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8 Settembre 1943
Il diario di Chevallard
3 settembre. Il bollettino di oggi annunzia lo sbarco degli
anglo-canadesi in Calabria; a quattro anni dall'inizio della guerra gli inglesi hanno
rimesso piede sul continente europeo.
La notizia è accolta con una strana indifferenza, quasi direi un senso di sollievo:
qualunque mezzo è buono, purché la guerra finisca... D'altra parte ecco due commenti
pubblicati sui giornali: "L'Italia, forzata dalla situazione, combatte a fianco della
Germania..." [Gazzetta del Popolo della Sera]. - "Un reporter rivolse al
ministro delle informazioni inglese, Bracken, la seguente domanda: Si può prevedere che
l'Italia entro due mesi sia fuori dalla guerra?'. Bracken replicava: Voi siete un
pessimista'" [Stampa Sera]. Con quale animo possono combattere i nostri soldati
leggendo queste frasi? E soprattutto cosa pensano di noi, cosa tramano alle nostre spalle
i tedeschi? L'odio che li circonda è generale, liberamente si sente invocare l'invasione
inglese e la cacciata delle venti o quaranta divisioni tedesche dall'Italia. [...]
6 settembre. Le difficoltà di trasporti si fanno sentire sempre più
acute: in campagna non si riesce a trovare né frutta, né verdura all'infuori di quella
locale.
7 settembre. Circolano le voci più sensazionali e, almeno per il
momento, infondate: sbarco degli inglesi a Civitavecchia, abdicazione del re, imminente
conclusione dell'armistizio.
E' arrivato dalla Sicilia il fratello della nostra dattilografa, uno dei pochi scampati
della divisione "Assietta": i suoi avevano perso ogni speranza che rientrasse.
E' arrivato in shorts: è quanto ha potuto portare via dalla Sicilia. Altro che
evacuazione compiuta in perfetto ordine di uomini e materiali, tanto decantata dai nostri
giornali! Al traghetto di Messina la truppa ha avuto ordine di abbandonare tutti i
materiali, compresi i propri bagagli personali. Da Reggio sino a Foggia un viaggio fatto
un po' a piedi, un po' in camion, un po' in treno; nel caos generale che è l'Italia
meridionale tutto serve.
8 settembre. Stamani vado a Milano; i treni Torino-Venezia fermano
alla periferia, cioè a Certosa e Lambrate. Non posso quindi giudicare la gravità dei
danni inferti alla stazione centrale. Da quello che però ho potuto vedere nel rapido giro
che ho fatto per la città, noto che è stata colpita in modo durissimo: non vi è zona,
tra le diverse attraversate, che o poco o tanto non abbia avuto danni. In alcuni punti poi
è un susseguirsi ininterrotto di rovine; così, ad esempio, la zona di via Procaccini
[Sempione], dei Giardini, di corso Roma. Il più triste spettacolo però è dato dal
centro, silenzioso e morto.
Corso Vittorio tra San Babila e il Duomo fa paura, tante sono le macerie, che,
ammucchiate, permettono appena uno stretto passaggio per i tram. La Galleria
semisventrata, il Duomo tutto bucherellato, la Scala, i palazzi Marino e Begioioso, San
Fedele, che pena! [...] Verso le 19,30, rientrando da Milano, arrivo a Santhià: clamori
di folla, gente che si abbraccia, che urla, che ride. Il capostazione percorre la banchina
del treno gridando: "Armistizio! Armistizio! Badoglio ha letto alla radio il
proclama: la guerra è finita!" Nello scompartimento di prima siamo in quattro: un
ingegnere della Riv, un fabbricante di biciclette di Padova, un capitano ed io; ci
guardiamo; ma la gioia che la guerra sia finita è subito interrotta da un ansioso
interrogativo: e la Germania?
Scendo a Chivasso ed arrivo a casa: mi fermo un momento da amici, anch'essi ansiosi ed
incerti. Una frase del proclama di Badoglio lascia presagire che tutto non andrà liscio:
"l'esercito italiano si difenderà contro chiunque l'attaccherà". A casa mi
attacco alla radio; le notizie italiane sono laconiche.
Lettura del proclama di Badoglio, inciso su disco e basta. La radio inglese dà qualche
dettaglio maggiore, trasmette ordini alle nostre navi, sia da guerra che mercantili, alle
nostre truppe sui Balcani, alla nostra aviazione; la possibilità di complicazioni con la
Germania sembra probabile poiché gl'inglesi consigliano, anzi ordinano alle truppe di
resistere ad eventuali attacchi, alle navi di rifugiarsi in porti neutri o alleati oppure
di autoaffondarsi. D'altra parte, viene reso noto che l'armistizio è stato firmato fin
dal 3 settembre; ciò lascerebbe pensare che in questo lasso di tempo si sia provveduto ad
elaborare i piani per rendere impotente la minaccia tedesca. [...]
9 settembre. Radio Londra nella sua trasmissione mattutina dà notizia
della costituzione in Germania di un governo nazionale fascista. E' la prima volta che il
Reich non intende accettare il fatto compiuto: tutto sta a vedere l'ampiezza della
reazione tedesca. Nei quartieri periferici di Torino dappertutto sono esposte le bandiere:
l'inopportunità di una tale manifestazione è talmente evidente che non ha bisogno di
commenti. Il fatto è però sintomatico - e tutti i fascisti vi possono trovare ampia
materia di riflessione - quale prova della popolarità della guerra, della cosidetta
ultima guerra d'indipendenza. Si festeggia la sconfitta! D'altra parte tutte le fabbriche
sono ferme: nessuno lavora. La città però è molto calma nel suo complesso: il solito
servizio d'ordine, capannelli qua e là, ma nessuna effervescenza particolare. I telefoni
non funzionano: ciò non toglie che comincino a giungere da fuori dapprima incerte, poi
più precise, le prime notizie. Verona è stata occupata dai tedeschi nella notte, Bologna
sembra lo sia in mattinata; a Parma stamattina hanno avuto luogo delle scaramucce fra
italiani e tedeschi. [...] A Torino soldati tedeschi non se ne vedono, se non qualcuno
vicino al comando di stanza all'albergo Astoria in via XX settembre. Vado con un amico in
banca a prelevare dei soldi: le banche pagano regolarmente. [...] La radio inglese
comunica che gli alleati sono sbarcati a Napoli, urtando in una forte resistenza tedesca,
e a Vibo Valentia in Calabria sul golfo di S. Eufemia. Queste sono le uniche notizie
certe. La situazione nell'Italia settentrionale è talmente contraddittoria che è
difficile raccapezzarci: le radio tedesche seguitano a lanciare appelli all'esercito,
all'aviazione ed alla flotta da parte del sedicente governo nazionale fascista, d'altra
parte si limitano a comunicare che il comando tedesco non è stato colto alla sprovvista
ed ha preso le misure necessarie dal "tradimento di Badoglio".
10 settembre. A Torino tutte le voci più disparate. La radio alle
otto ha comunicato che aeroplani sconosciuti hanno bombardato Roma. Si precisa che i
tedeschi hanno occupato Genova, Savona, Ovada, Acqui, Alessandria; il nostro
rappresentante giunto da Bra riferisce che arrivano colà treni provenienti dalla Liguria
carichi di soldati disarmati. I tedeschi hanno fatto prigionieri gli ufficiali e mandato
via i soldati, dopo aver tolto loro le armi, le munizioni e l'equipaggiamento.
La città che verso le otto era calma cambia completamente aspetto: le fabbriche
sospendono il lavoro perché è indetto un comizio alla Camera del lavoro. Ivi prendono la
parola gli oratori dei vari partiti, affermando concordi il desiderio della massa di
combattere contro i tedeschi. La riunione termina con la promessa che quando sarà
necessario verran date le armi agli operai. La città è percorsa da tutte le parti da
carri armati, pattuglie di cavalleria, autoblindo: particolarmente forte è lo
schieramento attorno agli Alti comandi e al Consolato di Germania. [...] Nel pomeriggio si
intensifica il movimento di truppe: dal nostro ufficio, vicino al palazzo degli Alti
comandi, si ha un'impressione abbastanza esatta di quanto avviene. Alle sedici, quando
esco dall'ufficio, un forte concentramento di carri armati e di autoblindo è in
prossimità del comando; alle diciassette quando rientro tutte le truppe sono sparite.
Alle diciassette e trenta una piccola colonna tedesca - poche autoblindo e poche
automobili - arriva in corso G. Ferraris e prende possesso del palazzo del comando. Alle
diciotto un gruppetto di soldati tedeschi s'impadronisce del palazzo dei telefoni.
Così avviene l'occupazione di Torino: come e perché abbiamo ceduto senza colpo ferire ad
uno sparuto gruppo di tedeschi è un mistero. Le truppe che erano intorno alla città
avevano ricevuto l'ordine di resistere: improvvisamente alle sedici è giunto l'ordine di
cedere. Il Terzo bersaglieri motorizzato, attestato a Chivasso, è stato fatto rientrare
in caserma. Il generale Adami Rossi, comandante militare di Torino, ha evidentemente - non
so se di sua iniziativa o per ordini superiori - calato le brache: incoscienza o
tradimento, di lì non si scappa.
A Porta Nuova intanto arrivano a fiotti i nostri soldati sia dalla Francia sia dalla
Liguria: disarmati, senza stellette, senza fregi, con le giacche borghesi sulla divisa
militare. Uno spettacolo miserando che stringe il cuore assistere allo sfaldamento
progressivo di un esercito, fino a ieri tenuto saldamente assieme da vincoli disciplinari.
Un momento prima d'andar via [verso le diciotto] mi si dice che la caserma dell'Autocentro
è stata abbandonata: ufficiali e soldati sono partiti, lasciando armi e materiale. Un
nugolo di borghesi è entrato in caserma e sta impossessandosi delle armi.
(da Carlo Chevallard, "Torino in guerra, diario 1942-45", Torino 1974)
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