La Stampa, 14 aprile 2001

Cuba, l’altra faccia del tiranno sanguinario

di Pierluigi Battista

IN Francia è giù un caso politico ed editoriale. Un libro, pubblicato da Denoel con il titolo Le nom de mon père, riapre infatti la questione dei diritti umani violati nella Cuba di Fidel Castro. Ma soprattutto getta una nuova luce su uno dei capitoli più
imbarazzanti del regime cubano: il processo-farsa e la fucilazione nel 1989 di alcuni ex compagni d’arme di Castro, alti funzionari e militari in dissenso con la linea dura in auge all’Avana ma messi a tacere, e fisicamente soppressi con inverosimili accuse di traffico di droga. Il libro è scritto da Ileana de la Guardia, figlia del colonnello Antonio de la Guardia, giustiziato da un plotone d’esecuzione, imputato in un processo di cui l’opinione pubblica internazionale colse tutta la pretestuosità, assieme al generale Arnaldo Ochoa, braccio destro di Fidel Castro nell’epopea della Sierr a Maestra e comandante delle forze cubane in Etiopia e in Angola. Il libro di Ileana de la Guardia non è solo una dettagliata contro-inchiesta scritta per ricostruire la liquidazione attuata con un processo farsesco di una parte della nomenklatura cubana sempre più in disaccordo con l’oltranzismo del regime castrista. E’ anche la descrizione minuziosa dei piccoli e grandi privilegi che hanno avvolto una cubana figlia di un alto papavero dell’apparato comunista al potere e nata nel 1964, quando già da anni all’Avana era stata rovesciata la dittatura di Fulgencio Batista. E’ il resoconto minuzioso delle possibilità concesse alla cerchia più elevata del regime di Castro ma negate alla stragrande maggioranza della popolazione cubana: la possibilità di ascoltare «musica americana» senza mettere in allarme i guardiani della polizia politica ed essere messi sotto accusa per «sabotaggio» della patria socialista; il privilegio di acquistare a suon di dollari prodotti, merci e oggetti d’uso quotidiano che i cubani, e non solo per via dell’embargo americano sbandierato dal regime come causa determinante della penuria di massa che affligge la vita dei connazionali di Castro, non riescono ad avere a meno di non imboccare i canali rischiosi del mercato nero e delle attività
paraillegali. E poi l’esistenza ordinariamente dorata nei quartieri-bene dell’Avana, miracolosamente sottratti al destino di fatiscenza e di degradazione cui è condannato il resto della città, la possibilità di viaggiare all’estero (a Mosca, naturalmente, ma anche in Argentina) negata ai connazionali che invece per guadagnare la possibilità di approdare in un altro Paese devono sottoporsi a viaggi perigliosi, sfidando la forza del mare e l’occhiuto controllo delle guardie costiere incaricate di intercettare anche la più sgangherata imbarcazione scelta come veicolo di libertà per migliaia e migliaia di sventurati. Una vita di privilegi e
di protezioni, tipica di una nomenklatura di regime che si concede lussi inimmaginabili per tutti gli altri disgraziati, che a un certo punto, improvvisamente, si rompe, si spezza: come a confermare la legge secondo la quale il destino della classe dirigente di una dittatura fondata sul carisma personale di un tiranno è quanto mai precario e vulnerabile alle oscillazioni del tempo e degli umori personali. Si spezza, il destino della famiglia di Ileana de la Guardia, quando il padre, il colonnello Antonio de la Guardia, viene proditoriamente incluso nel gruppo di ufficiali accusati di aver messo in piedi una sofisticatissima e ramificata rete finalizzata al traffico di droga. Il colonnello viene ucciso tramite fucilazione, e la famiglia è costretta all’esilio.
Ma la figlia Ileana non ha nessuna intenzione di far cadere nell’oblìo una storia che dimostra a quali livelli di ferocia sia arrivata la dittatura castrista per eliminare non solo i dissidenti ma anche i vecchi compagni di Fidel Castro sospettati di voler
fare ombra all’indiscusso numero uno di Cuba. Ileana decide di denunciare alle autorità internazionali Fidel Castro per abuso di potere e traffico di droga, organizzato dallo stesso regime cubano per aggirare le norme dell’embargo. Impegna tutte le sue forze per spiegare al mondo la vera natura del regime cubano e consacra tutta se stessa nell’opera di sensibilizzazione internazionale nei confronti di un regime che ha tra i suoi scheletri nell’armadio un cospicuo numero di desaparecidos e chiede di ricordare «le decine di migliaia di cubani che giacciono sul fondo delle acque del golfo del Messico che hanno preferito affrontare la morte in mare piuttosto che morire lentamente nell’isola». A suo avviso «le situazioni storiche del Cile e di Cuba sono radicalmente diverse», ma non cessa di affermare che «sia Castro sia Pinochet hanno distrutto fisicamente o psichicamente i loro oppositori». Ora le accuse di Ileana de la Guardia sono raccolte in un libro pubblicato in francese. Un atto d’accusa destinato a sfidare il giudizio dell’opinione pubblica internazionale sul regime di Fidel Castro.

 

archivio rassegna home