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Corriere della Sera, 6 aprile 2001
Stati Uniti, la prima linea del Novecento. Il secolo appena
trascorso può essere definito «lera americana». Ma per colpa dellEuropa di
Sergio Romano
Il presidente degli Stati Uniti pretende che il governo di Belgrado consegni Slobodan
Milosevic al tribunale internazionale dellAja per i crimini di guerra nellex
Jugoslavia. Ma il primo atto di George Bush, non appena mise piede alla Casa Bianca, fu di
cancellare la firma che il suo predecessore aveva tardivamente apposto sul trattato di
Roma per la creazione di un tribunale penale internazionale. LAmerica crede nella
mondializzazione delleconomia e nelladozione di regole comuni per tutti i
Paesi del pianeta. Ma il nuovo presidente ha annunciato qualche giorno fa che non intende
rispettare il protocollo di Kyoto per la progressiva riduzione dei gas tossici e,
implicitamente, che il suo Paese continuerà a
diffondere il 25% dellanidride carbonica da cui il mondo è quotidianamente
avvelenato.
LAmerica espelle 50 spie russe dal territorio nazionale. Ma dispone di aerei che
possono ascoltare conversazioni telefoniche e leggere messaggi elettronici
allinterno del territorio russo o cinese. LAmerica aveva nel 1977 circa
settanta milioni di persone (fra cui il suo presidente di allora, Jimmy Carter), che si
definivano «cristiani risorti» («born again Christians») ed è oggi probabilmente la
più grande democrazia religiosa del mondo. Ma il suo penultimo presidente faceva
allamore nello studio ovale, la sua popolazione carceraria ammonta a due milioni di
persone, il concetto tradizionale di famiglia è in crisi e il tasso di criminalità
infantile è uno dei più alti del mondo civile. La ricchezza americana è fortemente
concentrata nelle fasce alte della società (l1% della popolazione possedeva nel
1998 il 41% della ricchezza). Ma la politica sociale di Lyndon Johnson e dei suoi
successori ha drasticamente ridotto la povertà dei neri (dall87% dei primi anni
Sessanta al 30% del 1998) e ha creato una borghesia afro-americana. Alla fine della
Seconda guerra mondiale lAmerica era ancora, nei suoi caratteri dominanti, «bianca,
anglosassone e protestante».
Ma i residenti «europei» di San Francisco sono ormai minoranza e nei prossimi
cinquantanni nessun gruppo razziale o etnico potrà considerarsi, secondo le
previsioni di Clinton, maggioritario.
Alcune di queste contraddizioni sono desunte da un libro che appare in questi giorni
presso Il Mulino. Lautore, Rinaldo Petrignani, è stato diplomatico e ha passato
negli Stati Uniti buona parte della sua vita professionale. Quando fu mandato a New York
come console nel 1957, il presidente era Dwight D. Eisenhower. Quando fu trasferito a
Washington nel 1963, era Lyndon Johnson, elevato alla Casa Bianca dallassassinio di
Kennedy e protagonista dellunica guerra in cui lAmerica sia stata sconfitta.
Quando rientrò in Europa nella primavera del 1968, gli Stati Uniti avevano da poco
cominciato a negoziare con i
vietnamiti la fine del conflitto e si accingevano a eleggere Richard Nixon. Quando tornò
a Washington come ambasciatore nel giugno del 1981, il presidente era Ronald Reagan.
Quando lasciò la carriera e decise di restare in America come consulente di uno studio
legale internazionale, il presidente era George Bush, padre di George W.
Non so se abbia tenuto un diario della sua vita diplomatica e suppongo che potrebbe
raccontare al lettore, con molti particolari inediti, i principali episodi dei rapporti
italo-americani degli ultimi cinquantanni, dalla nascita del centrosinistra nel 1963
al braccio di ferro su una pista dell'aeroporto di Sigonella nellautunno del 1985.
Ma anziché scrivere le proprie memorie ha preferito cercare di comprendere perché gran
parte del 900 possa definirsi un«era americana» e ha scritto una storia
degli Stati Uniti da Roosevelt al giovane Bush. Il libro è ispirato da una forte simpatia
per lAmerica e per le sue straordinarie risorse morali, ma è uno studio storico,
ben scritto, lucidamente argomentato e realisticamente attento ai fatti. Le pagine sui tre
maggiori scandali americani degli ultimi venticinque anni, ad esempio il Watergate di
Richard Nixon, lIrangate di Ronald Reagan e laffare Lewinski di Bill Clinton,
sono un modello di chiarezza e di obiettività.
Petrignani non intende proporre tesi storiche e anticipare il corso degli avvenimenti nei
prossimi anni, ma suggerisce indirettamente qualche osservazione sullimportanza
delle guerre nellevoluzione degli Stati Uniti durante il Novecento.
LAmerica è culturalmente isolazionista e non ha mai dimenticato le parole con cui
George Washington, nel suo ultimo messaggio alla nazione, la esortava a non lasciarsi
imbrigliare dai laccioli delle alleanze internazionali. Ma questa sorta di apartheid
morale non le ha impedito di partecipare alle maggiori guerre del secolo e di trarre da
esse gli stimoli e gli impulsi della sua straordinaria potenza. Non penso soltanto alla
forza militare e al ruolo imperiale. Penso alla crescita economica, sociale e civile. La
prima guerra mondiale ebbe leffetto di trasformare lAmerica nel principale
finanziatore e creditore dei maggiori Paesi europei. La
seconda le permise di superare finalmente la grande depressione del 1929 e le suggerì le
previdenze sociali (borse di studio, sussidi per ledilizia «monofamiliare») che
dettero ad alcuni milioni di veterani la possibilità di diventare «classe media».
Lesercito fu scuola di democrazia e contribuì ad abbattere progressivamente le
vecchie barriere razziali della società americana. Le «guerre civili» dellEuropa
riversarono sulle sponde dellAmerica la migliore intelligencija del Vecchio mondo.
La guerra fredda e la corsa allo spazio la costrinsero a un impegno finanziario e a
ricerche applicate che ebbero straordinarie ricadute
sul progresso tecnologico del Paese. Non avremmo le comunicazioni satellitari senza la
sfida dello sputnik; non avremmo i telefoni cellulari senza la necessità di comunicare
con i satelliti; non avremmo Internet se il Dipartimento della Difesa non avesse collegato
in rete, per le proprie esigenze, tutti i comandi americani. Persino la guerra del Vietnam
ebbe alla fine, paradossalmente, leffetto di rendere la società degli Stati Uniti
più libera, spregiudicata, dinamica. E le guerre degli anni Novanta, infine, hanno
permesso allAmerica di collaudare armi e sistemi elettronici che le assicurano un
buon vantaggio sulla strada del progresso.
Petrignani osserverebbe con ragione tutto questo perché lAmerica ha gettato nel
crogiolo degli avvenimenti mondiali il suo ottimismo e la sua straordinaria fiducia in se
stessa. Ma il lettore chiude il suo libro con linquietante sensazione che
l«era americana», senza le guerre del Novecento, non sarebbe mai sorta.
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