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L'atteggiamento della popolazione trentina nei confronti della Germania nazista durante il periodo dell' Alpenvorland 1943-1945

a cura di Gregorio Baggiani

(dal sito http://www.baggiani.3000.it)

Introduzione

Il Trentino ha una storia millenaria di convivenza con l’elemento germanico, caratterizzata dal fatto che attraverso i secoli, dal Medioevo fino al 1803, data in cui entrò a fare parte dell’impero asburgico e ne diventò una delle province più integrate, riuscì a conservare una sostanziale indipendenza nei confronti del potente vicino del nord. La borghesia della città di Trento intrattenne sempre dei rapporti molto intensi con l'elemento tedesco, senza per questo lasciarsene soggiogare o rinunciare a rivendicare la propria italianità.

 E’ soltanto a partire dalla seconda metà del XIX secolo che i primi moti indipendentisti cominciarono a scuotere il terreno politico e sociale trentino, e la borghesia iniziò a richiedere una maggiore autonomia delle istituzioni locali ed in particolare l’apertura di un’università in lingua italiana, negata risolutamente dagli austriaci che temevano un’ulteriore crescita del nazionalismo italiano. Il popolo trentino si trovò ben presto diviso tra coloro che appoggiavano la resistenza antiaustriaca e coloro che invece, ed in particolare nelle valli, appoggiavano incondizionatamente la fedeltà all’imperatore ed in generale all’impero. A distinguersi in particolare nella fedeltà all’impero furono due classi sociali apparentemente distanti come la classe contadina e l’aristocrazia. Tali sentimenti non mutarono di molto nel corso dei venti anni successivi alla fine della I guerra mondiale, ed alla caduta dell’impero asburgico.

Di tali sentimenti diffusi nell’aristocrazia trentina resta traccia nel romanzo di Isabella Bossi Fedrigotti, nota scrittrice di tendenze conservatrici, in cui vengono narrati gli avvenimenti di quel periodo visti con l'occhio della nobiltà e di quella parte della popolazione che era di discendenza tedesca ma che era sempre vissuta in Trentinoed in cui  sotto lo pseudonimo di Kurt Stauderer si esprime il pensiero del Consigliere Germanico Kurt Heinricher. Più in generale il libro rivela come il sentimento di appartenenza nazionale delle popolazioni non fosse sempre coincidente con l'appartenenza etnica degli individui. Un trentino di discendenza germanica poteva sentirsi compiutamente italiano, mentre dei trentini di nazionalità italiana o ladina potevano sentire di appartenere culturalmente al Tirolo germanofono.Cito da un documento: “ Vigo di Fassa. Il 26/07/1945 . < Ai Fassani> Di questi giorni circolavano nel comune di Vigo delle liste abbondantemente firmatem, che chiedevano l’ aggregamento della Valle di Fassa alla Provincia di Bolzano per  ragioni economiche e geografiche.So che per fortuna l’iniziativa non parte da Fassa e mi ripugna credere che chi ha firmato l’ abbia fatto dopo matura riflessione. Se si pensa che una richiesta identica venne inoltrata non molto tempo fa al Commissario Supremo delle Prealpi Franz Hofer dagli optanti fassani che in quel tempo credevano ancora in Hitler ed in una vittoria della Germania, l’intempestiva richiesta parallela nella forma e nello spirito si presta facilmente a delle interpretazioni poco lusinghiere per i fassani.Tenuto conto di tutto potrebbe nascere il sospetto che gli scopi non siano limpidamente economici ed ispirati da ragioni <<geografiche>> ma che in un recondito( molto recondito) angolo dell’ anima di molti fassani arda ancora un rimasuglio di candela per Hitler e sicari, per furono per sei anni i massacratori ed i macellai dell’ uman genere.”

 Nel libro di Isabella Fedrigotti sunnominato vengono descritti gli atteggiamenti della nobiltà conservatrice favorevole alla restaurazione dell'antica unità tirolese che per questo motivo appoggiava il tentativo di restaurazione del Gauleiter Hofer.

Altra tematica importante che appare nel romanzo è quella dell'estrema povertà in cui viveva buona parte della popolazione e che da sola bastava a spiegare la paura e la diffidenza con cui la maggior parte di essa, ligia da sempre al concetto di legalità, considerava il movimento partigiano che non sempre riusciva a distinguersi dal semplice banditismo, così come veniva rappresentato dalla pressante propaganda tedesca. Di ciò il movimento partigiano era ben conscio ed i provvedimenti presi in tal senso verranno esaminati nei paragrafi successivi.

 

 Il primo dopoguerra e l'affermarsi del fascismo.

 Il Trentino fu zona di guerra negli anni che andarono dal 1915 al 1918 e le devastazioni furono tanto laceranti da lasciare un ricordo indelebile presso le popolazioni locali, che non mancò di produrre i suoi effetti allorché venne proclamata la Zona d'Operazione Alpenvorland nel settembre del 1943. E' una società divisa ed allo stesso tempo piena di aspettative quella trentina del primo dopoguerra.  Aspettative che, come sappiamo, andarono presto deluse. La fase politica che caratterizzò il periodo dalla fine del primo conflitto mondiale fino all'avvento del fascismo fu caratterizzato dalla costante delusione delle aspettative maturate nella popolazione trentina nel corso del conflitto. Il governo centrale continuò a fare promesse ma la politica si rivelò sostanzialmente priva di contenuti ed evasiva. Un primo elemento fu costituito dal tasso di cambio dello scellino austriaco, perché il governo italiano decise di fissare ad un livello molto basso il tasso di conversione della corona asburgica, provocando immediatamente ingenti danni ai risparmi della popolazione custoditi presso le banche  In seguito vennero negati i riconoscimenti pensionistici a coloro che si erano trovati a combattere sul fronte avverso, a cui fu riservato un destino di oblio e simbolicamente di "damnatio memoriae".Anche nei confronti di coloro che avevano prestato servizio presso l'amministrazione asburgica venne praticata una politica estremamente punitiva, contribuendo in tal modo a creare anche in Trentino delle "memorie divise" all'interno della stessa popolazione. Soltanto riguardo ad una possibile autonomia furono fatte dal governo alcune vaghe promesse che però non si concretizzarono in realtà. Il deteriorarsi della situazione politica italiana nel 1921-1922 con i governi Bonomi e Facta e l'esaltarsi del nazionalismo via via che il fascismo prendeva quota con la provocazione e la violenza, sembrarono compromettere non poco le future sorti amministrative della Venezia Tridentina. Fu in questo clima che si fece più stretta la collaborazione tra i popolari trentini, guidati da Alcide De Gasperi ed i liberali o almeno la parte di essi che non si era staccata dal partito schierandosi su posizioni filofasciste.

Nei primi anni del dopoguerra i partiti politici trentini, nati nel periodo della sovranità austriaca sul territorio e che pur nell'ottica di finalità diverse, avevano combattuto nel Landtag di Innnsbruck e nel Parlamento di Vienna una lunga battaglia per l'ottenimento di un'autonomia separata per la parte italiana del Tirolo, si ritrovarono concordi nel chiedere al governo italiano il mantenimento delle istituzioni autonomistiche, sia per la provincia, sia per i comuni che costituivano il nerbo dei territori che dovevano entrare a far parte del Regno d'Italia. La richiesta generalizzata era quella di un'autonomia estesa all'intera Venezia Tridentina nella quale l'elemento italiano, risultante in maggioranza, costituisse un argine all'irredentismo della minoranza di lingua tedesca i cui programmi non nascondevano l'aggressività pangermanista. Non rientrava certo nella prospettiva delle forze politiche trentine, tranne che per il gruppo nazionalista, la volontà di compromettere o mutare i caratteri etnici dell'Alto Adige per il quale, al contrario, si auspicava un'autonomia di tipo avanzato nell'ambito dello Stato italiano. Ma l'idea di concedere un'autonomia distinta da quella di Trento veniva vista sfavorevolmente dalla maggior parte degli esponenti politici trentini e dalla stessa popolazione.

I nazionalisti reclamavano la circoscrizione unica ed Ettore Tolomei, per diluire l'elemento tedesco in un'unica ampia area popolata da italiani, proponeva addirittura la suddivisione della provincia di Bolzano in senso longitudinale e la sua aggregazione alle province italiane limitrofe. Fu così che Cortina d'Ampezzo e Livinallongo furono attribuite alla provincia di Belluno. Il governo italiano, inoltre, per rispetto della minoranza tedesca decise di aggregare le valli ladine alla provincia di Trento mentre le zone mistilingue furono aggregate alla provincia di Bolzano. Il risultato di questa operazione non si fece attendere perché la minoranza italiana delle zone mistilingue si astenne dal voto in segno di protesta, mentre i ladini votarono in massa a favore della lista tedesca.

 Quando con l'avvento al potere del governo Mussolini ci si rese conto dell'indirizzo centralista del nuovo corso politico, i liberali ed i popolari convocarono il 14/11/1922 il convegno dei sindaci trentini sulla base di un programma di chiara matrice liberale. Tale programma intendeva contrapporsi alla cancellazione delle tradizionali autonomie comunali, allo scioglimento ed al controllo    di una serie di istituzioni economico-sociali fortemente radicate nella coscienza della popolazione e la cui soppressione farà nascere in Trentino una resistenza caratterizzata non tanto da azioni clamorose o spettacolari, bensì da mancanza di collaborazione, da silenzio e vuoto attorno al regime.

Questa forma di resistenza silenziosa fu alimentata soprattutto dai cattolici attraverso le organizzazioni ad impronta religiosa, gli oratori, le parrocchie, i consorzi alimentari, gli enti mutualistici sopravvissuti, la diffusione capillare della stampa cattolica, la parola del sacerdote che continuava ad esercitare una grande influenza sulla popolazione, in particolare su quella contadina.

Cito a questo proposito    la testimonianza dell'onorevole Flaminio Piccoli: " Il nostro modo di essere nelle organizzazioni giovanili cattoliche si distingueva nettamente da tutto quello che avveniva fuori della società. Basti pensare che per ogni incarico, per ogni mansione tra noi c' erano discussioni e poi libere elezioni che si svolgevano in maniera democratica. Si trattava certamente di piccole cose, ma a noi giovani sembrava davvero di respirare una boccata di libertà e tolleranza, anche perché di quelle associazioni facevano parte giovani di estrazione diversa dalla nostra. Insomma là dentro ci sentivamo veramente al riparo dalla retorica, dalla stupidità, dalla volgarità e da tutti gli altri veleni con i quali il fascismo stava educando i giovani. E poi non bisogna dimenticare gli stimoli all'antifascismo- quello vero, nato da una coscienza morale profonda- che ci furono offerti dai nostri assistenti ecclesiastici, i quali non lasciavano passare occasione per denigrare e mettere in ridicolo le iniziative del regime"

Mi sembra importante allora riportare anche quanto scrive la Professoressa Maria Garbari : " Tale resistenza ebbe il merito indubbio di allontanare la popolazione dai miti totalitari, ma contribuì anche a mantenere in vita una chiusura localistica e la permanenza di un modello di vita schivo e conservatore che avrebbe potuto pregiudicare, all' atto del ritorno alle libertà democratiche, il reinserimento di una parte dei trentini nella prospettiva della dinamica vita nazionale. Contribuiva anche a chiudere la provincia in se stessa il senso di abbandono volutamente messo in atto  dal regime come misura punitiva : il trasferimento degli alti uffici militari, giudiziari e ferroviari in altre province, l' assenza di contributi per opere di ricostruzione o nuove, il mancato sostegno nel campo dell' industrializzazione e degli altri settori economici che permanevano asfittici. E tutto questo mentre nella vicina provincia di Bolzano si interveniva in modo massiccio creando ex novo una zona industriale, potenziando i lavori pubblici, aprendo uffici di prestigio, favorendo un quadro di benessere che, nei progetti di Mussolini, avrebbe agevolato la rapida italianizzazione del territorio.Il distacco della provincia di Bolzano da quella di Trento, avvenuto nel gennaio del 1927, fu un duro colpo per la classe intellettuale e dirigente trentina legata ai valori dell'irredentismo e del prestigio nazionale, anche al di fuori dell' ideologia fascista. Il provvedimento fu interpretato come una sconfessione delle capacità dei trentini di tutelare ai confini l' interesse per il quale, prima e durante la guerra, avevano affrontato sacrifici e rischi,e sembrò mettere in crisi persino la loro fede nazionale.  Questa funzione di avamposto nazionale viene assunta dalla classe dirigente trentina in modo assolutamente speculare rispetto a quanto era avvenuto in Alto Adige per la classe dirigente altoatesina connotata da forti tendenze pangermaniste. Ancora una volta una sorta di attrazione-repulsione caratterizzerà il rapporto tra le due comunità nazionali all'interno della regione, ma i trentini, come detto sopra, solo in rari casi si esprimeranno a favore di una repressione dell' elemento tedesco ma solo di un suo contenimento.

Nacque così in questa circostanza la polemica sul "trentinismo" e sulla presunta miopia localistica dei suoi abitanti, compresa la classe dirigente, dando così inizio ad una serie di malintesi con il potere centrale, che si sarebbero rivelati in tutta la loro gravità durante il periodo dell'Alpenvorland con un diffuso collaborazionismo o almeno attendismo e sarebbero continuati fino al secondo dopoguerra ed allo statuto autonomo del 1948.

Alla luce dei fatti si può affermare che al regime fascista mancò qualsiasi sensibilità nei confronti dei problemi e degli interessi specifici di queste terre e per questo motivo le terre redente, tanto care alla retorica nazionalista e fascista, si trasformarono in una sorta di "trincea ideologica" pronta a respingere qualsiasi pur minimo approccio politico o ideologico del regime rispetto al quale la cultura trentina impregnata di etica lavorativa, concretezza, parsimonia, rispetto della legge e morigeratezza nelle espressioni e nel modo di vivere era assolutamente agli antipodi.

 La popolazione trentina reagì alla massiccia immigrazione di popolazione proveniente dalle province finitime e dal Meridione, accusandola di essere incompetente e corrotta, motivo che riecheggiò nei programmi del C.I.T, il Comitato Indipendentista Trentino e nella chiusura mentale e nel regionalismo esasperato portato avanti dall'avvocato trentino Adolfo de Bertolini (uomo di tendenze liberali già Commissario Prefetto di Trento durante la Prima guerra mondiale. De Bertolini  diverrà  il Commissario Prefetto nominato dal Gauleiter Hofer durante il periodo dell' Alpenvorland. Allora la parola "trentino" o di "origine trentina" diventerà una sorta di espressione salvifica e di titolo di merito perché implicherà l'amore per la terra natia, il rispetto delle leggi.

Dando un ruolo centrale ad una amministrazione efficiente ed ad un personale qualificato, che venne ritenuto talmente indispensabileda essere esonerato dal servizio militare, si reintrodusse il concetto di   meritocrazia, ottenuta esercitando sull'insieme della popolazione maschile una sorta di “scrematura“ basata sulle competenze tecnico-amministrative e non più necessariamente politiche, in questo la visione di de Bertolini concordava con quella del Gauleiter Hofer,mettendo implicitamente  l'accento sul valore attribuito alla buona amministrazione locale, alla collaborazione dei diversi ceti sociali. Scrive de Bertolini : Tale guardia va composta esclusivamente da soldati della provincia di Trento, come trentini dovranno essere, almeno dopo un primo tempo, gli ufficiali e sottufficiali che li comandano. Si tenderanno qui la mano i figli dei patrizi e quelli del popolo, i giovani avviati agli studi con quelli che devono guadagnarsi la vita con la forza delle loro braccia; tutti però animati da un medesimo slancio; quello di trovare in un lavoro disciplinato il fermento di una più utile esistenza, a vantaggio della collettività sociale……… Essa impedirà che la collettività provinciale possa essere sommersa da elementi estranei, conserverà al Paese la sua impronta locale tramandata dai padri; eviterà allo sfregio di quell'onesto costume che ha fatto in passato della gente trentina, più che un popolo, una famiglia”            

Sin dagli esordi della nominadi Adolfo de Bertolini a Commissario Prefetto nel settembre del 1943, si cercò di inibire gli episodi di violenza contro gli esponenti del passato regime fascista, di restaurare le antiche modalità di vita del territorio con proclami dai tratti fortemente ideologici “Come è stato reso noto dalla stampa quotidiana, il Commissario Supremo ha rivolto un appello alla popolazione trentina, acchè seguendo quanto è avvenuto e avviene in Germania voglia partecipare alla raccolta a favore del soldato.Questo appello deve essere da noi raccolto non solo per lo scopo a cui tende, ma anche perché fatto dal Commissario Supremo, cioè da colui,che ha saputo mantenere la nostra provincia in pace e tranquillità, destando persino l' invidia delle province finitime; fornire alla popolazione il necessario per i bisogni essenziali ed interporsi inoltre anche per gli altri nostri postulati, anche se questi non poterono poi essere soddisfatti che in parte.Il soldato, che da tempo tutto se stesso sacrifica per impedire che le nostre istituzioni vengano distrutte dal dilagare di ordini sovversivi, merita certo la nostra riconoscenza. Tradizioni familiari, per le quali la diligenza, il risparmio, la sobrietà di successive generazioni sono arrivate a possedere tanta terra quanta possono lavorare le braccia dei suoi componenti, o dall' apprendista sorse l' artigiano, che ad affermare la sua creazione individuale; ambiente ben diverso da quello creato dall' ammasso del capitale con riuscì le conseguenze dei trust e del proletariato del braccio e della mente; tutta la nostra vita montanara verrebbe sommersa da un sistema, dove l' uomo non è che un atomo, privo di libertà e di iniziativa, di un' ente astratto, che tutto assorbe ed asservisce”.Ciò era inteso essenzialmente a privilegiare la “prestazione lavorativa” rispetto alla “cattiva politica imposta dall'alto”.Si trattò in ultima analisi di un processo di svalutazione della politica come confronto tra interessi e concezioni diverse. Del resto lo stesso nazismo non fu una dottrina politica intesa al confronto dei diversi soggetti politici,e quindi all'arte del compromesso e dell' accordo, ma una pura “visione del mondo” assoluta e immanente, dai tratti quasi teologici di verità rivelata che comportava necessariamente la totale distruzione del nemico, Feindbild, o se necessario, anche la propria. Scrive a questo proposito lo storico tedesco americano di origine ebraica Geoge Mosse: “In più si riteneva che questo pragmatismo della propaganda nazista fosse dimostrato dal fatto  che essa rifiutava ogni discussione con gli avversari e ogni confronto di opinioni. In questa osservazione c' é una certa verità, perché nessuna fede propriamente radicata é aperta al dialogo razionale”.Questo processo di sostanziale svalutazione della politica come confronto tra diversi interessi ed opinioni in favore di una visione patriarcale della società avvenne dopo venti anni di oppressione e corruzione fascista, in cui le parole d'ordine che godevano del sostanziale appoggio della popolazione trentina erano la maggiore autonomia amministrativa possibile ed il lavoro inteso come professionalità e correttezza Questa concordanza di interessi tra la politica del Gauleiter e la popolazione durò alcuni mesi, almeno fino a quando nel febbraio-marzo 1944 le precettazioni tedesche per il lavoro non divennero troppo pressanti. Esse costituirono per gran parte della popolazione trentina un brusco risveglio dall'illusione di potere aspettare la fine della guerra in relativa tranquillità.

 

La situazione socio-economica

La caratteristica dominante della proprietà agricola era costituita dal frazionamento della terra in piccole proprietà, soprattutto in collina e in montagna dove il proprietario possedeva più appezzamenti di terreno anche distanti tra loro. Vi era un assoluta superiorità numerica delle aziende gestite dai proprietari stessi e il bracciantato agricolo rappresentava un fenomeno perlopiù marginale, a cui veniva preferito lo scambio tra i componenti delle famiglie interessate a seconda dei bisogni e delle necessità di braccia e di bestiame da lavoro di ognuna di esse. Questa reciproca interazione tra le aziende agricole contribuì a creare una solidarietà ideologica e di fatto tra le famiglie contadine. I prodotti coltivati in regione erano soprattutto seminativi, con una leggera prevalenza di cereali, alberi da frutta ed altre colture legnose specializzate, foraggi, basati su un tipo di coltivazione principalmente integrante come ad esempio il mais. L'economia industriale del Trentino mancava di grandi poli industriali quali si erano sviluppati nel cosiddetto "triangolo industriale" formato da Torino, Milano e Genova, ma era invece costituito dall'assoluta prevalenza delle medie e piccole aziende. L'industrializzazione della provincia avvenuta dopo le guerre napoleoniche soprattutto nel settore tessile, accompagnata da una espansione nel settore commerciale, subì un rallentamento per le vicende politico-militari che caratterizzarono l'Italia della seconda metà del secolo diciannovesimo, di cui il Trentino era  stata al centro ( ricordiamo la battaglia di Bezzecca del 1866, combattuta tra le truppe garibaldine e gli austriaci in cui l' Eroe dei due Mondi, pur avendo conseguito un' importante vittoria militare, pronunciò il celebre "obbedisco" per obbedire agli ordini del re).

Il progressivo sgretolamento dell'impero asburgico e la perdita della Lombardia ad opera di Napoleone III  nel 1859, la perdita del Veneto nel 1866 ad opera della Prussia di Bismarck che voleva ridimensionare l'influenza austriaca in favore di una soluzione “piccolo-tedesca” nella Germania meridionale, la necessità della nascente nazione tedesca di trasformare il grande sviluppo economico in una egemonia politica in Europa, prima, avvedutamente, con Bismarck, poi, arrischiatamente, con il Kaiser Guglielmo II   con il suo avventurismo o come si suole dire oggi con la sua brinkmanship non fecero altro che acuire la già latente tensione austro-tedesca.  Tutti questi fattori obbligarono l'economia trentina ad un progressivo ri-orientamento dei suoi mercati di esportazione verso l'Europa centrale. Necessità che si fece sentire in maniera ancora più pressante allorché il Trentino entrò a far parte del Regno d'Italia nel 1918 e si trovò a dover cercare nuovi mercati all'interno dell'Italia per sostituire quelli perduti in Europa centrale con la dissoluzione dell'impero k.u.k..

 Solo dopo la Prima guerra mondiale, l'opera di industrializzazione del Trentino iniziò faticosamente, contando principalmente su tre fattori: il patrimonio idrico, la presenza di una buona e abbondante manodopera locale, la presenza di materie prime, nonché delle ormai ben note e svariatissime attrattive turistiche naturali.

Lo sviluppo economico trovò una serie di impedimenti dovuti agli alti costi aggiuntivi causati non solo dall’elevato tasso d'interesse del denaro e dalle più sfavorevoli condizioni del dopoguerra, ma anche da altri impedimenti di carattere internazionale e contingente, quali i contrasti politici ed economici  ai quali ho accennato nei paragrafi precedenti e che " crearono alla nascente industria del Trentino una situazione di disagio e di pesantezza pregiudicandone gravemente lo sviluppo e ponendola in condizioni di inferiorità nei confronti di quello che potrebbe essere, particolarmente nei riguardi di alcuni suoi aspetti principali e delle favorevoli condizioni di ambiente"

Risulta quindi chiaro che l'economia trentina ebbe bisogno di un periodo di riadattamento al nuovo contesto politico che si era venuto a creare in seguito all’annessione al Regno d'Italia; tentativo non perfettamente riuscito visto che dalla situazione politica ed economica successiva scaturirono le condizioni per cui   in una parte consistente della popolazione trentina si diffuse un forte malcontento anche economico che sfociò durante il periodo dell'Alpenvorland in un diffuso attendismo o addirittura collaborazionismo con le truppe naziste occupanti, specie se tirolesi.

 

La guerra e i 45 giorni “badogliani” dal 25 luglio all’8 settembre 1943.

 

Alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943, in Trentino, come nel resto d'Italia, la popolazione si lasciò prendere dall'entusiasmo, senza immaginare che i problemi della nazione già prostrata dalla guerra erano tutt’altro che finiti, ma si apprestavano ad entrare, se possibile, in una fase ancora più dolorosa e più tragica. A testimonianza di questo clima di fervore restano le lettere e gli articoli che esponenti del ceto intellettuale, ma anche semplici contadini scrissero alla redazione del “Brennero“, nel periodo che va dal 25 luglio all' 8 settembre 1943.

L'avvocato Giuseppe Menestrina (padre dell'esponente democristiana Anna Menestrina di cui si trovano più avanti brani tratti dal suo diario) ad esempio scrive sulla prima colonna del giornale “Il Brennero“ un articolo di cui si riporta integralmente il contenuto :

 

 “ Vita comunale : L'anima trentina vibrò di esultanza, anche nei villaggi più remoti alla notizia del fausto avvenimento del 25 luglio. Il suo giubilo fu paragonabile e sotto un certo riguardo superiore a quello delle indimenticabili giornate del novembre 1918. La dominazione straniera era stata opprimente perché in contrasto cogli ideali nazionali che volevano tutti gli italiani uniti sotto una sola bandiera; ma l'oppressione dell'interminabile ultimo ventennio fu più intollerante e più avvilente, perché negatrice di ogni morale pubblica e privata, spregiudicata e violenta. Per coloro nei quali predominano il sentimento e l'amore familiare, la caduta del fascismo aveva portato la speranza illusoria della fine della guerra, che invece continua: nella maggioranza del nostro popolo l'avvenimento era da solo ragione di piena, incontenibile letizia; esso significava l' attesa riconquista di quella libertà che é <<dolce dell'alme universal sospiro>>. Da tutti si intuì che, finché perdura la guerra, non si potrà accordare una piena libertà; si riteneva tuttavia che si avrebbe avuto già ora la liberazione da coloro che col senno e con la mano hanno operato a danno del Paese. Vedemmo infatti degli importanti atti di epurazione. Sono scomparsi taluni famigerati organi dell' oppressione : vennero sciolti il Partito e la Milizia venne passata a far parte delle Forze Armate, soppresso il Tribunale speciale, licenziata quella Camera dei Fasci che diede spettacolo di disciplinata taciturnità e di profittevole servilismo. Eguale sorte é probabilmente riservata ad altri alti consessi, i quali per la autorevolezza dei loro membri, avrebbero potuto e dovuto porre argine all'assolutismo demagogico. Ma molto in questo triste campo resta a farsi; ed anche nella nostra regione con legittima impazienza e si attenda e certezza si attende che vengano finalmente eliminati dalle pubbliche amministrazioni quegli individui che con morboso zelo concorsero all'oppressione degli spiriti e fecero mal governo della cosa pubblica. Codesto mal governo venne subito con speciale angoscia nei Comuni minori, dove l'interessamento dei cittadini per la gestione comunale é sempre stato più attento che nei grandi centri. Negli uni come negli altri, sciolte le rappresentanze del popolo, si ebbe dapprima la reggenza dei commissari prefettizi, che piovutici addosso dalle più lontane parti del Regno, consideravano l'ufficio una sinecura compensatrice delle loro benemerenze nel partito, poco o punto si curavano degli interessi comunali e si pappavano un buon stipendio che spesso arrotondavano con personali speculazioni a danno del Comune.

Ma anche i comuni cittadini, scrissero lettere :“ Lo studente Gino Vacicardi, degli Alpini, dice che per parlare sui giovani d' oggi occorre essere stati alle armi nel cui esercizio si sono apprese verità che il fascismo non lasciava credere e che i giovani che han fatto la guerra non sono, per questo, così digiuni di norme e istinto politico come i giovani del GUF, pappagalli, finora, in istivali, lascian credere”

Molte lettere recano lo stesso tono, anche se in alcune si auspica che non tutti coloro che avevano creduto nel fascismo e lavorato per la sua realizzazione vengano coinvolti nella sua generalizzata condanna.

Il vescovo de Ferrari intervenne per sedare gli animi infervorati dalla subitanea caduta dell'odiato regime fascista :     “    Al venerabile Clero e diletto Popolo della città e Diocesi

L'ora grave che incombe sulla Patria non mi consente di prolungare più oltre un silenzio che se voleva significare completa fiducia nel senso del dovere e soprattutto nel buon senso della mia gente trentina, non soddisfa tuttavia le esigenze del mio personale sentimento e tanto meno delle gravi responsabilità di Capo della Diocesi. Vi dirò dunque due sole parole attinta la prima al Poeta italico e sia rivolta ai cittadini; attinta la seconda al Testo Sacro e la rivolgo ai credenti: corrispondono entrambe a ciò che in questo momento storico il ben inteso amor patrio esige imperiosamente da ognuno di noi sopra ogni altra cosa: granitica unità di menti e di cuori, fede in Dio. Guai se il terribile conto di una guerra come la presente non ci trovasse tutti uniti: mai come oggi risuonò più sacro il << siam fratelli, siam stretti ad un patto; maledetto colui che l' infrange>>..... Ciascuno al suo posto, senza sbandamenti, senza critiche od omei; niente miracolismi, strategie, vociferazioni; mai il silenzio fu più d' oro, mentre la guerra dei nervi tende ad essere ripresa. Si parli invece a Dio, supplici, ricordando, contro la presuntuosa superbia umana che << nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilant qui custodiunt eam>>. L' avessero compreso prima quanti, facendosi una divinità astratta della patria, presunsero di promuoverne gli interessi senza e persino contro Dio! Intensifichiamo pertanto la nostra vita religiosa e più precisamente cristiana, non paghi di esteriorità convenzionali e di formalismi vuoti, ma in piena coerenza col credo religioso sia la condotta morale di tutti e non tarderà a farsi sentire la divina protezione sul popolo che ha eletto Iddio per la sua eredità: la vergine Taumaturga. Castellana d'Italia, affretti col tuo potente patrocinio l'alba degli auspicati giorno migliori. Vi benedico assai di cuore- Trento, 1 agosto 1943- Carlo, Arcivescovo

In queste poche righe il vescovo abiurò la fede fascista che aveva sempre dichiarato in pubblico e nell' “ora grave che incombe sulla Patria” raccomandò ai cattolici ed ai cittadini in generale di mantenere la calma e non dare adito a precipitose vendette contro gli esponenti del passato regime o quanti avessero approfittato della loro posizione per commettere soprusi o malversazioni. Da questo momento il vescovo de Ferrari si distinguerà per una posizione di “ basso profilo” nei confronti delle autorità tedesche con le quali si limiterà ad intrattenere sporadici contatti, non sempre contrassegnati da mutua comprensione.

 

La proclamazione della ZOP Alpenvorland e il contesto internazionale.

Con l’istituzione della Zona d'Operazione Alpenvorland, la situazione di sospensione in attesa degli avvenimenti della popolazione trentina mutò improvvisamente. Il 18 settembre l'avvocato trentino Adolfo de Bertolini proclamò la costituzione della Zona d' Operazione Alpenvorland, dichiarando di avere ricevuto l'investitura dal Gauleiter Hofer  - con un episodio di  vago sapore pseudo-democratico perché la decisione era stata in realtà già stata presa- e dai maggiorenti della città nonché un piccolo gruppo di operai e artigiani, episodio ben ricostruito a posteriori dalla serie “ i 600 giorni dell'Alpenvorland” de “Il Popolo Trentino”. Così scrive a cinque anni di distanza dall'avvenimento  “Il Popolo Trentino“, una delle poche fonti che ho potuto consultare in merito a questa riunione, : “  Il comm. Catoni parlò per ultimo. Interpretando il pensiero dei convenuti, in preda a evidente commozione, egli ringraziò il Commissario Supremo per le promesse fatte e per la piena comprensione incontrata dai desideri di tutti.<<E' un raggio di sole- egli concluse- che giunge a squarciare le tenebre>>.La notizia di quanto era avvenuto fra le mura ristrette della sede bancaria si propagò come il vento. La popolazione trasse un profondo respiro e fu lieta di sapere che un uomo di questa terra, riprendeva il timone della Provincia nel momento del pericolo maggiore, dopo ché per una lunga serie di anni, per volontà estranea a quella dell'ambiente, esso era stato affidato d'imperio, coattivamente, a uomini che non sempre e, anzi raramente, ebbero più a cuore il compimento d'una carriera che non la tutela dei giusti interessi della Provincia. Fu un' esplosione di gioioso stupore e di profonda soddisfazione, tanto più sentita in quanto imprevista : una sorpresa che tramutava in realtà la certezza di una vita tranquilla giacché la decisione di Hofer veniva a impedire anche la lotta politica e, con essa, lo spettro di una lotta intestina“.

Interessante notare come il “Popolo Trentino” narri dei fatti ponendo le parole pronunciate dall’avv. De Bertolini sotto una luce positiva “ Da Voi, Commissario Supremo, voglio però una promessa. Questa: che la violenza e l'arbitrio non abbiano ragione sui diritti del popolo. Nessun soldato tedesco ritenga di avere maggiore diritto di un qualsiasi cittadino per il semplice fatto di portare un fucile. Il Commissario Supremo annuì.”

Ma più interessante ancora mi sembra il  proclama che annunciava alla popolazione la costituzione della Zona d' Operazione sulle pagine de “Il Trentino“ in data 18/09/1943 : “ Proclama del Commissario Prefetto de Bertolini :  Nell'assumere dalle mani del Commissario Supremo per le province di Bolzano, Trento e Belluno, l' incarico di Commissario Prefetto, invito la popolazione trentina a mantenersi calma, attendendo al proprio lavoro. Sarà una delle mie prime cure di provvedere acché la vita civile, in quanto lo consentano le operazioni di guerra, rientri nelle condizioni di normalità. Invito i cittadini ad espormi senza inutili formalità le loro domande riflettenti cose di   pubblico  interesse, promettendo loro di aiutarli nei limiti delle possibilità del momento. Dal canto mio attendo che la popolazione collabori onestamente, in modo, che sia raggiunta la finale vittoria delle armi germaniche; solo così potrà un giorno nelle migliorate condizioni di vita raccogliere il compenso per i sacrifici ora sopportati.”  Due elementi appaiono con particolare chiarezza in questo proclama del Commissario Prefetto de Bertolini :

1) la semplificazione della vita amministrativa, come abbiamo visto anche nel caso dell' Alto Adige; 2) la frase   “sia raggiunta la finale vittoria delle armi germaniche”, che Ada Saletti, sua dattilografa, testimoniò durante al processo a de Bertolini essere stata aggiunta dal Consigliere Germanico Kurt Heinricher a posteriori ed all'insaputa di de Bertolini.

 Si ritrova insomma, di nuovo, la concezione della politica ridotta a buona amministrazione e alla ricerca della coesione sociale, ma a quanto mi consta il Commissario Prefetto, nonostante le sue lodi  “ Da questi oggetti, che non servono più che di ingombro, la proverbiale tecnica tedesca sa creare dei tessuti, che possono  fornire ancora degli indumenti atti per il soldato. alla potenza occupante, non si espresse in alcun modo, se non indirettamente, sulla natura intrinseca del regime nazionalsocialista, né d'altra parte   la questione fu mai sollevata in alcun modo dalle numerosissime persone che si rivolgevano a lui in cerca d' aiuto. Sembra quindi che a prevalere nel suo giudizio fu la necessità di evitare uno scontro frontale con i tedeschi ed allo stesso tempo la guerra civile fra la popolazione, che d'altronde egli volle reprimere in modo piuttosto duro, incoraggiando in questo modo la popolazione a lottare per compiere il proprio dovere in difesa di una giusta causa, per il benessere e la legalità che a lui in quel momento veniva affidata dall'occupante, la quale aveva grande fiducia nel suo operato come dimostrano queste lettere :

   “Risulta evidente che il trattamento dei nostri internati lascia molto a desiderare, se non è loro concessa nemmeno la possibilità di comunicare con le famiglie e viceversa. C' é anche la Croce Rossa che provvede all' uopo, ma perché é necessario l'intervento della Croce Rossa, come se si trattasse di interferire con dei nemici anziché con degli alleati, e non é più efficace l' intervento delle nostre autorità, dato che tra il Commissario Supremo per la Zona d' Operazioni delle Prealpi ed il Governo del Reich mi sembra corrano relazioni assai buone?.”   : “Egregio Signor Prefetto, scusi se con questa mia uso rivolgere poche parole alla gentil Sua persona, ma sapendola buona sono obbligato. Non saprei proprio Signor Prefetto perché esista ancora tante ingiustizie noi qui trentini di nome e di fatti non siamo più capaci di avere una casa un' occupazione che ciò é tutto per li italiani, noi qui ci licenziano giornalmente dalle officine e dagli uffici e dobbiamo abbandonare moglie figli madre per recarci lontani a lavorare mentre gli italiani occupano tutti i nostri posti, dovrebbero essere loro che girano dopo in più il male che parlano di noi e nostri alleati, noi non si dovrebbe lasciare i nostri paesi, una madre ammalata, una sposa con cinque o sei piccoli bambini non é giusto Signor Prefetto , se fosse per fare il nostro servizio alla patria e nostro dovere ma non per lasciare i nostri traditori già due volte ai nostri posti. Così Signor Prefetto buono e giusto come siete abbiate cuore anche per noi, mettete una legge che prima di licenziarci noi trentini e dintorni siano loro che lasciano ciò. Sperando presto avere buone speranze su voi Signor Prefetto in un cambiamento sennò dobbiamo rivolgerci al comando supremo. Vi ringraziamo a nome di molti operai e operaie di Trento e Rovereto. Con  stima un operaio per tutti.  favorendo in questo modo il gioco dei piani annessionistici nazisti. A ciò si aggiungeva il distacco giuridico,  ed il tentativo di assicurarsi i favori della popolazione mediante un regolare rifornimento annonario.

Il regime nazista tese a fomentare i separatismi locali in quasi tutte le regioni europee conquistate, tranne forse in Ucraina occidentale e in Bielorussia in cui vi erano già forti sentimenti antirussi, ma che il regime nazista non ritenne opportuno sfruttare a causa della sua viscerale concezione antislava. Anche nella Zona d'Operazione “Adriatisches Küstenland” le autorità naziste, prevalentemente austriache e carinziane,  fecero in modo di fomentare il nazionalismo friulano in funzione antitaliana e soprattutto spinsero i due gruppi etnici, gli sloveni ed croati contro gli italiani. Gli italiani a suo tempo erano stati violentemente snazionalizzatori, ma ora venivano contrapposti dai nazisti alle popolazioni slave in modo da potere fungere da arbitri e padroni del complesso mosaico etnico della regione e reggere così l'intero fronte balcanico.

Come intendeva realizzare il Gauleiter Hofer il distacco della provincia dal restante territorio italiano? Anzitutto chiudendo tutti i canali di comunicazione istituzionali con il resto d'Italia, e mettendo al fianco del Commissario Prefetto de Bertolini il Consigliere Germanico Kurt Heinricher, il cui nome di << consigliere >> poteva però ingannare, come ricordade Bertolini nel suo primo memoriale di difesa allorché si trovò ad essere processato nell'immediato dopoguerra per collaborazionismo ma assolto perché operava in condizioni di forza maggiore. Così testimonia il de Bertolini : “Più importante mi è sembrato che l'Hofer si era manifestato irriducibilmente antifascista e che a questo mirava il dott. Heinricher, che era il vero capo della provincia, era in diretta congiunzione telefonica col Commissario Supremo, ne eseguiva gli ordini, ne interpretava le direttive. Io gli ero subordinato e le parti erano invertite: mentre il nome lo faceva apparire mio consulente, la realtà affidava a me il compito di illuminarlo, predisporlo, calmarlo. Ogni mio scritto diretto al Commissario Supremo doveva essere presentato a lui prima di essere  spedito. Se non gli andava me lo ritornava. Colle autorità militari e la gendarmeria potevo corrispondere solo per suo tramite. Le disposizioni ministeriali dovevano essere inviate a Bolzano prima di venir applicate. La corrispondenza col Ministero doveva passare per Bolzano. Perfino negli affari comunali l'ingerenza era continua e curata non soltanto dai consiglieri germanici addetti alla Prefettura, ma perfino da un incaricato immediato del Commissario Supremo nella persona dell' avv. Dott. Mario Ravanelli di Bolzano che girava da comune in comune e provvedeva a sostituire i capi. Di tale stato di cose tutti erano al corrente, non solo in ufficio, ma anche fuori.”

Appare evidente da questa citazione il ruolo relativamente secondario del de Bertolini nell'amministrazione della provincia da parte dell'occupante tedesco, che gli aveva prefigurato un ruolo di mero esecutore delle direttive che venivano dall'alto, salvo concedergli un ruolo relativamente autonomo nell' amministrazione delle emergenze  umanitarie, che assolutamente non mancavano, come mi risulta dalla lettura di centinaia di lettere che si rivolgevano all' avv. De Bertolini in cerca di aiuto morale, ma anche, e molto spesso, materiale. Questo suo ruolo umanitario fu riconosciuto nella sentenza di assoluzione della Corte d'Appello di Trento  qui citata in nota.

 

L’atteggiamento della popolazione.

Le autorità naziste avevano elaborato una strategia molto stringente ed efficace per annettere il territorio al Reich:

 1) in un primo tempo la fornitura a fini propagandistici di beni alimentari di cui si sentiva una disperata necessità;

2)  un aumento dei salari della popolazione del 30% ;

3)          la promessa di mantenere l'ordine in regione;

4) il ripristino delle autonomie comunali;

 5) una semplificazione della vita amministrativa;

 6 una valorizzazione esasperata della cultura locale;

7) il distacco della provincia dal tessuto connettivo italiano dal punto di vista amministrativo e giuridico.

In un primo tempo la politica di pacificazione del territorio del Gauleiter Hofer si servì del rifornimento annonario per ottenere il consenso della popolazione e la tattica sembrò funzionare, ma a partire dalla primavera del 1944 le ripetute sconfitte dalla Wehrmacht sul fronte orientale, impedirono all'economia tedesca di spogliare quei territori e la dirigenza tedesca si trovò ben presto costretta a scegliere se continuare a rifornire di alimenti le zone occupate per ottenerne una progressiva pacificazione oppure nutrire le proprie truppe e la propria popolazione. E' evidente che in mancanza di un surplus alimentare la scelta non poteva che ricadere sulla seconda opzione se si voleva evitare che il fronte interno tedesco cedesse.

 La questione annonaria divenne centrale per le condizioni di vita della popolazione, come testimoniato dal seguente rapporto dei carabinieri di Pergine Valsugana:A Pergine non sono giunti la pasta e la farina da polenta per il mese volgente, essendo quasi la fine del mese, lo zucchero dei mesi di settembre e ottobre. Per questo la popolazione protesta e nel pomeriggio del 22 corrente. Un gruppo di una sessantina di donne ha inscenato a Pergine una dimostrazione di protesta, imprecando contro le organizzazioni e le autorità italiane che, secondo loro non sanno intervenire in favore del popolo bisognoso e proteggono la borsa nera. Le donne perciò si portavano davanti al Comando Militare Germanico che ha sede in piazza del Comune, chiedendo l' intervento delle Autorità germaniche” e fu determinante per l’atteggiamento della popolazione trentina nei confronti dell'occupante, che, costretto a  sua volta a fare i conti con le proprie necessità alimentari,  procedette a  sequestrare  le derrate alimentari agli agricoltori trentini  per uso personale o per portarle agli ammassi, ad un prezzo minore di quello di produzione. Il risultato di questa politica fu, a partire dalla primavera del 1944, una vera e propria esplosione del mercato nero ed un aumento generale dei prezzi, limitando seriamente il potere d'acquisto della popolazione già stremata dalla guerra.

Ciò, ovviamente, non giovò all’amministrazione tedesca ed alla sua popolarità, che iniziò nettamente a scemare a partire dall'autunno del 1944, soprattutto quando all’esproprio della produzione, seguirono il lavoro coatto (come viene ben descritto da Manci: “Anche per il fronte del lavoro, si é iniziata, con la zelante collaborazione dei comuni, una larghissima coscrizione di mano d' opera maschile e femminile- con immediato invio in Germania. Bisogna riconoscere che queste chiamate hanno distrutto il senso di accomodante e benevola attesa della maggioranza della popolazione verso i nostri amici. Come logica reazione aumenta il numero degli sbandati”42 ), o il servizio militare obbligatorio a cui gli uomini venivano costretti mediante precettazioni la cui elusione implicava la prigionia dei congiunti di coloro che vi si sottraevano. Scrive in proposito Anna Menestrina : “Nuove chiamate alle armi. Nessuno scampa più. Anche quelli che sono sui lavori ricevono la cartolina per presentarsi alle caserme. Mamme e spose piangono..... uomini che se ne vanno. Non giova più avere uffici di scuola, impiego etc. Non c' é nessun esonero. Solo ancora i medici e i farmacisti. Per ora, almeno.    Un’altra misura che di certo non giovò alla popolarità dell’occupante fu quella dei prelevamenti coatti di generi alimentari, come annota Silvio Gobber, gestore della cooperativa di Prade : “ La S. S. leva il blocco a Primiero e se ne va dopo aver frugato i dintorni per scovare i partigiani. Raccontano che furono prelevate quattro vacche e incendiati dei masi; chi non dava informazioni precise sul conto dei partigiani veniva schiaffeggiato.”

Malgrado tutto, l’atteggiamento della popolazione rimase però incerto: varie sono le posizioni politiche che si ritrovano nei documenti d’epoca e che vanno dall’accondiscendenza verso l’invasore ad un atteggiamento di rifiuto totale nei suoi confronti; anche nei confronti dei partigiani quello che emerge è  un sentimento ambiguo, che pian piano, mentre sempre più chiara si delinea la sconfitta tedesca, si trasforma in appoggio esplicito al movimento partigiano. 

Ecco alcuni esempi tratti dal diario di Anna Menestrina che annota in data 14/08/144 : “ I ribelli hanno fatto saltare un ponte sul Leno e danneggiato l'acquedotto, così Rovereto é senz'acqua. I giornali ammoniscono che in casi di sabotaggio simili a questo, saranno arrestate persone del luogo- uomini, donne, ecclesiastici, senza distinzione- e tradotti come ostaggio. Che si può fare?Affidarsi alla misericordia del Signore.“

Si percepisce un atteggiamento di sospensione del giudizio o di accettazione di una realtà fattuale, senza alcun giudizio politico sul loro operato, che tuttavia può essere interpretato in modo positivo se si considera   come fosse difficile per un cattolico concedere la totale approvazione ad un movimento che agiva al di fuori della legalità e che necessariamente uccideva e rapinava per fornirsi dei mezzi necessari al combattimento. E’ evidente dalla lettura del diario come nel dipanarsi della vicenda il coinvolgimento emotivo si trasformi  in giudizio politico solo  a tratti e che su alcuni argomenti, permane una sorta di “zona grigia“ che viene “squarciata” soltanto con la fine della guerra, evolvendosi in una approvazione integrale dell' operato dei  “patrioti“ :“ La guerra é finita. La Germania si é arresa senza condizioni. Ora si fa appello ai patrioti e a tutti coloro che amano la Patria per risolvere senza troppi orrori questi momenti decisivi. Si ordina quindi ai Patrioti di scendere immediatamente da tutti i posti e impedire la ritirata ai germanici; di impedire devastazioni e asportazioni di roba; di opporsi a chi volesse rifugiarsi tra i monti. Si ordina di occupare subito tutti i posti pubblici, le caserme, gli uffici e vegliare all' ordine sulla città in attesa dell' occupazione. Che fremito ci scuote l'anima! Non é l' orgoglio nazionale del 1918 quando uscivamo   dalla guerra vincitori. Oggi usciamo con l' anima a brandelli e la Patria in rovina.“

L'atteggiamento verso i partigiani rimane ambivalente per tutto il diario, mentre quello verso i tedeschi è di fastidio, di noia e sarà così per tutto il diario :  “ Continua il passaggio di truppe germaniche. Numerosissime. Oggi, andando in S. Maria (è la festa patronale dell' Assunta) ho dovuto passare davanti ai carri armati germanici che occupano tutta la piazza davanti alla chiesa. Carri armati in via Prati, in via Rosmini, in   via Barbacovi..... germanici nelle scuole di via Verdi, alle Sanzio, alle Scuole Commerciali....... Tutta la città ne é piena“.

Un tono ancora più accorato sulla situazione della Patria e della regione assume invece il professor Pietro Cortona nel suo epistolario con Beatrice Rizzi, futura direttrice del Museo Storico di Trento: “ Quanto le scrive R. Ha purtroppo un fondo di verità: il ceto rurale- che forma la gran massa del nostro popolo- angariato da una burocrazia rapace, oppresso da apparato legislativi cavilloso ed ingombrante, testimonio quotidiano di malafede, di raggiri e di cupidigie delle grandi e piccole autorità, sogna l' ordine e il paternalismo che non gli faccia difetto sotto quello stato che non é più ma di cui a Mosca si promise la rinascita: se al Trentino come certo all' Alto Adige si applicasse il plebiscito, esso andrebbe- non v' é alcun dubbio- perduto per la Patria!Alla classe rurale che pensa così si accostano gli arrivisti e gli opportunisti sempre più numerosi ed influenti i quali pensano a possibili autonomie, a qualche repubblichetta di tipo svizzero, lusingati dalla relativa calma politica che regna in questa regione prealpina per merito di un capo tedesco

Degno di nota è il fatto che Anna Menestrina e Pietro Cortona, nonostante il loro dolore per la situazione in cui versava la Patria ed il Trentino, si esprimono entrambi nei loro scritti a favore dell'operato del Commissario Prefetto de Bertolini, se non a livello politico (confine amministrativo posto a Borghetto e costituzione del C.S.T. per la sua intensa opera umanitaria effettuata in favore della popolazione senza alcuna distinzione politica, e per l’opera di concentrazione dell'amministrazione  e  della cura complessiva degli affari della regione nelle mani dei trentini.

E’ la prova di una sorta di convergenza nell'appoggio a de Bertolini tra la popolazione trentina che può essere suddivisa in almeno tre schieramenti :

·      filotedeschi o filotirolesi per qualsiasi ragione lo fossero (fiducia, paura, opportunismo, populismo, ignoranza della “vera”  natura del Terzo Reich);

·      attendisti senza alcuna opinione politica di sorta;

·      patrioti perplessi e amareggiati che disprezzavano la tendenza secessionista di una buona parte della popolazione, rimpiangevano il miserando stato in cui versava la Nazione ed al tempo stesso si sentivano rincuorati dalla presenza del Commissario Prefetto per l'amore e le capacità che questi profondeva in favore della sua terra natale

La situazione della provincia continuò a peggiorare progressivamente per la perdita dei territori dell'est, della Francia (a partire dall'autunno del 1944), e dei territori dell'Italia settentrionale attaccati dai partigiani che attaccavano gli ammassi allo scopo di danneggiare il consenso di cui i tedeschi godevano presso alcuni strati della popolazione, aggravando ulteriormente la situazione alimentare del Reich.

La Germania non riuscì più a garantire il rifornimento alimentare alla Zona d'Operazione come inizialmente stabilito, poiché l'attività partigiana distruggeva le carte annonarie destinate al sostentamento della popolazione civile e le liste di arruolamento, alimentando così il disordine sociale, che il Gauleiter Hofer cercò di controllare invano con ordinanze sempre più draconiane   . La popolazione si trovò presa nella morsa tra le rappresaglie tedesche e le azioni partigiane e sospettata dall' uno di parteggiare per l' altro e viceversa, come testimoniato da una lettera di de Bertolini : Si verifica la strana situazione per cui gli uffici tedeschi ritengono che gli abitanti di Folgaria appoggino i ribelli, mentre i ribelli li sospettano di collaborazione con i tedeschi.

La politica del Gauleiter, partendo dalla premessa che il regime nazista teneva in considerazione il benessere della classe lavoratrice, aveva cercato la pace sociale, concedendo da una parte l’aumento dei salari (in particolare di quelli degli operai) a condizione che non vi fossero ulteriori rivendicazioni salariali o rivendicazioni di tipo politico che sarebbero state represse con la violenza, tenendo dall’altro a restare in buoni rapporti con gli imprenditori privati.

Ad essi chiedeva un piccolo sacrificio in termini di profitto in cambio di uno immensamente superiore: l'ordine sociale ed il funzionamento a pieno ritmo delle industrie trentine in favore dell'economia di guerra del Reich. Questa politica accelerò l'industrializzazione del Trentino sotto l'impulso delle commesse belliche naziste, nonostante la propaganda tedesca illustrata dal giornale “Il Trentino“ ed indirizzata prevalentemente alle popolazioni rurali, insistesse sulla conservazione di una modalità di vita tradizionale.

Paradossalmente un altro fattore di “vantaggio“ del territorio trentino rispetto al resto d'Italia, considerata dai nazisti eminentemente un territorio da sfruttare, fu che i territori dell'Alpenvorland fossero destinati ad essere annessi direttamente al Reich; la circostanza  fece sì che la popolazione ed i macchinari industriali non fossero prelevati e portati in Germania, e gli effetti micidiali dell’occupazione nazista vennero in parte attutiti dalla lotta interna fra i vari organi di potere (“policrazia conflittuale“).

 

Gli inutili tentativi della RSI di fare valere i propri diritti nella ZOP Alpenvorland

La dittatura fascista tentò in ogni possibile occasione da fare valere i propri poteri, più nominali che reali, sulle due Zone d'Operazione. La documentazione in merito ci viene fornita in particolar modo dal fondo “Segreteria particolare del Duce- R.S.I. 1943-1945” presso l'Archivio di Stato di Roma ed il fondo dedicato alla documentazione relativa alla R. S. I. presso l' Archivio Storico del Ministero degli Esteri a Roma.

Già ad una prima lettura dei documenti appare subito evidente l'impotenza con cui il governo di Salò rivendicava i territori strappatigli, che i tedeschi insistevano a giustificare con la momentanea necessità di proteggere le linee di collegamento ferroviario del Brennero, che assicuravano il collegamento tra Germania ed Italia. Quanto questa risulti una verità molto parziale risulta dallo spesso carteggio tra i due contendenti tratto in buona parte dal libro dello storico britannico William Frederick Deakin, che analizzò in profondità i difficili rapporti tra Germania nazista e Repubblica Sociale Italiana.

Per l'Italia fascista si trattò in primo luogo di salvare quei territori che erano stati l'obiettivo dichiarato o meno, degli sforzi compiuti dalla nazione a partire dalla sua unità nel 1870, dalla firma della Triplice Alleanza voluta da Crispi con Austria e Germania nel 1882, ai sacrifici affrontati durante la Prima Guerra mondiale combattuta a fianco dell’Intesa in base al patto di Londra firmato nel 1915. In queste terre era nato lo stesso spirito del fascismo, “lo spirito delle trincee”; più prosaicamente esse avevano costituito l’importante avamposto da cui sarebbe partito il progetto imperiale di Mussolini verso i Balcani.

Dopo il 1943 la Repubblica di Salò si trovò in una posizione estremamente debole nei confronti dell'”alleato-occupante” e le cui uniche leve di potere su cui poteva contare, consistettero nel dilazionare o meno i finanziamenti alle due Zone d'Operazione, e nel fornire un sufficiente numero di uomini per le repressioni antipartigiane. In realtà i tedeschi non procedettero mai a una annessione formale di questi territori al Reich solo perché un tale atto avrebbe suscitato in tutta Italia una esplosione di indignazione tale da far mancar loro l’appoggio necessario per la continuazione di una guerra dalle sorti sempre più incerte e che richiedeva continuamente nuove risorse umane ed economiche .

Particolarmente importanti sono a questo proposito le dichiarazioni della classe dirigente nazista Ribbentrop, Rahn, Goebbels, già citati nel secondo capitolo ed a cui ora ritornerò brevemente: “ Il Duce probabilmente solleverà con il Führer la questione dello status delle zone operative sulle coste adriatiche e nelle zone alpine. So che si è occupato del problema senza interruzione e con frequenti e violente reazioni. Ha seguito attentamente <<la stampa tedesca in queste zone>> e in particolare le vecchie tendenze austriache. In alcuni provvedimenti presi dall'alto commissario, il Duce vede la preparazione dell'annessione futura di queste zone alla Germania...Sono riuscito sinora a impedire che il Duce e alcuni membri del suo governo si preoccupassero troppo del problema delle zone operative e a far comprendere loro la necessità delle misure adottate dall' Alto Commissario. Ma in complesso l'autorità del governo italiano e il suo contributo al comune sforzo bellico in vari settori... hanno assunto un'innegabile importanza; di qui la tendenza del Duce a metterci di fronte a faits accomplis e a sondare le nostre reali intenzioni con piccole punzecchiature esplorative” 

Risulta chiaro da questi brani come la tattica tedesca consistette prevalentemente nel rispondere evasivamente alle sempre più insistenti richieste del governo della R.S.I.  per continuare a godere della sua sempre più riluttante collaborazione, mentre contemporaneamente avviava i preparativi per una possibile annessione, che consistettero in una progressiva nazionalizzazione delle popolazioni autoctone di etnia tedesca, gli altoatesini, ed una progressiva snazionalizzazione di quelle italofone, in questo caso i trentini.

Nell'ambito dell’altra Zona d'Operazione, la Zona Adriatisches Küstenland, i nazisti cercarono di rinfocolare l'odio delle popolazioni slave e le loro pretese territoriali nei confronti dei territori italiani e di quelli recentemente conquistati dall'imperialismo fascista, come la zona di Lubiana :  “ Circa la questione delle rivendicazioni croate e in generale dei popoli balcanici verso territori già annessi all' Italia, o all'Albania, esse sono state avanzate su precise disposizioni del Governo del Reich, il quale desidera assicurarsi l'amicizia dei popoli balcanici, ultimamente un po' vacillante, attraverso concessioni e una buona campagna propagandistica.

La reazione italiana all’occupazione delle due Zone d’Operazione da cui pervenivano rapporti sempre più preoccupantinon si fece comunque attendere. Scrive Serafino Mazzolini, ministro degli Esteri della R.S.I.: “ Sulla questione non sono mancati i passi qui fatti presso l'ambasciatore Rahn, passi che però non hanno sortito effetto alcuno. Sono pertanto d'avviso che sarebbe utile richiamare su quanto precede l'attenzione della Führung, insistendo particolarmente sul concetto che diviene difficile, per non dire impossibile, convincere gli italiani che bisogna essere strettamente uniti e combattere con la Germania, quando questa è il paese straniero che per primo avanza pretese su parti del territorio italiano e che priva il governo italiano della sua sovranità, nonostante tutte le affermazioni di alleanza, di lotta comune e di difesa contro la rapacità del nemico.

Tali iniziative rimasero comunque prive di un risultato concreto come testimonia questa sibillina dichiarazione di Ribbentrop : “ Se la Germania perde la guerra, la sorte dei confini italiani sarà senza dubbio pregiudicata chissà per quanti anni; se la Germania vince la guerra, la questione delle province di frontiera sarà certamente esaminata dal Führer insieme al Duce con quello spirito di comprensione e di amicizia che ha sempre caratterizzato i rapporti tra i due capi. Non bisogna sentire perciò preoccupazioni di alcuna natura.

Nella successiva storiografia di matrice neofascista si è voluto sottolineare il ruolo positivo che la R.S.I. avrebbe avuto nell’impedire la frammentazione dell’Italia e l’annessione delle due ZOP da parte della Germania. In realtà la Repubblica di Salò si trovò sempre in una condizione di grande debolezza e poté posticipare nel tempo l'annessione, che non avrebbe potuto probabilmente impedire se il Reich avesse vinto la guerra.

 

La stampa

La propaganda tedesca venne svolta principalmente sul quotidiano “ il Trentino“ che fu diretto da Mario Giovanni Paoli trentino e giornalista professionista I tedeschi cercarono di fornire una rappresentazione dei partigiani come di persone che disonoravano il concetto di guerra tradizionale, attentando alla serena convivenza della popolazione senza fornire alcun contributo rilevante alla vittoria degli avversari del nazionalsocialismo. Scrive “Il Trentino“ “ In questo genere di guerra il mito dei popoli in arme manca di ogni fondamento. Al contrario: le bande sono divenute molto più dannose per le loro stesse popolazioni che un vero pericolo per le forze armate tedesche.  Spontaneamente accorre solamente la gentaglia, banditi di mestiere, in pace ed in guerra. Perciò i capi devono organizzare il terrorismo tra le loro stesse popolazioni. I borghi intenti al lavoro, per la loro pacifica vita quotidiana, vengono aggrediti ed incendiati e gli uomini in grado di combattere vengono portati via. Chi si dimostra renitente viene ucciso, donne e bambini compresi. La popolazione non osa reclamare e la segue intimorita nei boschi. Beni ed averi le sono  già quasi tutti tolti e quindi essa non vede più alcuna via d' uscita. Dove le bande si vedono incitate a ripulire, depredano con aggressione improvvisa ed uccidono. Dove le bande hanno posto il loro dominio, su singoli tratti di territorio, il loro contegno non é meno sanguinario. Essi, secondo la terminologia bolscevica, possono chiamarsi anche <<partigiani>>- cioè appartenenti ad un partito sovversivo- ma restano sempre estranei alle vicende del luogo ove si trovano e sono incaricati di attentare alla quiete pubblica.“

Gli elementi che la propaganda tedesca utilizzò furono essenzialmente il disconoscimento del valore politico dell'operato delle formazioni partigiane, che vennero rappresentate come banditi da strada, gentaglia al di fuori della legalità, ( il termine tedesco adoperato, particolarmente forte, é Gesindel) che danneggiava e distruggeva villaggi e città, comportando ingenti danni alla popolazione industriosa e pacifica, costretta a fuggire nei boschi. Si nota all'interno di questi articoli una fin troppo evidente divisione tra “noi“ e “loro“, un “bianco“ e un  “nero“ tra chi era parte integrante della comunità e viveva in conformità alle sue leggi e chi ne viveva al di fuori.

Altro elemento di cui si avvalse la propaganda nazista fu il fatto che la guerra partigiana fosse una  guerra senza onore, al di fuori delle regole del combattimento tradizionale.  Jens Petersen,   spiega in modo esauriente come la guerra partigiana risultasse assolutamente incomprensibile per i militari tedeschi e per questo venne repressa con particolare ferocia. Scrive Petersen : “ Né nelle memorie di Kesselring né in altre testimonianze scritte da militari tedeschi v'é posto per le motivazioni politiche, etiche e patriottiche della Resistenza. Qui emergono tre ordini di motivi che potrebbero suffragare l' estraneità e il distacco: 1) la chiusura del tedesco- legato alla legalità, alla fedeltà allo Stato ed all' obbedienza- al fenomeno della Resistenza in generale; 2) il rifiuto e la perplessità del militare di carriera tedesco di fronte ad ogni forma di << guerra piccola>>, di guerriglia che comporta la disintegrazione della concezione tradizionale della guerra e l' abolizione delle differenze tra popolazione civile e i militari. In Germania non esistevano forti tradizioni << garibaldine>> della volontarietà, della spontaneità e della organizzazione autonoma. Come ha già dimostrato l' esperienza di Garibaldi nella guerra franco prussiana nel 1870-71 l' incomprensione dei militari per la guerriglia poté condurre rapidamente alla criminalizzazione di tale fenomeno;3)oltre a queste due barriere mentali, bisognerebbe ricordare anche certi tratti specifici dell' immagine che i tedeschi avevano dell' Italia. Le azioni di guerriglia portarono in superficie aspetti tradizionale del carattere del popolo italiano così come erano stati descritti e fissati attraverso alcuni secoli dalla letteratura tedesca sull' Italia Nel<< Welschen>> ( un termine tedesco adesso caduto quasi in disuso che stava ad indicare tutto ciò che é <<latino>>, con una connotazione spesso spregiativa) erano concentrati tutti i possibili aspetti del machiavellismo, cioè tradimento, perfidia, slealtà, crudeltà e anche disumanità.” 

Un’ulteriore conferma di questo fatto viene dal mancato riconoscimento anche lessicale del fenomeno della Resistenza da parte dei militari tedeschi, che in tedesco poteva essere chiamata soltanto “Bandenkrieg”, guerra di bande.

Lo stesso pensiero esprime nel libro di Isabella Bossi Fedrigotti il Consigliere Germanico Kurt Heinricher, alias Kurt Stauderer, che dice :  “Alcune delle condanne furono in effetti firmate dal Commissario Supremo ( e non furono solo opera della Gestapo), ma ci trovarono tutti d' accordo. In cosa consistevano infatti le azioni partigiane se non nello sparare, dal nascondiglio dei boschi, a militari tedeschi ignari che salivano lungo le strade delle valli per trasporti vari, perlustrazioni, o semplice passaggio di truppe? Azioni di cui i <<patrioti>> andavano assai fieri, ma che a noi sembravano vili tradimenti”.

Un altro aspetto che viene messo in evidenza dalla propaganda filonazista ne “Il Trentino è l'istituzione del Tribunale Speciale che aveva il compito di soffocare ogni pur minima  forma di ribellione al sistema di dominio instaurato dal regime del Gauleiter Hofer in Trentino. Esso aveva  il compito di proteggere e garantire gli “interessi tedeschi” e gli “interessi tedeschi sono sempre in gioco quando le esigenze della condotta di guerra, il mantenimento dell' ordine e della tranquillità e la tutela della popolazione richiedono un procedimento rapido ed efficace.” Il giornale ribadisce ancora una volta il concetto del giusto rigore da applicarsi contro coloro che agiscono in deroga alle leggi della Comunità, anche se in questo caso il termine viene meno accentuato rispetto al suo omologo bolzanino che parla di “Comunità popolare”. Scrive ancora “Il Trentino” : “Il Führer ha quindi istituito nel grande Reich Tribunali speciali con competenze speciali,il cui compito é particolarmente quello di procedere contro tutti i nemici della comunità rapidamente, efficacemente e se necessario con ogni rigore. Per i sabotatori e i mestatori, per gli <<sciacalli>> che agiscono nelle zone colpite dai bombardamenti aerei, non c'é posto in questa guerra. Essi cadono sotto la spada della giustizia.”

Due autori che si sono particolarmente interessati alla stampa collaborazionista sono il professor Vittorio Paolucci  e Marco Donatoni che ne hanno analizzato in profondità i contenuti. Lo stile ed il contenuto de “Il Trentino” si richiamavano fortemente al coevo giornale filonazista “Bozner Tagblatt”, differenziandosi soltanto per la minore enfasi del “Il Trentino” su alcune tematiche, quali l'esaltazione del ceto contadino nell'ambito della dottrina del “sangue e della terra” e l’importanza delle istituzioni  sociali naziste .

Le altre tematiche adoperate ne “Il Trentino” non si differenziavano in alcun modo da quelle utilizzate nella stampa nazista dell'epoca. Ecco cosa scrive ad esempio “il Trentino“ sull'alpinismo trentino e sugli effetti che produce sulla gente di questa terra :“ Parlare dell' alpinismo trentino significa penetrare in una forma di attività, dove l' anima e il carattere della nostra gente si rivelano in tutte le loro qualità più spiccate .Così l'alpinista trentino si é sempre imposto per la sua azione silenziosa e schiva da esibizionismo e da vane esteriorità. Anche negli ultimi tempi, in cui la stampa dedicava spesso spazio abbondante a roboanti resoconti di imprese, che non sempre meritavano una pubblicità tanto sonora, creando glorie e gloriuzze di un giorno, l' alpinismo trentino manteneva quella linea tradizionale di serietà severa, dando esempio di una modestia, che é conseguente alla grande lezione di vita, che la montagna dà a chi la pratica con sentimento sincero“.

Non mancavano dei consigli ai lettori per la vita quotidiana e per un miglior sfruttamento delle risorse di cui disponevano, che se da un lato li distraeva dall'affrontare tematiche più impegnative, dall' altro dava l'impressione di un concreto aiuto ai lettori in difficoltà, soprattutto a partire dall' inverno del 1944. Non mancavano i riferimenti alla donna quale “angelo del focolare” epitome dell' ideologia tradizionalista e paternalista che stava dietro alla propaganda ufficiale del regime che coincideva in questo caso con la concezione nazista del ruolo della donna nella società. Scrive  “Il Trentino:  “ Saranno sufficienti alcuni piccoli accorgimenti per assicurare un riscaldamento razionale. Ed é alla brava massaia che, come alle vestali, é demandato il compito di custode del fuoco, affinché il calore prezioso non si volatilizzi, insieme al denaro speso senza essere utilizzato. Questo tipo di consigli faceva parte di una tattica indirizzata ad invitare la popolazione ad utilizzare le proprie risorse con la maggiore oculatezza possibile e si inseriva in quella strategia di più ampia portata che consisteva nel distrarre ed occupare il più possibile la popolazione con argomenti della (difficile) quotidianità, dandole una parvenza di normalità e allontanandola dalla realtà della guerra, impegnandola in futili attività come l'indizione di una corsa col sacco in una sorta di campagna di disinformazione che la astraesse il più possibile dai gravi avvenimenti politici che si stavano verificando nella regione.

Sempre su “Il Trentino” si poneva l'accento sull'esistenza di una specifica “arte trentina” distaccata dal contesto italiano, in modo ovviamente inverso a quanto avveniva sulle pagine del “Bozner Tagblatt” di Bolzano che mirava a rafforzare il sentimento di appartenenza degli altoatesini all'area culturale germanica. Negli articoli si nota un'esaltazione della natura che influisce in modo diretto sul carattere della popolazione trentina, conferendogli serenità ed allo stesso tempo severità, una completa eliminazione dell' elemento cristiano nell'arte locale, ed una preferenza per l'arte paesaggistica e di tipo ruralista, omaggio indiretto ad un mondo che si cercava di salvaguardare dalle “dannose”   influenze esterne.

Il giornale di propaganda si soffermava anche sui meriti dei personaggi illustri locali come Luigi Negrelli, progettista del canale di Suez, di cui nell'articolo si lodava l'ingegno, l'abilità ed il contributo prestato al progresso della civiltà mondiale, ma il cui progetto fu defraudato e messo in opera dal francese De Lesseps  in combutta con la Compagnia Universale detenuta da capitali francesi. Il fatto che non potè che provocare il biasimo de “Il Trentino” per le abitudini “predatorie” ed “imperialiste” del grande capitale anglo-francese  : “ La Compagnia Universale, sfruttatrice in un primo tempo dell' ingegno degli italiani ed in seguito dei traffici di tutte le Nazioni.” Altri elementi evidenti alla lettura de “Il Trentino” furono la presenza di una limitata  propaganda antisemita ed il tentativo di operare un distacco, anche psicologico, dall'Italia e da Roma.  Non ha bisogno di alcun commento la frase che appariva sul frontespizio del giornale “ Le leggi della Repubblica Sociale non trovano applicazione all' interno della Zona d' Operazione Alpenvorland” e una colonna dedicata al  “Notiziario romano”. Per quanto riguarda la politica estera non si nota alcuna sostanziale differenza rispetto a quanto pubblicato sul giornale bolzanino ed in generale alla stampa nazista. Al posto dell'ideologia subentra un' analisi storica e politica più razionale e lucida che fa scrivere a “Il Trentino”:  “ Come nel passato, il comunismo staliniano continuò a sventolare la bandiera del proletariato, ma il suo vero obiettivo fu quello di riprendere con nomi e metodi diversi la politica zarista di espansione verso i mari e d' imporre la direzione della Russia in Occidente. Così il comunismo, nato come idea e dottrina pacifista a carattere universale, si é trasformato in un nazionalismo delirante.” Manca in questa analisi, condivisibile o meno che sia, lo stile “appariscente”, pieno di aggettivi altisonanti e roboanti tipici della propaganda fascista che non poteva essere apprezzato dalla popolazione trentina dall'indole piuttosto riservata e amante della concretezza.

Non diversamente viene trattata la questione del ruolo che l'Europa, nell'ambito di una coalizione guidata dalla Germania, potrà assumere in un mondo ormai guidato dalle “potenze laterali” Usa e Urss, che minacciano di schiacciarla e sostituirla nella leadership mondiale.  La vecchia Europa, troppo divisa all’interno da secolari rivalità, poteva essere riunificata solo dal Führer nell'ambito del suo programma contro il bolscevismo e le plutocrazie anglosassoni, con la collaborazione delle numerose forze conservatrici europee che egli aveva riunito attorno a sé.

 In queste righe emerge un'Europa concepita come “terza forza” tra le due potenze ascendenti  e si profetizzava il declino dell’impero britannico che la lotta sostenuta avrebbe indebolito a tal punto da far perdere “anticipatamente” il suo immenso impero coloniale.

 Ecco quanto scrive “Il Trentino: “ Gli Stati Uniti  denominano questo il secolo degli americani: in altre parole essi avanzano la pretesa di erigersi a tutori del mondo intero: Il bolscevismo batte, in teoria come in pratica, la stessa strada,solo con mezzi differenti. L'Inghilterra é senz' altro relegata ad una parte di secondo ordine. Essa infatti rimane tuttora attaccata alla vecchia tesi dell'equilibrio europeo e non si accorge che questo é ormai sorpassato dagli avvenimenti. Lo sviluppo degli eventi ha già superato da lungo tempo questo invecchiato concetto del mondo.

Ancora una volta l'analisi degli avvenimenti può essere discutibile, ma non si tratta unicamente di pura propaganda.

 Nell'articolo rivolto a lettori di lingua e cultura italiana manca, rispetto all'edizione tedesca, piuttosto simile, ogni specifico riferimento culturale all'Europa intesa come entità in divenire verso la meta della necessaria unificazione tra i popoli. Si trattava di una struttura di tipo organicistico-teleologico di derivazione idealistica di evidente matrice hegeliana, tendente alla costruzione di entità sempre più complesse ed ordinate in modo gerarchico, di cui la Germania nazista avrebbe dovuto essere al centro ed esclusiva leader, in una sorta di rinnovata dottrina Monroe europea, come aveva teorizzato l'eminente giurista del Terzo Reich, Karl Schmitt.

Mancava inoltre qualsiasi riferimento a quale ruolo i trentini avrebbero avuto in questo Nuovo Ordine europeo e che in qualche modo loro destinato.

Scrive infatti a questo proposito  Vincenzo Calì:   “ Sorge spontanea la domanda su quale sorte sarebbe stata riservata ai trentini in caso di vittoria delle armi germaniche; come razza inferiore, dotata però di alcune affinità con l' elemento germanico, avrebbe potuto ben servire alla colonizzazione dell' Est europeo. Si tratta di pure e semplici supposizioni ovviamente; i fatti storicamente accertati dimostrano comunque inconfutabilmente l'esistenza di precisi progetti nazisti di trasferimento di popolazioni (i cosacchi in Italia, tanto per fare un esempio) al fine di favorire-attraverso la frammentazione etnica e il mosaico delle nazionalità- una funzione germanica<<disciplinatrice>>.

 

Il CST

Il CST (Corpo di Sicurezza Trentino) rappresentò l'epitome del fenomeno collaborazionistico durante il periodo dell' Alpenvorland. Su di esso si é concentrata una letteratura regionale che ha finora lasciato alcuni punti in sospeso, anche se da essa risulta sufficientemente chiaro che l'adesione a questo corpo non fu affatto entusiasta, ma piuttosto dettata da uno stato di irresolutezza interna non maturata dalle tragiche esperienze di guerra vissute invece dalle generazioni più anziane ritornati in migliaia dai vari fronti di guerra o e dalle stringenti condizioni esterne. Così scrive Mario Chisté : Sono 2-3.5 che mettono insieme queste tradotte di migliaia di uomini che portano al macello per la Patria. Non statemi a parlare di Patria, la Patria é di tutti e se é di tutti perché (quei fascisti imboscati )non vengono con noi? Loro stanno al caldo comodi- comodi e dormono i loro sonni tranquilli perché hanno fatto il loro dovere.” Ed ancora : “Io ho parlato credimelo perché ho visto delle atrocità e agonie tremende e erano gente come noi. Io come guerra non ne ho fatta tanta ma bestialità ne ho viste anche troppe. Se le condizioni esterne, cioè la presenza delle truppe naziste, poté scoraggiare molti dal partecipare ad una Resistenza organizzata, altrettanto importante é l'atteggiamento di quei giovani che si sentirono troppo confusi per affrontare delle scelte decisive, ed il cui rifiuto del fascismo  introiettato dall'ambiente circostante non fu abbastanza forte da spingerli ad una aperta guerra partigiana contro l'invasore, come invece avvenne nel caso del CSB, il Corpo di Sicurezza Bellunese, in cui la stragrande maggioranza dei richiamati non si presentò all'ordine di precettazione militare emesso dalle autorità tedesche, preferendo aggregarsi alle formazioni partigiane che combattevano in montagna per liberare la regione dai nazifascisti, e caratterizzati , come vedremo nel prossimo capitolo dedicato al Bellunese, da forti istanze di rinnovamento sociale.

L'ordinanza del Commissario Supremo n. 41  estendeva l'obbligo di prestazioni militari a tutti i cittadini italiani di sesso maschile delle classi tra il 1894 ed il 1926 che avessero la residenza nel territorio della Zona d' Operazioni Alpenvorland.

Sul piano giuridico un provvedimento come quello preso dalle autorità nazista era tutt'altro  che conforme alle regole del diritto internazionale, in conformità all'articolo 44 del Regolamento dell'Aja del 1899, sottoscritto e mai abrogato dalla Germania, secondo il quale é vietato forzare la popolazione di un territorio occupato a partecipare ad operazioni militari contro il proprio Paese.

 L'inquadramento della popolazione venne perseguito mediante l'adozione di ulteriori misure coercitive per fronteggiare il meglio possibile la situazione di crisi in cui si sarebbe venuta a creare la ZOP Alpenvorland, nel caso sempre più probabile di un cedimento del fronte tedesco nell'Italia meridionale, ipotesi che aveva consigliato alle autorità tedesche l'adozione di provvedimenti sempre più rigidi. Il temuto crollo delle armate germaniche davanti all'incalzare degli eserciti alleati rese ancora più urgenti i lavori per l'allestimento di un ridotto alpino fortificato ai confini meridionali del Reich, incrementando di conseguenza l'esigenza di disporre di personale militare o militarizzato da adibire alla costruzione delle difese, alla sorveglianza dei cantieri contro gli attacchi delle “bande”, e al mantenimento del controllo delle principali vie di comunicazione minacciate dal risveglio della guerriglia.

Incaricato della repressione dei renitenti, era il Tribunale Speciale di Bolzano. Per gli inadempienti era prevista la pena di morte, il carcere duro oppure la detenzione dei familiari più stretti. Quest'ultima misura, chiarisce, almeno in parte quale spirito animasse i giovani trentini che si presentarono alle armi.

Questo il quadro in cui si trovarono ad operare i militi del CST. Rispondente a queste esigenze tedesche, l'ordinanza di de Bertolini cercò di mascherare le esigenze avanzate dal Gauleiter Hofer, (che intendeva gestire la questione della sicurezza limitando al massimo l'intervento degli altri organi nazisti a ciò preposti, in particolare le SS), con una retorica ricolma di preoccupazione per le sorti della “piccola patria“ e della “conservazione dell'ordine sociale“ basato su un paternalismo di fondo che lasciavano trasparire una certa predisposizione al quieto vivere ed al compromesso. Appare evidente in simili affermazioni  lo sforzo di ammantare di un'aura di nobile esclusività quella che rimaneva la mera esecuzione di un ordine impartito dall'alto, che al di là delle acrobazie verbali, più prosaicamente si traduceva nella creazione di un efficace strumento di repressione da subordinare ai voleri dell'occupante.

Le divise tedesche utilizzate dal CST avevano il compito evidente di snazionalizzare i giovani trentini, di abituarli al pensiero di fare parte di un'altra entità statale e di alimentare una sanguinosa   guerra intestina (gegeneinander spielen) all'interno della regione, creando così le condizioni per il distacco del Trentino dal resto dell’Italia.

Non è chiaro se l'avvocato de Bertolini si fosse reso conto delle manovre tedesche o avesse volutamente, ancora una volta, scelto una soluzione “pragmatica“, evitando così che gli arruolati finissero a combattere sul fronte orientale. Scrive Mario Pizzini, autore di una Tesi di Laurea sui corpi militari e paramilitari nell' Alpenvorland, in proposito :  “Fuori da qualsiasi eufemismo, fu ben presto chiaro che esso era stato concepito da subito per le esigenze di una guerra intestina interna alla comunità trentina, e che, aldilà dei nobili richiami alla <<Heimat>> locale, si rivelerà ben presto un' arma efficace nelle mani dell' autorità germanica.” 

A questo proposito risulta illuminante la testimonianza di un milite del C. S. T sull'uso del Corpo di Sicurezza da parte dei tedeschi :  “ Dopo qualche giorno dal nostro arrivo a Carpané, io e una ventina circa dei miei compagni del CST, mentre ci trovavamo nella caserma provvisoria, siamo stati radunati da due graduati delle SS tedesche i quali ci hanno ordinato di armarci e munirci dell' elmetto d' acciaio;siamo stati condotti ad un chilometro circa di distanza ove presso un edificio trovavansi ammassati, se ben ricordo, tredici partigiani fatti prigionieri. I medesimi sono stati allineati nei pressi di una siepe; quindi i due graduati delle SS ci hanno disposti di fronte ai prigionieri a circa tre metri di distanza. Dietro a ognuno di noi si é posto un militare della Kriegsmarine. Solo quando uno degli appartenenti alle SS ci ha ordinato di caricare il fucile e di puntare sui prigionieri abbiamo compreso che eravamo stati prescelti per comporre il plotone d' esecuzione e per forza maggiore abbiamo dovuto sparare sui partigiani. .

L'impressione che i militi del CST provocarono in Trentino fu generalmente negativa,  come testimonia una canzone dell'epoca  : “Vedi, han visi scarni, occhi neri, son slanciati, fronti   intelligenti. Italiani in germanica divisa! Marcian a passi rigidi, taglienti, senza fletter muscolo, tutti interi. Or odi un comando stridere duro ed erompe da quei petti improvvisa, in lingua tedesca, ve l'assicuro, una canzon germanica di guerra, aspra, energica, rauca, martellata, mentre i lor piedi spaccano la terra. E' questa, gioventù cresciuta e nata nella nostra italianissima terra?Stringe il cuor l'orribile parata.- Tutti li rinnegano e la Patria loro. Poveri ragazzi quei che obbligati furono, ma vergogna per coloro che di lor voglia si sono abbassati così vilmente, senza alcun decoro. Già i lor canti li hanno condannati. Milano, 28 maggio 1944. Italo Lunelli.”

Un brano particolarmente significativo tratto dall'ordine del battaglione n. 6 del CST può servire a mostrare il grado di asservimento cui erano sottoposti i militi trentini : “ Ma noi del CST abbiamo la fortuna di poter aiutare il Führer nella sua lotta e nel suo lavoro per poter in un domani vittorioso dare alla nostra Patria Trentina ciò che essa desidera. E' logico che é necessario combattere fuori della propria provincia per difenderla e ciò, cari camerati, lo state facendo da mesi. Se proprio ora il nemico aumenta al massimo l'impeto della propaganda ciò non è sicuramente un segno di forza e nemmeno noi badiamo alle fanfaronate. Noi restiamo fedeli al Führer e con ciò alla nostra patria trentina”  Ed ancora: “ Voi, i vostri camerati tedeschi ed io non abbiamo che una meta davanti ai nostri occhi; preservare e proteggere i nostri familiari ed il nostro suolo natio dalle stragi e dai massacri delle orde asiatiche e dalle misfatte dei gangster occidentali.” .

Del resto la vera funzione del CST era stata individuata già dal partigiano Giannantonio Manci nelle sue ultime lettere all' amico Gigino Battisti, esule in Svizzera. Scrive Manci il 24/05/1944 ;  “ Letta la relazione all'amico di Egidio mi sembra che la medesima vada completata anzitutto per ciò che riguarda l'arruolamento nel Corpo di Sicurezza Trentino (CST). Si é abbandonata ogni preoccupazione di fare apparire il fenomeno sociale quale << volontarismo>> e si procede invece a normali coscrizioni su larga scala”.

Il giudizio storico sull'operato del CST non può che essere formulato in questi termini: si é trattato di un corpo strumentale ai fini dei tedeschi che intendevano utilizzarlo in funzione della lotta antipartigiana e come potente veicolo di snazionalizzazione e di strumento di guerra fratricida, come si vide ad esempio nelle azioni a Caviola e nell'Agordino nell'agosto del 1944 e nella fucilazione delle partigiane “Ora” e Veglia” negli ultimi mesi della guerra.

Proprio perché le ragioni dell’occupante erano facilmente intuibili sin dall’inizio, la partecipazione dei militi   trentini restò generalmente bassa, anche se non mancarono alcuni episodi di efferatezza , ed i tedeschi furono costretti ad ammettere la scarsa considerazione sul valore militare e sull'affidabilità politica del CST aggregando agli italiani numerosi soldati tedeschi.

Ecco in proposito la testimonianza di un anonimo intervistato che racconta la discesa verso Falcade, nella valle del Biois, nell'agosto del 1944:  “ I nostri reparti furono rivoluzionati, nel senso che si mescolarono a noi numerosi soldati della Wehrmacht. In pratica ogni due trentini c'era un soldato tedesco. Insomma eravamo come sorvegliati, la presenza degli uomini della Wehrmacht era come una garanzia sul nostro comportamento.

La documentazione complessiva e la produzione storiografica sul CST resta piuttosto scarsa e frammentaria, a parte alcuni libri molto schierati politicamente usciti di recente. Scrive Tonolli : “ I numerosi sottufficiali trentini che ebbero nei marescialli (Zugwachtmeister) Carlo Tommasi e Giuseppe Zampedri i maggiori rappresentanti, pur allineandosi disciplinatamente alle disposizioni delle superiori autorità, tennero un comportamento corretto e leale nei confronti dei ragazzi. La maggior parte di loro, già sottufficiali dell' esercito italiano, furono reclutati, anche su sollecitazione dei vari rappresentanti comunali o di amici, per completare i quadri comando delle dodici compagnie del CST e per evitare che potessero confluire nelle formazioni partigiane o nella R. S. I.  Si presentarono al Distretto di Trento tra la fine di febbraio ed i primi di marzo 1944 e subito sottoposti ad un corso di istruzione molto duro, come ebbero a riferire alcuni di loro. Dovevano praticamente adeguarsi ad una diversa disciplina militare e assumere un comportamento ed un aspetto più marziale e più consono all' esercito del Grande Reich”.

Da queste poche frasi di Tonolli si evince il tradizionale rispetto della popolazione trentina per le autorità che ha avuto certamente un ruolo importante in tutta questa vicenda e l'ammirazione dell'autore per la causa dell'occupante da cui possiamo far derivare il suo collaborazionismo.

La polemica sul CST verrà portata avanti negli anni Settanta dalla Direttrice del Museo Storico in Trento, Bice Rizzi,che si opporrà vigorosamente alla proposta di alcuni esponenti del PATT (Partito Autonomista Trentino Tirolese) alla concessione agli ex militi del CST della pensione di guerra, equiparandoli in questo modo a coloro che avevano servito nell' esercito della R.S.I.  che avevano già ottenuto il beneficio pensionistico. La Rizzi motiva così la sua posizione: “ Posso anche ammettere come alcuni di essi non abbiano fatto nulla di male e che abbiano vestito quella divisa con disprezzo e dolore. Ma in questo caso si tratta non di singoli ma del Corpo di Sicurezza nel suo complesso, nel significato che esso assunse ed assume.

La direttrice del Museo Storico di Trento evita quindi pronunciarsi sull' atteggiamento psicologico dei militi del CST e sulle motivazioni  di tipo “pragmatico” che portarono alla scelta di arruolarsi, ma giudica i fatti soltanto nel loro significato di quello specifico contesto storico e politico. Della stessa opinione è lo storico Enzo Collotti che scrive parlando della analoga situazione creatasi nella Zona d’Operazione Adriatisches Küstenland “ Permane ancora anche nella pubblicistica antifascista locale qualche incertezza soprattutto intorno alla valutazione da dare alla guardia civica. Questa infatti merita un giudizio assai più severo di quello che non sia stato generalmente dato; si é in un certo senso attenuata la sua responsabilità nella collaborazione, si é manifestata la tendenza a vedere nella Guardia civica prevalentemente lo strumento che consentì a molti giovani di imboscarsi e di sottrarsi a una sorte più dura, quale poteva essere l'invio in Germania o l'arruolamento in altri corpi al comando dei tedeschi. E questo sarà anche vero, ma la Guardia civica ha sottratto i giovani al movimento partigiano, e rappresentò un rifugio che non era affatto così neutrale come si vorrebbe far credere, indebolì cioè la possibilità di ingrossare le file partigiane, che dappertutto in Europa, furono alimentate non soltanto dall' impeto del volontariato o dal reclutamento politico, ma beneficiarono largamente anche di situazioni senza uscita che costrinsero migliaia di giovani a compiere scelte che soltanto in un secondo momento avrebbero auto il sostegno di motivazioni politiche consapevoli”.

L'allusione di Collotti  può essere ricondotta a quel filone storiografico - trentino e non - che, come abbiamo visto nel corso del primo capitolo dedicato alla rassegna  storiografica sull'argomento, assunse un atteggiamento giustificatorio nei confronti dell'operato del CST  e del Commissario Prefetto de Bertolini.

Scrive Vadagnini dieci anni dopo Collotti : “Pur essendo nettamente contrario a sciogliere i carabinieri, de Bertolini ,ancora una volta, dovette subire da parte delle autorità tedesche l’imposizione del nuovo corpo di polizia. Ma non si trattò di un’imposizione passiva: il Commissario Prefetto si adoperò infatti in tutti i modi per dare una struttura e obiettivi operativi meno militari possibile al Corpo in via di costituzione. La sua caratteristica fondamentale, secondo gli intendimenti del prefetto, avrebbe dovuto essere quella di una <istituzione paesana> nata dal popolo ed al servizio del popolo; un’istituzione dunque che perseguiva fini educativi oltre che di sorveglianza pubblica”   Ed ancora : “I lodevoli propositi del Commissario Prefetto, che nascevano anche in questo caso da una visione municipalistica fondata sul <trentinismo>, non poterono comunque realizzarsi. Il Corpo di Sicurezza Trentino appena costituito venne privato di molte delle garanzie di indipendenza proposte dal de Bertolini. Dopo i primi arruolati volontari, la chiamata avvenne con precettazioni regolari. Circa l’uniforme poi, i tedeschi fecero sapere che era difficile procurarsi quella di tipo italiano e imposero ai giovani trentini quella tedesca. Gli ufficiali e i graduati furono addirittura scelti nell’esercito tedesco Ma il fatto più preoccupante si rivelò subito l’uso che l’autorità tedesca fece del nuovo Corpo. Come si vedrà, i giovani trentini del CST, furono adoperati dalla Gestapo nelle frequenti azioni di rastrellamento dei partigiani. Così la storia del CST si trasformò in una <tragedia nella tragedia>”

 Ed ancora, il giudizio di Vadagnini per spiegare le motivazioni di coloro che scelsero di non aderire coattivamente al C.S.T. : “ Coloro che scelsero di resistere ai tedeschi o cospirando in città o prendendo le armi sulle montagne furono pochi, e questi pochi lo fecero o per motivi ideologici o per una forte esigenza morale o per una profonda passione irredentistica che si ricollegava agli ideali anteriori alla prima guerra mondiale”.

 

Il pensiero del Commissario Prefetto de Bertolini. 

In questi fatidici 45 giorni tra la caduta del Gran Consiglio e la costituzione della Zona Alpenvorland , prende la parola anche colui che avrebbe avuto il difficile compito di guidare la popolazione trentina attraverso la dura prova della guerra e la preparazione “corale” della richiesta dell'autonomia allo Stato centrale. Così scrive de Bertolini :   “L'accentramento risale in vero ad epoca precedente al regime fascista, ma fu accolta naturalmente con entusiasmo dal sistema totalitario e diligentemente allevato. Anche questo è sperpero: anzitutto di energie e poi anche di denaro. L'Italia è una: nessuno meglio dei trentini lo ha appreso quando per lunghi anni ha teso ogni sforzo per unirvisi. Ma l'unità non deve significare trattamento indistinto di condizioni differenti. L'amministrazione dello Stato è un problema di mera praticità. Cose che potrebbero essere esaminate in provincia- il Centro non dovrebbe intervenire che su ricorso degli interessati- vengono trasferite a Roma, dove per necessità manca quella cognizione delle cose che sgorga dal contatto diretto fra autorità e popolazione.La burocrazia provinciale è così, di regola, abbassata al livello di un portacarte. Una Italia nuova, che non ha sopportato il regime dittatoriale, né può d'altronde ritornare semplicemente al passato, perché mentre il mondo cammina gli uomini non possono restare fermi, dovrà certamente ricostruire ab imis, rivedendo in radice le premesse che la sua burocrazia fu portata a considerare come verità rivelate”.

Nel suo articolo l'avvocato de Bertolini si sofferma nella critica alla politica - praticata dal fascismo in Alto Adige per tutta la durata del regime - di gonfiare burocraticamente la provincia per diluire al massimo la presenza degli allogeni ed allo stesso tempo nell’investire a fini politici e di prestigio internazionale, somme ingentissime nell'industrializzazione di una regione in cui non sono presenti risorse naturali atte al funzionamento delle industrie, concetto che egli elabora ulteriormente nell' altro suo articolo, in cui scrive : “ Fu un errore grave del cessato regime fascista- e forse strumento di potere settario - di voler asservire l' economia alla politica, colla conseguenza che questa continuò la sua strada, retta come è da leggi che non tollerano la coercizione, disimpegnandosi alla meglio dalle taglie che le venivano imposte e che ebbero il risultato di rincarare il prodotto”.

 Alle base del suo programma di accentuata regionalizzazione ed omogeneizzazione della popolazione c'era la seguente riflessione sull'ordine sociale : “ L' organizzazione sindacale del lavoro - che del resto non fu invenzione fascista - può esistere anche se l' economia è lasciata libera. Le previdenze sociali sono state da tempo introdotte anche negli Stati che si professano democratici. Vero è che le difficoltà fra capitale e lavoro si lasciano più facilmente vincere con un decreto. E' solo a vedersi per quanto giovi, se non dovesse permanere il dogma dell' autarchia ed i prodotti nazionali dovessero combattere la concorrenza all'interno ed all'estero. Anche tali difficoltà si lasciano moderare con la concordia. La quale deve regnare non solo fra i partiti politici ma anche fra i diversi fattori della produzione. L'operaio è un collaboratore dell'imprenditore, come questi di quello. Il capitale è uno strumento di lavoro. Più ristretto è l'ambiente e più facile riesce di intendersi. Per l'idea che la lotta di classe non sia inevitabile, devono lottare tutti coloro a cui sta a cuore l'avvenire del nostro paese.”

 Cito ancora, e per l'ultima volta, il pensiero del protagonista di questa complessa vicenda sulla necessità di una maggiore omogeneizzazione della popolazione all'interno del Trentino. Scrive de Bertolini : “ La fusione completa degli italiani, giunti a costituire l'Italia da varie provenienze e sotto l' influsso di eventi storici molto diversi, non può essere che il risultato di una evoluzione secolare, dalla quale, è innegabile- siamo ancora molto lontani. E' prevalsa in passato l'idea che vi si potesse arrivare, mescolando a caso tutti i cittadini, i quali viceversa, trasportati altrove, si sono poi trovati disambientati e tali sono stati considerati anche da coloro che li hanno accolti. Non ne seguì certo un vantaggio della organizzazione dello Stato e della perfezione dei servizi. Questo stato di transizione va superato con pazienza. Si obbietta che un programma regionalista ci farà allontanare da questa meta. Ma é un errore, perché uno Stato può essere forte e civile anche se gli atomi dei suoi componenti devono, per fondersi, passare attraverso l'organismo regionale. La regione assurta ad unità compatta ed economicamente forte, legata inoltre da comunanza di interessi colle regioni vicine, pur mantenendo la sua individualità, potrà costituire un elemento dello Stato molto più evoluto e fattivo che non la mescolanza casuale di individui dei quali soltanto sulla carta viene raccontata l'uguaglianza”.

Già dalla lettura di queste poche righe appare chiaro il programma di omogeneizzazione “etnica”e di coesione economica e sociale, (in questo abbastanza simile a quanto esposto sull'analoga vicenda in Alto Adige), seguendo uno schema di tipo patriarcale e comunitaristico, che de Bertolini intendesse realizzare durante i drammatici seicento giorni dell'Alpenvorland.

E grandi furono gli sforzi per attuarlo: basti pensare che il programma di espulsione o di allontanamento di coloro che non erano trentini fu attuato con maggiore rigore rispetto a quanto avvenne con la popolazione italiana in Alto Adige che, se non politicamente sospetta o professionalmente qualificata, poté restare sul territorio altoatesino. Dai numerosi brani citati la figura del de Bertolini emerge con le sue tre componenti :

·         liberale  nel senso ottocentesco del termine e con un alto concetto della legalità che intendeva far rispettare in ogni modoanche per motivi politici;

·          cattolico-patriarcale, ma anche velatamente antiecclesiastico, e quindi in favore di una società tradizionalista che non subisse troppo i traumi della centralizzazione autoritaria  o della modernizzazione capitalista, e doveva rimanere “a misura d' uomo”;

 regionalista e filotedesco (e/o filotirolese) per necessità e per convinzione ed esperienza di vita, visto che la sua generazione (era del 1871) aveva vissuto quasi mezzo secolo sotto l'Austria imperial-regia; era - come Alcide de Gasperi, che apparteneva alla stessa generazione - un Grenzmensch, un uomo del confine che conosceva altrettanto bene le due culture a   cui si sentiva legato per lingua o per esperienza di vita. Scrive de Bertolini da Supramonte in data 30/04/1945 al Consigliere Germanico Heinricher : Anche se la sorte ci é stata avversa, noi siamo stati destinati dalla Provvidenza a vivere da buoni vicini.Perché dovremmo quindi rendere più aspro il nostro avvenire di pace?Perché non dovremmo, nonostante tutte le divergenze poterci stringere cordialmente la mano?Noi che il destino avrebbe chiamato ad un lavoro comune?”

    Non bisogna comunque pensare, (ma anche senza ricadere in un larvato giustificazionismo ad oltranza  come fa la storiografia locale ad esempio nella persona di Armando Vadagnini) o  come fanno alcune correnti di pensiero, ad esempio la direttrice del Museo Storico di Trento Beatrice Rizzi che  accusano in più occasioni  de Bertolini di essere stato unicamente un traditore  della Patria e succube dei tedeschi) a de Bertolini soltanto come ad un docile esecutore degli ordini impartiti dai tedeschi, perché egli lottò accanitamente affinché le ordinanze di questi ultimi danneggiassero il meno possibile la popolazione, come dimostra questa fonte archivistica : “ Per quanto riguarda la restituzione da parte delle autorità germaniche delle licenze di caccia ai cacciatori cui sono state ritirate, mi permetto di ricordare che l’ atteggiamento dell’ opinione pubblica da noi trova il suo nutrimento nella benevolenza ed accondiscendenza del Signor Commissario Supremo e che ciò ha consentito di superare anche dei momenti difficili”da cui si deduce implicitamente una pressione che egli cercava di esercitare nei confronti delle autorità occupanti in favore del maggior benessere possibile della popolazione da lui amministrata. Ciò conduce al difficile discorso storiografico sulle differenze ed analogie tra di loro dei collaborazionisti nell’Europa occupata (il caso di Vidkun Quisling in Norvegia, fiamminghi e valloni, olandesi, il Poglavnik croato Ante Pavelic ed il suo entourage, monsignor Tiso in Slovacchia, la Francia di Vichy, i Paesi Baltici in funzione antisovietica ed antiebraica e la stessa R.S.I etc.) e sulle contropartite concesse dalle autorità occupanti tedesche in cambio della loro collaborazione. La sua adesione personale e non pubblica al nazionalsocialismo, rimane una questione ancora aperta poiché manca una sua valutazione politica esplicita e sincera del regime nazionalsocialista che non é dato trovare nei documenti pubblici (visto l'imperante clima di censura di allora ),e nei suoi scritti a me conosciuti. Per una valutazione più completa della sua figura bisognerà allora attendere che la sua famiglia apra il suo archivio privato agli studiosi. Scrive lo storico Umberto Corsini a proposito del diverso atteggiamento nei confronti dell'occupante nelle differenti generazioni e, implicitamente, di de Bertolini: “ La vecchia classe dirigente compromessasi con il fascismo si fece da parte o, se immune da colpe dirette personali, fu lasciata ai suoi posti di amministrazione. Quella già antifascista, sulla quale gli eventi avevano caricato improvvisamente nuove responsabilità, perseguì il disegno di staticizzare la situazione e di trar fuori il paese dalla guerra e dall'occupazione nazista col minor danno possibile, evitando lo scontro con l'invasore e la guerra civile, fine quest’ultimo raggiungibile solo con l'impedire la ripresa dell'importazione del fascismo, ora repubblicano. Esponenti delle nuove generazioni, invece, giovani e giovanissimi, con l'occhio rivolto ai problemi più vasti e allo scontro in atto fra nazifascismo e democrazie, di tipo occidentale e orientale, anelanti a costruire un futuro di evoluzione dinamica nella dialettica dei partiti, mal si adattavano alla quiete derivante da una politica pragmatistica locale e diedero in conseguenza vita ai movimenti clandestini e di resistenza partigiana

Dal punto di vista del Gauleiter Hofer il compito di de Bertolini era quello di dirigere la popolazione verso finalità che apparivano di proprio interesse. La popolazione avrebbe dovuto lavorare senza opporre resistenza -cosa che abbiamo visto nel documento sopra citato non avvenne mai-, mantenere tranquilla la zona e soprattutto, facendo continuo riferimento all'autonomia dal governo centrale, in quel momento la R.S..I., separare la provincia dal resto del paese. La tattica di separazione del territorio dal contesto italiano si avvaleva di tattiche di tipo psicologico  che facevano leva su alcune specifiche attività sportive e sul loro significato, che implicitamente suggeriva un senso di separatezza dal resto d'Italia e quindi avrebbe dovuto rafforzare l'atteggiamento già filotedesco della popolazione.

 

Il collaborazionismo trentino: motivi e proposte.

Il fenomeno del collaborazionismo trentino durante il periodo dell'occupazione tedesca non é un fenomeno sufficientemente analizzato, ma presenta alcun caratteristiche comuni  - un forte separatismo, un cattolicesimo conservatore e reazionario,  l’esaltazione del ceto contadino in senso antimodernista ed un violento antisemitismo - di altri territori occupati dalla truppe naziste (monsignor Tiso in Slovacchia, Ante Pavelic e gli ustascia antiserbi in Croazia, Petain nella Francia di Vichy, il separatismo fiammingo etc.) che ci permettono di delinearne le caratteristiche.

Il settore della popolazione che più collaborò con i nazisti fu la classe dirigente e conservatrice.

Essa si proponeva di riprendere in mano le redini del potere per “traghettare“ il Trentino nell'area austro-tedesca oppure per garantirne la sopravvivenza fino alla fine della guerra per schierarsi con il vincitore.

A mia conoscenza, non esistono delle fonti documentarie esplicite e programmatiche che testimonino le intenzioni della classe dirigente di portare il Trentino nell'area dominata dal Reich, ma si limitano a documenti in cui la popolazione, di qualunque ceto e condizione professionale, si esprime in favore dell'operato del de Bertolini e si riconosce pienamente nelle autorità del Gauleiter Hofer  e del Reich che egli rappresentava.

Un'analisi che spieghi nei dettagli come la classe dirigente avesse pianificato il distacco del Trentino dal territorio italiano non sarà possibile fino a quando le memorie dei protagonisti, non perverranno agli archivi pubblici. Si tratta in questo caso di una comprensibile sorta di autocensura (molto frequente in questo tipo di ricerche) a posteriori che soltanto il tempo e l'impegno dello studioso potranno forse superare.

In linea di massima si può affermare che le elites intendessero contribuire a staccare il territorio trentino dal resto del Paese per risparmiargli una nuova guerra inevitabilmente combattuta sul suolo patrio, ma anche e soprattutto per riguadagnare un parziale controllo amministrativo sul territorio, una amministrazione locale più efficiente, l’espulsionedi tutti i “forestieri” che si erano installati nella regione, ed il riorientamento della propria produzione industriale ed agricola verso i mercati  dell'Europa centrale e orientale, dominati dal Reich.  Nell'ambito dell'Alpenvorland esse intendevano conservare e  tutelare  uno stile di vita rurale  tradizionale    che il fascismo aveva profondamente sconvolto con il suo attacco alla Chiesa cattolica ed alle sue istituzioni, in particolare alle cooperative agricole cattoliche. A parte la notevole eccezione del conte Giannantonio Mancila nobiltà trentina ed altoatesina di lingua italiana, si schierò dalla parte del Reich perché ne condivideva la sostanziale idea di gerarchia sociale, anche se non  concepita  staticamente, come sappiamo, e di restaurazione di un ordine tirolese-austriaco. Scrive in proposito la scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti : Tuttavia non fece presa su di noi questo fascismo, non con i contadini e non con i signori, gli uni e gli altri ancora legati ai vecchi sistemi della monarchia; attecchì solo solo qua e là, con qualche elemento da poco che sperava di guadagnare dalla confusione e dal malgoverno instaurato nella provincia, un tempo assai austera. Quando, senza che ce accorgessimo , il Trentino si trasformò nello spazio di una notte in Alpenvorland, specie di colonia tedesca, un possedimento speciale di Hitler che nei piani doveva finire incamerato alla Germania, ci furono parecchie famiglie di signori, di Bolzano e di Merano, ma anche alcune di Trento, di Borgo e di Pergine, che si rallegrarono dell' avvenimento, mettendosi dalla parte dei tedeschi senza capire che era un inganno. Dopo venti anni di fascismo si aspettavano più dalla Germania che dall' Italia, e il Gauleiter fece loro credere- forse lui stesso ne era un pò convinto- che sarebbe tornato a regnare il vecchio ordine austriaco  od anche, ma con dei presupposti politici diversi, perché ne approvava l’alleanza e l’anticomunismo che era alla base del legame tra le due nazioni ideologicamente affini come messo in evidenza dal seguente documento: “Ancora una volta prego Voi e per Vostra cortesia l' Eccellenza Vostro Signor Ambasciatore di voler far cessare questo non solo illegale ma addirittura delittuoso trattamento continuato(ormai dal 4 agosto c.a.), fatto proprio a me, che sono stato uno dei più convinti sostenitori della necessità dell' alleanza italo-germanica e della fedeltà alla stessa.Mi permetto infine di aggiungere che la mia famiglia ha fatto e fa tutto il suo dovere militare in questa guerra a fianco delle forze germaniche:un nipote, dott. Bruno Conte Dudan, Capitano di Artiglieria, é morto a Zara nel febbraio a. c.; l' altro nipote mio, dott. Antonio Conte Dudan, Seniore della Milizia Contraerea, combatte ancor oggi a Zara assieme coi Vostri soldati; mio fratello Remigio divide i pericoli di questo momento con i Vostri soldati a Spalato, circondata dai partigiani bolscevichi”

In Trentino il fascismo (seppure con la sua corruzione ed inefficienza e la sua pretesa totalitaria di controllo delle persone), aveva costituito un chiaro attacco al potere e all'influenza della classe dominante (Chiesa cattolica, nobiltà, professionisti) insidiandone la tradizionale  funzione sociale di controllo della popolazione, ed inducendo quindi parte di essa (ma non le alte gerarchie della Chiesa cattolica trentina e nemmeno i semplici parroci come testimoniato da questo documento) : “E' pervenuta la notizia alle nostre levatrici italiane, che a Lipsia in Germania sarebbero pronte per entrare in servizio nell' Alto Adige sedici nuove levatrici diplomate, tutte donne dell' Alto Adige, che hanno fatto il loro corso di studio e formazione a Lipsia in Germania. Ho creduto opportuno di informare tanto la curia di Bressanone quanto quella di Trento. E' evidente che queste nuove levatrici hanno bisogno di completare ancora la loro promozione con un breve corso di istruzione religiosa morale. Di sicuro non hanno sentito nulla dell' amministrazione del battesimo in tutti i casi che possono succedere( anche battesimo sotto condizione in utero matris etc). Forse non hanno imbevuto delle idee esatte sulla natura del feto e sull'anima immortale del bambino e sul dovere di conservare la vita anche dei bambini non del tutto sani o normali.Insomma possono avere idee sbagliate in punti importanti”a schierarsi dalla parte degli occupanti, in modo da recuperare almeno in parte il potere gestionale e amministrativo che deteneva prima dell'avvento del fascismo.

Paradossalmente si può affermare che nell'ambito regionale furono proprio le elites conservatrici ad essere duramente colpite e spiazzate dai regimi totalitari. Mentre in Alto Adige a partire dal 1939, in occasione delle opzioni, esse furono gradualmente sostituite dai nuovi centri di potere instaurati dai nazisti,che le fecero passare all'opposizione del regime, in Trentino esse non dovettero affrontare un tale afflusso di organizzazioni propagandistiche naziste che tendevano ad organizzare ogni singolo aspetto della vita del cittadino, come abbiamo visto nel caso dell’Alto Adige, e quindi poterono conservare un certa margine d’azione all’interno della provincia.

 

La crisi dell’identità regionale

La volontà di riprendere almeno parzialmente nelle proprie mani l'amministrazione regionale ed il controllo dell’economia fu uno dei motivi principali che spinsero la generalità della popolazione a collaborare con l'invasore. Si trattava sostanzialmente di un rapporto di subordinazione rispetto all'occupante, nel settore amministrativo come anche in quello economico, che dette loro l’illusione   che il potere fosse tornato in mani trentine.

Anche in Trentino, sebbene come abbiamo visto il Gauleiter imponeva il controllo commissariale delle aziende, la popolazione sentiva il bisogno di   “ sentirsi padrone a casa propria”, e la recente immigrazione di popolazione dalle province finitime e dal Meridione provocò una sorta di rigetto che troveremo chiaramente espressa nei programmi spiccatamente autonomisti del C.I.T (Comitato Indipendentista Trentino), che saranno repressi, seppure non duramente, dallo stesso Gauleiter Hofer perché postulavano l'idea di un Trentino indipendente sia dalla Germania che dall'Italia. Di ciò parleremo più approfonditamente nei paragrafi successivi.

 

La povertà delle popolazioni contadine trentine e la responsabilità della classe politica.

Seppure non mancasse l'odio nei confronti del regime nazista, la povertà ed il desiderio di tranquillità possono essere annoverati tra i maggiori fattori che contribuirono all’apatia delle popolazioni trentine.

Al centro di questa problematica vi è forse una causa molto più antica, quella stessa che ritroviamo negli anni successivi all’unificazione del Paese stesso, quando l'indifferenza e l'ostilità dei contadini meridionali sfociarono in una serie di sanguinosi disordini e in una violenta repressione da parte dell'esercito sabaudo. Scrive in proposito il poeta Giacomo Noventa : “Ma la causa della Resistenza era molto più profonda ed il nemico contro il quale la Resistenza popolare italiana combatteva non era soltanto l'ultimo fascismo e l'ultimo nazismo, ma l'indifferenza popolare italiana dal Risorgimento in qua. Il pericolo contro il quale la Resistenza popolare combatteva non era soltanto la decadenza delle classi politiche e di una parte della società italiana da Giolitti in poi, ma il pericolo più grande che una decadenza più antica, la decadenza di quelle classi da Cavour in poi, rappresentava per  tutta la Nazione.

Se questo discorso poteva essere in una qualche misura essere valido per l'Italia, a maggior ragione lo era per descrivere la situazione del Trentino, unito al resto dell'Italia soltanto da un quarto di secolo in cui aveva conosciuto solo il suo volto antidemocratico, poiché la Marcia su Roma aveva preso le sue mosse proprio dalle regione tridentina.

Per questa popolazione martoriata che era passata dal giogo straniero alla dittatura fascista, si può parlare senza tema d’errore di “ memorie divise” per sottolineare il fatto che in alcuni settori della popolazione trentina esisteva un'accettazione, se non addirittura una  devozione nei confronti della monarchia danubiana ed allo stesso tempo un mescolamento secolare delle etnie e delle culture che  fecero in modo che questo brusco trapasso di poteri dall'Austria all'Italia, a cui seguì lo spostamento spesso arbitrario di alcune località da una provincia all'altra ( ad esempio Cortina d'Ampezzo, Colle S. Lucia e Livinnallongo che dalla Provincia di Bolzano furono attribuite alla provincia di Belluno)   lasciasse perplessa e insoddisfatta una parte della popolazione come dimostra questo documento :   “Landwacht Posten Cortina Hayden 20/11/1944. Al comando della Sicherheitspolizei-Aussenstelle Cortina -Hayden. I sottofirmati uomini della Landwacht di Cortina -Hayden pregano codesto Comando per potere ottenere un agevolamento circa il loro richiamo con la contraerea di Trento. Si prega di volere tenere presente che detti uomini appartenevano in primo tempo alla S. O. D, e cioé dal 20/09/1943 fino al loro richiamo con la Schutzpolize i(Battaglione Deferegger di S. Candido), richiamo che ha avuto una durata di giorni 20, con lo scopo di impiegare i sottonotati quali guardie del Corpo, per l' incaricato la Prefettura di Belluno, Dr. Lauer, e che poi, per motivi a loro sconosciuti vennero esonerati e richiamati per ordine del maggiore Witzmann quali guardie fisse nella Landwacht, e che da allora fino al presente hanno svolto regolare servizio, sia come guardia, ed anche impiegati in azioni di rastrellamento contro bande partigiane. Presentemente gli uomini ricevono la cartolina precetto di presentarsi a Trento il giorno 24/11/1944 assieme al numero di 50 italiani. E' provato che gli ampezzani hanno sentimenti molto contrari agli italiani, e che una comunità assieme a loro sarebbe impossibile, chiedono perciò di potere essere arruolati assieme agli altri ampezzani al corpo dei Landschützen. Bataillon di Gossensass” ,anche a causa del comportamento vessatorio che coloro che avevano combattuto in campo avverso dovettero subire da parte dell'Italia.

Scrive ancora Vadagnini : “Ma anche l'unione del Trentino all' Italia era avvenuta in maniera piuttosto sofferta, non certo sulla spinta di una larga partecipazione di massa, come hanno messo in luce i recenti studi storici. Dopo il 1918, i tiepidi consensi del mondo trentino al nuovo Stato italiano si tramutarono ben presto in disaffezione e, in molti casi, in ostilità, allorché la provincia si trovò amministrata, per un certo periodo, dai militari e da un governatore di nomina centrale, circondato dalla fama di anticlericale, se non addirittura di massone. Centralismo statale, diffidenza verso le richieste d' autonomia, occupazione militare, episodi di inefficienza amministrativa, furono tutti elementi che giocarono sfavorevolmente nell' impresa di far accettare ai trentini, con convinzione e coscienza,il ritorno della loro terra all'Italia, per cui si erano battuti eroicamente molti giovani, anche affrontando la morte, come era accaduto a Cesare Battisti”.

In conclusione è opportuno ricordare come sia estremamente importante valutare questi avvenimenti nell'ambito del contesto storico in cui essi si svolsero, prescindendo da ogni valutazione astratta dei fatti. Scrive in proposito l’esponente comunista Andrea Mascagni : “Ribadisco con forza la necessità di fondare su basi storico-culturali-ambientali ogni ricerca, ogni valutazione degli aspetti e dei significati emergenti della Resistenza trentina. Non è possibile, non è producente esaminare situazioni e vicende profondamente radicate in specifici contesti storici, con metri di giudizio generali e di fatto generici

E’ esemplare la posizione di Mascagni che resta di comprensione storica degli avvenimenti ma non diviene per questo giustificatoria del comportamento di una parte importante della classe dirigente trentina : “Ma in relazione a quanto mi sono adoperato di dire in queste brevi note, appare evidente la forte incidenza durante l'intero periodo della Resistenza di una visione restrittiva e riduttiva- diciamo pure: trentinistica - che ha orientato e guidato numerosi esponenti della politica, dell'intellighenzia trentina, nella ricerca di un ruolo da assumere rispetto agli eventi di quella portata

La diffidenza che le popolazioni contadine, in particolare quelle che vivevano nelle zone di montagna, sentivano nei confronti del movimento insurrezionale si deve naturalmente anche alla povertà ed al conseguente sentimento di precarietà esistenziale in cui versavano, come viene ben spiegato nel libro di Isabella Bossi Fedrigotti : “ Quella povera gente di cui non si ha idea guardando la serena foto di guerra; ma basterebbe oltrepassare di poco i suoi confini di carta per trovare la miseria, specialmente in montagna, tra i paesi neri fatti di poche case sbilenche, con il poggiolo di legno sgangherato dove in genere si appendono a seccare le pannocchie ( ma in quegli anni non c' era appeso niente); tra gli stretti campi, non più a vigna perché è troppo alto, ma a orto, a patate o a erba, arrampicati a scalini dietro le case”.

L'apatia della popolazione trentina fu da ricondurre a fattori culturali, storici, geografici ed economici che nel loro insieme causarono una risposta “tiepida” all’occupazione tedesca. E’ importante notare che l’atteggiamento della popolazione nel suo complesso non fu affatto univoco, e che non sia possibile ricondurlo a fattori monocausali predeterminati.

Illuminante a questo proposito è il diario di Fortunato Favai, ladino di Livinallongo paese in cui, insieme ad altri comuni germanofoni trentini, vennero applicati i problematici, dal punto di vista dell’ applicazione pratica, Accordi del 1939 tra Italia e Germania sulle opzioni. Scrive la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissariato per la Migrazione e la Colonizzazione: “Bolzano 23/12/1941.Al Podestà di Luserna. Oggetto : Nicolussi Stefano di Stefano e Gasperi Dorotea, nato a Luserna l/10/1909 residente in Germania. Questa Delegazione é in possesso della domanda di acquisto della cittadinanza germanica sottoscritta dalla persona in oggetto, che é risultata di origine e lingua contestata. Al fine di potere stabilire se l' interessato abbia diritto, o meno, all' opzione( come originario dei territori degli accordi italo-tedeschi), si prega di voler cortesemente far conoscere se i suoi genitori, nonché i nonni paterni e materni, siano nati nei territori di cui sopra é cenno. Il Capo della Delegazione (Dott. Mario Craveri)

Scrive quindi nel suo diario Favai :“Tutto questo rimestaglio di cose provocava un fermento di malcontento e di inquietudine in paese e sembrava infatti il preannuncio di cose più gravi. La mentalità della popolazione paesana era diversa. Una parte gli optanti per la Germania, parteggiava tenacemente per i tedeschi, gli altri, gli anziani di mentalità ancora austriaca, non parteggiavano né per questo né per quello, avversi all'azione tedesca e avversi a quella italiana, ottimi ladini, fodomi, ma senza patria possiamo dire s' aggiravano nel caos degli avvenimenti senza saper pronunciarsi ed affermare brevemente la loro reale opinione politica. Questi ultimi, nemici innanzi tutto della guerra, erano tendenti ad una prossima pace, che ne avesse ristabilito l'antico regime pacifico di vita, operosa e sana”.

 

I movimenti autonomisti ed il CIT- Comitato Indipendentista Trentino

In un’intervista concessa nel 1957, Cadonna, fondatore del movimento CIT (Comitato Indipendentista Trentino) racconta quali fossero stati gli elementi costitutivi del CIT.

Così si esprime Cadonna: “ Il CIT era sorto come movimento giovanile, che voleva reagire alla situazione del momento; essa era determinata dai seguenti fatti:1) La Venezia Tridentina, regione mistilingue(provincia tedesca, provincia di Trento italiana)era profondamente divisa, all' epoca dell' occupazione tedesca, tra due tendenze;quella filo tedesca (pantedesca) nell'Alto Adige (persecuzione agli italiani etc.), quella autonomistica, nettamente antitedesca nel Trentino, ma anche in un certo senso anche antitaliana (concependo questo termine come anticentralista, antifascista) :infatti il volto dell' Italia  che il Trentino aveva conosciuto era stato solo quello del fascismo .2)Nel Trentino era vivo il rimpianto per l'amministrazione oculata, semplice, razionale, di tipo ex austriaco,   in contrapposto a quella instaurata dall' Italia fascista (burocrazia elefantiaca, parzialmente corrotta, impreparata). 3)Il problema del punto 2 era aggravato dalla presenza di funzionari meridionali fannulloni ed ignoranti: la cosiddetta invasione terrona, che faceva stridente contrasto con la tradizionale probità, semplicità e gradi di istruzione della gente trentina. 4)Con l' Alto Adige, pur permanendo gravi motivi di dissenso con gli allogeni, solo ai trentini era possibile un terreno d'intesa, specialmente in considerazione dei comuni interessi economici ( prodotti agricoli, turismo, etc) e del carattere tradizionale della gente di montagna( sano, dignitoso, leale). 5)In campo politico, sia il fascismo era poco penetrato nella coscienza popolare e stava crollando, sia il nazismo in Alto Adige, pur esaltando le posizioni nazionalistiche, non aveva una grande presa. Il concetto di indipendenza territoriale era sinonimo di autonomia integrale, cioé della costituzione di una specie di zona, autonoma completamente, che costituisse in un domani il ponte di accordo non solo fra trentini e altoatesini, ma fra i popoli italiano e tedesco. Come e qualmente questa forma di integralismo autonomista si dovesse esplicare, era rimesso al dopo

Appare evidente nell’intervista il chiaro rifiuto dell'immigrazione di massa indotta dal fascismo, ma allo stesso tempo il fatto che l'autonomia tout court sia dall'Italia che dalla Germania rappresentasse un progetto in definitiva irrealizzabile già all’epoca dei fatti se si considera il fatto che il Tribunale Speciale di Bolzano comminò a Cadonna  una condanna abbastanza lieve motivandola con le seguenti parole: “Il Tribunale Speciale si rifiuta di prendere in considerazione l' ipotesi che il sano buon senso popolare ritenga   commisurata la comminazione della pena di morte contro l' imputato Giuseppe Cadonna alla particolare gravità del reato da lui commesso. Cadonna all'epoca del reato contestatogli era ancora un 19 enne, e a questa età non si é ancora raggiunta una sufficiente maturità politica. Il suo piano di costituire uno stato indipendente costituito di alcune centinaia di migliaia di persone non può essere preso in considerazione nell’attuale sviluppo degli Stati nel corso del XX secolo. Tutte le personalità di rilievo che hanno avuto occasione di incontrare Cadonna concordano con questo giudizio”

 

La Chiesa trentina ed i suoi rapporti con il regime fascista

La Chiesa sotto l' episcopato del vescovo di Trento, Celestino Endici  (1904-1940), condurrà una durissima lotta contro il regime fascista, sentito come estraneo e prevaricatore da parte della maggioranza della popolazione trentina e dallo stesso clero. Diverse volte il vescovo Endrici si dimostrò assolutamente insensibile alla statolatria e agli appelli bellicisti delle autorità fasciste giungendo allo scontro aperto con espliciti richiami da parte delle stesse autorità a perorare di fronte alla popolazione le avventure belliche fasciste in Etiopia ed in Jugoslavia.

Così scrive il prefetto fascista Foschi a Don Giulio Delugan, direttore del periodico cattolico “Vita Trentina” in data 23/04/1941 :

“Considerato che nonostante la formale diffida inflitta al Direttore del locale settimanale << Vita Trentina>>, Mons. Giulio Delugan, con provvedimento 31 marzo 1941-XIX n° 2748 Gab, notificato in data 7 aprile corrente anno, il predetto periodico ha mantenuto il suo atteggiamento di voluta indifferenza per tutto ciò che riguarda l' interesse supremo della Nazione tanto che, come ha rilevato anche il Ministero della Cultura Popolare, nel n° 15 di detto settimanale mentre viene deplorato la mancanza di assistenza religiosa ai soldati, rilievo evidentemente falso e tendenzioso, non viene riportata alcuna parola di commento per la riconquista di Derna e per la dichiarazione di guerra alla Jugoslavia da parte dell' Italia e della Germania; Considerato inoltre che nel n° 16 del ripetuto periodico non viene dato alcun rilievo alle brillantissime azioni delle Forze Armate dell' Asse nei Balcani e alla fulminea riconquista di importantissime posizioni in Cirenaica da parte delle nostre truppe in unione a quelle alleate; Visto l' art.2 del R. D. L. 15 luglio 1923 n° 3288 convertito nella legge 31 dicembre 1925 n° 2309 e sentito il parere della Commissione di cui al penultimo capoverso di detto articolo 2 : DIFFIDA PER LA SECONDA VOLTA il Rev. Mons.Don Giulio Delugan, Direttore responsabile del settimanale <<Vita Trentina>> ai sensi e per gli effetti dell' art. 2 del R.D.L. 15 luglio 1923 n° 3288 convertito nella legge precitata.

Trento, 23aprile 1941-XIX

Il Prefetto Foschi“

Ecco un altro documento a riprova dell' irriducibile opposizione che la Chiesa trentina esprimeva nei confronti della guerra proveniente dall'Archivio diocesano di Trento che Giuseppe Quaresima indirizza al vescovo Carlo De Ferrari) :

Altezza Reverendissima, vi prego di scusarmi, se Vi rubo un momento di tempo. Forse Voi stesso desidererete sapere quanto sto per dirVi. Si tratta di cinque capi d'accusa, che cercherò di riprodurre brevemente e come mi riuscirà, per Vostra conoscenza. Li sentii e li lessi due giorni fa ai 5  di gennaio) presso questo commissariato di P.S., dove venni chiamato precisamente per rispondere ad essi. Questo interrogatorio durò la bellezza di due ore e un quarto. Era venuto per lo scopo il Commissario Capo della R. Questura di Trento, quale Delegato del Signor Questore della Provincia.

Ecco i capi d' accusa :

1)  Io avrei usato nelle mie prediche frasi ironiche all' indirizzo dei pubblici poteri della nazione.

2)          In una predica del 27 settembre 1942 ( e di questo già Ve ne feci parola) ho parlato dell' universalità della carità e detto che il S. Padre, Capo di tutto il mondo cattolico, sarebbe utilmente ascoltato quando parla al microfono. In questa predica avrei detto che Egli sarebbe una specie  di comunista e che la carità cristiana abolisce le frontiere;

3)          In altra predica avrei addirittura chiamati scemi i capi  responsabili della guerra.

4)          In particolare venivo attaccato per la pubblicazione dell' articolo di fondo del Bollettino Parrocchiale n° 12 , 1942.......

Altre cose simili a queste mi venivano addebitate, che non riesco a ricordare.

Se permettete, ecco quanto Vi posso riferire in materia :

Ad I) Respingo nella forma più categorica che io abbia ironizzato a carico dei superiori e ciò per rispetto alla parola di Dio e alla dottrina cristiana, che spero di professare in pieno, circa l' ossequio dovuto alle pubbliche autorità.

AD II) non ho nulla da smentire, né da ritirare circa quanto predicai sulla carità e sul rispetto dovuto a tutti i popoli .Solo aggiungo che nella stessa predica tenni ad osservare che, naturalmente, la prima carità deve essere rivolta verso la nostra grande famiglia morale, che è la nostra patria.

AD III) Respingo nella forma più forte l' accusa d'aver tacciato da scemi i responsabili della guerra. Ho detto invece che molte volte essi stessi sono incapaci di dominare delle situazioni gigantesche forse da essi stessi provocate, e che è nostro dovere invocare su di loro i lumi del cielo perché possano ottenere il vero bene dei loro sudditi”.

La Chiesa trentina si era mostrata ostile alla pretesa fascista di controllare le cooperative agricole cattoliche e soprattutto a quella di ottenere il monopolio dell'educazione giovanile che intendeva tenere per sé. Ma al di là di questo scontro dovuto ai diversi interessi tra le due istituzioni, la Chiesa trentina non intendeva in alcun modo avallare la propaganda fascista bellicista e razzista che cercava il suo “spazio vitale” in Etiopia e nella stessa Europa, manifestando l'esplicito razzismo che era alla sua base nello stabilire una gerarchia delle razze e delle civiltà. Tale ideologia incontrava l'esplicita disapprovazione della Chiesa trentina che non intendeva permettere al Regime di forgiare “un nuovo italiano“ alieno dal contatto con le tradizioni della sua terra natia e delle sua tradizioni culturali cattoliche.

Alla morte del vescovo Endrici, conservatore ed allo stesso tempo fortemente antifascista, divenne vescovo di Trento il cardinale Carlo De Ferrari, più ossequiente ai desiderata del regime fino a divenirne esplicitamente un sostenitore, ma il cui atteggiamento non incontrò mai l'approvazione del clero trentino che pure egli rappresentava.

Ecco come lo storico della Chiesa Sergio Benvenuti ricorda l'atteggiamento del vescovo nei confronti del fascismo all'atto del suo insediamento nell'aprile del 1941 :

Per ultimo l' arcivescovo inviava la sua benedizione a tutte le autorità civili, politiche e militari alle quali assicurava << franca e leale corrispondenza di rapporti e apporti>>, e concludeva : <<All' ombra così del <<brando>> che l’Italia, in questa epica era, ha sfoderato per un più giusto assetto del mondo, alla luce inestinguibile della <<fiaccola>> che irradia dai nostri altari, ascendiamo ancor noi, con Vate italico per l' erta fatale di un sovrumano destino, avviandoci fidenti e compatti per nuovo cammino sotto il manto materno della Vergine Immacolata>>. Gli appelli alla disciplina, il concetto di autorità di tipo dittatoriale e l'accostamento di sacro e profano, di <<fiaccola>> e di <<brando>>, che ricorreranno con frequenza anche in seguito nei discorsi dell' arcivescovo, vennero allora riprovati dall' opinione pubblica trentina“.

Appare evidente nella citazione la piena adesione del vescovo de Ferrari all'ideologia fascista, anche nell'uso di termini quali “sovrumano destino“ che ricordano molto da vicino l'ideologia dannunziana del superomismo e in generale del regime fascista.

La nomina del vescovo de Ferrari era avvenuta in relativa concordia tra le gerarchie vaticane ed il regime fascista, del quale il Vaticano apprezzava il senso dell'ordine e della gerarchia e il fervente antibolscevismo, ma non necessariamente la pretesa di essere l'unico depositario dell'educazione giovanile. In Trentino invece la maggior parte del clero continuava ad avversare in modo più aperto il regime a causa di alcuni suoi atteggiamenti paganeggianti (l'esaltazione delle virtù guerriere del popolo, la “difesa della razza“, il culto del corpo nei saggi ginnici), non solo fra il clero minuto, ma anche in esponenti di spicco della Chiesa locale come mons. Delugan e mons. Rauzi che in nome dello spiritualismo cristiano si opponevano alla concezione fascista dello “Stato etico“ e della concezione del cittadino in funzione dello Stato.

 

Il ruolo della Chiesa e del Vescovo De Ferrari

Come abbiamo avuto modo di vedere sopra, dopo il 25 luglio 1943 il vescovo De Ferrari cambiò, come molti italiani,  il suo atteggiamento nei confronti  del fascismo.

All'atto della proclamazione della Zona d'Operazione Alpenvorland egli adottò un atteggiamento prudente  che mirava ad evitare ogni scontro ideologico diretto con i tedeschi, anche se in alcuni casi specifici egli non tralasciò di protestare presso il Commissario Supremo Hofer . Tra i motivi delle sue lamentele la soppressione del Foglio Diocesano da parte del Commissario Supremo a causa della pubblicazione sullo stesso della “Notificazione” della Conferenza Triveneta del 20/04/1944 in cui si attaccavano violentemente alcuni settori della Chiesa che sulla  rivista  “Crociata Italica“   avevano spalleggiato la guerra condotta dalle autorità fasciste della Repubblica Sociale, contravvenendo  al dovere religioso di deprecare la guerra in ogni sua forma od almeno di astenersi dal fare commenti in quanto decisione puramente politica e quindi al di fuori delle competenze ecclesiastiche.

Scrive De Ferrari al Commissario Supremo Hofer :   “ Mi sia permesso esprimervi francamente la mia spiacevole sorpresa per l' avvenuta sospensione del Foglio Diocesano, organo ufficiale di questa Curia Arcivescovile, e più ancora per la proibizione che la seguì di una mia lettera Pastorale al Clero di argomento strettamente ecclesiastico. Si ritiene che ciò sia dovuto alla pubblicazione che dovemmo fare sul Foglio Diocesano della <<Notificazione>> emanata dalla Conferenza Episcopale Triveneta, il che stupisce non poco specialmente dopo le esaurienti e leali spiegazioni date in merito dalla Curia sia alla Prefettura che alla Polizia di Trento. Non si capisce d'altronde perché di sedici diocesi, solo quella di Trento sia stata colpita da un provvedimento che contrasta oltre con i diritti inviolabili del ministero episcopale, colle stesse vigenti leggi concordatarie. Voglio pertanto sperare dal Vostro equanime senso di comprensione che venga tolto il divieto di cui sopra, perché quanto prima io possa riprendere il necessario contatto col mio Clero, nella vastissima Archidiocesi che abbraccia due Province, a tutela di interessi che sono principalmente, ma non esclusivamente di ordine spirituale. Trento 16/08/1944”.

Si noti il non casuale riferimento da parte del vescovo alla validità del Concordato firmato dalla Chiesa con lo Stato italiano.

L'atteggiamento di De Ferrari nei confronti della popolazione fu invece improntato alla massima prudenza; egli volle apparire nella veste di pastore dell'intera comunità come testimonia un appello della Vigilia del Natale 1943 in cui pronuncia l’esortazione a “ proseguire sulla giusta via nella fede dei Padri che si tempra alle prove nella austera disciplina che é obbedienza alle Autorità e alle leggi, per giungere così alla carità che é amor patrio e amore ai fratelli, secondo l'insegnamento di Paolo“ ed ancora “ e idee possono essere diverse nel terribile sconvolgimento dell' ora particolarmente delicato, anche contrastanti ed opposte, ma i cuori devono avere un palpito solo, le volontà un solo obiettivo: salvarci dalla catastrofe oggi; ricostruire, domani. A nessuno sia permesso monopolizzare quell'amore della Patria che é grande in tutti e che non si può dimostrare se non amandoci tra noi . Il resto é retorica di cui se n' é fatta fin troppa.

L'alto prelato cercò di mitigare in ogni modo i terribili effetti della guerra indirizzando alcune proposte al Commissario Supremo, affinché il lavoro obbligatorio risparmiasse almeno in parte la popolazione femminile: “Da qualche tempo si accentua nella popolazione l'angosciosa contrarietà per l'allontanamento dal paese e dalla famiglia imposto d'autorità alle donne e giovani reclutate per i lavori. Si comprendono le esigenze belliche che impongono il lavoro, ma ragioni ovvie di assoluta convenienza sotto rapporti ideali e morali, dovrebbero indurre a limitare tale obbligo per la parte femminile al luogo dove si trovano, tanto più che, assenti già gli uomini, bisogna pure che qualcuno rimanga per i lavori domestici e dei campi. Faccio appello pertanto alla Vostra alta Autorità perché voglia sospendere questi espatri di donne e ragazze o per lo meno a togliere loro l'obbligatorietà. Posso assicurare che tale provvedimento verrebbe accolto assai favorevolmente da questa popolazione che francamente col suo contegno mi sembra meriti ogni benevola considerazione. Con distinto ossequio. 1 giugno 1944  De Ferrari

La strategia del vescovo si esplicò nella richiesta al Commissario Supremo di misure atte a mitigare i terribili effetti della guerra e nello stesso tempo nel pregare la popolazione di mantenere unità e concordia al suo interno, non permettendo che la moralità avesse a soffrire le conseguenza della guerra :“Non é certo bestemmiando e ballando che ci si dispone a meritare da Dio un misericordioso intervento per tante pubbliche e private calamità“.

E’ evidente che il vescovo attribuiva alla Chiesa trentina un ruolo centrale, capace di mitigare la ferocia della guerra, di proteggere la popolazione dall’efferata ideologia del Reich e dalla sua dottrina eugenetica ed allo stesso tempo di preservare l’integrità del territorio evitando la snazionalizzazione:“ Fiduciosi di ottenere questa grazia che umilmente domandiamo noi, Autorità e popolo, come espressione della nostra gratitudine promettiamo solennemente una vita veramente cristiana nella fede e nei costumi in una perfetta sommissione alla Chiesa, nostra madre ed SS. Pontefice Vostro Vicario in terra, ed inoltre l’erezione in questa Chiesa arcipretale di un organo liturgico degno della maestà del tempio e del solenne profumo dei sacri riti” come del resto confermato dallo storico Vadagnini che scrive : “ Quello che stava più a cuore al vescovo era la difesa delle popolazioni e la tutela delle istituzioni ecclesiastiche, con particolare riferimento al regolare svolgimento delle pratiche religiose. Stando alle su dichiarazioni, solo una in una frequente e convinta partecipazione alla liturgia religiosa la popolazione cristiana avrebbe potuto conservare la sua unità, come pure un' identità sociale e culturale, continuamente sottoposta a minacce di disgregazione, anche per mano del Commissario Supremo Franz Hofer, che specie in Alto Adige aveva assunto posizioni non certo favorevoli alla Chiesa.

 

La “canonica di guerra”.

Il ruolo fondamentale della Chiesa cattolica durante il periodo d’occupazione non può essere sintetizzato solo nella posizione del suo Vescovo, ma si espresse al suo meglio nell’azione dei tanti sacerdoti trentini che si prodigarono nella protezione e nel conforto della popolazione civile e nel tentativo di salvare i partigiani trentini ed altoatesini dalla fucilazione. Ecco la testimonianza di Don Nicolli, un sacerdote che intervenne incessantemente presso le autorità tedesche nel tentativo di salvare alcuni di coloro che dovevano essere passati per le armi. Scrive nel suo diario : “ Entrarono in azione le formazioni di partigiani in Val d'Astico e vennero arrestati con le armi alla mano i partigiani Luigi Dal Santo, Leone De Biasi, Luigi Organo, Giuseppe Beccaro e Francesco Ruaro. Condotti a Trento, vennero giudicati dal Tribunale speciale di Bolzano per l'esecuzione della sentenza. Comincia subito la mia opera delicata e pericolosa per salvare la vita ad almeno qualcuno dei cinque. Mi presentai al Ministero della Giustizia, presso l’Istituto delle Marcelline, portando per ciascuno la domanda di grazia ed implorando clemenza. Risposta secca che chiudeva la gola e gelava il sangue. Chiede l' ufficiale tedesco << Quale interesse personale ha Lei di intervenire per quei briganti........ sono dei banditi......>>.  Risponde Don Nicolli << Sono il loro parroco, rappresento la mamma lontana, il babbo e i familiari, tutti in apprensione per la loro vita>> .Risponde l' ufficiale tedesco<< Sono dei malandrini, sorpresi nei boschi a razziare con armi alla mano, e non meritano pietà>>Risponde Don Nicolli:<< Sono giovani senza esperienza, portati lì chissà da quali circostanze, sono dei minorenni>>.<<Insomma esamineremo la loro posizione e poi si vedrà>>

Quando le argomentazioni umanitarie in favore dei condannati a morte non si dimostravano sufficienti, Don Nicolli faceva presente che la fucilazione di prigionieri di nazionalità italiana in base al codice militare di guerra tedesco non era ammessa dal diritto internazionale di guerra: “Aggiungo poi che la condanna non era fondata su basi giuridiche del tutto solide, dato che si tratta di cittadini italiani, condannati in base alla legge germanica in territorio non annesso al Reich. Poi trattandosi di legge di guerra sarebbe bene usare indulgenza

Anche i conventi svolsero un ruolo fondamentale nell'aiuto e nel conforto delle popolazioni civili nei momenti più drammatici della guerra, che  aumentò di intensità a partire dai primi mesi del 1944.

Nella cronaca del convento di Cavalese troviamo scritto:  “Il Convento si prestò e venne usato come deposito per la raccolta di generi, indumenti e denaro sia per i sinistrati sia per gli internati politici nei Campi di concentramento, nonostante la continua sorveglianza delle terribili SS naziste, e dopo l'armistizio divenne il luogo di ristoro per gli internati politici e per i prigionieri di guerra che ritornavano dalla Germania e dalla Russia”.

Oltre al compito umanitario, il clero svolse un’importante azione di intermediazione tra le diverse componenti politiche della popolazione e tra tedeschi e partigiani.

 “Nella mia canonica- ricorda l'allora parroco di Cloz- si rifugiò di frequente Danilo Paris, che guidava un gruppo di partigiani nella zona vicina, mentre per un anno e mezzo ho tenuto nascosto un ebreo e negli ultimi mesi tre russi che fuggivano dal campo di concentramento. A questo però devo aggiungere che negli ultimi giorni della guerra, quando i tedeschi già scappavano, vi furono delle persone- viste peraltro molto di malocchio dalla popolazione- che cercarono di disarmarli e allora ho dovuto intervenire per calmare le acque. Sempre nello stesso periodo trovò rifugio nella mia canonica il sig. R., una persona stimata, che non aveva mai fatto del male a nessuno, ma che negli anni precedenti era stato fascista. I partigiani lo cercavano per farlo fuori.“

Fondamentale fu il ruolo che il clero minuto giocò nel proteggere la popolazione dagli eccessi dei partigiani. Scrive don Franco Demarchi “ I partigiani si erano alienate le simpatie della popolazione per le loro ruberie e perché insidiavano le donne. Inoltre in molti casi si trattava di elementi settari, violenti, rozzi, fortemente anticlericali. La popolazione dei paesi per tradizione era legata al clero e il clero trentino, pur essendo fortemente antifascista, certamente non approvava taluni atteggiamenti dei gruppi partigiani, che però erano molto pochi e male organizzati“ . Spesso infatti la popolazione non capì la linea politica del movimento partigiano ed ebbe l’impressione di essere presa tra due fuochi. Continua il sacerdote in una lettera al suo vescovo : “ E' impossibile descrivere ciò che soffrimmo in tali giorni e la disperazione della popolazione....Io mi sono fatto in quattro, e nonostante il panico in corpo e il pericolo di qualche pallottola, sono corso qua e là a confortare   e a incoraggiare. Ho parlamentato per due ore con il comando tedesco ed alla sera di domenica ho potuto avere la grande soddisfazione di ottenere la liberazione degli ostaggi e restituirli alle famiglie......Siamo tra due fuochi e senza difesa alcuna. Si crede che codesti abitanti se la intendano con i partigiani, mentre devono subirli, imponendosi essi con la prepotenza delle armi.

 

La Resistenza.

La Resistenza in Italia partì innanzitutto da un movente etico, di cui resta testimonianza nelle opere di Beppe Fenoglio, Nuto Revelli, Primo Levi.

In primo luogo essa si basò su un’urgenza antiretorica ancora prima che su un progetto politico definito. La prima aspirazione fu l'abolizione della distanza fra le parole e le cose.  “ Dopo la lunga ubriacatura di parole e sullo sfondo di un paese disfatto e diviso, siamo scesi in campo per misurarci“.

Il progetto politico fu elaborato successivamente, quando la popolazione italiana fu costretta dalla drammaticità degli eventi a scrollarsi di dosso l'apatia ed il conformismo che l'aveva ottenebrata per un lungo ventennio, anche se poi a reagire ed a prendere le armi contro l'invasore ed il suo alleato fascista fu poi soltanto una minoranza. Fu proprio il bisogno di riscatto dalle avventure fallimentari del fascismo con il suo linguaggio tronfio e retorico, ad unire una parte cospicua della popolazione italiana nella lotta armata, ed una parte ancora maggiore nella speranza di un radicale cambiamento dell'assetto istituzionale e della società in generale.

Quest'ansia di rinnovamento si esplicò sia nell’immediato con la scelta della lotta armata, sia in una visione di più grande respiro con una progettazione politica per la rinascita dell'Italia che avrebbe dovuto ricollocarsi nel mutato scenario internazionale in cui già si profilavano le prime avvisaglie dell'incipiente Guerra Fredda tra Occidente ed Unione Sovietica.

La Resistenza ha voluto significare il rinnovamento del Paese ed il netto distacco dal suo passato, che per questo motivo fu oggetto di una sorta di “damnatio memoriae che doveva implicare perciò una rimozione netta e definitiva di quel passato.

Il fatto che essa abbia costituito e continua a costituire a tanto tempo di distanza il momento fondante della nostra Repubblica, e ne costituisca il suo “mito fondativo”, tuttavia ha distolto gli storici (tranne pochi studiosi come Claudio Pavone, Angelo del Boca, Nicola Labanca, Davide Rodogno ed ovviamente Renzo De Felice, il quale ha peraltro un'interpretazione piuttosto positiva del fascismo e del suo Duce) da una seria analisi dei motivi del consenso al fascismo e soprattutto della sua politica imperialistica nell'area africana, mediterranea e balcanica.

Questo desiderio di rimozione del passato fascista ha causato un’esaltazione senza condizioni del periodo resistenziale, ed ad una mancanza di analisi dei suoi moventi, delle sue modalità d'azione e dei suoi errori, quando ve ne furono.

La seria e necessaria ricerca storiografica sul fenomeno della Resistenza non deve essere tuttavia confusa con la polemica politica sollevata da qualche anno da parte della destra che mira a considerare il fascismo come una dittatura fondamentalmente benigna, meno sanguinosa di altre dittature coeve e la sostanziale equiparazione tra i partigiani e gli aderenti alla  R.S.I..

 Questa mancanza di differenziazione tra le varie parti in lotta, al fine di arrivare ad una sostanziale riabilitazione di quanti combatterono dalla parte della R. S. I. può condurre  oggi a pericolose ed indesiderabili derive politiche che metterebbero seriamente in pericolo la democrazia nel nostro Paese.

 

L’influenza degli errori strategici della Resistenza sull’atteggiamento della popolazione

Nei mesi che intercorsero tra il febbraio - marzo del 1944 e la fine della guerra, il sentimento comune della popolazione oscillò tra il desiderio di ordine, la paura ed un primo iniziale cauto plauso alle azioni dei partigiani, come abbiamo avuto modo di vedere nei paragrafi precedenti.

Adesso analizzeremo più in dettaglio la documentazione in mio possesso su questa specifica tematica. E' illuminante quanto scrive in proposito de Bertolini al Comandante tedesco della Polizia di Sicurezza :“ Ieri, il 16 ottobre in un orario tra tra le 05-e le 06,30 lungo la strada che va da Sover a Segonzano nelle vicinanze del ponte di Sover tre ribelli hanno fermato l' esattore fiscale che viaggiava in motocicletta per rapinarlo del denaro che trasportava ma che egli aveva precedentemente nascosto negli stivali. Lo hanno poi lasciato andare e l' uomo che abita a Lavis, appena ha potuto, ha sporto denuncia. I ribelli che lo hanno fermato erano in tre, ma ve n' erano degli altri nel bosco vicino...L'esattore fiscale non vuole più essere inviato a riscuotere nel suo distretto fiscale. I contadini dovranno allora versare le loro imposte a Cembra.“

Una lettera inviata da de Bertolini al Commissario Prefettizio di Cavalese mette ben in evidenza questa oscillazione tra paura e complicità : “ L' aggressione fatta sulla strada ai tre disgraziati che stavano nel camion della TODT, ha qui destato la più profonda impressione. Non si arriva a comprendere come di pieno giorno i ribelli provenendo da Cadino abbiano potuto raggiungere il posto dell'aggressione senza essere visti da molte persone. Se ne deduce che sia per paura, sia per convinzione molti dei Vostri valligiani facciano mostra di non vedere e serbino un silenzio colpevole

Come risulta dal diario del citato Silvio Gobber che scrive nel suo diario : I due soliti colpi alla porta li annunciano ( i partigiani n.d.r.) ed era precisamente uno di quelli che requisirono le scarpe. Invitato a venire giù in cooperativa, appena entrato fui chiesto di grappa e pane. Grappa non ce n' é e pane ne prese n prese uno che scannò come un cane affamato. Chiese poi la macchina da scrivere;pregando e  scongiurando che lor mi si volesse lasciare, dopo 20 minuti, nulla vi era da fare avendomi detto che se non la avessi data con le buone, l' avrei data la sera dopo e standoci più male. Chiesero poi i denari e volendone Lire 5000 , a forza di pregare ne diedi 1200, un fiasco di vino e Lire 85 di caramellel'atteggiamento della popolazione  fu sempre oscillante tra disapprovazione come in questo caso ed una implicita approvazione derivò in gran parte dal fatto che spesso le bande partigiane in cambio della merce prelevata offrivano  dei buoni al posto del denaro .

Come testimonia ampiamente il dirigente comunista Andrea Mascagni :“Arriviamo all'autunno del 1944. Si ricostituisce il CLN a Trento, attraverso un contatto dei comunisti con i socialisti, che consente di giungere nuovamente alla Democrazia cristiana. L'avvio del lavoro cospirativo e politico si dimostra subito irto di difficoltà. Gli orientamenti sono accentuatamente diversi. Si apre una sorta di contenzioso tra particolarmente tra il rappresentante comunista (che non è trentino) e l'esponente democristiano, il quale non esita ad indirizzare aspre critiche ai comunisti per i loro reiterati tentativi di provocare situazioni di scontro ai fini di un movimento armato, considerato impossibile per la diffusa indifferenza di notevole parte della popolazione.<<Voi mandate a morire i vostri giovani, noi preferiamo avviarli alla Todt, poiché ne avremo bisogno domani per ricostruire il nostro Trentino>é l' insistito discorso del democristiano <<Ma al domani dobbiamo contribuire anche noi, qui in questa terra, con la nostra iniziativa, con la nostra lotta>>, è la costante risposta del comunista”all’interno della dirigenza resistenziale si prese presto coscienza dell’avversione suscitata fra la popolazione e tempestivamente vennero adottati i provvedimenti del caso. Scrive ancora Silvio Gobber : “ I partigiani hanno catturato un certo Luigi Gobbo di Ronco che andava per le case costringendo i privati a dare merci per conto partigiani. Denominato fu legato e portato verso il Broccone e fin ora non si sa la fine” Il movimento resistenziale, in particolare quello comunista, comprese che per godere dell'appoggio della popolazione era indispensabile ottenere una legittimazione in modo che ne fossero riconosciute le motivazioni politiche delle bande in modo tale che gli atti di resistenza nell'amministrazione regionale non fossero scambiati per semplici atti di banditismo comune che altrimenti avrebbero fatto soltanto il gioco della propaganda nazista.

 

Il ruolo dei cattolici nella Resistenza in Trentino e la democrazia dal basso.

La Resistenza rappresentò il momento culminante del processo di disaffezione da parte del popolo italiano nei confronti del regime fascista che si era andato producendo almeno a partire dalle leggi razziali del 1938, disapprovate da una parte consistente della popolazione, per poi aumentare sempre di più in seguito alle numerose sconfitte militari subite dall’esercito italiano sui vari fronti di guerra e che ne rivelarono alla stragrande maggioranza della popolazione l’intrinseca falsità morale e gli erronei presupposti ideologici e politici su cui quel regime si basava.

In una storia del periodo d’occupazione, non deve passare inosservato il notevole ruolo che assunsero i cattolici all'interno della Resistenza ed il prezioso contributo che ad essa seppero apportare. La loro presenza fornì al movimento partigiano quei valori tipici del cattolicesimo politico come l'autonomia, la cooperazione, la valorizzazione dei corpi intermedi, la libertà di insegnamento, la solidarietà sociale e la buona amministrazione.

Tale linea di condotta rispose all'esigenza degli esponenti cattolici di reclamare un ruolo attivo nella conduzione della Resistenza; essa consistette da una parte nel contrastare l’incitamento comunista ad unirsi alla guerra di popolo, come scritto su un comunicato che recita così  “Il giorno nostro non è ancor giunto, siamo oggi impegnati in una lotta che ha caratteri diversi: liberazione, organizzazione,ricostruzione!Compagne la strada che dovremo percorrere sarà aspra e tormentata, non meno facili saranno i problemi saranno i problemi politici da risolvere ma con l' appoggio vostro e quello di tutte le masse lavoratrici la nostra lotta potrà chiamarsi un giorno : di redenzione!”, dall’altra si concentrò sulla fase dell’organizzazione postbellica, tenendo in giusta considerazione le esigenze ormai pressanti  della popolazione trentina di una qualche forma di autonomia dallo Stato centrale.

Al contrario della componente comunista del CLN, essi espressero più di una volta forti dubbi sull’utilità e l'efficacia della lotta partigiana che secondo loro avrebbe inevitabilmente condotto a rappresaglie tedesche ed alla guerra civile. Più che puntare sull'azione militare, cui presero parte in modo limitato con le “squadre bianche”Un documento archivistico scrive : “E' stata fatta una obiezione circa il colore politico delle <<squadre bianche>>.E' indiscutibile che le <<squadre bianche>> sono state organizzate su base cristiana apolitica, che il Comando per essere poi riconosciuto accettò le direttive del Partito della Democrazia Cristiana che le fornì valido aiuto e concorso anche materiale, che moltissimi dei nostri partigiani, specialmente i capi, sono democristiani di destra e di sinistra, ma con questo non si influì minimamente sulla libertà democratica dei membri. Quello che ci distinse dagli altri partigiani della Valle di Non, per cui ci teniamo a specificarci <<bianchi>> fu il nostro programma : 1) reazione al nazismo per principi cristiani; 2)tutta l' attività subordinata alla difesa e alla salvezza dei paesi; 3)accumulare lo sforzo bellico all'ultimo momento dopo esserci assicurati la più larga adesione del popolo e un sufficiente armamento”  essi pensarono essenzialmente a preparare le condizioni per la necessaria rinascita democratica e civile del Trentino, che sarebbe dovuta seguire alla fine della guerra .

Si possono individuare fondamentalmente tre  motivi di fondo alla base della Resistenza cattolica:

1.           una reazione al nazismo, considerato un’ideologia contraria  alla dottrina cristiana;

2.          la difesa e della salvaguardia del territorio locale dalle truppe d’occupazione ed allo stesso tempo il tentativo di indurre le formazioni comuniste a moderare le loro azioni di tipo militare per non mettere in pericolo la popolazione a causa delle inevitabili rappresaglie tedesche;

3.          evitare che l'insurrezione generale della popolazione verso i tedeschi si trasformasse in senso  rivoluzionario, come i comunisti invece avevano auspicato. Ecco quello che scrive Don Franco Demarchi, uno degli esponenti più in vista della futura DC trentina: “I partigiani si conquistavano sempre più le simpatie dei giovani, specialmente perché ci vedevano un rifugio contro i richiami e si portavano via molti dei nostri che in tal modo avrebbero domani fatto sgabello con le loro fatiche alle glorie comuniste e socialiste per cui l' assenteismo di oggi si potrebbe pagar caro domani

Quale fosse l'atteggiamento prevalente all'interno della DC trentina ci viene spiegato da una testimonianza di De Unterrichter : “ Per noi del Comitato - precisa De Unterrichter -  era pacifico che nessuno doveva approfittare dell'attività clandestina per fare della propaganda specifica di partito. Purtroppo presso quei pochi sbandati che erano sulle montagne, arrivavano dei commissari politici da fuori, i quali facevano propaganda politica e precisamente per il partito comunista, mentre gli altri partiti non hanno mai tentato questo tra gli sbandati coi quali erano in contatto. All' interno del Comitato noi stigmatizzavamo questa tendenza a far della politica, anche perché la politica in quei casi poteva dividere invece di unire

Ritorna in queste parole il concetto cattolico della sostanziale unità di intenti a prescindere dalla classe sociale di appartenenza, contrapposta all'idea comunista della lotta di classe che avrebbe necessariamente significato la fine della politica praticata fino ad allora dal Commissario Prefetto de Bertolini, e sostanzialmente condivisa nei fatti  dalla dirigenza democristiana trentina.

La diversa visione del mondo e le diverse ideologie a cui i gruppi cattolici e comunisti si ispiravano, provocarono all’interno delle organizzazioni partigiane un’aspra lotta fra le due componenti. Paradossalmente, proprio in Trentino dove era molto forte la componente cattolica, essa assunse toni minori rispetto ad altre zone d’Italia, in quanto i comunisti dovettero convenire sul programma “bianco”, che includeva la pressante richiesta della popolazione di una maggiore autonomia per la regione (ottenuta nel 1948).

La focalizzazione delle diverse forze politiche sui problemi legati all'autonomia del Trentino e la coesione sociale che aveva regnato all'interno del Trentino durante l’Alpenvorland, ebbero conseguenze anche nel periodo successivo. Esse impedirono, nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra, la lunga serie di vendette contro coloro che in un modo o nell'altro si erano resi complici di collaborazionismo con i fascisti ed i nazisti, come invece era avvenuto in altre regioni, ad esempio in Emilia, ed estesero il loro effetto almeno fino al periodo iniziale della Guerra Fredda quando evitarono una lotta senza esclusione di colpi tra i partiti regionali.

 

La Resistenza armata e la  brigata “Garemi”.

Dall'agosto al novembre del 1944, le formazioni patriottiche operanti in Valsugana scrissero una delle pagine più belle delle Resistenza trentina.

I contatti informativi fra gli antifascisti trentini e gli organi dei CLN di Milano e Padova non avevano tardato a riprendere, ma poco o nulla era stato possibile intraprendere sul piano operativo o militare, tanto che alcuni trentini avevano preferito varcare i confini regionali ed andare a combattere nel confinante Veneto. Essi erano del parere che la lotta armata nel territorio trentino sarebbe stata possibile solo se dall'esterno fossero arrivati stimoli e sostegni perché si rompesse il forzato isolamento messo in opera dai tedeschi fin dalla creazione della ZOP Alpenvorland.

Questo fu precisamente quanto avvenne con l'arrivo in Valsugana del distaccamento partigiano veneto “Gherlanda“, la cui azione mirò a risvegliare nei resistenti trentini la volontà di riprendere la lotta. Le brigate garibaldine operanti in prossimità della vallata trentina si proposero col loro intervento, di ridare slancio ed energia alla Resistenza, non ancora del tutto esaurita nonostante gli arresti e le deportazioni effettuate dai nazisti.

La repressione fu molto violenta ed i tedeschi concentrarono nella zona un numero ingente di forze destinate alla guerra antipartigiana. La strage di Riva del Garda del 28 giugno 1944 in cui le SS uccisero numerosi patrioti trentini e la successiva morte per suicidio del conte Manci in data 5/07/1944 avevano dato la possibilità ai tedeschi di colpire i centri nevralgici della cospirazione trentina.

Ma nonostante il grave colpo subito, la Resistenza riuscì a riorganizzarsi: all'attività delle valli meridionali subentrò quella delle valli settentrionali ed orientali, come la Val di Fiemme, e la   Valsugana. Una delle azioni più mirabolanti compite dalla “Garemi” fu il sabotaggio compiuto a danno della linea ferroviaria della Valsugana, nodo di scambio fondamentale, da quando la linea del Brennero era divenuta quasi inservibile a causa dei continui bombardamenti alleati e numerose tronchi nel Veneto erano ormai interrotti. In questa situazione divennero utili dal punto di vista militare passi secondari come il Passo del Brocon, e l’intera Valle del Tesino.

Per la sua posizione incassata tra le montagne, la linea della Valsugana costituiva un obiettivo impossibile per gli aerei alleati, ed era considerata dai tedeschi praticamente inespugnabile.  

La notte tra il 6 ed il 7 giugno 1944 un gruppo formato da Paride Brunetti, futuro comandante della brigata    “Gramsci“, insieme ad altri quattro partigiani, attaccò la linea ferrata. Con ventitré quintali di dinamite - che la brigata aveva prelevato dal Forte del Tombino, dove erano tenuti gli esplosivi che dovevano servire per i lavori di fortificazione che la Todt stava eseguendo nella zona di Cismon del Grappa- fecero esplodere la galleria ferroviaria nei pressi del Forte.

E' importante notare che lungo tale direttrice che va dalla Svizzera all'Istria si stavano costruendo delle fortificazioni (Alpenfestung) molto caldeggiate dal feldmaresciallo Rommel per prolungare ulteriormente la resistenza tedesca e che le azioni partigiane quindi abbreviarono.

 

I socialisti: l’azione ed il pensiero di Gian Antonio Manci

Come abbiamo visto sopra, il gruppo che ruotava attorno a Gian Antonio Manci e Gigino Battisti fu uno dei pochi gruppi organizzati politicamente che resistettero all'invasore.

Il contributo di questo gruppo non fu importante tanto dal punto di vista dell'azione militare, quanto da quello dell'elaborazione politica.Nell’analisi che ne scaturì venivano individuate le responsabilità del collaborazionismo della classe dirigente locale con l'invasore, e si stabiliva per il futuro un piano di ricostruzione dello Stato unitario su base federale, dotato di un'ampia autonomia regionale. Altri punti del programma prevedevano la costituzione di una federazione europea destinata a soppiantare lo Stato nazionale e l’abolizione della grande proprietà privata a favore della socializzazione delle infrastrutture. Tratteremo succintamente i diversi punti che costituiscono il programma del gruppo Manci. Dice testualmente il Manifesto del febbraio 1944:

1)La repubblica perché è il solo governo del popolo. Non vi deve essere nessuna autorità, amministrativa o politica, che non derivi dalla volontà popolare. Quindi la nostra repubblica dovrà essere democratica nel vero senso della parola, e secondo il principio della nostra pregiudiziale libertaria......

2)Le autonomie regionali e comunali; autonomia amministrativa e parzialmente legislativa. Le autonomie regionali e comunali rappresentano non solo l'unanime aspirazione di tutti gli italiani contro l'esecrato, dittatoriale e pre-dittatoriale centralismo, ma rispondono anche ad una necessità economica e a una garanzia di libertà politica.

3)Le federazione europea. Il problema domina la tragica vita di questi tempi. Chi lo neghi, chi non voglia affrontarlo, chi rifiuti aprioristicamente di risolverlo, deve sentire su se stesso il peso della barbarie bellica che ha oppresso ed opprime le nostre generazioni. Solo uno stato internazionale libererà le nazioni dai<<nazionalismi>>; debellerà le infernali teorie degli <<spazi vitali>>;solleverà l' Europa dall' immane crisi verso una era di pace e di ricostruzione”.

4) La libertà di parola, di pensiero, di stampa, di organizzazione, validamente tutelate per tutti; i diritti dell’uomo, tutti, salvaguardati.

5) L’abolizione della proprietà che serve a sfruttare il lavoro altrui.

6)La socializzazione di tutte le grandi industrie, banche, assicurazioni, servizi pubblici, delle miniere secondo un piano di lavoro nazionale ed internazionale, inteso a soddisfare i bisogni collettivi e non particolari. Le trasformazioni delle minori aziende in aziende cooperative”.

Inoltre, si sarebbe dovuto rafforzare potentemente la magistratura in modo da impedire che si ripetessero impunemente soprusi e sopraffazioni di ogni sorta, come era accaduto durante l'epoca fascista. La scuola sarebbe dovuta divenire un'istituzione aperta a tutti e non soltanto destinata a conservare i privilegi di classe delle classi privilegiate. La classe politica responsabile di collusione con il fascismo, in particolare la monarchia, avrebbe dovuto essere punita esemplarmente.

Il movimento di Manci si distinse all'interno del Trentino per la sua progettualità politico- sociale e per la sua lucida analisi del collaborazionismo e quindi dei “chiusi orizzonti di certa pavida mentalità borghese

Il giudizio storico sull'opera di Manci e del suo gruppo rimane comunque incerto sull'effettiva rappresentatività del gruppo resistenziale all'interno del complesso dell'opinione pubblica trentina di quel particolare momento storico.

 

I comunisti ed il loro giornale ciclostilato“Il Proletario”.

Il giornale comunista “Il Proletario” rappresentò la coscienza critica della popolazione trentina in quel tragico momento storico. Sebbene inizialmente stampato con mezzi di fortuna, non meno forte fu il messaggio, sia per quanto riguardava l’intera situazione nazionale, sia per quanto limitato al Trentino, che veniva lanciato dalle pagine del giornale ciclostilato. Queste righe riassumono lo spirito del giornale: “ Oggi, quando la barbarie tedesca ha fatto la sua ricomparsa nella nostra terra, non ci sarà trentino di buona fede, speriamo, anche ex cliente di Bertolini, che non veda la necessità di difendersi e di rendersi libero e padrone  nella propria terra. Ma chi ci libererà se noi stessi non vi pensiamo? Se attendiamo che ci liberi il prossimo, mai si avvererà la nostra massima aspirazione. Se ognuno di noi, invece, farà quanto è in lui - azione grande o minima - la rivoluzione antinazista sarà immediatamente gigante. Dove sono i soldati nazisti che possono a noi opporsi? Non sarà il C. S. T. che potrà e vorrà farlo. La Germania, il nazismo stanno morendo! Ognuno lo sa e lo vede. C' è da temere l'estrema reazione, forse la più selvaggia perché la più disperata, del moribondo. Difendiamoci, Trentini e mostriamoci all’altezza di chi ha saputo morire per la libertà della sua terra. Cosa aspettiamo a tagliare i telefoni, a bloccare le vie di comunicazione, a rendere inservibili fabbriche e centrali. Non potranno essere certo i quattro gendarmi per valle a tenerci in soggezione. I giovani del C. S. T. attendono il segnale della diserzione che debbono dare i più anziani! Il nazismo muore: non aspettiamo di essere tratti con lui nella rovina”.

Dagli ultimi mesi della guerra si riuscì a stamparlo in modo molto più nitido e la stessa impaginazione riflettè in modo estremamente organico il pensiero e l'azione del Partito Comunista del Trentino in quel periodo storico.

In esso apparvero lucide analisi del contesto internazionale ma anche della situazione locale, complessivamente ben equilibrate, e altrettanto appaiono le loro proposte, segno che, pur non rinunciando del tutto ad un afflato rivoluzionario e di visione d'insieme, la dirigenza comunista si era adattata pragmaticamente al clima moderato che regnava nella provincia.

Scrive “Il Proletario” : “ Premesso ancora una volta che mille ragioni storiche, geografiche, etniche

ed economiche ci legano all' Italia e che l'unione con l'Austria vinta , stremata, nazistizzata di oggi sarebbe un delitto contro gli interesse del popolo trentino, noi combatteremo sempre ogni movimento tendente al separatismo, nel mentre proclamiamo che i Comunisti trentini sono i decisamente per l'autonomia. Anche in Italia e nella nostra Provincia i comunisti hanno sempre propugnato - contrariamente all'opinione di altri partiti - la necessità di costituire e di potenziare i C. L. N. frazionali allo scopo di avviare un’amministrazione decentralizzata anche in quei comuni che il fascismo aveva abolito aggregandoli a comuni maggiori e che noi desideriamo nuovamente ricostituire. Scopo del nostro Partito è di elevare il tenore di vita dell'uomo, di offrire la massima possibilità a tutti di sviluppare in pieno la propria personalità,di dare il massimo di benessere ad ogni cittadino. Se per realizzare ciò nella nostra regione è utile o necessaria l'autonomia, noi faremo tutto il possibile per conquistarla. Bisogna ricordarsi però che l'autonomia non è di per sé la panacea dei nostri mali, non è la soluzione immediata delle difficoltà in cui ci dibattiamo. Occorre invece che nel quadro di ampie riforme e di provvedimenti di vasta portata e di carattere anche rivoluzionario, l' autonomia sia strumento valido della nostra rinascita economica”.

L'allineamento sulle posizioni autonomistiche rappresentate dalla Democrazia Cristiana appare quindi evidente dalla citazione, anche se i comunisti invitano a non aspettarsi eccessivi miracoli dalla sola autonomia ma da un cambiamento sostanziale e forse rivoluzionario dell'intera società italiana. L'influenza della Democrazia Cristiana diverrà allora importante a livello nazionale, soprattutto per la presenza di De Gasperi, Flaminio Piccoli e anche altri che riusciranno a veicolare efficacemente le istanze autonomistiche del Trentino a Roma fino al raggiungimento del primo statuto autonomo del 1948.

 


 

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