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La Stampa, 8 aprile 2001
Kaputt mundi Roma. Uno studio sulla Capitale tra le due guerre: la
sua trasformazione urbana e residenziale fu un salto nella modernità di
Paolo Mieli
A qualche tempo Vittorio Vidotto - che, assieme a Guido Pescosolido, fu uno dei più
importanti assistenti e collaboratori di Rosario Romeo - sta scrivendo una storia di Roma
dalla metà dell'Ottocento ai tempi nostri che sarà pronta alla fine dell'anno e verrà
pubblicata da Laterza. Nel frattempo un allievo di Vidotto,
Francesco Bartolini, sta per dare alle stampe, sempre per i tipi Laterza, un altro libro,
Roma borghese - La casa e i ceti medi tra le due guerre, che può essere considerato alla
stregua di una parziale anticipazione di quello di Vidotto. Intendiamoci: ogni libro ha
una storia a sé; nasce da idee e ricerche riconducibili
esclusivamente all¹autore; la scrittura, il modo di esporre le tesi hanno un carattere
del tutto personale. Ma alle spalle del modo con cui Bartolini è andato per la sua
strada, si intravede la guida sicura di Vidotto. Così come si riconosce l'ispirazione di
uno storico dell¹architettura, Giorgio Muratore, che ha aperto un dibattito
sulla base di una rivalutazione dell'originalità e della modernità di alcune soluzioni
urbanistiche della Roma tra le due guerre. Il dibattito a cui ci si riferisce aveva come
antecedente una polemica degli Anni Cinquanta e Sessanta quando, ad opera soprattutto di
Antonio Cederna e Italo Insolera, la «Roma fascista» era stata individuata come madre di
tutte le nefandezze della capitale nel dopoguerra. Nefandezze contro le quali il
settimanale L¹Espresso aveva condotto una celebre campagna che è comunemente ricordata
per il titolo dell'articolo di Manlio Cancogni che diede il la all'offensiva: Capitale
corrotta, nazione infetta. Diciamolo
subito: quella campagna fu meritoria, così come di gran pregio era stato il lavoro di
Cederna e Insolera che pure non mancarono di mettere in luce alcuni aspetti interessanti
dello sviluppo urbanistico della città negli anni tra il 1920 e il 1940. Ma ne era
rimasto uno stereotipo negativo su quella stagione di vita non solo
architettonica di Roma: quello della capitale «deturpata dal fascismo». E' alla
demolizione di questo stereotipo che si è poi applicato Giorgio Muratore. E ora questi
temi e problemi vengono riaffrontati sotto il profilo storico dal bel libro di Bartolini.
E' opinione di Bartolini che la «fase di sviluppo» della Roma tra le
due guerre «segna una svolta nell¹evoluzione storica della città». E' proprio in quel
periodo, prosegue, che «Roma comincia ad acquisire la fisionomia di una metropoli
moderna». E' di quegli anni «l'avvio di una profonda mutazione della morfologia urbana e
residenziale che condiziona anche la successiva tumultuosa
crescita degli Anni Cinquanta e Sessanta». Dopodiché, per non lasciare dubbi su quale
sia il suo bersaglio polemico, l'autore scrive: «In passato, esaminando questi temi, gran
parte degli studi storici ha concentrato l'attenzione soprattutto sulla valutazione dello
scarto esistente tra i tentativi di progettazione e controllo
della crescita urbana e lo sviluppo autonomo della città». E ancora: «In questa rigida
prospettiva, era forte il rischio di accentuare la tendenza a identificare il complesso
delle vicende edilizie della capitale negli anni tra le due guerre mondiali soltanto come
una colossale operazione speculativa, incoraggiata dalle autorità
statali e municipali, responsabili di non aver esercitato nessuna reale funzione di guida
e di controllo sulle attività dei costruttori». Circostanze che ora non devono, certo,
essere dimenticate. Infatti è lo stesso Bartolini a riconoscere che «risulta indubbio il
ruolo centrale della speculazione fondiaria nella cosiddetta crescita a macchia d'olio
della capitale»; a ricordare che gli interventi edilizi delle cooperative furono
contraddistinti da «una sostanziale anarchia urbanistica deplorata a più riprese da
architetti e amministratori». Epperò, secondo Bartolini, «risalta anche il diffuso buon
livello edilizio delle singole costruzioni che, pur sostanzialmente fedeli a consolidate
tradizioni architettoniche, testimoniano un'evoluzione dei bisogni quotidiani e delle
esigenze di decoro dei ceti medi impiegatizi della capitale». Ed
è proprio questo il punto: quell'espansione fatta di case che davano visibilità
sociale ai nuovi ceti medi, di arredi urbani assolutamente non disprezzabili ha aspetti
di modernità che è giusto mettere in risalto. Ed è proprio ai gruppi emergenti di cui
abbiamo appena parlato che pensava Luigi Einaudi chiamato nel primo dopoguerra a
presiedere la Commissione per la crisi degli alloggi, quando, nel 1920, scriveva: «Sono
questi i veri paria del momento presente dal punto di vista edilizio. Sono i funzionari
senza casa, quelli i quali sono costretti a lasciare la famiglia con grandissimo dispendio
nella città da cui sono stati traslocati, mentre
essi vivono una vita raminga e meno comoda da soli nelle città in cui prestano la loro
opera. Sono i componenti le nuove famiglie quelli che sono degni di massima considerazione
e non trovano ad allogarsi da nessuna parte». Alcuni di loro, com'è noto, erano reduci
di guerra che lamentavano la carenza di alloggi come la prova più evidente
dell'ingratitudine della patria nei loro confronti. Ed è lo Stato che in quel momento,
precedente l'avvento del fascismo, per far fronte all'emergenza vara provvedimenti
legislativi che favoriscono la costruzione a mutui assai agevolati di nuove abitazioni
adatte a questi ceti. È qui che nasce la «palazzina», una via di mezzo tra i villini e
i fabbricati popolari, destinata a dare una risposta alla
richiesta che abbiamo definito di «visibilità sociale» di questa parte emergente della
società. A questo punto la crescita delle cooperative di impiegati dello Stato diventa
inarrestabile: nel 1922 nella città se ne possono contare oltre cento. Sono cooperative
che in gran parte possono disporre del sostegno di ministri, alti
burocrati, parlamentari. La presidenza onoraria della cooperativa Tesoro è affidata a
Luigi Luzzatti. Quella della Fert, a Ivanoe Bonomi. Quella di Italia Nuova, al ministro
delle Poste e Telegrafi Vincenzo Giuffrida. Alla Vis Unita Fortior è concesso di indicare
come proprio recapito la sede del ministero di via XX Settembre. Il presidente della
cooperativa Armi, il tenente generale Eduardo Guzzo, si spinge a scrivere al re in persona
per chiedergli l'«alto patronato»... È una corsa alle costruzioni sovvenzionate dallo
Stato che sembra non avere limiti. Lo sviluppo urbanistico di Roma si fa imponente. Il che
provoca proteste. In
Parlamento il senatore Enrico Arlotta denuncia la sperequazione nella distribuzione delle
risorse che è conseguenza proprio di quei contributi concessi alle cooperative della
capitale: l'Italia centrale (ma la parte del leone l'ha fatta, da sola, la città di Roma)
ha ricevuto in milioni di lire tre volte quel che è toccato al resto del Paese nel suo
insieme. Gli risponde il sindaco di Roma, Luigi Rava, anch'egli senatore: «Se il governo
aiuta le cooperative, aiuta se stesso, perché aiuta le famiglie dei suoi impiegati e
dipendenti che hanno interesse di avere in Roma una casa sana e comoda». Il ministro
dell'Industria e Commercio, Giulio Alessio, però, mostra di far sue, almeno in parte, le
ragioni della contestazione antiromana: «Io comprendo i bisogni di Roma, comprendo la
necessità delle classi degli impiegati, ma non posso, come rappresentante da questo posto
degli interessi nazionali, non segnalare che su 550 milioni di mutui 392 sono andati a
favore della capitale». Protagonista di questa grande avventura urbanizzatrice è
l'Unione edilizia nazionale, l'ente a cui viene affidato il compito di costruire case
economiche per conto di cooperative o privati cittadini. E che, dal '21 in poi, diventa
bersaglio di accuse sempre più circostanziate. Un'organizzazione «di speculazione»
diretta da «alti funzionari dello Stato, partecipi di pingui guadagni», la si definisce
in Parlamento. Il deputato siciliano Giuseppe Colonna di Cesarò chiede un'inchiesta
parlamentare sull'ente. Nel 1922 va alla carica il popolare romagnolo Giovanni Braschi che
rilancia le accuse contro l'«aristocrazia burocratica» che è a capo dell¹Unione.
Alberto De Stefani chiede nuovamente un'inchiesta del Parlamento.
A questo punto l'obiettivo si sposta: sul Giornale d'Italia inizia una campagna
violentissima contro i coinvolgimenti dei socialisti in questo genere d'affari. A scrivere
gli articoli più infuocati è quel prete spretato, Giovanni Preziosi, che qualche anno
dopo diventerà una figura di primo piano della campagna antisemita in Italia. Preziosi
che in quello stesso 1922 pubblicherà da Laterza Cooperativismo rosso piovra dello Stato
nel quale sosterrà che furono i fascisti ad affidargli quella campagna di stampa
attaccava la «cuccagna delle cooperative rosse». E soprattutto la «casa gratis» che,
secondo lui, era il privilegio dei burocrati dello Stato a danno di «noi poveri
travets». «A noi», scriveva, «restrizioni senza limite, un solo balconcino, i
minuscoli scantinati non abitabili ma lasciati grezzi, gli scalini di 90 cm di
larghezza!!!, le tinte alle pareti a base di gesso: infissi, porte da far pietà larghe un
metro e dieci e via discorrendo... Dall'altra parte vedi tra i tanti il celebre palazzo di
via Nizza che al chiaro di luna ti ricorda il
Titanic beccheggiante nel golfo di Lione, infatti anche nella struttura fu cercata la
signorilità: in esso troverai colonne di marmo, ascensore, portacarichi per mobili,
parquets, termosifoni, affreschi e decorazioni superbe, terrazze, ripostigli, cantine,
balconcini, antiporte, impianti di luce senza risparmio, cucine degne di un ristorante
extra categoria, sale da bagno che Petronio invidierebbe se estollesse il capo
dal suo sarcofago ecc. Non erano quelli denari dello Stato? Non sono i fortunati abitatori
di quelle reggie impiegati come noi, salvo la differenza di grado?». Risultato di questa
campagna è che tra il 1923 e l'inizio del 1924 l'Unione edilizia nazionale è posta in
liquidazione. È di questi momenti la definitiva affermazione
della Società generale immobiliare nata dall'incontro tra un gruppo di finanzieri
cattolici ed ebrei (questi ultimi, al momento delle leggi razziali del 1938, dovranno
però lasciare il campo) destinata ad essere uno dei maggiori protagonisti delle
costruzioni a Roma negli Anni Trenta. E anche nel secondo dopoguerra.
Altro ente importante per questa vicenda sarà l'Istituto nazionale delle assicurazioni
che era nato da un'idea di Giovanni Giolitti e Francesco Saverio Nitti, alla vigilia della
prima guerra mondiale. L'Ina nel primo dopoguerra sarebbe stata presieduta da Bonaldo
Stringher e guidata da Alberto Beneduce. I fascisti, giunti al potere nell'ottobre del
1922, fecero una dura battaglia per appropriarsi della politica dell'Immobiliare e
dell'Ina e nel contempo per far fuori i dirigenti non in sintonia con Mussolini. In un
secondo momento manderanno via dalle case anche gli affittuari ostili al Duce. Dal '28 in
poi la ripresa delle costruzioni è
massiccia. E si può notare «una peculiare fase di transizione dai modelli tradizionali
alle forme della modernità». «Alla metà degli Anni Venti, infatti», scrive l' autore,
«ben prima delle esposizioni razionaliste organizzate nel 1928 e nel 1931, appare già
visibile a Roma una tendenza alla sperimentazione e al rinnovamento che consente di
individuare, dietro la consueta ripetizione di stilemi classici, la nascita di una
specifica cultura dell'architettura moderna». Questo per quel che riguarda in particolare
lo stile delle palazzine. Negli Anni Trenta, superata la crisi iniziale, lo sviluppo sarà
reso più impetuoso dalle innovazioni tecnologiche e dalle suggestioni del razionalismo.
Bartolini, per raccontare quel che accadde in quel periodo, cioè il modo in cui Roma
entrò in una dimensione moderna con pregi e inconvenienti a ciò connessi, ha fatto un
grande lavoro di scavo negli archivi dei vari istituti. Ne sono emersi documenti di un
qualche interesse. Come la lamentela del luglio 1936 contro un autista dell'Istituto
italiano di credito marittimo che affittava una stanza del suo appartamento in via
Massaciuccoli: «Questo signore ogni due mesi cambia un inquilino... possibile che un
operaio che lavora tutto il giorno e la sera torna a casa stanco, deve stare a sentire a
mezzanotte quel continuo via vai di mobili che loro fanno entrare in quell'ora per non far
vedere al portiere?». Particolare attenzione è poi dedicata ad un grande stabile
dell'Immobiliare a viale Eritrea 91. Nel dicembre del ¹40 un inquilino lamenta
l'«eccessiva permeabilità delle pareti» che dividono il suo appartamento da quello
accanto: «Un bambino piange spesso e mi sveglia durante la notte con puntualità sulla
quale si può sicuramente contare, almeno due volte! [...] Né basta: completa di
frequente l'opera il canto della madre, del quale sono ben disposto a stare senza. Sempre
a causa della sottigliezza della parete divisoria sono, senza averne il minimo desiderio,
perfettamente al corrente di quanto passa tra i coniugi». Un altro affittuario dello
stesso palazzo lamenta: «In tre diversi giorni, dai panni stesi sulla terrazza, mi sono
stati rubati due asciugamani di spugna ed una sottoveste di mia moglie. So benissimo che
codesta società non ha alcun obbligo di far sorvegliare da apposito incaricato i panni
stesi dagli inquilini. Ma so anche che se nel palazzo di viale Eritrea 91 fossero state
immesse delle persone rispettabili e non della gente poco desiderabile, specie in questi
ultimi tempi, quanto da me lamentato non sarebbe certo accaduto. Quando stipulai il
contratto di affitto si chiesero referenze sulla mia persona ed io fui ben lieto di
fornirle, perché approvavo l'operato di codesta Società, inteso ad eliminare dal
caseggiato persone di dubbia moralità. Ora invece...». La lettera prosegue avanzando
proposte di isolamento dei singoli asciugatoi con ciò individuando il problema
nell¹eccesso di «comunicazione» tra gli spazi riservati all'uno e all'altro inquilino.
Denunciava, quell'affittuario, uno dei problemi derivati dall¹ingresso dell¹individuo
nella vita di una grande metropoli. E descriveva ad un tempo qualcosa che era avvenuto
proprio negli Anni Trenta:
Roma era entrata nella modernità.
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