|  | Corriere della Sera, 25 aprile 2001 La Liberazione e Roma. Il valore della memoria di  Paolo Franchi Il 25 aprile del 1945 Roma e' gia' libera da quasi un anno, e certo non e' percorsa dal
    "vento del Nord": Pippo Doria Pamphilj, primo sindaco di Roma liberata, ha
    sintetizzato ai romani i l suo programma subito dopo l' arrivo degli Alleati,
    "Volemose bene", e "Volemose bene" si intitola anche la commedia di
    Mario Mattoli messa in scena al Salone Margherita da Aldo Fabrizi, di li' apochissimo protagonista, con Anna Magnani, dell' indi menticabile "Roma citta'
    aperta" di Roberto Rossellini. Resistenza a Roma ce n'e' stata, attiva e passiva, con
    una tragica scia di eroismi e sacrifici, e anche di polemiche durissime, prima tra tutte
    quelle sull' attentato di via Rasella e la strage delle Ardeatine, destinate a dividere i
    romani per decenni. Il nome di Ferruccio Parri, pero' , quel 25 aprile, lo conoscono in
    pochi. I militanti socialisti in quei giorni vergano sui muri, ovviamente senza fortuna,
    la scritta: "Nenni al governo, D e Gasperi in sacrestia". Ma,  appunto, e'
    di una crisi di governo, di partiti, di combinazioni ministeriali che la Roma politica
    gia' parla, anche se con toni assai accesi, non certo della consegna di "tutto il
    potere" ai Comitati di liberazione nazio nale, come vorrebbero tanti partigiani del
    Nord, non solo comunisti. A proposito delle imminenti spartizioni di potere, Ignazio
    Silone conia un' espressione che avra' molta fortuna negli anni a venire, "il mercato
    delle vacche". "Poletti, meno fregna cce e piu' spaghetti", suggerisce al
    colonnello americano, che di fatto governa Roma, un graffito d'epoca, e altri si spingono
    molto piu' in la' : "Aridatece er puzzone nostro" (e il puzzone, manco a dirlo,
    e' Mussolini), "Si stava meglio quando si stava peggio". Attenzione a non
    eccedere con il colore della vita quotidiana e con la corrosiva ironia e autoironia dei
    romani, pero' . Proviamo a dirlo senza retorica.
 La Roma del ' 45 e' una grande citta' , segnata dalla miseria e anche dalla fame, percorsa
    da tensioni sociali, politiche e culturali fortissime: ma e' pure, o meglio faticosamente
    comincia ad essere, la capitale di un Paese che, proprio a partire
 da quel 25 aprile, non e' piu' diviso in due dalla Guerra mondiale e dalla guerra c ivile.
    Ha smesso di rivendicare l'Impero, ha pagato in tante vite umane spezzate e in tantissime
    sofferenze, prime tra tutte quelle della comunita' israelitica, il prezzo pesante delle
    illusioni e delle follie di un ventennio. E' diventata, o meglio ha cominciato
    faticosamente a diventare, con tutte le sue piaghe, tutti i suoi opportunismi, tutta la
    sua vocazione al compromesso, la capitale di un Paese finalmente libero: e donne e uomini
    liberi sono i suoi cittadini, tutti i suoi cittadini, anc he chi se ne e' stato in
    disparte, persino quelli (non pochissimi) che fino all' ultimo hanno parteggiato per i
    fascisti e per i tedeschi. Tutto questo vale la pena non tanto di celebrare, ma
    soprattutto di ricordare, in primo luogo ai giovani e ai g iovanissimi, cinquantasei anni
    dopo. Molti romani che hanno vissuto da protagonisti, da comprimari o anche solo da
    comparse quella stagione - i suoi grandi orrori e le sue grandi speranze, ma anche la sua
    quotidianita' - se ne sono andati, molti altr i pero' sono ancora tra noi. E hanno - tutti
    - un' infinita' di cose grandi e minute da raccontare. Sarebbe ottima cosa farli parlare,
    e disporsi ad ascoltarli con grande attenzione. Sono certo beati i popoli che non hanno
    bisogno di eroi, ma a quell i che smarriscono la memoria difficilmente arride un grande
    futuro.
 
 
 
 
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