|  | Corriere della Sera, 31 marzo 2001 
 La stanza di MONTANELLI
 Processo di Norimberga recepito come castigo
 
 di Indro Montanelli
 Caro Montanelli, Sono uno studente di scienze politiche. Dopo aver visto il film Norimberga (sul processo
    ai criminali nazisti) mi è rimasta dentro la curiosità di saperne di più su quel
    processo che ha segnato un momento fondamentale sia nella storia del diritto sia in quella
    universale. In Italia si sapeva dei massacri messi in atto nei campi di concentramento?
    Che effetto ha fatto questo processo agli occhi della gente comune e a quelli dei
    fondatori della Repubblica?
 Spero che la sua impeccabile memoria storica possa chiarire i miei dubbi e appagare le mie
    curiosità.
 Stefano Zorzi, stefano@hi.is
 
 Caro Stefano, Anzitutto la mia memoria storica non è affatto, come tu credi, impeccabile: purtroppo
    comincia anchessa a denunziare i suoi, cioè i miei, anni. Il che tuttavia non
    mimpedisce di fissare alcuni punti fondamentali: quelli suggeritimi dalla mia
    personale esperienza.
 Primo. Io fui, grazie al Corriere , uno dei pochissimi giornalisti italiani accreditati
    presso il Tribunale di Norimberga per seguirne le udienze. Purtroppo questo accredito
    durò poco perché le mie corrispondenze denunziavano chiaramente delle riserve alla
    legittimità e alla opportunità politica di quel processo. Tengo subito a dire che non fu
    il Tribunale a dolersene: cerano anche altri colleghi, fra cui almeno tre americani,
    che condividevano i miei dubbi, e il Tribunale o non se ne accorse, o finse di non
    accorgersene: la libertà di opinione, nella stampa americana (e inglese) non ha bisogno
    di essere affermata: è sottintesa.
 In Italia era diverso. Il fatto che della Giuria di Norimberga facessero parte tutti,
    anche i sovietici, rendeva tutte le forze politiche italiane dichiaratamente solidali con
    essa: dissentirne, era considerato fascismo. Il Corriere si affrettò dunque a mandare un
    cronista «puro», cioè che si limitava alla pura cronaca delle udienze, ma mi consentì
    di restare sul posto a svolgere inchieste sulle mostruosità che i documenti mettevano via
    via in evidenza; ma che non suscitavano nella pubblica opinione tedesca nessuna reazione
    perché erano rivelazioni fatte da un tribunale del nemico vittorioso che occupava la loro
    patria. Sono convinto che tutti sapessero che quelle rivelazioni erano vere. Ma si
    rifiutavano di riconoscerle tali perché provenivano da un tribunale straniero che,
    secondo loro, gabellava per
 giustizia quella che era soltanto vendetta.
 Il bello, cioè il brutto è che quando, fra uninchiesta e laltra, rientravo
    in Italia, vi trovavo, meno smaccata, ma anchessa abbastanza evidente, la stessa
    indifferenza. Credo che il mio reportage meno letto sia stato quello che, dopo la sua
    pubblicazione a puntate non sul Corriere della Sera che non lo volle, ma sul Corriere
    dInformazione , chera la sua edizione pomeridiana, fu raccolto in un volume
    intitolato «Morire in piedi», di cui quasi nessuno si accorse. Sospettavano che anche
    Auschwitz fosse una «montatura» dellantifascismo. E ci volle del tempo, e
    soprattutto ci volle il ritorno dei pochi scampati ai campi di sterminio
 per far cadere questa prevenzione. Ma ricordo una commedia di De Filippo - di cui ora mi
    sfugge il titolo -, che raccontava appunto langoscia di uno di questi scampati che,
    rientrato in famiglia dove lo avevano creduto morto, cercava di raccontare a moglie, figli
    e nipoti il suo calvario, ma si accorgeva che nessuno lo stava a sentire.
 Ci vollero anni per accreditare la verità degli orrori perpetrati dal nazismo e da quella
    (per fortuna) pallida imitazione che ne era stato il fascismo. E non so se in Germania
    labbiano digerita. In Italia tutto è stato più facile perché un Auschwitz, da
    noi, non solo non cè stato, ma non è nemmeno concepibile, tanto è lontano dalla
    nostra mentalità e costume. Quindi quale Norimberga, e contro chi, si poteva istituire in
    Italia? Che in guerra, anche da parte italiana, ci fossero stati dei crimini, è vero,
    come ce ne sono in tutte le guerre. Ma la figura del «criminale di guerra»
    allItalia è estranea, e glielo dice uno che le guerre italiane, dallEtiopia
    in poi, le ha fatte tutte.
 Che io mi ricordi, solo un Generale italiano, Bellomo, fu fucilato daglinglesi
    perché aveva fatto sparare su dei prigionieri che tentavano levasione dal suo campo
    di concentramento. Altri episodi ci saranno certamente stati. Ma non, per fortuna, da
    giustificare una Norimberga. Che, secondo me, fu sbagliata anche in Germania, perché
    esentò i tedeschi da quellesame di coscienza che un tribunale tedesco li avrebbe
    costretti a fare. Lo scrissi allora, e lo ripeto oggi. Se Norimberga non raggiunse
    leffetto che si proponeva - quello di suscitare una esecrazione adeguata agli orrori
    che rivelava -, fu perché venne recepita non
 come Giustizia, ma come castigo del vincitore sul vinto. E non ci voleva molto a
    prevederlo.
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