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L'8 Settembre del 1943 a Roma
di Paolo Monelli
Badoglio convocò al Quirinale, alla presenza del re, il generale Ambrosio, i tre capi
di stato maggiore, Roatta, Sandalli e De Courten, il ministro della Guerra Sorice, il
generale Carboni, il maggiore Marchesi. Intervennero anche Guariglia e il duca Acquarone.
[...] L'uno guardava l'altro e nessuno osava parlare. Qualcuno guardava fuori dalle
finestre, come per ascoltare se s'udisse l'improvviso rombo degli aerei nel cielo. Il re
taceva. Allora prese a parlare il maggiore Marchesi. Spiegò che l'armistizio ormai era
firmato, il re e il governo si erano irrevocabilmente impegnati. Ricordò che
l'attegiamento degli alleati verso l'Italia poteva essere modificato e reso più
favorevole solo nella misura della nostra partecipazione alla lotta comune contro i
tedeschi. [...] Quando il maggiore Marchesi ebbe terminato di parlare ci fu un lunghissimo
silenzio. Poi Guariglia disse che ogni discussione era ormai inutile e bisognava andare
fino in fondo. Il re, che non aveva detto una parola fino ad allora, si alzò e disse che
la seduta era finita. Tutti uscirono, il solo Badoglio rimase ancora per qualche minuto
con il sovrano. Poi uscì anche lui e disse che il re gli aveva dato facoltà di parlare
alla radio. [...]
La famiglia reale arrivò al ministero della Guerra verso le otto, e fu condotta
all'appartamento riservato per il ministro in carica, una fila di camere e di salotti di
diversissimo stile, secondo i gusti dei vari abitatori; da un pezzo non ci abitava più
nessuno, c'era odor di chiuso, aria di abbandono. [...] Il re si sedette in una poltrona,
contro il muro; la regina si sedette accanto a lui, gli mise un braccio sulla spalla, con
affetto e protezione. Calava la sera, ma nessuno pensò di accendere la luce. Chi li aveva
accompagnati dovette lasciarli per attendere agli altri ospiti. Rimasero così silenziosi,
immobili, nella stanza che si oscurava. Due poveri vecchietti. [...]
Da parecchi giorni le voci dell'armistizio erano insistenti. Si diceva che in Calabria
le nostre truppe non combattevano più, erano state ritirate dalla prima linea ove ormai
non c'erano che i tedeschi. Ma continuavano i ciechi bombardamenti dall'alto; la mattina
dell'8 settembre centinaia di apparecchi sorvolarono Frascati e i Castelli romani facendo
paurosa rovina. [...] Alle 19,45 di quel mercoledì 8 settembre il capo del governo
maresciallo Badoglio annunciava alla radio con quella sua voce ruvida, di soldatone
piemontese, che c'era l'armistizio fra le forze alleate angloamericane e le forze
italiane. La gente fece capannelli nelle strade che già si abbuiavano, i passanti
s'interrogavano l'un l'altro. "Cosa ha detto?" "E' vero che ha detto che
siamo in guerra contro i tedeschi?" Presso Aragno un signore con barba e occhiali
spiegava con precisione: "No, ha detto solo che le truppe italiane reagiranno a
eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza". "O, fa lo stesso - disse un
uomo maturo - Vado a casa e metto in ordine il fucile". [...] La mattina del 9
settembre Roma si trovò avvolta dalla battaglia.
Si udiva un violento fuoco di mitragliatrici, di bombe a mano, di mortai, dalle parti
della via Ostiense e della via Cassia, e un continuo rombo di cannoneggiamento lontano. La
gente era tutta per le strade, curiosa, incerta. Le ultime parole dell'annuncio di
Badoglio erano state intese dal popolo per quello che volevano dire, che ora c'era un solo
nemico per l'Italia, ed era il nemico antico, sempre sentito tale anche durante
l'innaturale alleanza, il tedesco. [...] In città i passanti si dicevano l'un l'altro che
i tedeschi scappavano al nord, che Mussolini era morto a Campo Imperatore sotto i ferri
del chirurgo chiamato ad operarlo d'urgenza, che inglesi e americani erano sbarcati a
Civitavecchia e avevano già occupato Cisterna; belle ragazze stettero tutta la giornata
sulla soglia delle case ad aspettarli. [...] Ma altri fatti suscitarono i primi segni
d'inquietudine. I ministeri avevano mandato a casa tutti gli impiegati, nessun ufficio
rispondeva al telefono, a certi comandi militari si bruciavano carte e archivi, fu visto
nel deserto ministero dell'Aeronautica un tenente colonnello aggirarsi smarrito con in
tasca sei milioni di lire di cui non sapeva che fare. [...] Un gruppo scalmanato di
giovani andò a tumultare davanti agli uffici del "Messaggero", poi davanti al
"Popolo di Roma", dicendo che volevano stampare un numero unico per denunciare
il tradimento del re e di Badoglio che erano fuggiti. Si sapeva che avevano dormito al
ministero della Guerra, li avevano visti uscire dalla Tiburtina, una fila di macchine con
la targa diplomatica. Si ebbe subito l'impressione che non c'era più un'autorità, né un
comando efficiente. La radio era muta; alla Stefani c'era gente, ma non sapeva nulla. Le
botteghe erano chiuse, i mercati deserti. Solo i fornai avevano distribuito il pane. [...]
La giornata seguente, venerdì 10, s'inizia con colpi lontani di grosse artiglierie e un
più vicino e intenso fragore di fucileria dalle parti di porta San Paolo [...] Chi era
stato la mattina fuori porta San Paolo aveva potuto sperare ancora nel miracolo, che Roma
avrebbe tenuto lontano il nuovo e antico nemico. Nei pressi della basilica si respirava
un'aria da quarantotto, di repubblica romana, borghesi armati e animosi, operai, artisti,
studenti, mischiati a soldati di gran cuore; fra questi un centinaio di paracadutisti di
passaggio per Roma diretti in Sardegna, che di loro impulso si erano collocati sopra una
specie di argine al bivio della via Ostiense con la Laurentina, e sparavan rado e giusto
contro i tedeschi.
Allineati con loro ragazzi e uomini fatti si facevano insegnare a sparare con le
mitragliatrici. [...] In città quando suonarono le sirene dell'allarme, la gente era a
colazione; le poche trattorie aperte erano gremite. Cominciarono a udirsi gli scoppi
d'artiglieria, colpi in partenza, esplosioni di granate. Tutti fuori, il naso all'aria.
non c'era paura. Un colpo cadde sopra una casa in via Bocca di Leone che ne ebbe il
cornicione sbrecciato; altre granate scoppiarono in piazza di Spagna e nelle vicinanze.
Erano di piccolo calibro, ma il fuoco era abbastanza nutrito. [...] Poco dopo arrivarono
dalla piazza alcuni autocarri comandati da un nervosissimo ufficialetto che diceva intorno
che si combatteva alla Madonna del Riposo, che i granatieri tenevano duro. "ma voi
perché venite via?" "Siamo inferiori di forze - diceva l'ufficialetto - non
possiamo tenergli testa ai tedeschi".
(da Paolo Monelli, "Roma 1943", Einaudi)
Porta S. Paolo e Difesa di Roma
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