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La Stampa, 16 maggio 2001
Pearl Harbor: Il massacro necessario. Un attacco atteso, ma utile
alla guerra di Giorgio Boatti
L¹ATTACCO di Pearl Harbor continua ad essere - a quasi sessant'anni dal suo accadere -
una specie di cubo di Rubik. Un evento-enigma che nasconde infinite complessità e rimandi
e interrogativi dietro l'apparente semplicità e brutalità del colpo inferto dalla task
force dell'ammiraglio Yamamoto alla base dove, all'alba di quella domenica 7 dicembre
1941, è all'ancora buona parte della flotta Usa nel
Pacifico. L'accaduto prende posto, nella catalogazione degli eventi bellici del Novecento,
tra i «colpi a sorpresa» sferrati a tradimento. Classificazione e interpretazione che -
ampliate ed enfatizzate con intelligenza propagandistica - consentono a Roosevelt di
portare nel conflitto, s viluppando un fortissimo risentimento verso il nemico, una
popolazione americana fino allora assai poco decisa a coinvolgimenti bellici. Pearl Harbor
- sulla scacchiera del tempo - rivela paradossali risvolti. E' vero che Yamamoto è stato
convinto a predisporre l'operazione dopo aver analizzato il successo del blitz aereo
inglese contro la base italiana di Taranto. Ma - sul fronte del Pacifico - l'azione del 7
dicembre 1941 è un dejà vu: l'attacco repentino dei giapponesi a Pearl Harbor ripete
paro paro il blitz devastante scatenato dalla flotta di Tokyo, nel 1904, contro la squadra
navale russa ancorata a Port Arthur.
Trentasei anni dopo l'ammiraglio Yamamoto - che a quell'azione partecipò (perdendovi
alcune dita ma guadagnando assieme alla marina giapponese, la guerra contro lo zar) -
ripropone lo stesso copione.
Con una differenza tuttavia: la consapevolezza che il tagliar corto con gli indugi questa
volta non porterà alla vittoria. Consentirà solo di guadagnare tempo in una situazione
disperata: quella provocata dal blocco petrolifero decretato mesi prima dagli Usa e che
concede a Tokyo ridotta autonomia prima che tutte le sue forze militari siano al collasso.
L'iniziativa di Tokyo - nell'estate e nell'autunno - di
aprire trattative con gli Usa ha lo scopo di superare questo blocco. L'inserimento dei
volonterosi missionari Mariknoll nelle trattative illude di semplificare l'intesa: non
sarà così. Corder Hull e Roosevelt prendono tempo. Impongono nuove condizioni. Non
concedono nulla. La comunicazione del 7 dicembre con cui Tokyo notifica a Washington la
chiusura degli incontri dovrebbe arrivare
mezz'ora prima dell'attacco militare di Pearl Harbor: un escamotage per conservare, anche
in quei tempi brutali, una parvenza di rispetto delle norme internazionali. Per una serie
di disguidi la nota giapponese giungerà quando la base americana è già ridotta a
macerie fumanti. Secondo gli strateghi di Tokio, perché gli Usa ridispieghino la loro
flotta ci vorranno diciotto mesi: il tempo necessario alle
forze nipponiche per arrivare agli agognati giacimenti petroliferi delle ex-colonie
olandesi ed inglesi nel Pacifico. La notifica diplomatica della decisione giapponese di
aprire lo ostilità giunge tardi ma non inaspettata: grazie alle decrittazione del codice
Purple i «maghi» di William F. Friedman, il capo del dipartimento di criptologia, sono
in grado di intercettare e leggere le comunicazioni al più alto livello tra il governo di
Tokio e i suoi snodi militari e diplomatici. Dunque un attacco giapponese - al più alto
livello della Casa Bianca e della diplomazia americana - è previsto. E tuttavia le forze
navali americane, nel Pacifico, non vengono allertate e subiscono passive il devastante
attacco di cui - pure -
non mancano concretissime avvisaglie. «Succisa virescit»: «tagliata ricresce» è il
motto con cui i monaci benedettini spiegavano come talvolta occorra tagliare brutalmente
un ramo se si vuole salvare un albero. Nella storia sommersa del mondo talvolta il
«succisa virescit» si concretizza nell'accelerazione brutale degli eventi. Nella
speranza, o nel calcolo, che la velocizzazione dei fatti crei
quelle soluzioni che l'attesa non è in grado di produrre. Succede il 7 dicembre 1941. E,
inquietante rifrazione degli eventi, quattro anni dopo, nell'agosto del 1945. A Hiroshima
e a Nagasaki. Quando, con l'atomica, si vuole tagliar corto con quella guerra iniziata a
Pearl Harbor.
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