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L'8 Settembre 1943

pallanimred.gif (323 byte) La patria morta e rinata

di Maurizio Viroli

ARRIVIAMO a questo sessantesimo anniversario dell’8 settembre con alle spalle una lunga discussione storiografica e politica fra chi sostiene che quella data è il simbolo della morte della patria e chi sostiene invece che proprio nei mesi tragici che seguirono l'armistizio nacque, o rinacque, un nuovo sentimento di patria.

Se riflettiamo con attenzione credo si debba riconoscere che l'idea della morte della patria è una interpretazione parziale delle vicende di quel drammatico 1943. Lo dimostrano i tanti atti di eroismo compiuti, per amore della patria e per senso dell'onore nazionale, da soldati e civili che nella più totale assenza di direttive, e di fronte a esempi vergognosi di vigliaccheria da parte delle autorità dello Stato, si assunsero individualmente la responsabilità di combattere i tedeschi o rifiutarono di entrare nei ranghi della repubblica di Salò, anche a costo di andare in campo di concentramento. Quando vedremo la mostra Schiavi di Hitler in Renania e Vestfalia che raccoglie le testimonianze dei soldati italiani internati in Germania dopo l'8 settembre (vedi La Stampa dell’1 settembre), per citare un solo esempio, ci renderemo conto che Tutti a casa è un grande film, ma racconta soltanto parte della storia.

Oltre ai documenti storici (è uscito in questi giorni il volume curato dalla Commissione italiana di Storia militare su La partecipazione delle Forze Armate alla guerra di liberazione e di Resistenza) ci sono poi le testimonianze che ci fanno capire che molti italiani scoprirono o riscoprirono l'amore della patria proprio nei mesi compresi fra la caduta del fascismo e l'inizio della Resistenza. Scrive Piero Calamandrei: «Veramente la sensazione che si è provata in questi giorni si può riassumere senza retorica in questa frase: "Si è ritrovata la patria"». Ancora più eloquente una pagina di Natalia Ginzburg: «Le parole “patria” e “Italia”… che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché accompagnate dall'aggettivo “fascista”, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D'un tratto alle nostre orecchie risultarono vere».

Altri italiani vissero l'8 settembre come morte di quell'idea di patria in cui avevano creduto. Che si trattasse della patria monarchica o della patria fascista, non v'è dubbio che l'una e l'altra morirono insieme e per sempre. Al tempo stesso, nelle sofferenze tremende di quei mesi, quando milioni di italiani si trovarono nella necessità di scegliere avendo per guida soltanto la propria coscienza, nacque un sentimento nuovo di patria. Si fece strada l'aspirazione ad una patria di cittadini liberi e uguali che l'Italia non aveva mai conosciuto nella sua storia. Ma a guardare bene fu rinascita e non nascita perché quell'aspirazione aveva le sue radici nel Risorgimento.

Che con l'8 settembre l'Italia si avviasse dolorosamente a rinascere lo capì con lucidità Benedetto Croce. Il 27 agosto 1943, scrive nel suo diario: «La notizia (dell'imminente armistizio) mi ha talmente eccitato l'anima che non ho potuto fare altro durante il giorno. Gioia? No, ma sentimento che si esce dall'intrico per imboccare una via dolorosa ma dritta».

L'8 settembre è dunque il simbolo della morte e della rinascita della patria. Del resto, poteva esserci rinascita senza morte?

(la stampa, 8 settembre 2003)

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