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8 Settembre 1943
La lettera inedita inviata da
Badoglio a Giacomo Paulucci di Calboli, ambasciatore a Madrid, il 16 ottobre 1943
Carissimo Paulucci,
per Suo orientamento Le faccio un po di storia degli avvenimenti. Lei sa
come cadde il governo Mussolini. Comandato ad assumere il potere, trovai una situazione
militare spaventosa. 36 divisioni fuori dItalia in Francia, nei Balcani etc. e 12
divisioni in paese mentre la Sicilia era quasi perduta. Mi rivolsi ai tedeschi per far
rientrare parte delle nostre divisioni. Mi risposero tagliando i rifornimenti di carbone,
annullando quello della benzina, rubando il grano da me fermato in Romania, e inviando
subito 6 divisioni loro in Italia.
Circa 8 mila SS della Gestapo erano a Roma a protezione di Mussolini. Esse organizzarono
un attentato contro il Re e contro di
me che fu sventato dalla nostra polizia. In ultimo pretendevano che in Italia vi fosse un
solo comando per tutte le truppe italiane e tedesche da affidare a Rommel. Capito che con
loro non cera più nulla da sperare e spinto dal paese che non ne voleva più sapere
di tedeschi, intavolai trattative con gli angloamericani. Per una mossa di Eisenhower che
anticipò di 6 giorni la data di proclamazione dellarmistizio (il giorno 8 invece
che il 14) corremmo il rischio il Re,
Regina e principe ereditario e il governo di essere catturati in Roma. Ora con
gli angloamericani siamo passati dalla fase dellarmistizio a quella di
collaborazione e in seguito di cobelligeranza ed io spero di poter ancora fare un passo
avanti. Le ho risposto per la questione del denaro che forzi la Banca del Lavoro ad
anticipare i fondi. Resta però inteso che lei può adottare qualsiasi misura che creda
opportuna. Io qui avevo interessato il gen. Mac Farlane, governatore di Gibilterra e capo
della missione militare presso di me, a far anticipare dai governi inglese e americano le
somme che a lei occorressero.
Lautorizzo a riprendere queste trattative con gli ambasciatori inglese e americano
per farsi imprestare soldi. Insomma piena fiducia in lei e piena libertà dazione.
S.M. il Re mi ha detto testualmente: di Paulucci ero sicurissimo. Labbraccio.
Badoglio
Il commento dello storico Francesco Perfetti
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Il
maresciallo Pietro Badoglio
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Aveva settantadue anni Pietro Badoglio quando fu nominato capo del governo dopo
il colpo di Stato del 25 luglio 1943. Il Maresciallo dItalia cercò sempre di avallare lidea
di essersi sacrificato - lui ormai anziano e alieno da ambizioni politiche - per il bene
del Paese e per odio verso i tedeschi. Falcone Lucifero, non ancora ministro della
Real Casa, annotò nel diario, il 15 e 16 febbraio 1944, i primi incontri con lui: il capo
del governo, per convincerlo ad assumere l'incarico di ministro dell'Agricoltura, portò a
esempio se stesso, un militare ultrasettantenne che aveva «sacrificato tutto per cacciare
i tedeschi dall'Italia», aveva «perduto la sua fortuna personale» rimasta oltre le
linee e, lasciando Roma, si era ritrovato con un fazzoletto in tasca. Anche nella lettera inedita che
pubblichiamo Badoglio ribadisce il concetto di essere stato «comandato ad assumere il
potere». La lettera, in data 16 ottobre 1943, fa parte delle carte private di
Paulucci di Calboli e apparirà nel prossimo fascicolo di Nuova storia contemporanea ,
insieme ad altri documenti, in appendice a uno studio di Giovanni Tassani sul ruolo
dell'ambasciata italiana a Madrid dopo l'8 settembre 1943. Si tratta di un documento che
sintetizza gli avvenimenti dei quali Badoglio fu protagonista e rivendica orgogliosamente
il ruolo da lui svolto.
Il destinatario, Giacomo
Paulucci di Calboli, era stato chiamato da Mussolini all'inizio del 1943 alla guida della
strategica ambasciata spagnola, ma, dopo la costituzione della Repubblica sociale,
quando lo stesso Mussolini lo aveva chiamato al telefono per proporgli di fare il ministro
degli Esteri («Paulucci, ho bisogno di voi»), questi aveva rifiutato rimanendo fedele a
una scelta di campo già decisa. Proprio a Paulucci di Calboli toccò l'incarico di
provvedere alla notifica all'ambasciatore tedesco a Madrid della dichiarazione di guerra
dell'Italia nei confronti della Germania il 13 ottobre 1943.
Nella lettera che pubblichiamo, «strettamente confidenziale», il capo del governo aveva sentito il bisogno di fare a
Paulucci «un po' di storia degli avvenimenti» che - a partire dalla caduta del
fascismo, passando per le trattative con i tedeschi, prima, e con gli angloamericani, poi,
fino a giungere all'annuncio dell'armistizio e all'abbandono di Roma - avevano condotto
alla situazione attuale.
Quella raccontata dal capo del
governo era una storia sommaria, con molte inesattezze e omissioni, che glissava
sui particolari e attribuiva alla «mossa» di Eisenhower di annunciare l'armistizio la
responsabilità della situazione che si era venuta creando dopo l'8 settembre.
Che Badoglio sia stato, nel bene e nel male, il protagonista delle iniziative diplomatiche per condurre l'Italia fuori
dal conflitto è fuor di dubbio. Ma queste furono portate avanti all'insegna della
confusione, dell'incertezza e della contraddittorietà. Già il proclama diffuso
dopo l'insediamento come capo del governo, con l'infelice frase: «la guerra continua»,
dette l'impressione di un espediente per guadagnare tempo e organizzare un armistizio con
gli angloamericani. Poi, i contatti con i tedeschi per far digerire loro l'idea di
un'uscita dell'Italia dalla guerra in cambio della neutralità e del passaggio graduale
del controllo alle forze del Reich del fronte nei Balcani e in Grecia mostrarono un forte
velleitarismo. Infine, gli stessi abboccamenti con gli angloamericani - con un
accavallarsi di iniziative affidate a diplomatici di secondo livello o a privati - furono
effettuati in modo da non assicurarsi la fiducia piena degli Alleati.
Quando venne firmato a Cassibile l'«armistizio breve», i rappresentanti Alleati tirarono
un sospiro di sollievo temendo che gli italiani, fino all'ultimo, potessero tornare
indietro. Badoglio volle mantenere le trattative nel segreto anche con i più stretti
collaboratori. Neppure i vertici politici, militari e diplomatici ne furono a conoscenza.
Il 3 settembre egli riunì i ministri militari per comunicare non la conclusione
dell'armistizio, ma l'esistenza di trattative. Un comportamento che autorizza a pensare
che da parte italiana non fu
abbandonata del tutto l'idea che, in difetto di uno sbarco alleato tanto massiccio da
costringere i tedeschi alla ritirata, sarebbe stato ipotizzabile sconfessare l'armistizio e
riprendere la cooperazione con questi. Un comportamento ambiguo che irrigidì gli Alleati
e li spinse a rifiutare la richiesta di posticipare l'annuncio dell'armistizio già deciso
per l'8 settembre alle 18,30. Un messaggio di Eisenhower non lascia spazio a dubbi: «Ho
deciso di diffondere l'esistenza dell'armistizio all'ora programmata originariamente».
Il dramma dell'8 settembre sta
tutto qui, nel gioco degli equivoci e nella ambiguità dei comportamenti. Ed è un
dramma che finì per ricadere sulle spalle di tutta la nazione.
Francesco Perfetti, storico, direttore della rivista
«Nuova storia contemporanea»
(Corriere della Sera - Speciale 8 settembre 1943/2003)
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