|  | Corriere della Sera, 28 aprile 2001 Silone spia? Il perito nega, la vedova riconosce la grafia. L'
    esame esclude la collaborazione con l'Ovra, ma Darina Laracy ha qualche dubbio  di  Paolo Conti Giuseppe Tamburrano ha presentato ieri un libro bianco in difesa dell' autore di
    «Fontamara», mentre si apre un convegno di studi Silone spia? Il perito nega, la vedova
    riconosce la grafia L' esame esclude la collaborazione con l'Ovra, ma Darina Laracy ha
    qualche dubbio «La verità? Chissà mai se la sapremo. Lui distrusse ogni carta che lo
    riguardava fino al 1930 e adesso tutti gli interessati sono morti...» mormorava ieri
    pomeriggio Darina Laracy Silone, la vedova dell' autoredi «Fonta mara». Difficile dire se la verità su Silone (dirigente comunista ma spia
    fascista o doppiogiochista autorizzato dal Pci clandestino, secondo opposti giudizi
    storici) sarà mai chiara e uguale per tutti. Una cosa è certa: Silone continua a
 dividere gli animi e a riempire gli archivi di ricercatori. Ieri Giuseppe Tamburrano,
    presidente della Fondazione Nenni, ha presentato un libro bianco («Processo a Silone, la
    disavventura di un povero cristiano», Piero Lacaiata editore) contro un
 altro volume, «L' informatore: Silone, i comunisti e la polizia» (Luni editrice) di
    Dario Biocca e Mauro Canali, che uscì l'anno scorso e aprì una violenta polemica per il
    Silone descritto: informatore fin da giovanissimo della polizia fascista, di
 fatto un infil trato del regime ai vertici del Pci clandestino. E che non si sarebbe
    limitato a «generiche e inutili informative tra il '28 e il ' 30 solo per salvare la vita
    a suo fratello Romolo finito nelle carceri fasciste» come assicura Tamburrano. Il quale f
    a sua la posizione espressa tempo fa da Indro Montanelli: «Nemmeno se lui stesso me lo
    confermasse levandosi dalla tomba crederei al Silone spia fascista. L'uomo che si oppose a
    Stalin non può ridursi a diventare il confidente di un piccolo funzionario fascista». La
    tesi «innocentista» di Tamburrano, Gianna Granati e Alfonso Isinelli, i due ricercatori
    della Fondazione Nenni che hanno lavorato all'Archivio di Stato, si basa su tre pilastri.
    Primo: la perizia di Anna Petrecchia, perito grafico del Tribunale civile e penale di
    Roma, realizzata su pagine di particolare importanza. Cioè le informative che Silone
    avrebbe scritto a Genova tra il 20 e il 21 aprile 1923 di fronte a Guido Bellone, il
    funzionario della polizia fascista conosciuto fin dal 1919. Indicazioni su Bruno
    Fortichiari (il dirigente comunista più ricercato dai fascisti in quel momento), su
    Celestino Telò (capo della struttura clandestina dell'organizzazione giovanile comunista,
    che poco dopo verrà arrestato) e altre non nobili delazioni. Biocca e Canali
    attribuiscono quei fogli alla mano di Silone. La dottoressa Petrecchia, invece, lo
    esclude: «L'impostazione della scrittura, lo sviluppo del curvilineo, le dimensioni, la
    pendenza assiale delle lettere, i collegamenti tra lettere... Tutto è diverso dagli altri
    autografi di Silone. L'uomo che scrive a Genova unisce persino le parole tra loro con un
    segno. Sono due persone diverse». Il fatto che la perizia sia stata realizzata su
    fotocopie «non inficia la validità del parere espresso», assicura il perito. Darina
    Laracy Silone, che ha messo a disposizione il suo archivio privato a Biocca, ripete ciò
    che ha già detto in un' intervista a «Repubblica»: «Io credo che quelle carte siano
    autentiche». Nonostante la perizia? La signora non ha un attimo di esitazione:
    «Nonostante la perizia. A me sembra la grafìa di Silone... forse mi sbaglio. Resto
    però, sia chiaro, innocentista. Nel senso che quelle carte non bastano come prova.
    Bisogna studiare le circostanze ed io non posso accettare l' idea che abbia voluto tradire
    i suoi compagni». Ribatte Biocca: «Non ho letto la perizia, risponderò quando l'avrò
    vista ed ho i miei dubbi per via delle fotocopie. Ma la presenza di Silone e Bellone a
    Genova in quei giorni è verificata nel dettaglio e minuziosamente». Secondo punto della
    tesi Tamburrano. Una lettera di Paola Carucci, direttrice dell' Archivio centrale di
    Stato, in cui si certifica che né lo pseudonimo usato da Silone (Silvestri) né il
    cognome letterario di Silone né il vero cognome dello scrittore, Tranquilli, risultano
    nella rubrica speciale dell'Ovra. Terzo punto. Tamburrano, Granati e Isinelli accusano
    Biocca di aver inventato di sana pianta, in un articolo apparso su «Nuova storia
    contemporanea», la parte finale della lettera del 13 aprile 1930 con cui Silone sospese
    le sue «informative» alla polizia fascista e inviate secondo i tre ricercatori solo per
    tentare di aiutare il fratello («notizie politiche per lo più note, ma mai
    delazioni"). Le frasi «lunga e leale collaborazione con la polizia politica, non per
    assistere il fratello detenuto» secondo il libro della Fondazione Nenni «non esistono».
    Ancora Biocca: «Non ho mai sognato di attribuire quelle frasi a Silone. Si tratta va
    invece della conclusione del mio articolo dedicato alla lettera pubblicata poco prima e
    che rinviava a una nota a piè di pagina. Mi chiedo perché Tamburrano continui a farne
    una questione di virgolette anziché analizzare il senso del testo. Lo stupore di
    Tamburrano, lo confesso, fu anche il mio quando cominciai ad analizzare il materiale su
    Silone». Ma Tamburrano pubblica anche una testimonianza di Luce D' Eramo, la scrittrice
    appena scomparsa, che ricostruisce un suo incontro con Umberto Terracini nel maggio 1979:
    «Mi disse che il Pci clandestino l'aveva incaricato di utilizzare le conoscenze che aveva
    nella polizia politica fingendosi anche informatore per sapere notizie riservate sui
    metodi usati contro gli antifascisti». Forse ha ragione Darina Silone: sono tutti morti,
    chissà se sapremo mai la verità.
 
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