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Corriere della Sera, 11 luglio 2001
WALLENBERG Un eroe fra due dittature. Che fine ha fatto il diplomatico svedese che salvò dai Lager nazisti
migliaia di ebrei? Per Mosca morì alla Lubianka nel 47, per alcuni testimoni è
ancora vivo
di A. Ferrari
GERUSALEMME - Stretto nel doppiopetto grigio di alta sartoria, con cravatta e
pochette di seta come imponeva il suo ruolo di giovane diplomatico, ricchissimo e
appartenente ad una grande famiglia di un Paese neutrale, fece un balzo felino e
salì sul treno della morte, alla periferia di Budapest, accompagnato dalla scia di una
costosa colonia. Aveva il volto pallido e segnato di chi ha trascorso una notte di follie,
stordito dallalcol e dalle grazie di unesigente signora. Centinaia di occhi,
atterriti e supplicanti, si levarono, cercando un lampo di umanità in quelli del nuovo
venuto. Il quale, duro e impassibile, esprimendosi in perfetto tedesco, si fece largo a
gomitate tra la massa dei disperati, lasciando interdetti gli ufficiali nazisti che
vigilavano su quel "carico" diretto ad Auschwitz. Ad ogni contatto fisico con le
vittime, un cartoncino colorato passava furtivamente dalla tasca del giovin signore a
quella di uno dei condannati a morte. Lo sconosciuto, che aveva lavorato tutta la
notte per fabbricare i falsi lasciapassare, continuava a parlare, lasciandosi sfuggire
ogni tanto, con laria di chi è costretto a violentare la propria schizzinosa
alterigia, qualche insulto. Alla fine, dopo aver zittito con un cenno imperioso gli
sconcertati
poliziotti di Hitler, alzò il tono della voce, e rivolto ai miserabili destinati alla
camera a gas gridò: «Imbecilli. Avete portato o no i vostri documenti? Pensate che mi
diverta a farvi da schiavo, di prima mattina?». Grazie a quella temeraria sceneggiata,
altri trecento ebrei erano salvi, protetti da un angelo-giocatore che aveva imparato a
bluffare con il demonio, sapendo di rischiare ogni volta la propria vita.
Lo svedese Raoul Wallenberg, per indole e per carattere, era un giusto attratto dalle
sfide impossibili. Usiamo un improprio imperfetto perché di questuomo, che riuscì
a salvare dallinferno nazista 100mila ebrei ungheresi, in realtà non si sa più
nulla.
Accusato dessere una poliedrica spia al servizio di tutti, americani, nazisti,
inglesi e sovietici, fu catturato dallArmata rossa subito dopo la liberazione di
Budapest e sparì. Trasportato nellUrss per ordine di Stalin, è svanito assieme ai
segreti più torbidi del regime comunista. Una commissione dinchiesta russo-svedese,
che ha lavorato per dieci anni (dal 1991 alla scorsa primavera) non ha sciolto il mistero.
Mosca conferma che, nel 1947, Wallenberg, allora trentacinquenne, morì dinfarto
alla Lubianka. Stoccolma dice che non vi sono prove che il diplomatico sia morto. Israele,
che lo onora come si deve onorare un eroe, continua a considerarlo «missing in action»,
scomparso durante unoperazione, forse ancora in vita, a 87 anni.
Lassistente di Wallenberg, Per Anger, di un anno più giovane dello scomparso, è
convinto che il suo capo sia vivo, nascosto chissà dove con una nuova identità. «Avete
idea di quanti ebrei sarebbero stati salvati se invece di uno vi fossero stati tanti
Wallenberg?» ha detto il premio Nobel per la pace Elie Wiesel.
Veniva da una delle famiglie più importanti della Svezia. Aveva tutto: blasone, cultura,
ricchezza, fascino, e quellambigua dote che consente di alternare timidezza e
sfrontatezza. Imparentato con banchieri, uomini daffari, scienziati, politici, amava
lazione e odiava lacquiescenza. Quando il comitato americano dei rifugiati di
guerra e i maggiori rappresentanti dellebraismo mondiale gli fecero proporre, nel
1944, di organizzare il salvataggio di quel che restava della grande comunità ebraica
ungherese, non ebbe esitazioni. Al premier svedese Per Albin Hansson e a Re Gustavo V
chiese una sola cosa: mezzi illimitati e carta bianca. Glieli accordarono.
Gli americani, già da un anno, sapevano dellesistenza dei campi di sterminio. Ad
informare personalmente il presidente Franklin D. Roosevelt, nel 1943, era stato Jan
Kozielewski, nome di battaglia Karski, un cattolico che faceva il diplomatico
clandestino presso il governo polacco in esilio a Londra e che fu impiegato in una
missione impossibile: infiltrarsi prima nel ghetto di Varsavia poi nel piccolo campo di
sterminio di Izbica, alle porte della capitale, sostituendo (dopo averlo corrotto con del
denaro) un guardiano ucraino che serviva i tedeschi. Fu il primo testimone oculare
dellOlocausto. Vide e documentò lorrore.
Roosevelt rimase impassibile, ma le terribili confidenze di Karski (morto lanno
scorso a Washington, dopo una prestigiosa carriera accademica) produssero almeno un
risultato: dallincredulità, gli Usa passarono alle verifiche e allazione.
Forse la decisione di sostenere gli sforzi di Wallenberg fu conseguenza di quelle
rivelazioni che nessuno voleva credere. Arrivato a Budapest nel pieno della campagna di
deportazione degli ebrei, il diplomatico svedese dovette fare ricorso a tutta la propria
audacia. Comprò e affittò decine di case, proteggendole con la neutrale bandiera del suo
Paese e riempiendole di famiglie ebraiche. Fabbricò carte didentità e passaporti,
pieni zeppi di timbri e di firme, contando sulleffetto che avrebbero prodotto sulle
autorità tedesche e ungheresi, sensibili al fascino della forma. Assoldò prostitute di
lusso da offrire ai gerarchi nazisti. Come un attore che non avesse fatto altro nella
vita, imitò la voce dei capi degli aguzzini, impartendo ordini fasulli. Creò un
sofisticato sistema di corruzione: sapendo che i tedeschi cercavano disperatamente
cuscinetti a sfere, fece riempire una nave
svedese e la consegnò ad alcuni ufficiali di Hitler, in cambio di quattromila bambini
ebrei.
Riuscì a far arrivare a Budapest una colonna di 57 camion (protetti dalle bandiere di
Svezia e Danimarca) carichi di viveri e medicinali: parte per le vittime, parte per i
carnefici, perché così imponevano le regole di quella tragica commedia. Nel viaggio di
ritorno, i 57 automezzi, schivando persino un bombardamento degli alleati, trasportarono
centinaia di famiglie verso la libertà.
Una volta, propose a un gerarca di Berlino un curioso scambio: cento donne ebree contro
mille cartoni di barattoli di caffè. Decine di migliaia di predestinati evitarono la
camera a gas: furono dirottati in Svezia e in Turchia, grazie alla generosa disponibilità
del nunzio apostolico a Istanbul, Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, che
collaborò con Wallenberg, indirizzando i rifugiati in Palestina. Alla fine, anche i
gioielli di famiglia del diplomatico, e quelli offerti dalle vittime, furono utilizzati
per corrompere i nazisti.
Adolf Eichmann, che aveva scoperto il gioco dello svedese, cercò di ucciderlo. Il piano
fallì allultimo momento, come fallì il progetto tedesco di annientare gli ultimi
70mila ebrei del ghetto di Budapest. Quando arrivarono i sovietici, Wallenberg
raccontò ciò che aveva fatto. Fu invitato a cena due volte, amichevolmente. Una mattina
fu catturato con uno stratagemma e scomparve. Aveva con sé tre valigette, piene di
gioielli e di denaro. Secondo Yaakov Menaker, ex- tenente dellArmata Rossa che poi
si rifugiò in Israele, Wallenberg fu intercettato dal reparto politico della 18esima
armata, comandata dal maggiore Leonid Breznev, futuro leader dellUrss.
Lagendina del diplomatico aveva convinto i russi che fosse una doppia spia: dei
nazisti e degli americani. Un testimone ha raccontato che la figlia di Breznev,
lalcolizzata Galina, in una cerimonia ufficiale fu fotografata con al collo una
preziosa collana che apparteneva a Wallenberg.
Segreti assai imbarazzanti. Mosca ha negato per anni la cattura del diplomatico,
sostenendo che forse era stato ucciso dai nazisti, ma di fronte alle crescenti pressioni
svedesi è stata costretta ad ammettere che si trattò di «un errore imperdonabile», e
che Wallenberg morì nel 1947, «probabilmente per un attacco cardiaco». Ma ci sono
decine di testimoni che, negli anni, e soprattutto dopo il crollo dellimpero
sovietico, hanno raccontato di aver visto lo scomparso: in un gulag, in un ospedale
psichiatrico, in una prigione.
Un ex detenuto sovietico, Jan Kaplan, scrisse alla figlia, in Israele, rivelando
daver incontrato Wallenberg nel 1975. Ai giornalisti svedesi, che si precipitarono a
Mosca per parlare con il prezioso testimone, venne detto che Kaplan «era partito per un
lungo viaggio». Allinizio del 2001, Vladimir Putin ha promesso al suo omologo
israeliano Moshe Katsav che le ricerche di Wallenberg non verranno sospese. La fondazione
che porta il nome di quelleroe senza tomba spera che George W. Bush ne parli al
presidente russo, in margine ai lavori del G8. Lultimo grande mistero della Seconda
Guerra Mondiale non è stato ancora risolto.
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