|  | la Repubblica, 27 aprile 2001 
 Silone. Il lato oscuro di mio marito. Parla la moglie Darina
 
 di Susanna Nirenstein
 Quella che è stata
    definita una catastrofe italiana, sta per arrivare alla resa dei conti. Parliamo
    dell'affaire Silone. Spia o non spia, questa volta non c'è un'uscita di sicurezza: dal 29
    aprile al 1 maggio, per il centenario della sua nascita, al convegno internazionale che si
    aprirà all'Aquila e poi a Pescina, per la prima volta ci saranno veramente tutti: i
    critici letterari, gli studiosi di totalitarismo, gli storici Dario Biocca e Mauro Canali
    che hanno scoperto come l'uomo per decenni riconosciuto un maestro di rigore, di
    antifascismo e di antistalinismo sia stato dal 1919 al 1930, edunque anche mentre era uno dei massimi dei dirigenti del PCd'I, un informatore della
    polizia del regno e poi dell'Ovra. Ci saranno infine gli irriducibili: quelli che, contro
    ogni evidenza, non vogliono credere che Ignazio Silone sia stato una spia. Non è stato
    facile arrivare a questa soluzione civile. Dopo l'invito a Biocca e Canali del Comitato
    per il centenario, un esponente del Centro di studi di Pescina ha scritto a entrambi
    "avvertendoli" di non venire armati della loro "arroganza". Poi è
    tutto rientrato. Il fatto è che il fronte dei siloniani di ferro non è più compatto. Ce
    ne rendiamo conto appena Darina Silone, la moglie di Ignazio, accetta questa intervista:
    è la prima volta che è disponibile. E nel corso del colloquio non avrà remore
    nell'ammettere che "i documenti trovati da Biocca e Canali sembrano autentici" e
    che non pensa ci sia stata nei "due storici un'intenzione diffamatoria". Anzi,
    con Biocca Darina Silone sta ricostruendo alcuni episodi poco conosciuti della biografia
    siloniana. Le carte però per ora non spiegano a Darina le motivazioni del tradimento, e
    lei questo non riesce ad accettarlo. Il racconto, che si svolge nella sua casa tra pile
    traballanti di libri, è fresco, vivo. Attraverso l'incontro e la vita con Silone, uomo
    difficile e "oscuro", Darina, nata in Irlanda 84
 anni fa, attraversa il cuore forte e ambiguo del Novecento. Signora Darina come arrivò in
    Svizzera, come conobbe Silone? "Ebbi un decreto di espulsione e partii dall'Italia
    per Berna il 22 giugno '41, il giorno che i nazisti hanno invaso la Russia. A Roma mi
    trovavo per caso, in quel periodo studiavo alla Sorbona. Ma dopo l'invasione nazista non
    ero potuta tornarci. Qui, per sbarcare il lunario, davo una mano all'ufficio di
    corrispondenza del Chicago Daily News e dell'Herald Tribune. Fui sospettata di spionaggio,
    come tutti gli stranieri. A Berna conoscevo qualcuno alla legazione britannica, un cugino
    di Churchill. Speravo mi aiutasse a raggiungere Londra. Andai da lui. Mi disse che dovevo
    incontrare l'addetto stampa e me lo presentò. Era un uomo poco simpatico, piccolo e
    brutto, molto brutto. Più tardi venni a sapere che era del Soe". E cioè? "Lo
    Special Operations Executive,
 l'organizzazione segreta britannica che si doveva occupare della resistenza in Europa. Mi
    chiese se ero disposta a rispondere a qualche domanda sull'Italia. Mi ricordo che le
    domande erano 253. Ho risposto a tutte. Sapevo molto dell'Italia, i miei amici erano tutti
    antifascisti e mi raccontavano". Domande sulla situazione politica? "Sì, certo.
    Due giorni più tardi mi telefonò per vedermi: il Ministero dell'Informazione mi voleva
    invitare a Londra a lavorare. Ero contentissima. Ma lui in cambio chiedeva un
    "piccolo ringraziamento", ed era un ringraziamento "non solo
    verbale"... Naturalmente non accettai e così non andai a Londra. Se ci ripenso...
    quel piccolo uomo mi ha cambiato totalmente la vita. Per di più, come seppi più tardi,
    disse a Silone che ero una spia dell'Ovra". Quando incontrò Silone? "Cinque
    mesi più tardi. In una biblioteca di Zurigo. Stavo consultando dei
 libri sull'Italia. Lui vide sul mio tavolino dei volumi su Mussolini. Si incuriosì.
    Quando seppe il mio nome riconobbe "la spia". Allora mi scrisse una lettera
    invitandomi per un tè. Era il week end di Pearl Harbour, quando gli americani entrarono
    in guerra. Domenica 7 dicembre 1941. Dovevamo vederci il martedì. Silone abitava da
    Marcel Fleischmann, il suo mecenate, una villa che sembrava un museo, con quadri di
    Modigliani e Picasso. Era un ebreo ungherese, ospitò Silone per ben dieci anni, dal 1934
    in poi. "Arrivai alla villa. Ero puntualissima, ma Silone no. Aspettai, e quando
    arrivò, Silone non fece nessuno sforzo per conversare. L'atmosfera fu gelida. Quando me
    ne andai pensai di non volerlo vedere mai più". E dopo? "Lui mi cercò".
    Ma cosa fu che a un certo punto le piacque? "La sua intelligenza". Dunque
    iniziò a parlarle? Di cosa, di politica, di letteratura? "Di tutto". Le
    raccontava degli anni in cui era stato dirigente comunista? "Poco. Qualche rara
    parola". Nemmeno della sua delusione? "No. E' difficile ricordare. Mi parlava di
    sua madre, di Don Orione, di Nicola Chiaromonte, di Leonhard Ragaz, un pastore protestante
    socialista svizzero, di una suora incontrata nel carcere di Barcellona nel '23, di altre
    suore". Parlava più di suore che di compagni. "Sì" (ride). Perché non
    affrontava con lei quel periodo così importante? "Indubbiamente erano stati anni
    drammatici". Cosa vuol dire? "Tutto. E poi non era uno che parlava facilmente di
    sé". Lei diventò socialista allora? "No, non devo niente a Silone né
    politicamente, né religiosamente. Ero già formata. E non lo consideravo un maestro. Lo
    guardavo con disincanto". Quali erano gli elementi che vi univano? "Naturalmente
    l'antifascismo. Ma mi raccontava anche di cose abruzzesi (ride). Storie divertenti che non
    ha mai scritto". La faceva ridere? "Sì,
 qualche volta. Avrei voluto che lo facesse di più. Era molto ironico se lo voleva. Ma era
    anche molto cupo". In una lettera che lei ha scritto al Literary Supplement del Times
    nel dicembre del 2000, lei ricorda che Silone in Svizzera ebbe frequenti contatti con
    Allen Dulles, capo dell'OSS, l'Office of Strategic Services americano, quello che nel
    dopoguerra fu trasformato in Cia e di cui Dulles più tardi fu a capo. Come ebbero inizio
    questi rapporti? "Lo incontrò ad un pranzo che aveva organizzato il suo editore nel
    novembre '42. Immagino che abbia visto in Dulles la possibilità di fare qualcosa per
    l'Italia. Più tardi, quando Silone fu arrestato e fu
 internato a Davos per sei mesi, nel '43, aveva bisogno di me per comunicare con Dulles.
    Così lo conobbi anche io. Traducevo molti documenti che Silone dava a Dulles. C'erano
    scritti critici verso la propaganda alleata in Italia. C'erano appelli o comunicazioni per
    i gruppi antifascisti italiani. C'erano considerazioni di alto livello, riflessioni di
    filosofia politica". Ma nelle carte trovate dalle storico Peter Kamber in Svizzera e
    in altri documenti visti da Dario Biocca a Washington, le comunicazioni di Silone
    contengono anche informazioni precise. Silone le firmava usando lo
 pseudonimo Gabriele o un numero in codice, il 475. Suo marito metteva in guardia circa il
    pericolo di fuga di notizie e la presenza di doppiogiochisti, riferiva sulla consistenza e
    la strategia dei comunisti, sui socialisti fusionisti di Nenni. Sono comunicazioni di
    collaborazione stretta. C'è un dialogo ad alto livello, e un piano più operativo, di
    intelligence. Lei lo sapeva? "Erano loro a dargli un numero di codice o lo
    pseudonimo, per proteggerlo. Comunque Silone collaborava con gli americani come un
    alleato, non come spia. E non lo faceva per soldi". Silone sapeva che Dulles voleva
    dire servizi segreti americani? "La Cia nacque più tardi,
 e Silone non aveva più niente a che fare con Dulles. Poi nel '50, quando ci fu la
    fondazione del Congresso per la Libertà della Cultura, era molto sospettoso. Nessuno
    sapeva che era la Cia a finanziare il Congresso. Quando nel '67 venne fuori la notizia,
    Silone dette subito le dimissioni, anche da Tempo Presente. Ricordo la sua incredula
    disperazione". Torniamo alla fine della guerra. Come tornaste in Italia? "Con un
    aereo americano che ci fornì Dulles. Da Annecy, in Francia. Atterrammo a Capodichino. Lui
    si sdraiò per terra e baciò l'asfalto della pista. Ci trasferirono a Caserta, nella
    Reggia dove era il comando alleato. Pranzammo con caffè americano, pane e peanut butter:
    per Silone fu una stranezza. L'indomani, di notte ci portarono a Roma in macchina: ricordo
    l'impressione tremenda che ci fecero tutti quei paesi distrutti. Dopo un po' ci
    trasferimmo all'Hotel Genio di Via Zanardelli. Non c'era luce, non c'era acqua. Ci
    muovevamo sempre a piedi. Era una Roma pericolosa, piena di soldati americani
    ubriachi". I rapporti con Dulles, si interruppero? "Non so se Silone abbia
    continuato a scrivere a Dulles da Roma. So che Dulles tornò a New York verso la fine del
    '45". Furono anni intensi per Silone, entrò nella Costituente, ci fu la scissione
    dei socialisti... Lei come li ricorda? "Lui era abituato alla politica
 clandestina: gli avevo detto che non si sarebbe trovato bene nel mercato delle vacche del
    palazzo. Non mi ha ascoltato. Era fatto per scriverla, la politica: nella Costituente non
    ha mai aperto bocca. Comunque qui i miei ricordi sfumano. Certo furono anni interessanti,
    ma la politica italiana non mi appassionava più di tanto. E mi fu molto difficile
    riconoscermi nella Roma di allora. Gli uomini parlavano per conto loro e io dovevo
    comparire con il caffè. Poi qualcuno faceva uno sforzo e diceva: "Signora, le piace
    il cinema?"". Lei cosa faceva? "Era difficile impegnarmi, oltre a tradurre
    e fare l'interprete. Qualsiasi cosa provassi a fare, Silone disapprovava. Non era mai
    rilassato". Ma suo marito aveva amici fraterni? "La mia opinione è che non
    avesse capacità o talento per l'amicizia". Non fu amico neppure dei collaboratori di
    Tempo Presente? "Sì, di Nicola Chiaromonte, ma poteva essere molto strano anche con
    lui. Gli piaceva pensare come amici quelli che erano lontani. Era amico di Leo Valiani, a
    Milano. Pippo Codignola, Enzo
 Enriquez, a Firenze, Walter Binni. Di George Orwell, Albert Camus". Ora però
 mi deve dire cosa pensa del Silone informatore della polizia uscito dalla ricerca di
    Biocca e Canali. "Al principio ero inorridita, mi sembrava impossibile. Poi
    lentamente ho cambiato idea. Io negli anni '20 e '30 non c'ero. Penso che Biocca e Canali
    siano due storici che hanno trovato dei documenti importanti, e non metto in dubbio
    l'autenticità dei documenti né l'impegno di ricerca degli studiosi. Credo però che
    l'interpretazione delle carte sia ancora da discutere. Perché la motivazione di Silone
    non mi è chiara. Bisogna sapere le circostanze e forse non le sapremo mai perché tutti
    sono morti. Voglio dire che i documenti da soli non spiegano". Perché... chi
    gliel'ha fatto fare?" Lei nel suo carattere non vedeva un lato oscuro che facesse
    pensare a una doppiezza di fondo? "Sì, ma perché
 l'avrebbe fatto? Una doppiezza gratuita..., forse aveva un lato schizofrenico, perché ha
    fatto veramente anche delle cose molto belle, come Uscita di sicurezza, alcuni articoli di
    Tempo presente. C'era in lui una certa doppiezza, ma non vedo perché, non vedo
    perché..." Dopo aver letto Biocca e Canali non ha mai pensato che il personaggio di
    Murica in Vino e Pane che si confessa spia raccontasse qualcosa dello stesso Silone?
    "No. Silone mi ha raccontato con orrore di alcuni delatori che c'erano stati tra i
    comunisti. Uno scrittore ha la capacità di inventare i personaggi. Continuo a pensare che
    possa averlo creato senza averlo vissuto. Se poi lo ha anche vissuto non lo so. Non mi ha
    mai detto una parola di tutto ciò.
 Mai. Di Dulles sì, è un'altra cosa". Lei comunque ha dato il permesso a Dario
    Biocca di accedere alle corrispondenze private. E so che in questo periodo gli sta anche
    consegnando ricordi e riflessioni. Dunque non lo considera un profanatore della memoria di
    Silone? "Di fatto l'ha profanata, ma non credo che fosse lo scopo della sua ricerca.
    E ora vorrei saperne di più". Silone ha avuto grandi nemici, come Togliatti, che
    l'ha definito... "Pidocchio". ...o malavitoso della politica. Lo storico Fejtö
    l'ha paragonato a un santo... "Esagerato". Sofri invece ha detto che non bisogna
    avere paura a chiamarlo... "Giuda. Non credo abbia ragione". Lei l'ha
 conosciuto meglio di chiunque altro. Chi era veramente Silone? "In realtà
 non l'ho conosciuto bene. Credo che nessuno l'abbia mai conosciuto bene. So
 un mucchio di cose su di lui, ma non so la cosa. Era una persona profondamente triste. Era
    uno scrittore. I migliori momenti con lui li ho passati leggendo i suoi libri".
 
 E per i serviziamericani
 era "Gabriele"
 
 Un'informativa del 44
 
 Ecco il frontespizio di un una relazione di Silone ai servizi Usa del 20 ottobre 44,
    classificata "Secret" e conservata negli Archivi federali di Washington, dove
    l'ha trovata lo storico Dario Biocca. Allora a capo del centro estero socialista, Silone
    tra l'altro mette in guardia il Dipartimento di Stato americano: «Se il movimento operaio
    cade nelle mani dei comunisti le già deboli speranze di una democrazia in Italia
    spariranno del tutto... Una fusione tra socialisti e comunisti sarebbe la fine di ogni
    speranza». Nelle comunicazioni all'OSS che lo chiama "the man with the cool
 head" lo Silone usa gli pseudonimi di Gabriele e Behr, numero di codice 475.
 
 
 
 
 
 
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