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L'8 Settembre 1943
L'8 settembre al Corriere
di Gaetano Afeltra
La giornata che doveva culminare con lannuncio dellarmistizio
era stata agitata, snervante. Allimprovviso, verso le dieci, dieci e mezzo, lufficio
intercettazioni fece suonare il campanello dallarme. Era un segnale convenuto per le
notizie importanti. Il Corriere aveva installato una stazione radioricevente,
potentissima, che oltre a intercettare dispacci era in ascolto ininterrotto delle
principali emittenti. Il
«Servizio intercettazioni» aveva captato da radio Algeri la notizia che fonti
qualificate davano per certo lannuncio in giornata dellarmistizio. I
redattori ebbero un balzo. Mottola avvisò il direttore. Non potevamo svelare la fonte
dellinformazione: dovevamo solo stare zitti e aspettare gli eventi. Da Roma nessuna
notizia.
Quel giorno Janni aspettava Mario Borsa per offrirgli la direzione de La Lettura, il
mensile che era stato diretto da Giacosa, Borelli, Radius, Simoni, Sacchi. Lincontro
fu cordiale, affettuoso. Borsa era stato il nostro candidato, Janni fu una scelta dei
Crespi. Riaccompagnai Borsa in corso di Porta Nuova, e mi fermai da lui una mezzora.
Tornai al giornale. In redazione cera un grande silenzio, molti posti vuoti. Chiesi a Francavilla: «Ci sono
novità?». Convinto che ne fossi al corrente, rispose: «Nessuna, dopo la comunicazione
dellarmistizio».
Mi sentii il cuore in gola. Non
sapevo nulla, ma non volevo farmene accorgere, né dire della mia assenza in un momento
così drammatico della vita del giornale. Tutto era accaduto mentre ero fuori.
Volevo darmi un contegno, ma sudavo. Per fortuna alle 18 e 30 radio Algeri, sede del
quartiere generale alleato, diramò lannuncio ufficiale. Mi sentii immediatamente
liberato dalle mie paure e finalmente alla pari con altri colleghi.
Cominciava una brutta sera. Anche tra noi, in redazione o nei corridoi, non riuscivamo a
tradurre in parole lemozione. Il direttore mi fece chiamare e diede il via per ledizione
straordinaria. Feci listare il giornale a lutto, con una striscia nera molto vistosa,
esattamente come quella dei manifesti che si usa ancora affiggere in alcuni paesi per
annunciare il decesso di un congiunto. Nella mia intenzione voleva significare lannuncio di morte
di una certa Italia. Come titolo a tutta pagina in caratteri corpo 90, solo la
parola «Armistizio». Seguiva, sulle prime tre colonne, il comunicato di Badoglio. La
tipografia del Corriere si è sempre distinta per la sua frenetica operosità: quella sera
sembrava elettrizzata. Dieci, dodici intorno alla pagina, come un' équipe chirurgica al
tavolo operatorio. A un certo punto Croce, il proto, mi chiese: «Afeltra, e il
commento?». «Già», pensai, «un commento ci vuole». Non volevo disturbare il vecchio
Janni che doveva preparare il suo articolo. Non c'era altra via che seguire quell'istinto
giornalistico che sorge spontaneo nell'atmosfera eccitata della tipografia e che spesso
aiuta a risolvere i casi più imprevisti. Presi la matita e scrissi: «Quattro novembre,
otto settembre: due date, due ricordi. Una gloria, una vergogna». Nello scrivere quelle
righe, agì forse in me il ricordo dell'infanzia amalfitana, quando la celebrazione del
giorno della vittoria era considerata una festa.
In prefettura il giornale fu
censurato. Forse la striscia nera, del resto non insolita, forse il commento troppo
crudo. Me ne tornai avvilito e in un certo senso bocciato. Attraversando la città, vidi
ovunque volti angosciati e commossi. Arrivato al giornale, andai a riferire al direttore e
a scusarmi. Janni mi disse:
«Lei non ha affatto esagerato. Anch'io listerò a lutto il giornale».
Il giorno dopo il Corriere pubblicava il messaggio di Badoglio incorniciato da due liste
nere.
(Corriere della Sera, 7 settembre 2003) |