Corriere della Sera, 15 maggio 2001

Le «intenzioni» di Roosevelt

di Indro Montanelli

Caro Montanelli,
S ono interessato ad approfondire due cose: una riguarda i motivi per cui Roosevelt costrinse i giapponesi a dichiarargli la guerra. Se non può rispondermi direttamente su una delle prossime «stanze», mi indichi cortesemente su quale pubblicazione posso orientarmi.
L’altra si riferisce al famoso «Arco Costituzionale» in relazione al quale vorrei sapere: 1) i 600 membri dell’Assemblea Costituente dovevano ovviamente comprendere anche i rappresentanti del Msi.
2) Ma per la elaborazione del testo la Commissione dei 75 comprendeva anche i rappresentanti «missini» o costoro ne erano stati esclusi.
Libero Trubiani  Milano

Caro Trubiani,
La sua prima domanda, quella sulle intenzioni di Roosevelt, non si presta a una risposta documentata e documentabile (come si fa a documentare delle intenzioni?). Però ho letto che in questi ultimi tempi è uscita in America, dopo tante altre, una eccellente ricostruzione del cammino politico percorso dalla diplomazia americana per giungere a Pearl Harbor, autore Gore Vidal. Non ho avuto il tempo di leggerlo, il titolo è l’«Età dell’oro» e il nome dell’autore è una garanzia.
Che Roosevelt (già al suo terzo mandato presidenziale rinnovatogli contro ogni regola e tradizione proprio per evitare una crisi di potere nel momento in cui in Europa la guerra toccava la sua acme) smaniasse d’impegnarvi il suo popolo che non se ne mostrava invece punto entusiasta, è un dato di fatto su cui tutti o quasi tutti concordano. Per amore della minacciata democrazia, o per assicurarsi un quarto mandato presidenziale? Questo, caro Trubiani, come si fa a dirlo? Forse insieme per l’uno e per l’altro motivo.
Ma una cosa è certa: che la trattativa col Giappone fu condotta in modo tale da lasciare a Tokio ben poco margine di compromesso. Oggi si sa che il governo del Tenno, sebbene dominato dai militari, era molto diviso: per la guerra era l’Esercito, ma contro erano la potentissima Marina e tutto il mondo dell’Industria e della Finanza che sapevano bene cos’era l’America.
Comunque, andò come andò, e come Roosevelt - se è vero ciò che di lui ho detto, o meglio supposto - non poteva meglio desiderare. Con i giapponesi, che avevano deciso di non attaccare in nessun caso i russi (come il «Patto d’acciaio» con Germania e Italia gli avrebbe fatto obbligo), cosa di cui i russi erano stati informati dalla loro superspia Sorge, si schierarono invece, spensieratamente, la Germania e l’Italia, anzi l’Italia con due ore di anticipo sulla Germania, offrendo
così a Roosevelt il pretesto dell’intervento anche in Europa anzi imponendoglielo. Sempre che sia esatta la supposizione - di cui, pur condividendola, le consiglio di dubitare - che Roosevelt volesse appunto tutto questo.
Alla sua seconda domanda, mi è più facile rispondere. Dei 556 Costituenti designati dai Partiti, 207 furono democristiani, 115 socialisti, 104 comunisti, 41 dell’Unione Democratica Nazionale, 30 qualunquisti, 23 repubblicani, e i residuati di qualche lista sfusa. Ma di missini non mi risulta che ce ne fossero. Molto prima di aver trovato il suo nome di battesimo, l’«arco costituzionale» aveva già trovato la sua funzione.   Il primo scoglio che la Costituente dovette affrontare fu quello della sua Presidenza. De Gasperi l’aveva offerta a Nenni, che la rifiutò proponendo invece Romita.  «Ma - scrisse nei suoi taccuini - il mio rifiuto, invece che a Romita, è servito a Saragat. E non per una manovra di Saragat, ma per un eccesso di furberia da parte dei miei amici. Si erano messi in testa che De Gasperi da un lato e Saragat dall’altro mi spingessero alla Presidenza per immobilizzarmi in una cornice dorata...». Come vede, si cominciava bene.

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