di operazione nelle Prealpi del Terzo Reich, soprattutto in Alto Adige erano già pronti ad entrare «in servizio» dall´estate. E nei mesi a seguire, l´Alto Adige rimase come sospeso. «I sudtirolesi - racconta Gerald Steinacher, storico dell´Archivio provinciale di Bolzano e membro della neocostituita commissione sulla Restistenza in Trentino- volevano mano libera per vendicarsi contro gli italiani, e l´annessione al Terzo Reich. Hitler non concesse né l´una né l´altra». E gli eventi di quei giorni hanno lasciato segni indelebili, per molti versi visibili ancora oggi. «Dopo lo shock per l´occupazione nazista, in quei due anni -continua Steinacher- la popolazione di lingua italiana si unì molto, maturando un forte sentimento nazionale simile a quello maturato dai sudtirolesi durante il fascismo. Ma fino alla fine del conflitto, salvo episodi sporadici, non ci furono vendette».
Dottor Steinacher, quando si «inizia» ad avvertire il clima da 8 settembre in Trentino-Alto Adige?
«Dal luglio ´43, dopo lo sbarco Usa in Sicilia, tutti sapevano come sarebbe andata a finire. Già prima della caduta di Mussolini, avvenuta il 25 luglio, i sudtirolesi cominciarono ad armarsi, per favorire l´ingresso dei nazisti in Regione, vista l´importanza strategica del territorio. Le truppe tedesche, già a cavallo di quei giorni, incominciarono a presidiare con forze consistenti ponti e strade. E i militari italiani a loro volta sapevano che cosa stava avvenendo, ma non avevano avuto nessuna direttiva precisa da Roma. Ci sono documenti che lo provano».
Prima dell´8 settembre non ci furono scontri fra truppe italiane e tedesche?
«Dopo la caduta di Mussolini, Badoglio disse che l´alleanza con Hitler non era in discussione, ma molti sapevano che le trattative per l´armistizio erano cominciate. Ci furono scontri tra italiani e tedeschi, con alcuni soldati morti, ma vennero pubblicamente archiviati come incidenti. I rapporti presso i comandi dicono però cose diverse».
Arriviamo all´8 settembre vero e proprio.
«A Bolzano le truppe tedesche, già nella tarda serata, occuparono il comando del Corpo d´armata, dopo sporadici episodi di resistenza. A Trento ci fu una contrapposizione più forte, con diversi militari italiani caduti, ma la conquista avvenne in poche ore. Il fatto è che in tutta la provincia di Bolzano, in pochissmo tempo ogni stazione dei carabinieri passò sotto il controllo del Südtirol Ordnungsdienst, una sorta di polizia fatta da giovani e anziani non abili alla leva. Erano pronti ad intervenire da mesi, tanto che l´8 settembre avevano già al braccio le fasce con la scritta stampata sopra».
Ma quanto ci volle perché l´intero controllo del territorio, anche dal punto di vista amministrativo, passasse in mano tedesca.
«Pochi giorni. Perché a partire dal ´39, e cioè dalle Opzioni, esisteva già di fatto anche una amministrazione tedesca che si occupava della leva e dell´assistenza all´80 per cento della popolazione che aveva optato per il Reich. Era un´amministrazione parallela. Karl Brunner, divenuto capo della polizia dell´Alpenvorland, lavorava a Bolzano da anni. E così Karl Wolff, generale delle Waffen Ss in Italia. Peter Hofer, capo dell´ufficio per gli optanti, è diventato prefetto della Provincia di Bolzano».
I militari italiani in Alto Adige sapevano che ci sarebbe questo «avvicendamento». E la popolazione civile?
«No, la gran parte non si era resa conto di nulla. D´altronde la propaganda fascista era piuttosto efficace. I contatti con gli elementi "allogeni", per usare un termine in voga al tempo, erano pressoché inesistenti. Per loro l´occupazione nazista fu uno shock. Hanno visto scomparire da un giorno all´altro il loro diritto di esistenza su questo territorio. Da quel momento in poi hanno cominciato a compattarsi, al di là delle appartenenze politiche, intorno al sentimento nazionale».
In teoria, anche dal punto di vista militare c´era il punto di riferimento della Repubblica sociale italiana.
«E´ vero. Ma, per dire, bisognava che andassero ad arruolarsi a Verona. Non c´erano uffici più vicini. Alla fine della guerra, poi, molti di quelli che hanno collaborato con i nazisti si sono giustificati dicendo che la loro collaborazione ha fatto sì che venissero mantenuti intatti i confini della patria. E in effetti, il territorio non fu annesso, ma occupato».
Perché?
«Hitler lo ha fatto soprattutto per Mussolini, del quale aveva un grande rispetto. Il Duce all´epoca stava sul Garda. E´ stato un modo per proteggerlo».
L´atteggiamento dei sudtirolesi come cambio?
«Dopo vent´anni di Fascismo volevano vendicarsi contro gli italiani e i Dableiber, contro coloro, cioè, che non avevano optato per il Reich. Ma Hitler e tutti i gerarchi nazisti, compreso il Gauleiter tirolese, dissero di no. Il Sod aveva già le liste nere pronte. I sudtirolesi volevano anche l´annessione al Reich, ma anche su quello Hitler disse di no».
Dopo il ´43, nonostante la guerra, il sistema scolastico italiano, ad esempio, rimase in piedi?
«Sì, quello rimase in piedi. E la toponomastica venne indicata in due lingue. Fu occupato invece tutto l´apparato burocratico. I podestà lasciarono il campo ai Bürgermeister. La svolta davvero negativa fu per la popolazione ebrea di Merano che di fatto fu distrutta. Ma fra italiani e tedeschi la situazione precipitò soprattutto alla fine della guerra, quando ci furono diversi eccidi ai danni soprattutto di civili e militari italiani, su cui non si è fatta ancora piena luce».
La Resistenza quando cominciò?
«A Bolzano molto tardi, nelle ultime settimane prima della Liberazione, e con pochissimi effettivi armati. A Trento fu più consistente, soprattutto ai confini della provincia».

(L'Adige, 8 settembre 2003)

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