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La Stampa, 28 aprile 2001
Pajetta, il tollerantedi
Emanuele Macaluso
CARO Direttore, La Stampa (giovedì 26 aprile) ha ripreso un servizio pubblicato su
Reset e sull¹ Espresso nel quale alcuni intellettuali esprimevano i loro giudizi sulla
campagna elettorale. Il riferimento è agli appelli di due gruppi di studiosi: uno di
Bobbio, Galante Garrone, Pizzorusso e Sylos Labini, i quali sostengono che oggi la posta
in giuoco è lo stesso assetto democratico del paese; l¹altro con le firme di Franco
Debenedetti, Barbera, Salvati, Cafagna e Mieli che, pur riconoscendo allo scontro
elettorale in corso un forte rilievo, non credono che la posta sia la democrazia.
La Stampa pubblica l¹intervento di Bobbio e una parte delle risposte di Rusconi e
Vattimo. Per quel che vale, dico subito che mi ritrovo nelle argomentazioni di Rusconi, ma
non è questa la ragione per cui scrivo. Mi ha sorpreso il fatto che Vattimo concludendo
il suo intervento, nel quale ribadisce il suo convincimento che «Berlusconi costituisce
un pericolo per la democrazia», argomenta le ragioni per cui «non sottoscrive un appello
rivolto alle due parti perché si discuta civilmente...» e urla: «Evviva le campagne
elettorali degli anni del fanatismo ideologico, evviva Pajetta».
E no, caro professore, Pajetta non fu un fanatico ideologico, ma un politico che non
tollerava il fanatismo ideologico. Con Pajetta ho condiviso parte della mia vita: siamo
stati insieme per oltre trent¹anni nella direzione del Pci, nei primi Anni Sessanta
abbiamo abitato la stessa casa e tante volte siamo stati in vacanza con i nostri figli.
Voglio dire che conoscevo bene le sue idee, i suoi umori, le sue passioni, le sue
contraddizioni. Il rigore morale, il forte attaccamento al suo partito, la difesa delle
sue idee, l¹ironico argomentare per contrastare quelle degli altri, in Giancarlo Pajetta
non si tinsero mai di ideologismo fanatico. E non demonizzò mai
l¹avversario nonostante le battute sferzanti che ne caratterizzavano il suo dire
politico. Fu amico di Zaccagnini ma anche di Andreotti, del quale apprezzò la politica
estera; fu amico di Saragat, e lo sostenne, nel Pci, per la candidatura alla Presidenza
della Repubblica; ebbe rapporti intensi non solo con Nenni e Pertini, ma con Craxi. Potrei
continuare. Mi fermo per dire che quel che mi preoccupa è il
fondamentalismo o lo sbracamento che oggi attraversa parte della sinistra. E a Vattimo,
prima di etichettare una persona, gli consiglierei almeno di leggere i suoi scritti, per
capirla. A meno che non si voglia coprire il proprio fanatismo invocando l¹inesistente
fanatismo di un uomo come Pajetta.
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