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Corriere della Sera, 10 luglio 2001
DISPUTE Si riapre la discussione dopo il no del sottosegretario
Sgarbi al ritorno in Etiopia della pietra di Axum. Perché al suo posto non mettiamo un
monumento ai caduti della Resistenza?di
Carlo Bertelli
Sì, decisamente il sottosegretario Vittorio Sgarbi non è politically correct ,
ma finché dura nel suo incarico ha dalla sua, oltre a una vis polemica collaudata, la
preparazione di uno storico dellarte che sa quel che dice. Di conseguenza le sue
provocazioni sono preferibili al sopore ufficiale, ai restauri reclamizzati e
sponsorizzati che il ministro in carica si arroga indipendentemente da un giudizio di
valore. Per la stele, ovvero «obelisco» di Axum, la sua esternazione, passando sopra a
impegni internazionali e ad altre considerazioni, pone un problema che non si può negare.
Collocato dove è ora, a Porta Capena, fra il Circo Massimo e la splendida Passeggiata
Archeologica, il grande monolito ha un valore urbanistico indubbio.
Mette ordine in un punto del tutto causale, dove la ricostruita palazzina del Vignola - un
vero falso - non può bilanciare la massa dellex ministero delle colonie ora
divenuto sede della Fao. E tuttavia proprio quel richiamo allaffamata Etiopia avrà
un senso per i funzionari della Fao, se hanno il tempo, parcheggiata lautomobile, di
alzare gli occhi e chiedere che cosa sia quel blocco di pietra nera alto 24 metri.
Eppure vi è un perverso provincialismo nel dare priorità a un problema tanto localizzato
rispetto ad altri orizzonti. Il punto di partenza duna riflessione non può non
essere la stessa Axum. Axum è stata la capitale dun antico regno, fiorito fra il I
e lVIII secolo d. C., erede di una formazione politica che esisteva già nel V
secolo a. C. e che aveva come capitale Yeha, distante 50 chilometri.
Di monoliti a terra, scolpiti fra il III e il IV secolo d. C., ad Axum se ne contano quasi
duecento. Di questi uno solo è in piedi, alto tre metri meno di quello di Roma.
Tuttintorno vi sono altri resti importanti, come la grande lastra di granito, di 18
metri per 6, che formava il tetto di una camera funeraria, 26 enormi piattaforme
ceremoniali destinate, secondo le iscrizioni, ai troni dei re. Axum era sulle rotte
carovaniere che collegavano il Mar Rosso al Nilo, era in stretto contatto con il regno di
Saba e attraverso il porto di Adulis con il Mediterraneo orientale. Le iscrizioni
celebrano talvolta Ares linvincibile, testimoniando di statue di bronzo scomparse.
Anche i monoliti avevano in cima una placca di metallo, forse di rame dorato, forse
doro, che risplendeva nellabbagliante cielo etiopico.
La visione dei monoliti di Axum, quando erano tutti eretti, deve essere stata
straordinaria. Simulazioni di altissime case di pietra, rivali delle città dello Yemen,
si affollavano a celebrare la gloria di un regno. Cosma Indicopleuste, il celebre mercante
geografo alessandrino che nel 520 d. C. compì il periplo dellIndia, ne fu così
affascinato che ne dette un magnifico disegno nel suo trattato. E il primo paesaggio
reale nella storia dellarte, che si può ancora ammirare nella copia del IX secolo
conservata alla Biblioteca Vaticana.
Rialzare tutti i monoliti credo che sia un compito improponibile, anche per lUnesco,
ma certo è una grave offesa a questo complesso archeologico di tenere a Roma uno dei due
che potrebbero stare in piedi.
Comunque il monumento di Axum a Roma non ha il valore che i marmi del Partenone ebbero a
Londra. Nessun pittore della scuola romana si è ispirato alla stele (Antonietta Raphael
Mafai ha invece dipinto la vicina chiesa di Santi Giovanni e Paolo), né gli studi di
africanistica, che hanno in Italia unalta tradizione (e 30 anni or sono scavò
proprio ad Axum il nostro Lanfranco Ricci) hanno tratto alcun vantaggio dalla sua presenza
a Roma. Insomma è difficile dire che questo «meteorite» africano abbia legato con la
cultura italiana, se non a ricordo di una guerra daggressione. Mentre tutti
conveniamo sul fatto che lAfrica è il continente più saccheggiato e offeso nel
proprio patrimonio culturale, oggi più che mai esposto al totale oblio.
Eppure le argomentazioni del sottosegretario Sgarbi non sono vane. Non vi è dubbio che
quei 24 metri che rappresentano, forse, la casa celeste di un re, con la sua moltitudine
di finestre, la porta dai battenti chiusi, i travetti che marcano i piani, abbia un valore
ambientale che va al di là del suo significato primario. E allora cè da chiedersi
se il ritorno promesso del monolito nella sua Africa non debba essere accompagnato da una
soluzione che ne riempia il vuoto che lascerebbe.
Una colonna romana spezzata, là accanto e da nessuno notata, ricorda che esattamente qui
si ebbe l8 settembre uno scontro, forse il primo, dei nostri granatieri di Sardegna
con i Tedeschi. Una stele nuova, risultato di un concorso pubblico, potrebbe compensare
degnamente quel vuoto e assurgere a un significato più pertinente alla nostra storia; non
a quella delle avventure coloniali, ma ad unaltra che non vogliamo dimenticare.
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