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Corriere della Sera, 13 aprile 2001
Limportanza di ricordare
Il viaggio del tempo nella memoria
di Giorgio Cosmacini
Il «giorno della memoria», celebrato il 27 gennaio per ricordare la
Shoah, ha
inaugurato un anno denso di riferimenti e richiami a quel grande patrimonio umano,
individuale e collettivo, che è appunto la memoria. Una delle peggiori disgrazie che
possano toccare alluomo è infatti lo sprofondare della sua mente nelloblìo:
un uomo senza memoria è un uomo fortemente diminuito nella sua personalità. Altrettanto
può dirsi di una collettività che, senza memoria, è fortemente minorata nella propria
identità culturale. «La memoria può sconfiggere il male», ha scritto su queste pagine
Giuseppe Laras. Alla memoria possiamo dunque riconoscere un valore terapeutico, in quanto
essa è in grado di vincere quella malattia sociale odierna che è lindifferenza,
nascente dalloblìo. La memoria reca in sé la capacità di rimuovere quei
presupposti anticulturali e antimorali che hanno permesso che la Shoah venisse pensata,
organizzata, compiuta. Essa ci aiuta a ricordare in silenzio.
Recita l Ecclesiaste (III, 7): «Cè un tempo per tacere e un tempo per
parlare». La memoria ci spinge a dare testimonianza dicendo ad alta voce la verità. La
memoria intrattiene un rapporto privilegiato con la storia. In occasione del ricevimento
della laurea in filosofia honoris causa da parte dellUniversità di Pavia, Jacques
Le Goff ha tenuto una lezione magistrale intitolata «Storia e memoria», nella quale,
citando Sant Agostino (Confessioni XI, 20, 26), ha detto che «il nostro presente ha
tre dimensioni: il presente del passato, il presente del presente, il presente del
futuro». Il che significa che il sentimento del passato e il presentimento del futuro
sono compresenti nella coscienza del nostro sentire
quotidiano. Nel Medioevo, prima che larte della stampa fiorisse, la memoria era
unarte: unarte per i dotti, praticata con prove ed esercizi atti a memorizzare
la più gran parte dello scibile; e unarte per i dottori, per i medici, che
arricchivano il loro sapere e autenticavano il loro fare sulla base dei testi memorizzati,
dai quali traevano, caso per caso, gli insegnamenti più adatti. Se i medici
rinascimentali poterono dilatare la loro intelligenza «naturale» grazie
allintelligenza «artificiale» assicurata loro da quel nuovo mezzo
dinformazione e comunicazione che era la stampa, i medici doggi possono fruire
di quella «memoria in espansione» che è assicurata loro dalla rivoluzione informatica.
La memoria appartiene da sempre al mestiere di medico. Esso si è sempre esercitato tra
sintomi e storie. I due momenti fondamentali dellatto ippocratico, cioè del
rapporto «duale» tra medico e paziente, erano l anamnesi, la storia del passato
del malato detta da questi e ascoltata dal medico, e la prognosi, la storia del futuro
malato, detta a questi dal medico in risposta alla sua speranza o alla sua disperazione.
Quando tra i due momenti si è inserita la diagnosi, cè stato ancora bisogno di
«fare storia» collezionando una casistica di «storie cliniche» da cui ricavare una
tipologia con cui confrontare la malattia del paziente per meglio fissarne
lidentità.
Ma, oltreché al medico, che nellatto primario del suo mestiere fa ricorso alla
maieutica della storia per estrarre dalla memoria del malato il suo vissuto, la memoria
appartiene al malato stesso, soprattutto nei momenti cruciali della sua esistenza. Ce ne
dà testimonianza proprio un grande malato, Giacomo Leopardi. «Lufficio della
memoria realizzato dalla sua poesia», ha scritto Ugo Dotti ( Lo sguardo sul mondo.
Introduzione a Leopardi, Laterza 1999, pp. 88-89), «è quello di ancorare
limmaginazione, sollecitata dal presente, a un mondo sì vissuto ma che, ormai
perduto (come la salute), rimane vivo soltanto nellinteriorità, reliquia di ciò
che è stato e che, in quanto tale, la memoria trasfigura». Non è quanto accade al
malato, e che è accaduto a Leopardi forse proprio in quanto malato? La poesia della
memoria seleziona gli eventi accaduti soffermandosi su di essi, trasfigurandoli
e presentandoli come la vera vita, la vita finalmente tratta dal profondo di sé, dalla
memoria del malato. E una poesia che appartiene soprattutto alla dura realtà della
malattia irreversibile. La memoria soggettiva del malato, diversa dalla memoria oggettiva
del medico, è una memoria tutta interiore, intima, irresistibile, che non si scolora
affatto, anzi assume colori più vivi che mai proprio nel corso della malattia
inguaribile.
In questo estremo gioco della memoria, dove il tempo incalza e lattimo fugge, il
tempo soggettivo si dilata in «durata» - come ci ha insegnato Henri Bergson - per
ricuperare e includere la vita intera negli interminabili istanti in cui essa finisce.
Questo itinerario allindietro, sul filo di una memoria ormai prossima a spezzarsi,
prelude talvolta a quellemblematico ed estremo ricupero di memoria che fa affiorare
sulle labbra del malato, per ultima, proprio la parola sillabata nellinfanzia, per
prima.
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