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Il Manifesto, 25 aprile 2001
Vaticano, l'eco del silenzio
Pio XII e il genocidio nazista. Con una scelta politica la Santa Sede mantiene i sigillati
gli archivi vaticani. La denuncia dello storico israeliano Robert Wistrichdi Marina Impallomeni
Sembra una beffa, invece è vero. Non hanno ancora ricevuto alcuna risposta al loro
"Rapporto provvisorio" i sei membri della Commissione mista ebraico-cattolica
istituita presso la Santa Sede nel '99 col compito di fare luce sulle responsabilità di
Pio XII in relazione al genocidio nazista. Presentato a Roma lo scorso ottobre, il
rapporto si limita a formulare una serie di interrogativi relativi alla condotta di Papa
Pacelli, evitando programmaticamente qualunque giudizio sul suo operato e sottolineando
l'esigenza di approfondire ulteriormente lo studio dei documenti, ben oltre gli undici
volumi di "Actes et Documents" già noti, pubblicati tra il 1965 e il 1981 da
una commissione di gesuiti. Uno studio che non può più essere rimandato. E' deluso e
incredulo il professor Robert Wistrich, membro della Commissione e docente di storia
ebraica ed europea moderna presso l'università ebraica di Gerusalemme, mentre denuncia il
silenzio con cui la Segreteria di Stato ha accolto la richiesta, formulata dalla
Commissione, di poter
accedere ai documenti d'archivio custoditi in Vaticano. La risposta, attesa per gennaio,
non è mai arrivata.
Professor Wistrich, la Commissione di cui lei fa parte ha presentato il suo
"Rapporto provvisorio" nell'ottobre 2000. In quell'occasione vi fu promessa una
risposta in merito alla vostra richiesta di accedere ai materiali d'archivio vaticani.
Cosa è accaduto da ottobre ad oggi?
La Segreteria di Stato, che è l'organismo incaricato di recepire il nostro Rapporto e
decidere i passaggi successivi, non ci ha fatto avere alcuna risposta ufficiale. Abbiamo
ricevuto solo una risposta informale dal cardinale Edward Cassidy, che ci ringrazia per il
lavoro svolto. Ma, pur avendo istituito la Commissione, Cassidy non ha potere decisionale
per quanto riguarda l'apertura degli archivi. Inoltre, sta per andare in pensione.
Recentemente l'ho visto in Israele e mi ha detto che le cose a Roma si muovono molto
lentamente. Da parte della Segreteria di Stato invece c'è stato il silenzio più
assoluto. Io sono esterrefatto. Questo silenzio sembra quasi l'eco di un altro silenzio,
quello di Pio XII. Naturalmente non voglio fare confronti, denuncio solo il disagio che
provo nel trovarmi di fronte a un
silenzio così "assordante".
In un'intervista che ha rilasciato recentemente a "Der Spiegel", lei ha
fatto riferimento a un incontro con padre Peter Gumpel. Com'è andata?
Padre Gumpel è il curatore del processo di beatificazione di Pio XII, ed è stato subito
piuttosto evidente, per noi della Commissione, che i suoi interessi erano diametralmente
opposti ai nostri. Egli pensa - questa, almeno, è l'impressione - che non dovrebbe
esserci consentito visionare alcun materiale d'archivio. E lo ha detto anche in modo molto
diretto affermando, peraltro, di non aver avuto lui stesso la possibilità di consultare
quell'archivio. Ci ha anche consigliato di visionare i materiali di altri archivi sparsi
nel mondo: evidentemente è favorevole all'apertura di tutti gli archivi, tranne quelli
vaticani. Gli abbiamo chiesto perché fosse così contrario al principio del "libero
accesso", visto che la ricerca storica si basa proprio su questo. Come si può
cercare la verità, come si può elaborare un giudizio equilibrato e maturo su un
qualunque evento storico, senza analizzare tutti i documenti esistenti? Naturalmente, in
linea di principio, si è detto d'accordo con noi, ma poi ha aggiunto che il momento non
è opportuno e si è lanciato in una specie di teoria cospirativa su come, in tutto il
mondo, ci sia qualcuno che vuole
distruggere la Chiesa: se tale accesso fosse consentito, ha concluso, esso verrebbe usato
contro la Chiesa stessa. Ma noi siamo studiosi, non nemici della Chiesa. E' stata una
conversazione molto strana e controproducente, durante la quale avevo la sensazione di
parlare con un prelato dell'epoca precedente il Concilio Vaticano II. Forse non era questa
la sua intenzione ma ho trovato offensive anche alcune sue osservazioni sugli ebrei che
sembrava includere tra i nemici della Chiesa. Padre Gumpel ha detto chiaramente che
avrebbe scritto un rapporto negativo
sulla nostra Commissione e l'avrebbe mandato al Segretario di Stato. E sono sicuro che ha
mantenuto la sua promessa.
Lei crede davvero che ci siano difficoltà tecniche che impediscono l'apertura
degli archivi vaticani?
Naturalmente le motivazioni tecniche ci sono state fornite ma, come è ovvio, si tratta
essenzialmente di una decisione politica, di scelte, di volontà. A volte mi sembra di
essere in balìa di correnti politiche interne al Vaticano, che lo influenzano esattamente
come avviene in qualunque altra istituzione. Quando penso a tutto ciò che è successo nel
corso di quest'anno, mi rendo conto che Roma non ci ha dato assolutamente niente: non ci
ha fornito i documenti, né ci ha promesso di poterli visionare, né ha risposto ai 47
interrogativi contenuti nel nostro Rapporto. E si tratta solo della punta dell'iceberg.
Comincio a pensare che si sia trattato di una manovra realizzata con lo scopo - o la
speranza - di farci giudicare sufficienti i documenti già pubblicati così da poter
esprimere un giudizio positivo sul comportamento tenuto da Pio XII durante l'Olocausto.
Cosa succede nella Commissione? Ha avuto contatti con gli altri membri?
No, non recentemente. Mi è stata inviata una copia della lettera di risposta del
cardinale Cassidy, ma non penso che sia successo qualcosa. Sono tutti in attesa, per così
dire. Aspettare non ha molto senso.
Come risponde al silenzio della Segreteria di Stato?
Dico che la questione dell'Olocausto deve essere affrontata dalla Chiesa. Giovanni XXIII
lo ha fatto con il Concilio Vaticano II e anche Giovanni Paolo II l'ha affrontata in molte
occasioni. Ma che senso hanno tutte le richieste di perdono - i mai più - se poi non si
permette il libero esame di tutta la documentazione? Vede, accettare di studiare i
documenti era un progetto piuttosto strano a cui aderire, e io avevo molti dubbi a
riguardo. E tuttavia ho accettato nella speranza che sollevare i nostri interrogativi, e
accrescere la consapevolezza sull'importanza di
questo materiale d'archivio, avrebbe portato il Vaticano stesso ad assumersi le sue
responsabilità. A mio parere il papa ha fatto uno splendido lavoro in questo senso,
cercando di rendere in particolare i cattolici consapevoli della loro responsabilità nel
modo in cui hanno reagito all'Olocausto. Ma qui assistiamo a qualcosa di diverso, a quello
che sembra essere un rifiuto di affrontare veramente la questione, di aprire il vaso di
Pandora. E più a lungo si cerca di tenerlo chiuso, più la situazione peggiora. In gioco
non ci sono solo i rapporti tra cattolici ed ebrei. Il mondo intero ha diritto di sapere.
Ci sono molte vittime, molti che hanno il diritto di sapere ciò che è veramente successo
durante la II guerra mondiale. E giocare a questo metodo "selettivo" di accesso
ai documenti è una negazione della storia.
Che cosa si aspetta per il futuro?
Penso che ormai sia venuto il momento per il Vaticano di dimostrare la sua serietà. Non
possono girare le spalle alla Commissione dopo averla istituita. Nessun cattolico
capirebbe un simile comportamento, per non parlare degli altri. Ed ecco perché,
nell'intervista a Der Spiegel, mi sono rivolto direttamente al papa perché intervenga
personalmente. Penso che sia l'unico modo per uscire da questa situazione di stallo. Spero
che, in qualche modo, il mio appello al Santo Padre trovi udienza, perché nutro un grande
rispetto nei suoi confronti. I miei genitori erano originari di Cracovia e io parlo il
polacco... sono certo che, se ci incontrassimo, ci capiremmo benissimo.
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