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L'atteggiamento della
popolazione trentina nei confronti della Germania nazista durante il periodo dell'
Alpenvorland 1943-1945
a
cura di Gregorio Baggiani
(dal
sito http://www.baggiani.3000.it)
Introduzione
Il Trentino ha una storia
millenaria di convivenza con lelemento germanico, caratterizzata dal fatto che
attraverso i secoli, dal Medioevo fino al 1803, data in cui entrò a fare parte dellimpero
asburgico e ne diventò una delle province più integrate, riuscì a conservare una
sostanziale indipendenza nei confronti del potente vicino del nord. La borghesia della
città di Trento intrattenne sempre dei rapporti molto intensi con l'elemento tedesco,
senza per questo lasciarsene soggiogare o rinunciare a rivendicare la propria italianità.
E soltanto a partire
dalla seconda metà del XIX secolo che i primi moti indipendentisti cominciarono a
scuotere il terreno politico e sociale trentino, e la borghesia iniziò a richiedere una
maggiore autonomia delle istituzioni locali ed in particolare lapertura di ununiversità
in lingua italiana, negata risolutamente dagli austriaci che temevano unulteriore
crescita del nazionalismo italiano. Il popolo trentino si trovò ben presto diviso tra
coloro che appoggiavano la resistenza antiaustriaca e coloro che invece, ed in particolare
nelle valli, appoggiavano incondizionatamente la fedeltà allimperatore ed in
generale allimpero. A distinguersi in particolare nella fedeltà allimpero
furono due classi sociali apparentemente distanti come la classe contadina e laristocrazia.
Tali sentimenti non mutarono di molto nel corso dei venti anni successivi alla fine della
I guerra mondiale, ed alla caduta dellimpero asburgico.
Di tali sentimenti diffusi nellaristocrazia
trentina resta traccia nel romanzo di Isabella Bossi Fedrigotti, nota scrittrice di
tendenze conservatrici, in cui vengono narrati gli avvenimenti di quel periodo visti con
l'occhio della nobiltà e di quella parte della popolazione che era di discendenza tedesca
ma che era sempre vissuta in Trentinoed in cui sotto lo pseudonimo di Kurt Stauderer
si esprime il pensiero del Consigliere Germanico Kurt Heinricher. Più in generale il
libro rivela come il sentimento di appartenenza nazionale delle popolazioni non fosse
sempre coincidente con l'appartenenza etnica degli individui. Un trentino di discendenza
germanica poteva sentirsi compiutamente italiano, mentre dei trentini di nazionalità
italiana o ladina potevano sentire di appartenere culturalmente al Tirolo germanofono.Cito
da un documento: Vigo di Fassa. Il 26/07/1945 . < Ai Fassani> Di questi
giorni circolavano nel comune di Vigo delle liste abbondantemente firmatem, che chiedevano
l aggregamento della Valle di Fassa alla Provincia di Bolzano per ragioni
economiche e geografiche.So che per fortuna liniziativa non parte da Fassa e mi
ripugna credere che chi ha firmato l abbia fatto dopo matura riflessione. Se si
pensa che una richiesta identica venne inoltrata non molto tempo fa al Commissario Supremo
delle Prealpi Franz Hofer dagli optanti fassani che in quel tempo credevano ancora in
Hitler ed in una vittoria della Germania, lintempestiva richiesta parallela nella
forma e nello spirito si presta facilmente a delle interpretazioni poco lusinghiere per i
fassani.Tenuto conto di tutto potrebbe nascere il sospetto che gli scopi non siano
limpidamente economici ed ispirati da ragioni <<geografiche>> ma che in un
recondito( molto recondito) angolo dell anima di molti fassani arda ancora un
rimasuglio di candela per Hitler e sicari, per furono per sei anni i massacratori ed i
macellai dell uman genere.
Nel libro di Isabella
Fedrigotti sunnominato vengono descritti gli atteggiamenti della nobiltà conservatrice
favorevole alla restaurazione dell'antica unità tirolese che per questo motivo appoggiava
il tentativo di restaurazione del Gauleiter Hofer.
Altra tematica importante che
appare nel romanzo è quella dell'estrema povertà in cui viveva buona parte della
popolazione e che da sola bastava a spiegare la paura e la diffidenza con cui la maggior
parte di essa, ligia da sempre al concetto di legalità, considerava il movimento
partigiano che non sempre riusciva a distinguersi dal semplice banditismo, così come
veniva rappresentato dalla pressante propaganda tedesca. Di ciò il movimento partigiano
era ben conscio ed i provvedimenti presi in tal senso verranno esaminati nei paragrafi
successivi.
Il primo
dopoguerra e l'affermarsi del fascismo.
Il Trentino fu zona di
guerra negli anni che andarono dal 1915 al 1918 e le devastazioni furono tanto laceranti
da lasciare un ricordo indelebile presso le popolazioni locali, che non mancò di produrre
i suoi effetti allorché venne proclamata la Zona d'Operazione Alpenvorland nel settembre
del 1943. E' una società divisa ed allo stesso tempo piena di aspettative quella trentina
del primo dopoguerra. Aspettative che, come sappiamo, andarono presto deluse. La
fase politica che caratterizzò il periodo dalla fine del primo conflitto mondiale fino
all'avvento del fascismo fu caratterizzato dalla costante delusione delle aspettative
maturate nella popolazione trentina nel corso del conflitto. Il governo centrale continuò
a fare promesse ma la politica si rivelò sostanzialmente priva di contenuti ed evasiva.
Un primo elemento fu costituito dal tasso di cambio dello scellino austriaco, perché il
governo italiano decise di fissare ad un livello molto basso il tasso di conversione della
corona asburgica, provocando immediatamente ingenti danni ai risparmi della popolazione
custoditi presso le banche In seguito vennero negati i riconoscimenti pensionistici
a coloro che si erano trovati a combattere sul fronte avverso, a cui fu riservato un
destino di oblio e simbolicamente di "damnatio memoriae".Anche nei
confronti di coloro che avevano prestato servizio presso l'amministrazione asburgica venne
praticata una politica estremamente punitiva, contribuendo in tal modo a creare anche in
Trentino delle "memorie divise" all'interno della stessa popolazione. Soltanto
riguardo ad una possibile autonomia furono fatte dal governo alcune vaghe promesse che
però non si concretizzarono in realtà. Il deteriorarsi della situazione politica
italiana nel 1921-1922 con i governi Bonomi e Facta e l'esaltarsi del nazionalismo via via
che il fascismo prendeva quota con la provocazione e la violenza, sembrarono compromettere
non poco le future sorti amministrative della Venezia Tridentina. Fu in questo clima che
si fece più stretta la collaborazione tra i popolari trentini, guidati da Alcide De
Gasperi ed i liberali o almeno la parte di essi che non si era staccata dal partito
schierandosi su posizioni filofasciste.
Nei primi anni del dopoguerra i
partiti politici trentini, nati nel periodo della sovranità austriaca sul territorio e
che pur nell'ottica di finalità diverse, avevano combattuto nel Landtag di Innnsbruck e
nel Parlamento di Vienna una lunga battaglia per l'ottenimento di un'autonomia separata
per la parte italiana del Tirolo, si ritrovarono concordi nel chiedere al governo italiano
il mantenimento delle istituzioni autonomistiche, sia per la provincia, sia per i comuni
che costituivano il nerbo dei territori che dovevano entrare a far parte del Regno
d'Italia. La richiesta generalizzata era quella di un'autonomia estesa all'intera Venezia
Tridentina nella quale l'elemento italiano, risultante in maggioranza, costituisse un
argine all'irredentismo della minoranza di lingua tedesca i cui programmi non nascondevano
l'aggressività pangermanista. Non rientrava certo nella prospettiva delle forze politiche
trentine, tranne che per il gruppo nazionalista, la volontà di compromettere o mutare i
caratteri etnici dell'Alto Adige per il quale, al contrario, si auspicava un'autonomia di
tipo avanzato nell'ambito dello Stato italiano. Ma l'idea di concedere un'autonomia
distinta da quella di Trento veniva vista sfavorevolmente dalla maggior parte degli
esponenti politici trentini e dalla stessa popolazione.
I nazionalisti reclamavano la
circoscrizione unica ed Ettore Tolomei, per diluire l'elemento tedesco in un'unica ampia
area popolata da italiani, proponeva addirittura la suddivisione della provincia di
Bolzano in senso longitudinale e la sua aggregazione alle province italiane limitrofe. Fu
così che Cortina d'Ampezzo e Livinallongo furono attribuite alla provincia di Belluno. Il
governo italiano, inoltre, per rispetto della minoranza tedesca decise di aggregare le
valli ladine alla provincia di Trento mentre le zone mistilingue furono aggregate alla
provincia di Bolzano. Il risultato di questa operazione non si fece attendere perché la
minoranza italiana delle zone mistilingue si astenne dal voto in segno di protesta, mentre
i ladini votarono in massa a favore della lista tedesca.
Quando con l'avvento al
potere del governo Mussolini ci si rese conto dell'indirizzo centralista del nuovo corso
politico, i liberali ed i popolari convocarono il 14/11/1922 il convegno dei sindaci
trentini sulla base di un programma di chiara matrice liberale. Tale programma intendeva
contrapporsi alla cancellazione delle tradizionali autonomie comunali, allo scioglimento
ed al controllo di una serie di istituzioni economico-sociali fortemente
radicate nella coscienza della popolazione e la cui soppressione farà nascere in Trentino
una resistenza caratterizzata non tanto da azioni clamorose o spettacolari, bensì da
mancanza di collaborazione, da silenzio e vuoto attorno al regime.
Questa forma di resistenza
silenziosa fu alimentata soprattutto dai cattolici attraverso le organizzazioni ad
impronta religiosa, gli oratori, le parrocchie, i consorzi alimentari, gli enti
mutualistici sopravvissuti, la diffusione capillare della stampa cattolica, la parola del
sacerdote che continuava ad esercitare una grande influenza sulla popolazione, in
particolare su quella contadina.
Cito a questo proposito
la testimonianza dell'onorevole Flaminio Piccoli: " Il nostro modo di
essere nelle organizzazioni giovanili cattoliche si distingueva nettamente da tutto quello
che avveniva fuori della società. Basti pensare che per ogni incarico, per ogni mansione
tra noi c' erano discussioni e poi libere elezioni che si svolgevano in maniera
democratica. Si trattava certamente di piccole cose, ma a noi giovani sembrava davvero di
respirare una boccata di libertà e tolleranza, anche perché di quelle associazioni
facevano parte giovani di estrazione diversa dalla nostra. Insomma là dentro ci sentivamo
veramente al riparo dalla retorica, dalla stupidità, dalla volgarità e da tutti gli
altri veleni con i quali il fascismo stava educando i giovani. E poi non bisogna
dimenticare gli stimoli all'antifascismo- quello vero, nato da una coscienza morale
profonda- che ci furono offerti dai nostri assistenti ecclesiastici, i quali non
lasciavano passare occasione per denigrare e mettere in ridicolo le iniziative del regime"
Mi sembra importante allora
riportare anche quanto scrive la Professoressa Maria Garbari : " Tale resistenza
ebbe il merito indubbio di allontanare la popolazione dai miti totalitari, ma contribuì
anche a mantenere in vita una chiusura localistica e la permanenza di un modello di vita
schivo e conservatore che avrebbe potuto pregiudicare, all' atto del ritorno alle libertà
democratiche, il reinserimento di una parte dei trentini nella prospettiva della dinamica
vita nazionale. Contribuiva anche a chiudere la provincia in se stessa il senso di
abbandono volutamente messo in atto dal regime come misura punitiva : il
trasferimento degli alti uffici militari, giudiziari e ferroviari in altre province, l'
assenza di contributi per opere di ricostruzione o nuove, il mancato sostegno nel campo
dell' industrializzazione e degli altri settori economici che permanevano asfittici. E
tutto questo mentre nella vicina provincia di Bolzano si interveniva in modo massiccio
creando ex novo una zona industriale, potenziando i lavori pubblici, aprendo uffici di
prestigio, favorendo un quadro di benessere che, nei progetti di Mussolini, avrebbe
agevolato la rapida italianizzazione del territorio.Il distacco della provincia di Bolzano
da quella di Trento, avvenuto nel gennaio del 1927, fu un duro colpo per la classe
intellettuale e dirigente trentina legata ai valori dell'irredentismo e del prestigio
nazionale, anche al di fuori dell' ideologia fascista. Il provvedimento fu interpretato
come una sconfessione delle capacità dei trentini di tutelare ai confini l' interesse per
il quale, prima e durante la guerra, avevano affrontato sacrifici e rischi,e sembrò
mettere in crisi persino la loro fede nazionale. Questa funzione di avamposto
nazionale viene assunta dalla classe dirigente trentina in modo assolutamente speculare
rispetto a quanto era avvenuto in Alto Adige per la classe dirigente altoatesina connotata
da forti tendenze pangermaniste. Ancora una volta una sorta di attrazione-repulsione
caratterizzerà il rapporto tra le due comunità nazionali all'interno della regione, ma i
trentini, come detto sopra, solo in rari casi si esprimeranno a favore di una repressione
dell' elemento tedesco ma solo di un suo contenimento.
Nacque così in questa
circostanza la polemica sul "trentinismo" e sulla presunta miopia localistica
dei suoi abitanti, compresa la classe dirigente, dando così inizio ad una serie di
malintesi con il potere centrale, che si sarebbero rivelati in tutta la loro gravità
durante il periodo dell'Alpenvorland con un diffuso collaborazionismo o almeno
attendismo e sarebbero continuati fino al secondo dopoguerra ed allo statuto autonomo del
1948.
Alla luce dei fatti si può
affermare che al regime fascista mancò qualsiasi sensibilità nei confronti dei problemi
e degli interessi specifici di queste terre e per questo motivo le terre redente, tanto
care alla retorica nazionalista e fascista, si trasformarono in una sorta di "trincea
ideologica" pronta a respingere qualsiasi pur minimo approccio politico o ideologico
del regime rispetto al quale la cultura trentina impregnata di etica lavorativa,
concretezza, parsimonia, rispetto della legge e morigeratezza nelle espressioni e nel modo
di vivere era assolutamente agli antipodi.
La popolazione trentina
reagì alla massiccia immigrazione di popolazione proveniente dalle province finitime e
dal Meridione, accusandola di essere incompetente e corrotta, motivo che riecheggiò nei
programmi del C.I.T, il Comitato Indipendentista Trentino e nella chiusura mentale e nel
regionalismo esasperato portato avanti dall'avvocato trentino Adolfo de Bertolini (uomo di
tendenze liberali già Commissario Prefetto di Trento durante la Prima guerra mondiale. De
Bertolini diverrà il Commissario Prefetto nominato dal Gauleiter Hofer
durante il periodo dell' Alpenvorland. Allora la parola "trentino" o di
"origine trentina" diventerà una sorta di espressione salvifica e di titolo di
merito perché implicherà l'amore per la terra natia, il rispetto delle leggi.
Dando un ruolo centrale ad una
amministrazione efficiente ed ad un personale qualificato, che venne ritenuto talmente
indispensabileda essere esonerato dal servizio militare, si reintrodusse il concetto di
meritocrazia, ottenuta esercitando sull'insieme della popolazione maschile una
sorta di scrematura basata sulle competenze tecnico-amministrative e non più
necessariamente politiche, in questo la visione di de Bertolini concordava con quella del
Gauleiter Hofer,mettendo implicitamente l'accento sul valore attribuito alla buona
amministrazione locale, alla collaborazione dei diversi ceti sociali. Scrive de Bertolini
: Tale guardia va
composta esclusivamente da soldati della provincia di Trento, come trentini dovranno
essere, almeno dopo un primo tempo, gli ufficiali e sottufficiali che li comandano. Si
tenderanno qui la mano i figli dei patrizi e quelli del popolo, i giovani avviati agli
studi con quelli che devono guadagnarsi la vita con la forza delle loro braccia; tutti
però animati da un medesimo slancio; quello di trovare in un lavoro disciplinato il
fermento di una più utile esistenza, a vantaggio della collettività sociale
Essa impedirà che la collettività provinciale possa essere sommersa da elementi
estranei, conserverà al Paese la sua impronta locale tramandata dai padri; eviterà allo
sfregio di quell'onesto costume che ha fatto in passato della gente trentina, più che un
popolo, una famiglia
Sin dagli esordi della nominadi
Adolfo de Bertolini a Commissario Prefetto nel settembre del 1943, si cercò di inibire
gli episodi di violenza contro gli esponenti del passato regime fascista, di restaurare le
antiche modalità di vita del territorio con proclami dai tratti fortemente ideologici
Come è stato reso noto
dalla stampa quotidiana, il Commissario Supremo ha rivolto un appello alla popolazione
trentina, acchè seguendo quanto è avvenuto e avviene in Germania voglia partecipare alla
raccolta a favore del soldato.Questo appello deve essere da noi raccolto non solo per lo
scopo a cui tende, ma anche perché fatto dal Commissario Supremo, cioè da colui,che ha
saputo mantenere la nostra provincia in pace e tranquillità, destando persino l' invidia
delle province finitime; fornire alla popolazione il necessario per i bisogni essenziali
ed interporsi inoltre anche per gli altri nostri postulati, anche se questi non poterono
poi essere soddisfatti che in parte.Il soldato, che da tempo tutto se stesso
sacrifica per impedire che le nostre istituzioni vengano distrutte dal dilagare di ordini
sovversivi, merita certo la nostra riconoscenza. Tradizioni familiari, per le quali la
diligenza, il risparmio, la sobrietà di successive generazioni sono arrivate a possedere
tanta terra quanta possono lavorare le braccia dei suoi componenti, o dall' apprendista
sorse l' artigiano, che ad affermare la sua creazione individuale; ambiente ben diverso da
quello creato dall' ammasso del capitale con riuscì le conseguenze dei trust e del
proletariato del braccio e della mente; tutta la nostra vita montanara verrebbe sommersa
da un sistema, dove l' uomo non è che un atomo, privo di libertà e di iniziativa, di un'
ente astratto, che tutto assorbe ed asservisce.Ciò
era inteso essenzialmente a privilegiare la prestazione lavorativa rispetto
alla cattiva politica imposta dall'alto.Si trattò in ultima analisi di un
processo di svalutazione della politica come confronto tra interessi e concezioni diverse.
Del resto lo stesso nazismo non fu una dottrina politica intesa al confronto dei diversi
soggetti politici,e quindi all'arte del compromesso e dell' accordo, ma una pura visione
del mondo assoluta e immanente, dai tratti quasi teologici di verità rivelata che
comportava necessariamente la totale distruzione del nemico, Feindbild, o se
necessario, anche la propria. Scrive a questo proposito lo storico tedesco americano di
origine ebraica Geoge Mosse: In più si riteneva che questo pragmatismo
della propaganda nazista fosse dimostrato dal fatto che essa rifiutava ogni
discussione con gli avversari e ogni confronto di opinioni. In questa osservazione c' é
una certa verità, perché nessuna fede propriamente radicata é aperta al dialogo
razionale.Questo processo di sostanziale svalutazione
della politica come confronto tra diversi interessi ed opinioni in favore di una visione
patriarcale della società avvenne dopo venti anni di oppressione e corruzione fascista,
in cui le parole d'ordine che godevano del sostanziale appoggio della popolazione trentina
erano la maggiore autonomia amministrativa possibile ed il lavoro inteso come
professionalità e correttezza Questa concordanza di interessi tra la politica del
Gauleiter e la popolazione durò alcuni mesi, almeno fino a quando nel febbraio-marzo 1944
le precettazioni tedesche per il lavoro non divennero troppo pressanti. Esse costituirono
per gran parte della popolazione trentina un brusco risveglio dall'illusione di potere
aspettare la fine della guerra in relativa tranquillità.
La situazione
socio-economica
La caratteristica dominante della
proprietà agricola era costituita dal frazionamento della terra in piccole proprietà,
soprattutto in collina e in montagna dove il proprietario possedeva più appezzamenti di
terreno anche distanti tra loro. Vi era un assoluta superiorità numerica delle aziende
gestite dai proprietari stessi e il bracciantato agricolo rappresentava un fenomeno
perlopiù marginale, a cui veniva preferito lo scambio tra i componenti delle famiglie
interessate a seconda dei bisogni e delle necessità di braccia e di bestiame da lavoro di
ognuna di esse. Questa reciproca interazione tra le aziende agricole contribuì a creare
una solidarietà ideologica e di fatto tra le famiglie contadine. I prodotti coltivati in
regione erano soprattutto seminativi, con una leggera prevalenza di cereali, alberi da
frutta ed altre colture legnose specializzate, foraggi, basati su un tipo di coltivazione
principalmente integrante come ad esempio il mais. L'economia industriale del Trentino
mancava di grandi poli industriali quali si erano sviluppati nel cosiddetto
"triangolo industriale" formato da Torino, Milano e Genova, ma era invece
costituito dall'assoluta prevalenza delle medie e piccole aziende. L'industrializzazione
della provincia avvenuta dopo le guerre napoleoniche soprattutto nel settore tessile,
accompagnata da una espansione nel settore commerciale, subì un rallentamento per le
vicende politico-militari che caratterizzarono l'Italia della seconda metà del secolo
diciannovesimo, di cui il Trentino era stata al centro ( ricordiamo la battaglia di
Bezzecca del 1866, combattuta tra le truppe garibaldine e gli austriaci in cui l' Eroe dei
due Mondi, pur avendo conseguito un' importante vittoria militare, pronunciò il celebre
"obbedisco" per obbedire agli ordini del re).
Il progressivo sgretolamento
dell'impero asburgico e la perdita della Lombardia ad opera di Napoleone III nel
1859, la perdita del Veneto nel 1866 ad opera della Prussia di Bismarck che voleva
ridimensionare l'influenza austriaca in favore di una soluzione piccolo-tedesca
nella Germania meridionale, la necessità della nascente nazione tedesca di
trasformare il grande sviluppo economico in una egemonia politica in Europa, prima,
avvedutamente, con Bismarck, poi, arrischiatamente, con il Kaiser Guglielmo II
con il suo avventurismo o come si suole dire oggi con la sua brinkmanship non fecero altro che acuire la già
latente tensione austro-tedesca. Tutti questi fattori obbligarono l'economia
trentina ad un progressivo ri-orientamento dei suoi mercati di esportazione verso l'Europa centrale. Necessità che si fece
sentire in maniera ancora più pressante allorché il Trentino entrò a far parte del
Regno d'Italia nel 1918 e si trovò a dover cercare nuovi mercati all'interno dell'Italia
per sostituire quelli perduti in Europa centrale con la dissoluzione dell'impero k.u.k..
Solo dopo la Prima guerra
mondiale, l'opera di industrializzazione del Trentino iniziò faticosamente, contando
principalmente su tre fattori: il patrimonio idrico, la presenza di una buona e abbondante
manodopera locale, la presenza di materie prime, nonché delle ormai ben note e
svariatissime attrattive turistiche naturali.
Lo sviluppo economico trovò una
serie di impedimenti dovuti agli alti costi aggiuntivi causati non solo dallelevato
tasso d'interesse del denaro e dalle più sfavorevoli condizioni del dopoguerra, ma anche
da altri impedimenti di carattere internazionale e contingente, quali i contrasti politici
ed economici ai quali ho accennato nei paragrafi precedenti e che " crearono
alla nascente industria del Trentino una situazione di disagio e di pesantezza
pregiudicandone gravemente lo sviluppo e ponendola in condizioni di inferiorità nei
confronti di quello che potrebbe essere, particolarmente nei riguardi di alcuni suoi
aspetti principali e delle favorevoli condizioni di ambiente"
Risulta quindi chiaro che l'economia trentina
ebbe bisogno di un periodo di riadattamento al nuovo contesto politico che si era venuto a
creare in seguito allannessione al Regno d'Italia; tentativo non perfettamente
riuscito visto che dalla situazione politica ed economica successiva scaturirono le
condizioni per cui in una parte consistente della popolazione trentina si
diffuse un forte malcontento anche economico che sfociò durante il periodo
dell'Alpenvorland in un diffuso attendismo o addirittura collaborazionismo con le truppe
naziste occupanti, specie se tirolesi.
La
guerra e i 45 giorni badogliani
dal 25 luglio all8 settembre 1943.
Alla caduta del fascismo il 25
luglio 1943, in Trentino, come nel resto d'Italia, la popolazione si lasciò prendere
dall'entusiasmo, senza immaginare che i problemi della nazione già prostrata dalla guerra
erano tuttaltro che finiti, ma si apprestavano ad entrare, se possibile, in una fase
ancora più dolorosa e più tragica. A testimonianza di questo clima di fervore restano le
lettere e gli articoli che esponenti del ceto intellettuale, ma anche semplici contadini
scrissero alla redazione del Brennero, nel periodo che va dal 25 luglio
all' 8 settembre 1943.
L'avvocato Giuseppe Menestrina
(padre dell'esponente democristiana Anna Menestrina di cui si trovano più avanti brani
tratti dal suo diario) ad esempio scrive sulla prima colonna del giornale Il
Brennero un articolo di cui si riporta integralmente il contenuto :
Vita comunale
: L'anima trentina vibrò di
esultanza, anche nei villaggi più remoti alla notizia del fausto avvenimento del 25
luglio. Il suo giubilo fu paragonabile e sotto un certo riguardo superiore a quello delle
indimenticabili giornate del novembre 1918. La dominazione straniera era stata opprimente
perché in contrasto cogli ideali nazionali che volevano tutti gli italiani uniti sotto
una sola bandiera; ma l'oppressione dell'interminabile ultimo ventennio fu più
intollerante e più avvilente, perché negatrice di ogni morale pubblica e privata,
spregiudicata e violenta. Per coloro nei quali predominano il sentimento e l'amore
familiare, la caduta del fascismo aveva portato la speranza illusoria della fine della
guerra, che invece continua: nella maggioranza del nostro popolo l'avvenimento era da solo
ragione di piena, incontenibile letizia; esso significava l' attesa riconquista di quella
libertà che é <<dolce dell'alme universal sospiro>>. Da tutti si intuì che,
finché perdura la guerra, non si potrà accordare una piena libertà; si riteneva
tuttavia che si avrebbe avuto già ora la liberazione da coloro che col senno e con la
mano hanno operato a danno del Paese. Vedemmo infatti degli importanti atti di epurazione.
Sono scomparsi taluni famigerati organi dell' oppressione : vennero sciolti il Partito e
la Milizia venne passata a far parte delle Forze Armate, soppresso il Tribunale speciale,
licenziata quella Camera dei Fasci che diede spettacolo di disciplinata taciturnità e di
profittevole servilismo. Eguale sorte é probabilmente riservata ad altri alti consessi, i
quali per la autorevolezza dei loro membri, avrebbero potuto e dovuto porre argine
all'assolutismo demagogico. Ma molto in questo triste campo resta a farsi; ed anche nella
nostra regione con legittima impazienza e si attenda e certezza si attende che vengano
finalmente eliminati dalle pubbliche amministrazioni quegli individui che con morboso zelo
concorsero all'oppressione degli spiriti e fecero mal governo della cosa pubblica. Codesto
mal governo venne subito con speciale angoscia nei Comuni minori, dove l'interessamento
dei cittadini per la gestione comunale é sempre stato più attento che nei grandi centri.
Negli uni come negli altri, sciolte le rappresentanze del popolo, si ebbe dapprima la
reggenza dei commissari prefettizi, che piovutici addosso dalle più lontane parti del
Regno, consideravano l'ufficio una sinecura compensatrice delle loro benemerenze nel
partito, poco o punto si curavano degli interessi comunali e si pappavano un buon
stipendio che spesso arrotondavano con personali speculazioni a danno del Comune.
Ma anche i comuni cittadini,
scrissero lettere : Lo studente Gino Vacicardi, degli Alpini, dice che per
parlare sui giovani d' oggi occorre essere stati alle armi nel cui esercizio si sono
apprese verità che il fascismo non lasciava credere e che i giovani che han fatto la
guerra non sono, per questo, così digiuni di norme e istinto politico come i giovani del
GUF, pappagalli, finora, in istivali, lascian credere
Molte lettere recano lo stesso
tono, anche se in alcune si auspica che non tutti coloro che avevano creduto nel fascismo
e lavorato per la sua realizzazione vengano coinvolti nella sua generalizzata condanna.
Il vescovo de Ferrari intervenne
per sedare gli animi infervorati dalla subitanea caduta dell'odiato regime fascista :
Al venerabile Clero e diletto Popolo della città e Diocesi
L'ora grave che incombe sulla Patria non mi
consente di prolungare più oltre un silenzio che se voleva significare completa fiducia
nel senso del dovere e soprattutto nel buon senso della mia gente trentina, non soddisfa
tuttavia le esigenze del mio personale sentimento e tanto meno delle gravi responsabilità
di Capo della Diocesi. Vi dirò dunque due sole parole attinta la prima al Poeta italico e
sia rivolta ai cittadini; attinta la seconda al Testo Sacro e la rivolgo ai credenti:
corrispondono entrambe a ciò che in questo momento storico il ben inteso amor patrio
esige imperiosamente da ognuno di noi sopra ogni altra cosa: granitica unità di menti e
di cuori, fede in Dio. Guai se il terribile conto di una guerra come la presente non ci
trovasse tutti uniti: mai come oggi risuonò più sacro il << siam fratelli, siam
stretti ad un patto; maledetto colui che l' infrange>>..... Ciascuno al suo posto,
senza sbandamenti, senza critiche od omei; niente miracolismi, strategie, vociferazioni;
mai il silenzio fu più d' oro, mentre la guerra dei nervi tende ad essere ripresa. Si
parli invece a Dio, supplici, ricordando, contro la presuntuosa superbia umana che
<< nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilant qui custodiunt eam>>.
L' avessero compreso prima quanti, facendosi una divinità astratta della patria,
presunsero di promuoverne gli interessi senza e persino contro Dio! Intensifichiamo
pertanto la nostra vita religiosa e più precisamente cristiana, non paghi di esteriorità
convenzionali e di formalismi vuoti, ma in piena coerenza col credo religioso sia la
condotta morale di tutti e non tarderà a farsi sentire la divina protezione sul popolo
che ha eletto Iddio per la sua eredità: la vergine Taumaturga. Castellana d'Italia,
affretti col tuo potente patrocinio l'alba degli auspicati giorno migliori. Vi benedico
assai di cuore- Trento, 1 agosto 1943- Carlo, Arcivescovo
In queste poche righe il vescovo abiurò la
fede fascista che aveva sempre dichiarato in pubblico e nell' ora grave che incombe
sulla Patria raccomandò ai cattolici ed ai cittadini in generale di mantenere la
calma e non dare adito a precipitose vendette contro gli esponenti del passato regime o
quanti avessero approfittato della loro posizione per commettere soprusi o malversazioni.
Da questo momento il vescovo de Ferrari si distinguerà per una posizione di basso
profilo nei confronti delle autorità tedesche con le quali si limiterà ad
intrattenere sporadici contatti, non sempre contrassegnati da mutua comprensione.
La proclamazione
della ZOP Alpenvorland e il contesto internazionale.
Con listituzione della Zona
d'Operazione Alpenvorland, la situazione di sospensione in attesa degli avvenimenti della
popolazione trentina mutò improvvisamente. Il 18 settembre l'avvocato trentino Adolfo de
Bertolini proclamò la costituzione della Zona d' Operazione Alpenvorland, dichiarando di
avere ricevuto l'investitura dal Gauleiter Hofer - con un episodio di vago
sapore pseudo-democratico perché la decisione era stata in realtà già stata presa- e
dai maggiorenti della città nonché un piccolo gruppo di operai e artigiani, episodio ben
ricostruito a posteriori dalla serie i 600 giorni dell'Alpenvorland de
Il Popolo Trentino. Così scrive a cinque anni di distanza
dall'avvenimento Il Popolo Trentino, una delle poche fonti che ho
potuto consultare in merito a questa riunione, : Il comm. Catoni parlò
per ultimo. Interpretando il pensiero dei convenuti, in preda a evidente commozione, egli
ringraziò il Commissario Supremo per le promesse fatte e per la piena comprensione
incontrata dai desideri di tutti.<<E' un raggio di sole- egli concluse- che giunge a
squarciare le tenebre>>.La notizia di quanto era avvenuto fra le mura ristrette
della sede bancaria si propagò come il vento. La popolazione trasse un profondo respiro e
fu lieta di sapere che un uomo di questa terra, riprendeva il timone della Provincia nel
momento del pericolo maggiore, dopo ché per una lunga serie di anni, per volontà
estranea a quella dell'ambiente, esso era stato affidato d'imperio, coattivamente, a
uomini che non sempre e, anzi raramente, ebbero più a cuore il compimento d'una carriera
che non la tutela dei giusti interessi della Provincia. Fu un' esplosione di gioioso
stupore e di profonda soddisfazione, tanto più sentita in quanto imprevista : una
sorpresa che tramutava in realtà la certezza di una vita tranquilla giacché la decisione
di Hofer veniva a impedire anche la lotta politica e, con essa, lo spettro di una lotta
intestina.
Interessante notare come il
Popolo Trentino narri dei fatti ponendo le parole pronunciate dallavv.
De Bertolini sotto una luce positiva Da Voi, Commissario Supremo, voglio però
una promessa. Questa: che la violenza e l'arbitrio non abbiano ragione sui diritti del
popolo. Nessun soldato tedesco ritenga di avere maggiore diritto di un qualsiasi cittadino
per il semplice fatto di portare un fucile. Il Commissario Supremo annuì.
Ma più interessante ancora mi
sembra il proclama che annunciava alla popolazione la costituzione della Zona d'
Operazione sulle pagine de Il Trentino in data 18/09/1943 :
Proclama del Commissario Prefetto de Bertolini : Nell'assumere dalle mani del
Commissario Supremo per le province di Bolzano, Trento e Belluno, l' incarico di
Commissario Prefetto, invito la popolazione trentina a mantenersi calma, attendendo al
proprio lavoro. Sarà una delle mie prime cure di provvedere acché la vita civile, in
quanto lo consentano le operazioni di guerra, rientri nelle condizioni di normalità.
Invito i cittadini ad espormi senza inutili formalità le loro domande riflettenti cose di
pubblico interesse, promettendo loro di aiutarli nei limiti delle
possibilità del momento. Dal canto mio attendo che la popolazione collabori onestamente,
in modo, che sia raggiunta la finale vittoria delle armi germaniche; solo così potrà un
giorno nelle migliorate condizioni di vita raccogliere il compenso per i sacrifici ora
sopportati. Due elementi appaiono con particolare chiarezza in questo
proclama del Commissario Prefetto de Bertolini :
1) la semplificazione della vita
amministrativa, come abbiamo visto anche nel caso dell' Alto Adige; 2) la frase
sia raggiunta la finale vittoria delle armi germaniche, che Ada
Saletti, sua dattilografa, testimoniò durante al processo a de Bertolini essere stata
aggiunta dal Consigliere Germanico Kurt Heinricher a posteriori ed all'insaputa di de
Bertolini.
Si ritrova insomma, di
nuovo, la concezione della politica ridotta a buona amministrazione e alla ricerca della
coesione sociale, ma a quanto mi consta il Commissario Prefetto, nonostante le sue lodi Da questi oggetti, che non
servono più che di ingombro, la proverbiale tecnica tedesca sa creare dei tessuti, che
possono fornire ancora degli indumenti atti per il soldato. alla potenza occupante, non si espresse in alcun modo, se non
indirettamente, sulla natura intrinseca del regime nazionalsocialista, né d'altra parte
la questione fu mai sollevata in alcun modo dalle numerosissime persone che si
rivolgevano a lui in cerca d' aiuto. Sembra quindi che a prevalere nel suo giudizio fu la
necessità di evitare uno scontro frontale con i tedeschi ed allo stesso tempo la guerra
civile fra la popolazione, che d'altronde egli volle reprimere in modo piuttosto duro,
incoraggiando in questo modo la popolazione a lottare per
compiere il proprio dovere in difesa di una giusta causa, per il benessere e la legalità
che a lui in quel momento veniva affidata dall'occupante, la quale aveva grande fiducia
nel suo operato come dimostrano queste lettere :
Risulta
evidente che il trattamento dei nostri internati lascia molto a desiderare, se non è loro
concessa nemmeno la possibilità di comunicare con le famiglie e viceversa. C' é anche la
Croce Rossa che provvede all' uopo, ma perché é necessario l'intervento della Croce
Rossa, come se si trattasse di interferire con dei nemici anziché con degli alleati, e
non é più efficace l' intervento delle nostre autorità, dato che tra il Commissario
Supremo per la Zona d' Operazioni delle Prealpi ed il Governo del Reich mi sembra corrano
relazioni assai buone?. : Egregio Signor Prefetto, scusi se con
questa mia uso rivolgere poche parole alla gentil Sua persona, ma sapendola buona sono
obbligato. Non saprei proprio Signor Prefetto perché esista ancora tante ingiustizie noi
qui trentini di nome e di fatti non siamo più capaci di avere una casa un' occupazione
che ciò é tutto per li italiani, noi qui ci licenziano giornalmente dalle officine e
dagli uffici e dobbiamo abbandonare moglie figli madre per recarci lontani a lavorare
mentre gli italiani occupano tutti i nostri posti, dovrebbero essere loro che girano dopo
in più il male che parlano di noi e nostri alleati, noi non si dovrebbe lasciare i nostri
paesi, una madre ammalata, una sposa con cinque o sei piccoli bambini non é giusto Signor
Prefetto , se fosse per fare il nostro servizio alla patria e nostro dovere ma non per
lasciare i nostri traditori già due volte ai nostri posti. Così Signor Prefetto buono e
giusto come siete abbiate cuore anche per noi, mettete una legge che prima di licenziarci
noi trentini e dintorni siano loro che lasciano ciò. Sperando presto avere buone speranze
su voi Signor Prefetto in un cambiamento sennò dobbiamo rivolgerci al comando supremo. Vi
ringraziamo a nome di molti operai e operaie di Trento e Rovereto. Con stima un
operaio per tutti. favorendo in questo modo il gioco dei piani
annessionistici nazisti. A ciò si aggiungeva il distacco giuridico, ed il tentativo di assicurarsi i favori della
popolazione mediante un regolare rifornimento annonario.
Il regime nazista tese a fomentare i
separatismi locali in quasi tutte le regioni europee conquistate, tranne forse in Ucraina
occidentale e in Bielorussia in cui vi erano già forti sentimenti antirussi, ma che il
regime nazista non ritenne opportuno sfruttare a causa della sua viscerale concezione
antislava. Anche nella Zona d'Operazione Adriatisches Küstenland le autorità
naziste, prevalentemente austriache e carinziane, fecero in modo di fomentare il
nazionalismo friulano in funzione antitaliana e soprattutto spinsero i due gruppi etnici,
gli sloveni ed croati contro gli italiani. Gli italiani a suo tempo erano
stati violentemente snazionalizzatori, ma ora venivano
contrapposti dai nazisti alle popolazioni slave in modo da potere fungere da arbitri e
padroni del complesso mosaico etnico della regione e reggere così l'intero fronte
balcanico.
Come intendeva realizzare il Gauleiter Hofer il
distacco della provincia dal restante territorio italiano? Anzitutto chiudendo tutti i
canali di comunicazione istituzionali con il resto d'Italia, e mettendo al fianco del
Commissario Prefetto de Bertolini il Consigliere Germanico Kurt Heinricher, il cui nome di
<< consigliere >> poteva però ingannare, come ricordade Bertolini nel suo
primo memoriale di difesa allorché si trovò ad essere processato nell'immediato
dopoguerra per collaborazionismo ma assolto perché operava in condizioni di forza
maggiore. Così testimonia il de Bertolini :
Più importante mi è sembrato che l'Hofer si era manifestato
irriducibilmente antifascista e che a questo mirava il dott. Heinricher, che era il vero
capo della provincia, era in diretta congiunzione telefonica col Commissario Supremo, ne
eseguiva gli ordini, ne interpretava le direttive. Io gli ero subordinato e le parti erano
invertite: mentre il nome lo faceva apparire mio consulente, la realtà affidava a me il
compito di illuminarlo, predisporlo, calmarlo. Ogni mio scritto diretto al Commissario
Supremo doveva essere presentato a lui prima di essere spedito. Se non gli andava me
lo ritornava. Colle autorità militari e la gendarmeria potevo corrispondere solo per suo
tramite. Le disposizioni ministeriali dovevano essere inviate a Bolzano prima di venir
applicate. La corrispondenza col Ministero doveva passare per Bolzano. Perfino negli
affari comunali l'ingerenza era continua e curata non soltanto dai consiglieri germanici
addetti alla Prefettura, ma perfino da un incaricato immediato del Commissario Supremo
nella persona dell' avv. Dott. Mario Ravanelli di Bolzano che girava da comune in comune e
provvedeva a sostituire i capi. Di tale stato di cose tutti erano al corrente, non solo in
ufficio, ma anche fuori.
Appare evidente da questa
citazione il ruolo relativamente secondario del de Bertolini nell'amministrazione della
provincia da parte dell'occupante tedesco, che gli aveva prefigurato un ruolo di mero
esecutore delle direttive che venivano dall'alto, salvo concedergli un ruolo relativamente
autonomo nell' amministrazione delle emergenze umanitarie, che assolutamente non
mancavano, come mi risulta dalla lettura di centinaia di lettere che si rivolgevano all'
avv. De Bertolini in cerca di aiuto morale, ma anche, e molto spesso, materiale. Questo
suo ruolo umanitario fu riconosciuto nella sentenza di assoluzione della Corte d'Appello
di Trento qui citata in nota.
Latteggiamento
della popolazione.
Le autorità naziste avevano
elaborato una strategia molto stringente ed efficace per annettere il territorio al Reich:
1) in un primo tempo la
fornitura a fini propagandistici di beni alimentari di cui si sentiva una disperata
necessità;
2) un aumento dei salari
della popolazione del 30% ;
3)
la promessa di mantenere l'ordine in
regione;
4) il ripristino delle autonomie
comunali;
5) una semplificazione
della vita amministrativa;
6 una valorizzazione
esasperata della cultura locale;
7) il distacco della provincia
dal tessuto connettivo italiano dal punto di vista amministrativo e giuridico.
In un primo tempo la politica di
pacificazione del territorio del Gauleiter Hofer si servì del rifornimento annonario per
ottenere il consenso della popolazione e la tattica sembrò funzionare, ma a partire dalla
primavera del 1944 le ripetute sconfitte dalla Wehrmacht sul fronte orientale, impedirono
all'economia tedesca di spogliare quei territori e la dirigenza tedesca si trovò ben
presto costretta a scegliere se continuare a rifornire di alimenti le zone occupate per
ottenerne una progressiva pacificazione oppure nutrire le proprie truppe e la propria
popolazione. E' evidente che in mancanza di un surplus alimentare la scelta non poteva che
ricadere sulla seconda opzione se si voleva evitare che il fronte interno tedesco cedesse.
La questione annonaria
divenne centrale per le condizioni di vita della popolazione, come testimoniato dal
seguente rapporto dei carabinieri di Pergine Valsugana: A Pergine non sono giunti la pasta e
la farina da polenta per il mese volgente, essendo quasi la fine del mese, lo zucchero dei
mesi di settembre e ottobre. Per questo la popolazione protesta e nel pomeriggio del 22
corrente. Un gruppo di una sessantina di donne ha inscenato a Pergine una dimostrazione di
protesta, imprecando contro le organizzazioni e le autorità italiane che, secondo loro
non sanno intervenire in favore del popolo bisognoso e proteggono la borsa nera. Le donne
perciò si portavano davanti al Comando Militare Germanico che ha sede in piazza del
Comune, chiedendo l' intervento delle Autorità germaniche e fu determinante per latteggiamento della popolazione
trentina nei confronti dell'occupante, che, costretto a sua volta a fare i conti con
le proprie necessità alimentari, procedette a sequestrare le derrate
alimentari agli agricoltori trentini per uso personale o per portarle agli ammassi,
ad un prezzo minore di quello di produzione. Il risultato di questa politica fu, a partire
dalla primavera del 1944, una vera e propria esplosione del mercato nero ed un aumento
generale dei prezzi, limitando seriamente il potere d'acquisto della popolazione già
stremata dalla guerra.
Ciò, ovviamente, non giovò allamministrazione
tedesca ed alla sua popolarità, che iniziò nettamente a scemare a partire dall'autunno
del 1944, soprattutto quando allesproprio della produzione, seguirono il lavoro
coatto (come viene ben descritto
da Manci: Anche per il fronte del lavoro, si é iniziata, con la zelante
collaborazione dei comuni, una larghissima coscrizione di mano d' opera maschile e
femminile- con immediato invio in Germania. Bisogna riconoscere che queste chiamate hanno
distrutto il senso di accomodante e benevola attesa della maggioranza della popolazione
verso i nostri amici. Come logica reazione aumenta il numero degli sbandati42 ),
o il servizio militare obbligatorio a cui gli uomini venivano costretti mediante
precettazioni la cui elusione implicava la prigionia dei congiunti di coloro che vi si
sottraevano. Scrive in proposito Anna Menestrina : Nuove chiamate alle armi.
Nessuno scampa più. Anche quelli che sono sui lavori ricevono la cartolina per
presentarsi alle caserme. Mamme e spose piangono..... uomini che se ne vanno. Non giova
più avere uffici di scuola, impiego etc. Non c' é nessun esonero. Solo ancora i medici e
i farmacisti. Per ora, almeno. Unaltra
misura che di certo non giovò alla popolarità delloccupante fu quella dei prelevamenti coatti di generi alimentari, come annota Silvio Gobber,
gestore della cooperativa di Prade : La S. S. leva il blocco a Primiero e
se ne va dopo aver frugato i dintorni per scovare i partigiani. Raccontano che furono
prelevate quattro vacche e incendiati dei masi; chi non dava informazioni precise sul
conto dei partigiani veniva schiaffeggiato.
Malgrado tutto, latteggiamento della
popolazione rimase però incerto: varie sono le posizioni politiche che si ritrovano nei
documenti depoca e che vanno dallaccondiscendenza verso linvasore ad un
atteggiamento di rifiuto totale nei suoi confronti; anche nei confronti dei partigiani
quello che emerge è un sentimento ambiguo, che pian piano, mentre sempre più
chiara si delinea la sconfitta tedesca, si trasforma in appoggio esplicito al movimento
partigiano.
Ecco alcuni esempi tratti dal
diario di Anna Menestrina che annota in data 14/08/144 : I ribelli hanno fatto
saltare un ponte sul Leno e danneggiato l'acquedotto, così Rovereto é senz'acqua. I
giornali ammoniscono che in casi di sabotaggio simili a questo, saranno arrestate persone
del luogo- uomini, donne, ecclesiastici, senza distinzione- e tradotti come ostaggio. Che
si può fare?Affidarsi alla misericordia del Signore.
Si percepisce un atteggiamento di
sospensione del giudizio o di accettazione di una realtà fattuale, senza alcun giudizio politico
sul loro operato, che tuttavia può essere interpretato in modo positivo se si considera
come fosse difficile per un cattolico concedere la totale approvazione ad un
movimento che agiva al di fuori della legalità e che necessariamente uccideva e rapinava
per fornirsi dei mezzi necessari al combattimento. E evidente dalla lettura del
diario come nel dipanarsi della vicenda il coinvolgimento emotivo si trasformi in
giudizio politico solo a tratti e che su alcuni argomenti, permane una sorta di
zona grigia che viene
squarciata soltanto con la fine della guerra, evolvendosi
in una approvazione integrale dell' operato dei patrioti : La
guerra é finita. La Germania si é arresa senza condizioni. Ora si fa appello ai patrioti
e a tutti coloro che amano la Patria per risolvere senza troppi orrori questi momenti
decisivi. Si ordina quindi ai Patrioti di scendere immediatamente da tutti i posti e
impedire la ritirata ai germanici; di impedire devastazioni e asportazioni di roba; di
opporsi a chi volesse rifugiarsi tra i monti. Si ordina di occupare subito tutti i posti
pubblici, le caserme, gli uffici e vegliare all' ordine sulla città in attesa dell'
occupazione. Che fremito ci scuote l'anima! Non é l' orgoglio nazionale del 1918 quando
uscivamo dalla guerra vincitori. Oggi usciamo con l' anima a brandelli e la
Patria in rovina.
L'atteggiamento verso i
partigiani rimane ambivalente per tutto il diario, mentre quello verso i tedeschi è di
fastidio, di noia e sarà così per tutto il diario : Continua il
passaggio di truppe germaniche. Numerosissime. Oggi, andando in S. Maria (è la festa
patronale dell' Assunta) ho dovuto passare davanti ai carri armati germanici che occupano
tutta la piazza davanti alla chiesa. Carri armati in via Prati, in via Rosmini, in
via Barbacovi..... germanici nelle scuole di via Verdi, alle Sanzio, alle Scuole
Commerciali....... Tutta la città ne é piena.
Un tono ancora più accorato
sulla situazione della Patria e della regione assume invece il professor Pietro Cortona
nel suo epistolario con Beatrice Rizzi, futura direttrice del Museo Storico di Trento:
Quanto le scrive R. Ha purtroppo un fondo di verità: il ceto rurale- che forma
la gran massa del nostro popolo- angariato da una burocrazia rapace, oppresso da apparato
legislativi cavilloso ed ingombrante, testimonio quotidiano di malafede, di raggiri e di
cupidigie delle grandi e piccole autorità, sogna l' ordine e il paternalismo che non gli
faccia difetto sotto quello stato che non é più ma di cui a Mosca si promise la
rinascita: se al Trentino come certo all' Alto Adige si applicasse il plebiscito, esso
andrebbe- non v' é alcun dubbio- perduto per la Patria!Alla classe rurale che pensa così
si accostano gli arrivisti e gli opportunisti sempre più numerosi ed influenti i quali
pensano a possibili autonomie, a qualche repubblichetta di tipo svizzero, lusingati dalla
relativa calma politica che regna in questa regione prealpina per merito di un capo
tedesco
Degno di nota è il fatto che Anna Menestrina e
Pietro Cortona, nonostante il loro dolore per la situazione in cui versava la Patria ed il
Trentino, si esprimono entrambi nei loro scritti a favore dell'operato del Commissario
Prefetto de Bertolini, se non a livello politico (confine amministrativo posto a Borghetto
e costituzione del C.S.T. per la sua intensa opera umanitaria effettuata in favore della
popolazione senza alcuna distinzione politica, e per lopera di concentrazione
dell'amministrazione e della cura complessiva degli affari della regione nelle
mani dei trentini.
E la prova di una sorta di convergenza
nell'appoggio a de Bertolini tra la popolazione trentina che può essere suddivisa in
almeno tre schieramenti :
·
filotedeschi
o filotirolesi per qualsiasi ragione lo fossero (fiducia, paura, opportunismo, populismo,
ignoranza della vera natura del Terzo Reich);
·
attendisti
senza alcuna opinione politica di sorta;
·
patrioti
perplessi e amareggiati che disprezzavano la tendenza secessionista di una buona parte
della popolazione, rimpiangevano il miserando stato in cui versava la Nazione ed al tempo
stesso si sentivano rincuorati dalla presenza del Commissario Prefetto per l'amore e le
capacità che questi profondeva in favore della sua terra natale
La situazione della provincia
continuò a peggiorare progressivamente per la perdita dei territori dell'est, della
Francia (a partire dall'autunno del 1944), e dei territori dell'Italia settentrionale
attaccati dai partigiani che attaccavano gli ammassi allo scopo di danneggiare il consenso
di cui i tedeschi godevano presso alcuni strati della popolazione, aggravando
ulteriormente la situazione alimentare del Reich.
La Germania non riuscì più a
garantire il rifornimento alimentare alla Zona d'Operazione come inizialmente stabilito,
poiché l'attività partigiana distruggeva le carte annonarie destinate al sostentamento
della popolazione civile e le
liste di arruolamento, alimentando così il disordine sociale,
che il Gauleiter Hofer cercò di controllare invano con ordinanze sempre più draconiane
. La popolazione si trovò presa nella morsa tra le rappresaglie tedesche e le
azioni partigiane e sospettata dall' uno di parteggiare per l' altro e viceversa, come
testimoniato da una lettera di de Bertolini : Si verifica la strana
situazione per cui gli uffici tedeschi ritengono che gli abitanti di Folgaria appoggino i
ribelli, mentre i ribelli li sospettano di collaborazione con i tedeschi.
La politica del Gauleiter,
partendo dalla premessa che il regime nazista teneva in considerazione il benessere della
classe lavoratrice, aveva cercato la pace sociale, concedendo da una parte laumento
dei salari (in particolare di quelli degli operai) a condizione che non vi fossero
ulteriori rivendicazioni salariali o rivendicazioni di tipo politico che sarebbero state
represse con la violenza, tenendo dallaltro a restare in buoni rapporti con gli
imprenditori privati.
Ad essi chiedeva un piccolo
sacrificio in termini di profitto in cambio di uno immensamente superiore: l'ordine
sociale ed il funzionamento a pieno ritmo delle industrie trentine in favore dell'economia
di guerra del Reich. Questa politica accelerò l'industrializzazione del Trentino sotto
l'impulso delle commesse belliche naziste, nonostante la propaganda tedesca illustrata dal
giornale Il Trentino ed indirizzata prevalentemente alle popolazioni
rurali, insistesse sulla conservazione di una modalità di vita tradizionale.
Paradossalmente un altro fattore
di vantaggio del territorio trentino rispetto al resto d'Italia, considerata
dai nazisti eminentemente un territorio da sfruttare, fu che i territori dell'Alpenvorland
fossero destinati ad essere annessi direttamente al Reich; la circostanza fece sì
che la popolazione ed i macchinari industriali non fossero prelevati e portati in
Germania, e gli effetti micidiali delloccupazione nazista vennero in parte attutiti
dalla lotta interna fra i vari organi di potere (policrazia conflittuale).
Gli inutili
tentativi della RSI di fare valere i propri diritti nella ZOP Alpenvorland
La dittatura fascista tentò in
ogni possibile occasione da fare valere i propri poteri, più nominali che reali, sulle
due Zone d'Operazione. La documentazione in merito ci viene fornita in particolar modo dal
fondo Segreteria particolare del Duce- R.S.I. 1943-1945 presso l'Archivio di
Stato di Roma ed il fondo dedicato alla documentazione relativa alla R. S. I. presso l'
Archivio Storico del Ministero degli Esteri a Roma.
Già ad una prima lettura dei
documenti appare subito evidente l'impotenza con cui il governo di Salò rivendicava i
territori strappatigli, che i tedeschi insistevano a giustificare con la momentanea
necessità di proteggere le linee di collegamento ferroviario del Brennero, che
assicuravano il collegamento tra Germania ed Italia. Quanto questa risulti una verità
molto parziale risulta dallo spesso carteggio tra i due contendenti tratto in buona parte
dal libro dello storico britannico William Frederick Deakin, che analizzò in profondità
i difficili rapporti tra Germania nazista e Repubblica Sociale Italiana.
Per l'Italia fascista si trattò
in primo luogo di salvare quei territori che erano stati l'obiettivo dichiarato o meno,
degli sforzi compiuti dalla nazione a partire dalla sua unità nel 1870, dalla firma della
Triplice Alleanza voluta da Crispi con Austria e Germania nel 1882, ai sacrifici
affrontati durante la Prima Guerra mondiale combattuta a fianco dellIntesa in base
al patto di Londra firmato nel 1915. In queste terre era nato lo stesso spirito del
fascismo, lo spirito delle trincee; più prosaicamente esse avevano costituito
limportante avamposto da cui sarebbe partito il progetto imperiale di Mussolini
verso i Balcani.
Dopo il 1943 la Repubblica di
Salò si trovò in una posizione estremamente debole nei confronti dell'alleato-occupante
e le cui uniche leve di potere su cui poteva contare, consistettero nel dilazionare o meno
i finanziamenti alle due Zone d'Operazione, e nel fornire un sufficiente numero di uomini
per le repressioni antipartigiane. In realtà i tedeschi non procedettero mai a una
annessione formale di questi territori al Reich solo perché un tale atto avrebbe
suscitato in tutta Italia una esplosione di indignazione tale da far mancar loro lappoggio
necessario per la continuazione di una guerra dalle sorti sempre più incerte e che
richiedeva continuamente nuove risorse umane ed economiche .
Particolarmente importanti sono a
questo proposito le dichiarazioni della classe dirigente nazista Ribbentrop, Rahn,
Goebbels, già citati nel secondo capitolo ed a cui ora ritornerò brevemente: Il
Duce probabilmente solleverà con il Führer la questione dello status delle zone
operative sulle coste adriatiche e nelle zone alpine. So che si è occupato del problema
senza interruzione e con frequenti e violente reazioni. Ha seguito attentamente <<la
stampa tedesca in queste zone>> e in particolare le vecchie tendenze austriache. In
alcuni provvedimenti presi dall'alto commissario, il Duce vede la preparazione
dell'annessione futura di queste zone alla Germania...Sono riuscito sinora a impedire che
il Duce e alcuni membri del suo governo si preoccupassero troppo del problema delle zone
operative e a far comprendere loro la necessità delle misure adottate dall' Alto
Commissario. Ma in complesso l'autorità del governo italiano e il suo contributo al
comune sforzo bellico in vari settori... hanno assunto un'innegabile importanza; di qui la
tendenza del Duce a metterci di fronte a faits accomplis e a sondare le nostre reali
intenzioni con piccole punzecchiature esplorative
Risulta chiaro da questi brani
come la tattica tedesca consistette prevalentemente nel rispondere evasivamente alle
sempre più insistenti richieste del governo della R.S.I. per continuare a godere
della sua sempre più riluttante collaborazione, mentre contemporaneamente avviava i
preparativi per una possibile annessione, che consistettero in una progressiva
nazionalizzazione delle popolazioni autoctone di etnia tedesca, gli altoatesini, ed una
progressiva snazionalizzazione di quelle italofone, in questo caso i trentini.
Nell'ambito dellaltra Zona
d'Operazione, la Zona Adriatisches Küstenland, i nazisti cercarono di rinfocolare l'odio
delle popolazioni slave e le loro pretese territoriali nei confronti dei territori
italiani e di quelli recentemente conquistati dall'imperialismo fascista, come la zona di
Lubiana : Circa la questione delle rivendicazioni croate e in generale dei
popoli balcanici verso territori già annessi all' Italia, o all'Albania, esse sono state
avanzate su precise disposizioni del Governo del Reich, il quale desidera assicurarsi
l'amicizia dei popoli balcanici, ultimamente un po' vacillante, attraverso concessioni e
una buona campagna propagandistica.
La reazione italiana alloccupazione
delle due Zone dOperazione da cui pervenivano rapporti sempre più preoccupantinon
si fece comunque attendere. Scrive Serafino Mazzolini, ministro degli Esteri della R.S.I.:
Sulla questione non sono mancati i passi qui fatti presso l'ambasciatore Rahn,
passi che però non hanno sortito effetto alcuno. Sono pertanto d'avviso che sarebbe utile
richiamare su quanto precede l'attenzione della Führung, insistendo particolarmente sul
concetto che diviene difficile, per non dire impossibile, convincere gli italiani che
bisogna essere strettamente uniti e combattere con la Germania, quando questa è il paese
straniero che per primo avanza pretese su parti del territorio italiano e che priva il
governo italiano della sua sovranità, nonostante tutte le affermazioni di alleanza, di
lotta comune e di difesa contro la rapacità del nemico.
Tali iniziative rimasero comunque
prive di un risultato concreto come testimonia questa sibillina dichiarazione di
Ribbentrop : Se la Germania perde la guerra, la sorte dei confini italiani sarà
senza dubbio pregiudicata chissà per quanti anni; se la Germania vince la guerra, la
questione delle province di frontiera sarà certamente esaminata dal Führer insieme al
Duce con quello spirito di comprensione e di amicizia che ha sempre caratterizzato i
rapporti tra i due capi. Non bisogna sentire perciò preoccupazioni di alcuna natura.
Nella successiva storiografia di
matrice neofascista si è voluto sottolineare il ruolo positivo che la R.S.I. avrebbe
avuto nellimpedire la frammentazione dellItalia e lannessione delle due
ZOP da parte della Germania. In realtà la Repubblica di Salò si trovò sempre in una
condizione di grande debolezza e poté posticipare nel tempo l'annessione, che non avrebbe
potuto probabilmente impedire se il Reich avesse vinto la guerra.
La stampa
La propaganda tedesca venne
svolta principalmente sul quotidiano il Trentino che fu diretto da
Mario Giovanni Paoli trentino e giornalista professionista I tedeschi cercarono di fornire
una rappresentazione dei partigiani come di persone che disonoravano il concetto di guerra
tradizionale, attentando alla serena convivenza della popolazione senza fornire alcun
contributo rilevante alla vittoria degli avversari del nazionalsocialismo. Scrive Il
Trentino In questo genere di guerra il mito dei popoli in arme manca
di ogni fondamento. Al contrario: le bande sono divenute molto più dannose per le loro
stesse popolazioni che un vero pericolo per le forze armate tedesche. Spontaneamente
accorre solamente la gentaglia, banditi di mestiere, in pace ed in guerra. Perciò i capi
devono organizzare il terrorismo tra le loro stesse popolazioni. I borghi intenti al
lavoro, per la loro pacifica vita quotidiana, vengono aggrediti ed incendiati e gli uomini
in grado di combattere vengono portati via. Chi si dimostra renitente viene ucciso, donne
e bambini compresi. La popolazione non osa reclamare e la segue intimorita nei boschi.
Beni ed averi le sono già quasi tutti tolti e quindi essa non vede più alcuna via
d' uscita. Dove le bande si vedono incitate a ripulire, depredano con aggressione
improvvisa ed uccidono. Dove le bande hanno posto il loro dominio, su singoli tratti di
territorio, il loro contegno non é meno sanguinario. Essi, secondo la terminologia
bolscevica, possono chiamarsi anche <<partigiani>>- cioè appartenenti ad un
partito sovversivo- ma restano sempre estranei alle vicende del luogo ove si trovano e
sono incaricati di attentare alla quiete pubblica.
Gli elementi che la propaganda
tedesca utilizzò furono essenzialmente il disconoscimento del valore politico
dell'operato delle formazioni partigiane, che vennero rappresentate come banditi da
strada, gentaglia al di fuori della legalità, ( il termine tedesco adoperato,
particolarmente forte, é Gesindel) che danneggiava e distruggeva villaggi e
città, comportando ingenti danni alla popolazione industriosa e pacifica, costretta a
fuggire nei boschi. Si nota all'interno di questi articoli una fin troppo evidente
divisione tra noi e loro, un bianco e un nero
tra chi era parte integrante della comunità e viveva in conformità alle sue leggi e chi
ne viveva al di fuori.
Altro elemento di cui si avvalse
la propaganda nazista fu il fatto che la guerra partigiana fosse una guerra senza
onore, al di fuori delle regole del combattimento tradizionale. Jens Petersen,
spiega in modo esauriente come la guerra partigiana risultasse assolutamente
incomprensibile per i militari tedeschi e per questo venne repressa con particolare
ferocia. Scrive Petersen : Né nelle memorie di Kesselring né in altre
testimonianze scritte da militari tedeschi v'é posto per le motivazioni politiche, etiche
e patriottiche della Resistenza. Qui emergono tre ordini di motivi che potrebbero
suffragare l' estraneità e il distacco: 1) la chiusura del tedesco- legato alla
legalità, alla fedeltà allo Stato ed all' obbedienza- al fenomeno della Resistenza in
generale; 2) il rifiuto e la perplessità del militare di carriera tedesco di fronte ad
ogni forma di << guerra piccola>>, di guerriglia che comporta la
disintegrazione della concezione tradizionale della guerra e l' abolizione delle
differenze tra popolazione civile e i militari. In Germania non esistevano forti
tradizioni << garibaldine>> della volontarietà, della spontaneità e della
organizzazione autonoma. Come ha già dimostrato l' esperienza di Garibaldi nella guerra
franco prussiana nel 1870-71 l' incomprensione dei militari per la guerriglia poté
condurre rapidamente alla criminalizzazione di tale fenomeno;3)oltre a queste due barriere
mentali, bisognerebbe ricordare anche certi tratti specifici dell' immagine che i tedeschi
avevano dell' Italia. Le azioni di guerriglia portarono in superficie aspetti tradizionale
del carattere del popolo italiano così come erano stati descritti e fissati attraverso
alcuni secoli dalla letteratura tedesca sull' Italia Nel<< Welschen>> ( un
termine tedesco adesso caduto quasi in disuso che stava ad indicare tutto ciò che é
<<latino>>, con una connotazione spesso spregiativa) erano concentrati tutti i
possibili aspetti del machiavellismo, cioè tradimento, perfidia, slealtà, crudeltà e
anche disumanità.
Unulteriore conferma di questo fatto
viene dal mancato riconoscimento anche lessicale del fenomeno della Resistenza da parte
dei militari tedeschi, che in tedesco poteva essere chiamata soltanto Bandenkrieg, guerra di bande.
Lo stesso pensiero esprime nel libro di
Isabella Bossi Fedrigotti il Consigliere Germanico Kurt Heinricher, alias Kurt Stauderer,
che dice : Alcune delle condanne furono in effetti firmate dal Commissario
Supremo ( e non furono solo opera della Gestapo), ma ci trovarono tutti d' accordo. In
cosa consistevano infatti le azioni partigiane se non nello sparare, dal nascondiglio dei
boschi, a militari tedeschi ignari che salivano lungo le strade delle valli per trasporti
vari, perlustrazioni, o semplice passaggio di truppe? Azioni di cui i
<<patrioti>> andavano assai fieri, ma che a noi sembravano vili tradimenti.
Un altro aspetto che viene messo
in evidenza dalla propaganda filonazista ne Il Trentino è l'istituzione del Tribunale Speciale che
aveva il compito di soffocare ogni pur minima forma di ribellione al sistema di
dominio instaurato dal regime del Gauleiter Hofer in Trentino. Esso aveva il compito
di proteggere e garantire gli interessi tedeschi e gli interessi
tedeschi sono sempre in gioco quando le esigenze della condotta di guerra, il mantenimento
dell' ordine e della tranquillità e la tutela della popolazione richiedono un
procedimento rapido ed efficace. Il giornale ribadisce ancora una volta il
concetto del giusto rigore da applicarsi contro coloro che agiscono in deroga alle leggi
della Comunità, anche se in questo caso il termine viene meno accentuato rispetto al suo
omologo bolzanino che parla di Comunità popolare. Scrive ancora Il
Trentino : Il Führer ha quindi istituito nel grande Reich Tribunali
speciali con competenze speciali,il cui compito é particolarmente quello di procedere
contro tutti i nemici della comunità rapidamente, efficacemente e se necessario con ogni
rigore. Per i sabotatori e i mestatori, per gli <<sciacalli>> che agiscono
nelle zone colpite dai bombardamenti aerei, non c'é posto in questa guerra. Essi cadono
sotto la spada della giustizia.
Due autori che si sono particolarmente
interessati alla stampa collaborazionista sono il professor Vittorio Paolucci e
Marco Donatoni che ne hanno analizzato in profondità i contenuti. Lo stile ed il
contenuto de Il Trentino si richiamavano fortemente al coevo giornale
filonazista Bozner Tagblatt, differenziandosi soltanto per la minore
enfasi del Il Trentino su alcune tematiche, quali l'esaltazione del
ceto contadino nell'ambito della dottrina del sangue e della terra e limportanza
delle istituzioni sociali naziste .
Le altre tematiche adoperate ne
Il Trentino non si differenziavano in alcun modo da quelle utilizzate
nella stampa nazista dell'epoca. Ecco cosa scrive ad esempio il Trentino
sull'alpinismo trentino e sugli effetti che produce sulla gente di questa terra : Parlare
dell' alpinismo trentino significa penetrare in una forma di attività, dove l' anima e il
carattere della nostra gente si rivelano in tutte le loro qualità più spiccate .Così
l'alpinista trentino si é sempre imposto per la sua azione silenziosa e schiva da
esibizionismo e da vane esteriorità. Anche negli ultimi tempi, in cui la stampa dedicava
spesso spazio abbondante a roboanti resoconti di imprese, che non sempre meritavano una
pubblicità tanto sonora, creando glorie e gloriuzze di un giorno, l' alpinismo trentino
manteneva quella linea tradizionale di serietà severa, dando esempio di una modestia, che
é conseguente alla grande lezione di vita, che la montagna dà a chi la pratica con
sentimento sincero.
Non mancavano dei consigli ai
lettori per la vita quotidiana e per un miglior sfruttamento delle risorse di cui
disponevano, che se da un lato li distraeva dall'affrontare tematiche più impegnative,
dall' altro dava l'impressione di un concreto aiuto ai lettori in difficoltà, soprattutto
a partire dall' inverno del 1944. Non mancavano i riferimenti alla donna quale angelo
del focolare epitome dell' ideologia tradizionalista e paternalista che stava dietro
alla propaganda ufficiale del regime che coincideva in questo caso con la concezione
nazista del ruolo della donna nella società. Scrive Il Trentino: Saranno sufficienti alcuni
piccoli accorgimenti per assicurare un riscaldamento razionale. Ed é alla brava massaia
che, come alle vestali, é demandato il compito di custode del fuoco, affinché il calore
prezioso non si volatilizzi, insieme al denaro speso senza essere utilizzato. Questo
tipo di consigli faceva parte di una tattica indirizzata ad invitare la popolazione ad
utilizzare le proprie risorse con la maggiore oculatezza possibile e si inseriva in quella
strategia di più ampia portata che consisteva nel distrarre ed occupare il più possibile
la popolazione con argomenti della (difficile) quotidianità, dandole una parvenza di
normalità e allontanandola dalla realtà della guerra, impegnandola in futili attività
come l'indizione di una corsa col sacco in una sorta di campagna di disinformazione che la
astraesse il più possibile dai gravi avvenimenti politici che si stavano verificando
nella regione.
Sempre su Il Trentino si
poneva l'accento sull'esistenza di una specifica arte trentina distaccata dal
contesto italiano, in modo ovviamente inverso a quanto avveniva sulle pagine del Bozner
Tagblatt di Bolzano che mirava a rafforzare il sentimento di appartenenza degli
altoatesini all'area culturale germanica. Negli articoli si nota un'esaltazione della
natura che influisce in modo diretto sul carattere della popolazione trentina,
conferendogli serenità ed allo stesso tempo severità, una completa eliminazione dell'
elemento cristiano nell'arte locale, ed una preferenza per l'arte paesaggistica e di tipo
ruralista, omaggio indiretto ad un mondo che si cercava di salvaguardare dalle dannose
influenze esterne.
Il giornale di propaganda si soffermava anche
sui meriti dei personaggi illustri locali come Luigi Negrelli, progettista del canale di
Suez, di cui nell'articolo si lodava l'ingegno, l'abilità ed il contributo prestato al
progresso della civiltà mondiale, ma il cui progetto fu defraudato e messo in opera dal
francese De Lesseps in combutta con la Compagnia Universale detenuta da capitali
francesi. Il fatto che non potè che provocare il biasimo de Il Trentino
per le abitudini predatorie ed imperialiste del grande capitale
anglo-francese : La Compagnia Universale, sfruttatrice in un primo tempo
dell' ingegno degli italiani ed in seguito dei traffici di tutte le Nazioni.
Altri elementi evidenti alla lettura de Il Trentino furono la presenza
di una limitata propaganda antisemita ed il tentativo di operare un distacco, anche
psicologico, dall'Italia e da Roma. Non ha bisogno di alcun commento la frase che
appariva sul frontespizio del giornale Le leggi della Repubblica Sociale non
trovano applicazione all' interno della Zona d' Operazione Alpenvorland e una
colonna dedicata al Notiziario romano. Per quanto riguarda la
politica estera non si nota alcuna sostanziale differenza rispetto a quanto pubblicato sul
giornale bolzanino ed in generale alla stampa nazista. Al posto dell'ideologia subentra
un' analisi storica e politica più razionale e lucida che fa scrivere a Il
Trentino: Come nel passato, il comunismo staliniano continuò a
sventolare la bandiera del proletariato, ma il suo vero obiettivo fu quello di riprendere
con nomi e metodi diversi la politica zarista di espansione verso i mari e d' imporre la
direzione della Russia in Occidente. Così il comunismo, nato come idea e dottrina
pacifista a carattere universale, si é trasformato in un nazionalismo delirante.
Manca in questa analisi, condivisibile o meno che sia, lo stile appariscente,
pieno di aggettivi altisonanti e roboanti tipici della propaganda fascista che non poteva
essere apprezzato dalla popolazione trentina dall'indole piuttosto riservata e amante
della concretezza.
Non diversamente viene trattata la questione
del ruolo che l'Europa, nell'ambito di una coalizione guidata dalla Germania, potrà
assumere in un mondo ormai guidato dalle potenze laterali Usa e Urss, che
minacciano di schiacciarla e sostituirla nella leadership mondiale. La
vecchia Europa, troppo divisa allinterno da secolari rivalità, poteva essere
riunificata solo dal Führer nell'ambito del suo programma contro il bolscevismo e le
plutocrazie anglosassoni, con la collaborazione delle numerose forze conservatrici europee
che egli aveva riunito attorno a sé.
In queste righe emerge un'Europa
concepita come terza forza tra le due potenze ascendenti e si
profetizzava il declino dellimpero britannico che la lotta sostenuta avrebbe
indebolito a tal punto da far perdere anticipatamente il suo immenso impero
coloniale.
Ecco quanto scrive Il Trentino:
Gli Stati Uniti denominano questo il secolo degli americani: in altre
parole essi avanzano la pretesa di erigersi a tutori del mondo intero: Il bolscevismo
batte, in teoria come in pratica, la stessa strada,solo con mezzi differenti.
L'Inghilterra é senz' altro relegata ad una parte di secondo ordine. Essa infatti rimane
tuttora attaccata alla vecchia tesi dell'equilibrio europeo e non si accorge che questo é
ormai sorpassato dagli avvenimenti. Lo sviluppo degli eventi ha già superato da lungo
tempo questo invecchiato concetto del mondo.
Ancora una volta l'analisi degli avvenimenti
può essere discutibile, ma non si tratta unicamente di pura propaganda.
Nell'articolo rivolto a lettori di lingua
e cultura italiana manca, rispetto all'edizione tedesca, piuttosto simile, ogni specifico
riferimento culturale all'Europa intesa come entità in divenire verso la meta della
necessaria unificazione tra i popoli. Si trattava di una struttura di tipo
organicistico-teleologico di derivazione idealistica di evidente matrice hegeliana,
tendente alla costruzione di entità sempre più complesse ed ordinate in modo gerarchico,
di cui la Germania nazista avrebbe dovuto essere al centro ed esclusiva leader, in una
sorta di rinnovata dottrina Monroe europea, come aveva teorizzato l'eminente giurista del
Terzo Reich, Karl Schmitt.
Mancava inoltre qualsiasi riferimento a quale
ruolo i trentini avrebbero avuto in questo Nuovo Ordine europeo e che in qualche modo loro
destinato.
Scrive infatti a questo proposito Vincenzo
Calì: Sorge spontanea la domanda su quale sorte sarebbe stata
riservata ai trentini in caso di vittoria delle armi germaniche; come razza inferiore,
dotata però di alcune affinità con l' elemento germanico, avrebbe potuto ben servire
alla colonizzazione dell' Est europeo. Si tratta di pure e semplici supposizioni
ovviamente; i fatti storicamente accertati dimostrano comunque inconfutabilmente
l'esistenza di precisi progetti nazisti di trasferimento di popolazioni (i cosacchi in
Italia, tanto per fare un esempio) al fine di favorire-attraverso la frammentazione etnica
e il mosaico delle nazionalità- una funzione germanica<<disciplinatrice>>.
Il CST
Il CST (Corpo di Sicurezza
Trentino) rappresentò l'epitome del fenomeno collaborazionistico durante il periodo dell'
Alpenvorland. Su di esso si é concentrata una letteratura regionale che ha finora
lasciato alcuni punti in sospeso, anche se da essa risulta sufficientemente chiaro che
l'adesione a questo corpo non fu affatto entusiasta, ma piuttosto dettata da uno stato di
irresolutezza interna non maturata dalle tragiche esperienze di guerra vissute invece
dalle generazioni più anziane ritornati in migliaia dai vari fronti di guerra o e dalle
stringenti condizioni esterne. Così scrive Mario Chisté : Sono 2-3.5 che mettono insieme queste
tradotte di migliaia di uomini che portano al macello per la Patria. Non statemi a parlare
di Patria, la Patria é di tutti e se é di tutti perché (quei fascisti imboscati )non
vengono con noi? Loro stanno al caldo comodi- comodi e dormono i loro sonni tranquilli
perché hanno fatto il loro dovere. Ed ancora : Io ho parlato credimelo
perché ho visto delle atrocità e agonie tremende e erano gente come noi. Io come guerra
non ne ho fatta tanta ma bestialità ne ho viste anche troppe. Se le condizioni esterne, cioè la presenza delle truppe naziste,
poté scoraggiare molti dal partecipare ad una Resistenza organizzata, altrettanto
importante é l'atteggiamento di quei giovani che si sentirono troppo confusi per
affrontare delle scelte decisive, ed il cui rifiuto del fascismo introiettato
dall'ambiente circostante non fu abbastanza forte da spingerli ad una aperta guerra
partigiana contro l'invasore, come invece avvenne nel caso del CSB, il Corpo di Sicurezza
Bellunese, in cui la stragrande maggioranza dei richiamati non si presentò all'ordine di
precettazione militare emesso dalle autorità tedesche, preferendo aggregarsi alle
formazioni partigiane che combattevano in montagna per liberare la regione dai
nazifascisti, e caratterizzati , come vedremo nel prossimo capitolo dedicato al Bellunese,
da forti istanze di rinnovamento sociale.
L'ordinanza del Commissario
Supremo n. 41 estendeva l'obbligo di prestazioni militari a tutti i cittadini
italiani di sesso maschile delle classi tra il 1894 ed il 1926 che avessero la residenza
nel territorio della Zona d' Operazioni Alpenvorland.
Sul piano giuridico un
provvedimento come quello preso dalle autorità nazista era tutt'altro che conforme
alle regole del diritto internazionale, in conformità all'articolo 44 del Regolamento
dell'Aja del 1899, sottoscritto e mai abrogato dalla Germania, secondo il quale é vietato
forzare la popolazione di un territorio occupato a partecipare ad operazioni militari
contro il proprio Paese.
L'inquadramento della
popolazione venne perseguito mediante l'adozione di ulteriori misure coercitive per
fronteggiare il meglio possibile la situazione di crisi in cui si sarebbe venuta a creare
la ZOP Alpenvorland, nel caso sempre più probabile di un cedimento del fronte tedesco
nell'Italia meridionale, ipotesi che aveva consigliato alle autorità tedesche l'adozione
di provvedimenti sempre più rigidi. Il temuto crollo delle armate germaniche davanti
all'incalzare degli eserciti alleati rese ancora più urgenti i lavori per l'allestimento
di un ridotto alpino fortificato ai confini meridionali del Reich, incrementando di
conseguenza l'esigenza di disporre di personale militare o militarizzato da adibire alla
costruzione delle difese, alla sorveglianza dei cantieri contro gli attacchi delle bande,
e al mantenimento del controllo delle principali vie di comunicazione minacciate dal
risveglio della guerriglia.
Incaricato della repressione dei
renitenti, era il Tribunale Speciale di Bolzano. Per gli inadempienti era prevista la pena
di morte, il carcere duro oppure la detenzione dei familiari più stretti. Quest'ultima
misura, chiarisce, almeno in parte quale spirito animasse i giovani trentini che si
presentarono alle armi.
Questo il quadro in cui si
trovarono ad operare i militi del CST. Rispondente a queste esigenze tedesche, l'ordinanza
di de Bertolini cercò di mascherare le esigenze avanzate dal Gauleiter Hofer, (che
intendeva gestire la questione della sicurezza limitando al massimo l'intervento degli
altri organi nazisti a ciò preposti, in particolare le SS), con una retorica ricolma di
preoccupazione per le sorti della piccola patria e della conservazione
dell'ordine sociale basato su un paternalismo di fondo che lasciavano trasparire una
certa predisposizione al quieto vivere ed al compromesso. Appare evidente in simili
affermazioni lo sforzo di ammantare di un'aura di nobile esclusività quella che
rimaneva la mera esecuzione di un ordine impartito dall'alto, che al di là delle
acrobazie verbali, più prosaicamente si traduceva nella creazione di un efficace
strumento di repressione da subordinare ai voleri dell'occupante.
Le divise tedesche utilizzate dal
CST avevano il compito evidente di snazionalizzare i giovani trentini, di abituarli al
pensiero di fare parte di un'altra entità statale e di alimentare una sanguinosa
guerra intestina (gegeneinander spielen) all'interno della regione, creando
così le condizioni per il distacco del Trentino dal resto dellItalia.
Non è chiaro se l'avvocato de
Bertolini si fosse reso conto delle manovre tedesche o avesse volutamente, ancora una
volta, scelto una soluzione pragmatica, evitando così che gli arruolati
finissero a combattere sul fronte orientale. Scrive Mario Pizzini, autore di una Tesi di
Laurea sui corpi militari e paramilitari nell' Alpenvorland, in proposito : Fuori
da qualsiasi eufemismo, fu ben presto chiaro che esso era stato concepito da subito per le
esigenze di una guerra intestina interna alla comunità trentina, e che, aldilà dei
nobili richiami alla <<Heimat>> locale, si rivelerà ben presto un' arma
efficace nelle mani dell' autorità germanica.
A questo proposito risulta
illuminante la testimonianza di un milite del C. S. T sull'uso del Corpo di Sicurezza da
parte dei tedeschi : Dopo qualche giorno dal nostro arrivo a Carpané, io
e una ventina circa dei miei compagni del CST, mentre ci trovavamo nella caserma
provvisoria, siamo stati radunati da due graduati delle SS tedesche i quali ci hanno
ordinato di armarci e munirci dell' elmetto d' acciaio;siamo stati condotti ad un
chilometro circa di distanza ove presso un edificio trovavansi ammassati, se ben ricordo,
tredici partigiani fatti prigionieri. I medesimi sono stati allineati nei pressi di una
siepe; quindi i due graduati delle SS ci hanno disposti di fronte ai prigionieri a circa
tre metri di distanza. Dietro a ognuno di noi si é posto un militare della Kriegsmarine.
Solo quando uno degli appartenenti alle SS ci ha ordinato di caricare il fucile e di
puntare sui prigionieri abbiamo compreso che eravamo stati prescelti per comporre il
plotone d' esecuzione e per forza maggiore abbiamo dovuto sparare sui partigiani. .
L'impressione che i militi del
CST provocarono in Trentino fu generalmente negativa, come testimonia una canzone
dell'epoca : Vedi, han visi scarni, occhi neri, son slanciati, fronti
intelligenti. Italiani in germanica divisa! Marcian a passi rigidi, taglienti,
senza fletter muscolo, tutti interi. Or odi un comando stridere duro ed erompe da quei
petti improvvisa, in lingua tedesca, ve l'assicuro, una canzon germanica di guerra, aspra,
energica, rauca, martellata, mentre i lor piedi spaccano la terra. E' questa, gioventù
cresciuta e nata nella nostra italianissima terra?Stringe il cuor l'orribile parata.-
Tutti li rinnegano e la Patria loro. Poveri ragazzi quei che obbligati furono, ma vergogna
per coloro che di lor voglia si sono abbassati così vilmente, senza alcun decoro. Già i
lor canti li hanno condannati. Milano, 28 maggio 1944. Italo Lunelli.
Un brano particolarmente significativo tratto
dall'ordine del battaglione n. 6 del CST può servire a
mostrare il grado di asservimento cui erano sottoposti i militi trentini : Ma
noi del CST abbiamo la fortuna di poter aiutare il
Führer nella sua lotta e nel suo lavoro per poter in un domani vittorioso dare alla
nostra Patria Trentina ciò che essa desidera. E' logico che é necessario combattere
fuori della propria provincia per difenderla e ciò, cari camerati, lo state facendo da
mesi. Se proprio ora il nemico aumenta al massimo l'impeto della propaganda ciò non è
sicuramente un segno di forza e nemmeno noi badiamo alle fanfaronate. Noi restiamo fedeli
al Führer e con ciò alla nostra patria trentina Ed ancora: Voi,
i vostri camerati tedeschi ed io non abbiamo che una meta davanti ai nostri occhi;
preservare e proteggere i nostri familiari ed il nostro suolo natio dalle stragi e dai
massacri delle orde asiatiche e dalle misfatte dei gangster occidentali. .
Del resto la vera funzione del CST era stata individuata già dal partigiano Giannantonio
Manci nelle sue ultime lettere all' amico Gigino Battisti, esule in Svizzera. Scrive Manci
il 24/05/1944 ; Letta la relazione all'amico di Egidio mi sembra che la
medesima vada completata anzitutto per ciò che riguarda l'arruolamento nel Corpo di
Sicurezza Trentino (CST). Si é abbandonata ogni
preoccupazione di fare apparire il fenomeno sociale quale << volontarismo>> e
si procede invece a normali coscrizioni su larga scala.
Il giudizio storico sull'operato del CST non può che essere formulato in questi termini: si é
trattato di un corpo strumentale ai fini dei tedeschi che intendevano utilizzarlo in
funzione della lotta antipartigiana e come potente veicolo di snazionalizzazione e di
strumento di guerra fratricida, come si vide ad esempio nelle azioni a Caviola e
nell'Agordino nell'agosto del 1944 e nella fucilazione delle partigiane Ora e
Veglia negli ultimi mesi della guerra.
Proprio perché le ragioni delloccupante
erano facilmente intuibili sin dallinizio, la partecipazione dei militi
trentini restò generalmente bassa, anche se non mancarono alcuni episodi di
efferatezza , ed i tedeschi furono costretti ad ammettere la scarsa considerazione sul
valore militare e sull'affidabilità politica del CST
aggregando agli italiani numerosi soldati tedeschi.
Ecco in proposito la testimonianza di un
anonimo intervistato che racconta la discesa verso Falcade, nella valle del Biois,
nell'agosto del 1944: I nostri reparti furono rivoluzionati, nel senso che
si mescolarono a noi numerosi soldati della Wehrmacht. In pratica ogni due trentini c'era
un soldato tedesco. Insomma eravamo come sorvegliati, la presenza degli uomini della
Wehrmacht era come una garanzia sul nostro comportamento.
La documentazione complessiva e la produzione
storiografica sul CST resta piuttosto scarsa e
frammentaria, a parte alcuni libri molto schierati politicamente usciti di recente. Scrive
Tonolli : I numerosi sottufficiali trentini che ebbero nei marescialli
(Zugwachtmeister) Carlo Tommasi e Giuseppe Zampedri i maggiori rappresentanti, pur
allineandosi disciplinatamente alle disposizioni delle superiori autorità, tennero un
comportamento corretto e leale nei confronti dei ragazzi. La maggior parte di loro, già
sottufficiali dell' esercito italiano, furono reclutati, anche su sollecitazione dei vari
rappresentanti comunali o di amici, per completare i quadri comando delle dodici compagnie
del CST e per evitare che potessero confluire nelle
formazioni partigiane o nella R. S. I. Si presentarono al Distretto di Trento tra la
fine di febbraio ed i primi di marzo 1944 e subito sottoposti ad un corso di istruzione
molto duro, come ebbero a riferire alcuni di loro. Dovevano praticamente adeguarsi ad una
diversa disciplina militare e assumere un comportamento ed un aspetto più marziale e più
consono all' esercito del Grande Reich.
Da queste poche frasi di Tonolli si evince il
tradizionale rispetto della popolazione trentina per le autorità che ha avuto certamente
un ruolo importante in tutta questa vicenda e l'ammirazione dell'autore per la causa
dell'occupante da cui possiamo far derivare il suo collaborazionismo.
La polemica sul CST
verrà portata avanti negli anni Settanta dalla Direttrice del Museo Storico in Trento,
Bice Rizzi,che si opporrà vigorosamente alla proposta di alcuni esponenti del PATT
(Partito Autonomista Trentino Tirolese) alla concessione agli ex militi del CST della pensione di guerra, equiparandoli in questo modo a
coloro che avevano servito nell' esercito della R.S.I. che avevano già ottenuto il
beneficio pensionistico. La Rizzi motiva così la sua posizione: Posso anche
ammettere come alcuni di essi non abbiano fatto nulla di male e che abbiano vestito quella
divisa con disprezzo e dolore. Ma in questo caso si tratta non di singoli ma del Corpo di
Sicurezza nel suo complesso, nel significato che esso assunse ed assume.
La direttrice del Museo Storico di Trento evita
quindi pronunciarsi sull' atteggiamento psicologico dei militi del CST e sulle motivazioni di tipo pragmatico
che portarono alla scelta di arruolarsi, ma giudica i fatti soltanto nel loro significato
di quello specifico contesto storico e politico. Della stessa opinione è lo storico Enzo
Collotti che scrive parlando della analoga situazione creatasi nella Zona dOperazione
Adriatisches Küstenland Permane ancora anche nella
pubblicistica antifascista locale qualche incertezza soprattutto intorno alla valutazione
da dare alla guardia civica. Questa infatti merita un giudizio assai più severo di quello
che non sia stato generalmente dato; si é in un certo senso attenuata la sua
responsabilità nella collaborazione, si é manifestata la tendenza a vedere nella Guardia
civica prevalentemente lo strumento che consentì a molti giovani di imboscarsi e di
sottrarsi a una sorte più dura, quale poteva essere l'invio in Germania o l'arruolamento
in altri corpi al comando dei tedeschi. E questo sarà anche vero, ma la Guardia civica ha
sottratto i giovani al movimento partigiano, e rappresentò un rifugio che non era affatto
così neutrale come si vorrebbe far credere, indebolì cioè la possibilità di ingrossare
le file partigiane, che dappertutto in Europa, furono alimentate non soltanto dall' impeto
del volontariato o dal reclutamento politico, ma beneficiarono largamente anche di
situazioni senza uscita che costrinsero migliaia di giovani a compiere scelte che soltanto
in un secondo momento avrebbero auto il sostegno di motivazioni politiche consapevoli.
L'allusione di Collotti può essere
ricondotta a quel filone storiografico - trentino e non - che, come abbiamo visto nel
corso del primo capitolo dedicato alla rassegna storiografica sull'argomento,
assunse un atteggiamento giustificatorio nei confronti dell'operato del CST e del Commissario Prefetto de Bertolini.
Scrive Vadagnini dieci anni dopo Collotti :
Pur essendo nettamente contrario a sciogliere i carabinieri, de Bertolini ,ancora
una volta, dovette subire da parte delle autorità tedesche limposizione del nuovo
corpo di polizia. Ma non si trattò di unimposizione passiva: il Commissario
Prefetto si adoperò infatti in tutti i modi per dare una struttura e obiettivi operativi
meno militari possibile al Corpo in via di costituzione. La sua caratteristica
fondamentale, secondo gli intendimenti del prefetto, avrebbe dovuto essere quella di una
<istituzione paesana> nata dal popolo ed al servizio del popolo; unistituzione
dunque che perseguiva fini educativi oltre che di sorveglianza pubblica
Ed ancora : I lodevoli propositi del Commissario Prefetto, che nascevano
anche in questo caso da una visione municipalistica fondata sul <trentinismo>, non
poterono comunque realizzarsi. Il Corpo di Sicurezza Trentino appena costituito venne
privato di molte delle garanzie di indipendenza proposte dal de Bertolini. Dopo i primi
arruolati volontari, la chiamata avvenne con precettazioni regolari. Circa luniforme
poi, i tedeschi fecero sapere che era difficile procurarsi quella di tipo italiano e
imposero ai giovani trentini quella tedesca. Gli ufficiali e i graduati furono addirittura
scelti nellesercito tedesco Ma il fatto più preoccupante si rivelò subito luso
che lautorità tedesca fece del nuovo Corpo. Come si vedrà, i giovani trentini del
CST, furono adoperati dalla Gestapo nelle frequenti azioni di rastrellamento dei partigiani.
Così la storia del CST si trasformò in una <tragedia nella tragedia>
Ed ancora, il giudizio di Vadagnini per
spiegare le motivazioni di coloro che scelsero di non aderire coattivamente al C.S.T. :
Coloro che scelsero di resistere ai tedeschi o cospirando in città o prendendo
le armi sulle montagne furono pochi, e questi pochi lo fecero o per motivi ideologici o
per una forte esigenza morale o per una profonda passione irredentistica che si
ricollegava agli ideali anteriori alla prima guerra mondiale.
Il pensiero del
Commissario Prefetto de Bertolini.
In questi fatidici 45 giorni tra la caduta del
Gran Consiglio e la costituzione della Zona Alpenvorland , prende la parola anche colui
che avrebbe avuto il difficile compito di guidare la popolazione trentina attraverso la
dura prova della guerra e la preparazione corale della richiesta
dell'autonomia allo Stato centrale. Così scrive de Bertolini : L'accentramento
risale in vero ad epoca precedente al regime fascista, ma fu accolta naturalmente con
entusiasmo dal sistema totalitario e diligentemente allevato. Anche questo è sperpero:
anzitutto di energie e poi anche di denaro. L'Italia è una: nessuno meglio dei trentini
lo ha appreso quando per lunghi anni ha teso ogni sforzo per unirvisi. Ma l'unità non
deve significare trattamento indistinto di condizioni differenti. L'amministrazione dello
Stato è un problema di mera praticità. Cose che potrebbero essere esaminate in
provincia- il Centro non dovrebbe intervenire che su ricorso degli interessati- vengono
trasferite a Roma, dove per necessità manca quella cognizione delle cose che sgorga dal
contatto diretto fra autorità e popolazione.La burocrazia provinciale è così, di
regola, abbassata al livello di un portacarte. Una Italia nuova, che non ha sopportato il
regime dittatoriale, né può d'altronde ritornare semplicemente al passato, perché
mentre il mondo cammina gli uomini non possono restare fermi, dovrà certamente
ricostruire ab imis, rivedendo in radice le premesse che la sua burocrazia fu portata a
considerare come verità rivelate.
Nel suo articolo l'avvocato de Bertolini si
sofferma nella critica alla politica - praticata dal fascismo in Alto Adige per tutta la
durata del regime - di gonfiare burocraticamente la provincia per diluire al massimo la
presenza degli allogeni ed allo stesso tempo nellinvestire a fini politici e di
prestigio internazionale, somme ingentissime nell'industrializzazione di una regione in
cui non sono presenti risorse naturali atte al funzionamento delle industrie, concetto che
egli elabora ulteriormente nell' altro suo articolo, in cui scrive : Fu un
errore grave del cessato regime fascista- e forse strumento di potere settario - di voler
asservire l' economia alla politica, colla conseguenza che questa continuò la sua strada,
retta come è da leggi che non tollerano la coercizione, disimpegnandosi alla meglio dalle
taglie che le venivano imposte e che ebbero il risultato di rincarare il prodotto.
Alle base del suo programma di accentuata
regionalizzazione ed omogeneizzazione della popolazione c'era la seguente riflessione
sull'ordine sociale : L' organizzazione sindacale del lavoro - che del resto non
fu invenzione fascista - può esistere anche se l' economia è lasciata libera. Le
previdenze sociali sono state da tempo introdotte anche negli Stati che si professano
democratici. Vero è che le difficoltà fra capitale e lavoro si lasciano più facilmente
vincere con un decreto. E' solo a vedersi per quanto giovi, se non dovesse permanere il
dogma dell' autarchia ed i prodotti nazionali dovessero combattere la concorrenza
all'interno ed all'estero. Anche tali difficoltà si lasciano moderare con la concordia.
La quale deve regnare non solo fra i partiti politici ma anche fra i diversi fattori della
produzione. L'operaio è un collaboratore dell'imprenditore, come questi di quello. Il
capitale è uno strumento di lavoro. Più ristretto è l'ambiente e più facile riesce di
intendersi. Per l'idea che la lotta di classe non sia inevitabile, devono lottare tutti
coloro a cui sta a cuore l'avvenire del nostro paese.
Cito ancora, e per l'ultima volta, il
pensiero del protagonista di questa complessa vicenda sulla necessità di una maggiore
omogeneizzazione della popolazione all'interno del Trentino. Scrive de Bertolini : La
fusione completa degli italiani, giunti a costituire l'Italia da varie provenienze e sotto
l' influsso di eventi storici molto diversi, non può essere che il risultato di una
evoluzione secolare, dalla quale, è innegabile- siamo ancora molto lontani. E' prevalsa
in passato l'idea che vi si potesse arrivare, mescolando a caso tutti i cittadini, i quali
viceversa, trasportati altrove, si sono poi trovati disambientati e tali sono stati
considerati anche da coloro che li hanno accolti. Non ne seguì certo un vantaggio della
organizzazione dello Stato e della perfezione dei servizi. Questo stato di transizione va
superato con pazienza. Si obbietta che un programma regionalista ci farà allontanare da
questa meta. Ma é un errore, perché uno Stato può essere forte e civile anche se gli
atomi dei suoi componenti devono, per fondersi, passare attraverso l'organismo regionale.
La regione assurta ad unità compatta ed economicamente forte, legata inoltre da comunanza
di interessi colle regioni vicine, pur mantenendo la sua individualità, potrà costituire
un elemento dello Stato molto più evoluto e fattivo che non la mescolanza casuale di
individui dei quali soltanto sulla carta viene raccontata l'uguaglianza.
Già dalla lettura di queste poche righe appare
chiaro il programma di omogeneizzazione etnicae di coesione economica e
sociale, (in questo abbastanza simile a quanto esposto sull'analoga vicenda in Alto
Adige), seguendo uno schema di tipo patriarcale e comunitaristico, che de Bertolini
intendesse realizzare durante i drammatici seicento giorni dell'Alpenvorland.
E grandi furono gli sforzi per attuarlo: basti
pensare che il programma di espulsione o di allontanamento di coloro che non erano
trentini fu attuato con maggiore rigore rispetto a quanto avvenne con la popolazione
italiana in Alto Adige che, se non politicamente sospetta o professionalmente qualificata,
poté restare sul territorio altoatesino. Dai numerosi brani
citati la figura del de Bertolini emerge con le sue tre componenti :
· liberale nel senso ottocentesco del
termine e con un alto concetto della legalità che intendeva far rispettare in ogni
modoanche per motivi politici;
·
cattolico-patriarcale, ma anche velatamente
antiecclesiastico, e quindi in favore di una società
tradizionalista che non subisse troppo i traumi della centralizzazione autoritaria o
della modernizzazione capitalista, e doveva rimanere a misura d' uomo;
regionalista e filotedesco
(e/o filotirolese) per necessità e per convinzione ed esperienza di vita, visto che la
sua generazione (era del 1871) aveva vissuto quasi mezzo secolo sotto l'Austria
imperial-regia; era - come Alcide de Gasperi, che apparteneva alla stessa generazione - un
Grenzmensch, un uomo del confine che conosceva altrettanto bene le due culture a
cui si sentiva legato per lingua o per esperienza di vita. Scrive de Bertolini da
Supramonte in data 30/04/1945 al Consigliere Germanico Heinricher : Anche se la sorte ci é stata avversa,
noi siamo stati destinati dalla Provvidenza a vivere da buoni vicini.Perché dovremmo
quindi rendere più aspro il nostro avvenire di pace?Perché non dovremmo, nonostante
tutte le divergenze poterci stringere cordialmente la mano?Noi che il destino avrebbe
chiamato ad un lavoro comune?
Non
bisogna comunque pensare, (ma anche senza ricadere in un larvato giustificazionismo ad
oltranza come fa la storiografia locale ad esempio nella persona di Armando
Vadagnini) o come fanno alcune correnti di pensiero, ad esempio la direttrice
del Museo Storico di Trento Beatrice Rizzi che accusano
in più occasioni de Bertolini di essere stato unicamente un traditore della
Patria e succube dei tedeschi) a de Bertolini soltanto come ad un docile esecutore degli
ordini impartiti dai tedeschi, perché egli lottò accanitamente affinché le ordinanze di
questi ultimi danneggiassero il meno possibile la popolazione, come dimostra questa fonte
archivistica : Per quanto riguarda la restituzione da parte delle autorità
germaniche delle licenze di caccia ai cacciatori cui sono state ritirate, mi permetto di
ricordare che l atteggiamento dell opinione pubblica da noi trova il suo
nutrimento nella benevolenza ed accondiscendenza del Signor Commissario Supremo e che ciò
ha consentito di superare anche dei momenti difficilida cui si deduce
implicitamente una pressione che egli cercava di esercitare nei confronti delle autorità
occupanti in favore del maggior benessere possibile della popolazione da lui amministrata.
Ciò conduce al difficile discorso storiografico sulle differenze ed analogie tra di loro
dei collaborazionisti nellEuropa occupata (il caso di Vidkun Quisling in Norvegia,
fiamminghi e valloni, olandesi, il Poglavnik croato Ante Pavelic ed il suo entourage,
monsignor Tiso in Slovacchia, la Francia di Vichy, i Paesi Baltici in funzione
antisovietica ed antiebraica e la stessa R.S.I etc.) e sulle contropartite concesse
dalle autorità occupanti tedesche in cambio della loro collaborazione. La sua adesione
personale e non pubblica al nazionalsocialismo, rimane una questione ancora aperta poiché
manca una sua valutazione politica esplicita e sincera del regime nazionalsocialista che
non é dato trovare nei documenti pubblici (visto l'imperante clima di censura di allora
),e nei suoi scritti a me conosciuti. Per una valutazione più completa della sua figura
bisognerà allora attendere che la sua famiglia apra il suo archivio privato agli
studiosi. Scrive lo storico Umberto Corsini a proposito del diverso atteggiamento nei
confronti dell'occupante nelle differenti generazioni e, implicitamente, di de Bertolini:
La vecchia classe dirigente compromessasi con il fascismo si fece da parte o, se
immune da colpe dirette personali, fu lasciata ai suoi posti di amministrazione. Quella
già antifascista, sulla quale gli eventi avevano caricato improvvisamente nuove
responsabilità, perseguì il disegno di staticizzare la situazione e di trar fuori il
paese dalla guerra e dall'occupazione nazista col minor danno possibile, evitando lo
scontro con l'invasore e la guerra civile, fine questultimo raggiungibile solo con
l'impedire la ripresa dell'importazione del fascismo, ora repubblicano. Esponenti delle
nuove generazioni, invece, giovani e giovanissimi, con l'occhio rivolto ai problemi più
vasti e allo scontro in atto fra nazifascismo e democrazie, di tipo occidentale e
orientale, anelanti a costruire un futuro di evoluzione dinamica nella dialettica dei
partiti, mal si adattavano alla quiete derivante da una politica pragmatistica locale e
diedero in conseguenza vita ai movimenti clandestini e di resistenza partigiana
Dal punto di vista del Gauleiter
Hofer il compito di de Bertolini era quello di dirigere la popolazione verso finalità che
apparivano di proprio interesse. La popolazione avrebbe dovuto lavorare senza opporre
resistenza -cosa che abbiamo visto nel documento sopra citato non avvenne mai-, mantenere
tranquilla la zona e soprattutto, facendo continuo riferimento all'autonomia dal governo
centrale, in quel momento la R.S..I., separare la provincia dal resto del paese. La
tattica di separazione del territorio dal contesto italiano si avvaleva di tattiche di
tipo psicologico che facevano leva su alcune specifiche attività sportive e sul loro
significato, che implicitamente suggeriva un senso di separatezza dal resto d'Italia e
quindi avrebbe dovuto rafforzare l'atteggiamento già filotedesco della popolazione.
Il collaborazionismo
trentino: motivi e proposte.
Il fenomeno del collaborazionismo
trentino durante il periodo dell'occupazione tedesca non é un fenomeno sufficientemente
analizzato, ma presenta alcun caratteristiche comuni - un forte separatismo, un
cattolicesimo conservatore e reazionario, lesaltazione del ceto contadino in
senso antimodernista ed un violento antisemitismo - di altri territori occupati dalla
truppe naziste (monsignor Tiso in Slovacchia, Ante Pavelic e gli ustascia antiserbi in
Croazia, Petain nella Francia di Vichy, il separatismo fiammingo etc.) che ci permettono
di delinearne le caratteristiche.
Il settore della popolazione che
più collaborò con i nazisti fu la classe dirigente e conservatrice.
Essa si proponeva di riprendere
in mano le redini del potere per traghettare il Trentino nell'area
austro-tedesca oppure per garantirne la sopravvivenza fino alla fine della guerra per
schierarsi con il vincitore.
A mia conoscenza, non esistono
delle fonti documentarie esplicite e programmatiche che testimonino le intenzioni della
classe dirigente di portare il Trentino nell'area dominata dal Reich, ma si limitano a
documenti in cui la popolazione, di qualunque ceto e condizione professionale, si esprime
in favore dell'operato del de Bertolini e si riconosce pienamente nelle autorità del
Gauleiter Hofer e del Reich che egli rappresentava.
Un'analisi che spieghi nei
dettagli come la classe dirigente avesse pianificato il distacco del Trentino dal
territorio italiano non sarà possibile fino a quando le memorie dei protagonisti, non
perverranno agli archivi pubblici. Si tratta in questo caso di una comprensibile sorta di
autocensura (molto frequente in questo tipo di ricerche) a posteriori che soltanto il
tempo e l'impegno dello studioso potranno forse superare.
In linea di massima si può
affermare che le elites intendessero contribuire a staccare il territorio trentino
dal resto del Paese per risparmiargli una nuova guerra inevitabilmente combattuta sul
suolo patrio, ma anche e soprattutto per riguadagnare un parziale controllo amministrativo
sul territorio, una amministrazione locale più efficiente, lespulsionedi tutti i
forestieri che si erano installati nella regione, ed il riorientamento della
propria produzione industriale ed agricola verso i mercati dell'Europa centrale e
orientale, dominati dal Reich. Nell'ambito dell'Alpenvorland esse intendevano
conservare e tutelare uno stile di vita rurale tradizionale
che il fascismo aveva profondamente sconvolto con il suo attacco alla Chiesa
cattolica ed alle sue istituzioni, in particolare alle cooperative agricole cattoliche. A
parte la notevole eccezione del conte Giannantonio Mancila nobiltà trentina ed
altoatesina di lingua italiana, si schierò dalla parte del Reich perché ne condivideva
la sostanziale idea di gerarchia sociale, anche se non concepita staticamente,
come sappiamo, e di restaurazione di un ordine tirolese-austriaco. Scrive in proposito la
scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti : Tuttavia non fece presa su di noi
questo fascismo, non con i contadini e non con i signori, gli uni e gli altri ancora
legati ai vecchi sistemi della monarchia; attecchì solo solo qua e là, con qualche
elemento da poco che sperava di guadagnare dalla confusione e dal malgoverno instaurato
nella provincia, un tempo assai austera. Quando, senza che ce accorgessimo , il Trentino
si trasformò nello spazio di una notte in Alpenvorland, specie di colonia tedesca, un
possedimento speciale di Hitler che nei piani doveva finire incamerato alla Germania, ci
furono parecchie famiglie di signori, di Bolzano e di Merano, ma anche alcune di Trento,
di Borgo e di Pergine, che si rallegrarono dell' avvenimento, mettendosi dalla parte dei
tedeschi senza capire che era un inganno. Dopo venti anni di fascismo si aspettavano più
dalla Germania che dall' Italia, e il Gauleiter fece loro credere- forse lui stesso ne era
un pò convinto- che sarebbe tornato a regnare il vecchio ordine austriaco od anche, ma con dei presupposti politici diversi, perché ne
approvava lalleanza e lanticomunismo che era alla base del legame tra le due
nazioni ideologicamente affini come messo in evidenza dal seguente documento:
Ancora una volta prego Voi e per Vostra cortesia l' Eccellenza Vostro Signor
Ambasciatore di voler far cessare questo non solo illegale ma addirittura delittuoso
trattamento continuato(ormai dal 4 agosto c.a.), fatto proprio a me, che sono stato uno
dei più convinti sostenitori della necessità dell' alleanza italo-germanica e della
fedeltà alla stessa.Mi permetto infine di aggiungere che la mia famiglia ha fatto e fa
tutto il suo dovere militare in questa guerra a fianco delle forze germaniche:un nipote,
dott. Bruno Conte Dudan, Capitano di Artiglieria, é morto a Zara nel febbraio a. c.; l'
altro nipote mio, dott. Antonio Conte Dudan, Seniore della Milizia Contraerea, combatte
ancor oggi a Zara assieme coi Vostri soldati; mio fratello Remigio divide i pericoli di
questo momento con i Vostri soldati a Spalato, circondata dai partigiani bolscevichi
In Trentino il fascismo (seppure con la sua
corruzione ed inefficienza e la sua pretesa totalitaria di controllo delle persone), aveva
costituito un chiaro attacco al potere e all'influenza
della classe dominante (Chiesa cattolica, nobiltà, professionisti) insidiandone la
tradizionale funzione sociale di controllo della popolazione, ed inducendo quindi
parte di essa (ma non le alte gerarchie della Chiesa cattolica trentina e nemmeno i
semplici parroci come testimoniato da questo documento) : E' pervenuta la notizia
alle nostre levatrici italiane, che a Lipsia in Germania sarebbero pronte per entrare in
servizio nell' Alto Adige sedici nuove levatrici diplomate, tutte donne dell' Alto Adige,
che hanno fatto il loro corso di studio e formazione a Lipsia in Germania. Ho creduto
opportuno di informare tanto la curia di Bressanone quanto quella di Trento. E' evidente
che queste nuove levatrici hanno bisogno di completare ancora la loro promozione con un
breve corso di istruzione religiosa morale. Di sicuro non hanno sentito nulla dell'
amministrazione del battesimo in tutti i casi che possono succedere( anche battesimo sotto
condizione in utero matris etc). Forse non hanno imbevuto delle idee esatte sulla natura
del feto e sull'anima immortale del bambino e sul dovere di conservare la vita anche dei
bambini non del tutto sani o normali.Insomma possono avere idee sbagliate in punti
importantia schierarsi dalla parte degli occupanti, in modo da recuperare almeno
in parte il potere gestionale e amministrativo che deteneva prima dell'avvento del
fascismo.
Paradossalmente si può affermare che
nell'ambito regionale furono proprio le elites conservatrici ad essere duramente
colpite e spiazzate dai regimi totalitari. Mentre in Alto Adige a partire dal 1939, in
occasione delle opzioni, esse furono gradualmente sostituite dai nuovi centri di potere
instaurati dai nazisti,che le fecero passare all'opposizione
del regime, in Trentino esse non dovettero affrontare un tale afflusso di organizzazioni
propagandistiche naziste che tendevano ad organizzare ogni singolo aspetto della vita del
cittadino, come abbiamo visto nel caso dellAlto Adige, e quindi poterono conservare
un certa margine dazione allinterno della provincia.
La crisi dellidentità
regionale
La volontà di riprendere almeno
parzialmente nelle proprie mani l'amministrazione regionale ed il controllo delleconomia
fu uno dei motivi principali che spinsero la generalità della popolazione a collaborare
con l'invasore. Si trattava sostanzialmente di un rapporto di subordinazione rispetto
all'occupante, nel settore amministrativo come anche in quello economico, che dette loro lillusione
che il potere fosse tornato in mani trentine.
Anche in Trentino, sebbene come
abbiamo visto il Gauleiter imponeva il controllo commissariale delle aziende, la
popolazione sentiva il bisogno di sentirsi padrone a casa propria,
e la recente immigrazione di popolazione dalle province finitime e dal Meridione provocò
una sorta di rigetto che troveremo chiaramente espressa nei programmi spiccatamente
autonomisti del C.I.T (Comitato Indipendentista Trentino), che saranno repressi, seppure
non duramente, dallo stesso Gauleiter Hofer perché postulavano l'idea di un Trentino
indipendente sia dalla Germania che dall'Italia. Di ciò parleremo più approfonditamente
nei paragrafi successivi.
La povertà delle
popolazioni contadine trentine e la responsabilità della classe politica.
Seppure non mancasse l'odio nei
confronti del regime nazista, la povertà ed il desiderio di tranquillità possono essere
annoverati tra i maggiori fattori che contribuirono allapatia delle popolazioni
trentine.
Al centro di questa problematica
vi è forse una causa molto più antica, quella stessa che ritroviamo negli anni
successivi allunificazione del Paese stesso, quando l'indifferenza e l'ostilità dei
contadini meridionali sfociarono in una serie di sanguinosi disordini e in una violenta
repressione da parte dell'esercito sabaudo. Scrive in proposito il poeta Giacomo Noventa :
Ma la causa della Resistenza era molto più profonda ed il nemico contro il quale
la Resistenza popolare italiana combatteva non era soltanto l'ultimo fascismo e l'ultimo
nazismo, ma l'indifferenza popolare italiana dal Risorgimento in qua. Il pericolo contro
il quale la Resistenza popolare combatteva non era soltanto la decadenza delle classi
politiche e di una parte della società italiana da Giolitti in poi, ma il pericolo più
grande che una decadenza più antica, la decadenza di quelle classi da Cavour in poi,
rappresentava per tutta la Nazione.
Se questo discorso poteva essere
in una qualche misura essere valido per l'Italia, a maggior ragione lo era per descrivere
la situazione del Trentino, unito al resto dell'Italia soltanto da un quarto di secolo in
cui aveva conosciuto solo il suo volto antidemocratico, poiché la Marcia su Roma aveva
preso le sue mosse proprio dalle regione tridentina.
Per questa popolazione martoriata
che era passata dal giogo straniero alla dittatura fascista, si può parlare senza tema derrore
di memorie divise per sottolineare il fatto che in alcuni settori della
popolazione trentina esisteva un'accettazione, se non addirittura una devozione nei
confronti della monarchia danubiana ed allo stesso tempo un mescolamento secolare delle
etnie e delle culture che fecero in modo che questo brusco trapasso di poteri
dall'Austria all'Italia, a cui seguì lo spostamento spesso arbitrario di alcune località
da una provincia all'altra ( ad esempio Cortina d'Ampezzo, Colle S. Lucia e Livinnallongo
che dalla Provincia di Bolzano furono attribuite alla provincia di Belluno)
lasciasse perplessa e insoddisfatta una parte della popolazione come dimostra
questo documento : Landwacht
Posten Cortina Hayden 20/11/1944. Al comando della Sicherheitspolizei-Aussenstelle Cortina
-Hayden. I sottofirmati uomini della Landwacht di Cortina -Hayden pregano codesto Comando
per potere ottenere un agevolamento circa il loro richiamo con la contraerea di Trento. Si
prega di volere tenere presente che detti uomini appartenevano in primo tempo alla S. O.
D, e cioé dal 20/09/1943 fino al loro richiamo con la Schutzpolize i(Battaglione
Deferegger di S. Candido), richiamo che ha avuto una durata di giorni 20, con lo scopo di
impiegare i sottonotati quali guardie del Corpo, per l' incaricato la Prefettura di
Belluno, Dr. Lauer, e che poi, per motivi a loro sconosciuti vennero esonerati e
richiamati per ordine del maggiore Witzmann quali guardie fisse nella Landwacht, e che da
allora fino al presente hanno svolto regolare servizio, sia come guardia, ed anche
impiegati in azioni di rastrellamento contro bande partigiane. Presentemente gli uomini
ricevono la cartolina precetto di presentarsi a Trento il giorno 24/11/1944 assieme al
numero di 50 italiani. E' provato che gli ampezzani hanno sentimenti molto contrari agli
italiani, e che una comunità assieme a loro sarebbe impossibile, chiedono perciò di
potere essere arruolati assieme agli altri ampezzani al corpo dei Landschützen. Bataillon
di Gossensass ,anche a causa del comportamento
vessatorio che coloro che avevano combattuto in campo avverso dovettero subire da parte
dell'Italia.
Scrive ancora Vadagnini : Ma
anche l'unione del Trentino all' Italia era avvenuta in maniera piuttosto sofferta, non
certo sulla spinta di una larga partecipazione di massa, come hanno messo in luce i
recenti studi storici. Dopo il 1918, i tiepidi consensi del mondo trentino al nuovo Stato
italiano si tramutarono ben presto in disaffezione e, in molti casi, in ostilità,
allorché la provincia si trovò amministrata, per un certo periodo, dai militari e da un
governatore di nomina centrale, circondato dalla fama di anticlericale, se non addirittura
di massone. Centralismo statale, diffidenza verso le richieste d' autonomia, occupazione
militare, episodi di inefficienza amministrativa, furono tutti elementi che giocarono
sfavorevolmente nell' impresa di far accettare ai trentini, con convinzione e coscienza,il
ritorno della loro terra all'Italia, per cui si erano battuti eroicamente molti giovani,
anche affrontando la morte, come era accaduto a Cesare Battisti.
In conclusione è opportuno
ricordare come sia estremamente importante valutare questi avvenimenti nell'ambito del
contesto storico in cui essi si svolsero, prescindendo da ogni valutazione astratta dei
fatti. Scrive in proposito lesponente comunista Andrea Mascagni : Ribadisco
con forza la necessità di fondare su basi storico-culturali-ambientali ogni ricerca, ogni
valutazione degli aspetti e dei significati emergenti della Resistenza trentina. Non è
possibile, non è producente esaminare situazioni e vicende profondamente radicate in
specifici contesti storici, con metri di giudizio generali e di fatto generici
E esemplare la posizione di
Mascagni che resta di comprensione storica degli avvenimenti ma non diviene per questo
giustificatoria del comportamento di una parte importante della classe dirigente trentina
: Ma in relazione a quanto mi sono adoperato di dire in queste brevi note, appare
evidente la forte incidenza durante l'intero periodo della Resistenza di una visione
restrittiva e riduttiva- diciamo pure: trentinistica - che ha orientato e guidato numerosi
esponenti della politica, dell'intellighenzia trentina, nella ricerca di un ruolo da
assumere rispetto agli eventi di quella portata
La diffidenza che le popolazioni
contadine, in particolare quelle che vivevano nelle zone di montagna, sentivano nei
confronti del movimento insurrezionale si deve naturalmente anche alla povertà ed al
conseguente sentimento di precarietà esistenziale in cui versavano, come viene ben
spiegato nel libro di Isabella Bossi Fedrigotti : Quella povera gente di cui non
si ha idea guardando la serena foto di guerra; ma basterebbe oltrepassare di poco i suoi
confini di carta per trovare la miseria, specialmente in montagna, tra i paesi neri fatti
di poche case sbilenche, con il poggiolo di legno sgangherato dove in genere si appendono
a seccare le pannocchie ( ma in quegli anni non c' era appeso niente); tra gli stretti
campi, non più a vigna perché è troppo alto, ma a orto, a patate o a erba, arrampicati
a scalini dietro le case.
L'apatia della popolazione
trentina fu da ricondurre a fattori culturali, storici, geografici ed economici che nel
loro insieme causarono una risposta tiepida alloccupazione tedesca. E
importante notare che latteggiamento della popolazione nel suo complesso non fu
affatto univoco, e che non sia possibile ricondurlo a fattori monocausali predeterminati.
Illuminante a questo proposito è
il diario di Fortunato Favai, ladino di Livinallongo paese in cui, insieme ad altri comuni
germanofoni trentini, vennero applicati i problematici, dal punto di vista dell
applicazione pratica, Accordi del 1939 tra Italia e Germania sulle opzioni. Scrive la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissariato per la Migrazione e la
Colonizzazione: Bolzano
23/12/1941.Al Podestà di Luserna. Oggetto : Nicolussi Stefano di Stefano e Gasperi
Dorotea, nato a Luserna l/10/1909 residente in Germania. Questa Delegazione é in possesso
della domanda di acquisto della cittadinanza germanica sottoscritta dalla persona in
oggetto, che é risultata di origine e lingua contestata. Al fine di potere stabilire se
l' interessato abbia diritto, o meno, all' opzione( come originario dei territori degli
accordi italo-tedeschi), si prega di voler cortesemente far conoscere se i suoi genitori,
nonché i nonni paterni e materni, siano nati nei territori di cui sopra é cenno. Il Capo
della Delegazione (Dott. Mario Craveri)
Scrive quindi nel suo diario
Favai :Tutto questo rimestaglio di cose provocava un fermento di malcontento e di
inquietudine in paese e sembrava infatti il preannuncio di cose più gravi. La mentalità
della popolazione paesana era diversa. Una parte gli optanti per la Germania, parteggiava
tenacemente per i tedeschi, gli altri, gli anziani di mentalità ancora austriaca, non
parteggiavano né per questo né per quello, avversi all'azione tedesca e avversi a quella
italiana, ottimi ladini, fodomi, ma senza patria possiamo dire s' aggiravano nel caos
degli avvenimenti senza saper pronunciarsi ed affermare brevemente la loro reale opinione
politica. Questi ultimi, nemici innanzi tutto della guerra, erano tendenti ad una prossima
pace, che ne avesse ristabilito l'antico regime pacifico di vita, operosa e sana.
I movimenti
autonomisti ed il CIT- Comitato Indipendentista Trentino
In unintervista concessa
nel 1957, Cadonna, fondatore del movimento CIT (Comitato Indipendentista Trentino)
racconta quali fossero stati gli elementi costitutivi del CIT.
Così si esprime Cadonna: Il CIT era sorto come
movimento giovanile, che voleva reagire alla situazione del momento; essa era determinata
dai seguenti fatti:1) La Venezia Tridentina, regione mistilingue(provincia tedesca,
provincia di Trento italiana)era profondamente divisa, all' epoca dell' occupazione
tedesca, tra due tendenze;quella filo tedesca (pantedesca) nell'Alto Adige (persecuzione
agli italiani etc.), quella autonomistica, nettamente antitedesca nel Trentino, ma anche
in un certo senso anche antitaliana (concependo questo termine come anticentralista,
antifascista) :infatti il volto dell' Italia che il Trentino aveva conosciuto era
stato solo quello del fascismo .2)Nel Trentino era vivo il rimpianto per l'amministrazione
oculata, semplice, razionale, di tipo ex austriaco, in contrapposto a quella
instaurata dall' Italia fascista (burocrazia elefantiaca, parzialmente corrotta,
impreparata). 3)Il problema del punto 2 era aggravato dalla presenza di funzionari
meridionali fannulloni ed ignoranti: la cosiddetta invasione terrona, che faceva stridente
contrasto con la tradizionale probità, semplicità e gradi di istruzione della gente
trentina. 4)Con l' Alto Adige, pur permanendo gravi motivi di dissenso con gli allogeni,
solo ai trentini era possibile un terreno d'intesa, specialmente in considerazione dei
comuni interessi economici ( prodotti agricoli, turismo, etc) e del carattere tradizionale
della gente di montagna( sano, dignitoso, leale). 5)In campo politico, sia il fascismo era
poco penetrato nella coscienza popolare e stava crollando, sia il nazismo in Alto Adige,
pur esaltando le posizioni nazionalistiche, non aveva una grande presa. Il concetto di
indipendenza territoriale era sinonimo di autonomia integrale, cioé della costituzione di
una specie di zona, autonoma completamente, che costituisse in un domani il ponte di
accordo non solo fra trentini e altoatesini, ma fra i popoli italiano e tedesco. Come e
qualmente questa forma di integralismo autonomista si dovesse esplicare, era rimesso al
dopo
Appare evidente nellintervista il chiaro
rifiuto dell'immigrazione di massa indotta dal fascismo, ma allo stesso tempo il fatto che
l'autonomia tout court sia dall'Italia che dalla Germania rappresentasse un
progetto in definitiva irrealizzabile già allepoca dei fatti se si considera il
fatto che il Tribunale Speciale di Bolzano comminò a Cadonna una condanna
abbastanza lieve motivandola con le seguenti parole: Il Tribunale Speciale si
rifiuta di prendere in considerazione l' ipotesi che il sano buon senso popolare ritenga
commisurata la comminazione della pena di morte contro l' imputato Giuseppe Cadonna
alla particolare gravità del reato da lui commesso. Cadonna all'epoca del reato
contestatogli era ancora un 19 enne, e a questa età non si é ancora raggiunta una
sufficiente maturità politica. Il suo piano di costituire uno stato indipendente
costituito di alcune centinaia di migliaia di persone non può essere preso in
considerazione nellattuale sviluppo degli Stati nel corso del XX secolo. Tutte le
personalità di rilievo che hanno avuto occasione di incontrare Cadonna concordano con
questo giudizio
La Chiesa trentina
ed i suoi rapporti con il regime fascista
La Chiesa sotto l' episcopato del
vescovo di Trento, Celestino Endici (1904-1940), condurrà una durissima lotta
contro il regime fascista, sentito come estraneo e prevaricatore da parte della
maggioranza della popolazione trentina e dallo stesso clero. Diverse volte il vescovo
Endrici si dimostrò assolutamente insensibile alla statolatria e agli appelli bellicisti
delle autorità fasciste giungendo allo scontro aperto con espliciti richiami da parte
delle stesse autorità a perorare di fronte alla popolazione le avventure belliche
fasciste in Etiopia ed in Jugoslavia.
Così scrive il prefetto fascista
Foschi a Don Giulio Delugan, direttore del periodico cattolico Vita Trentina
in data 23/04/1941 :
Considerato che nonostante
la formale diffida inflitta al Direttore del locale settimanale << Vita
Trentina>>, Mons. Giulio Delugan, con provvedimento 31 marzo 1941-XIX n° 2748 Gab,
notificato in data 7 aprile corrente anno, il predetto periodico ha mantenuto il suo
atteggiamento di voluta indifferenza per tutto ciò che riguarda l' interesse supremo
della Nazione tanto che, come ha rilevato anche il Ministero della Cultura Popolare, nel
n° 15 di detto settimanale mentre viene deplorato la mancanza di assistenza religiosa ai
soldati, rilievo evidentemente falso e tendenzioso, non viene riportata alcuna parola di
commento per la riconquista di Derna e per la dichiarazione di guerra alla Jugoslavia da
parte dell' Italia e della Germania; Considerato inoltre che nel n° 16 del ripetuto
periodico non viene dato alcun rilievo alle brillantissime azioni delle Forze Armate dell'
Asse nei Balcani e alla fulminea riconquista di importantissime posizioni in Cirenaica da
parte delle nostre truppe in unione a quelle alleate; Visto l' art.2 del R. D. L. 15
luglio 1923 n° 3288 convertito nella legge 31 dicembre 1925 n° 2309 e sentito il parere
della Commissione di cui al penultimo capoverso di detto articolo 2 : DIFFIDA PER LA
SECONDA VOLTA il Rev. Mons.Don Giulio Delugan, Direttore responsabile del settimanale
<<Vita Trentina>> ai sensi e per gli effetti dell' art. 2 del R.D.L. 15 luglio
1923 n° 3288 convertito nella legge precitata.
Trento, 23aprile 1941-XIX
Il Prefetto Foschi
Ecco un altro documento a riprova
dell' irriducibile opposizione che la Chiesa trentina esprimeva nei confronti della guerra
proveniente dall'Archivio diocesano di Trento che Giuseppe Quaresima indirizza al vescovo
Carlo De Ferrari) :
Altezza Reverendissima,
vi prego di scusarmi, se Vi rubo un momento di tempo. Forse Voi stesso desidererete sapere
quanto sto per dirVi. Si tratta di cinque capi d'accusa, che cercherò di riprodurre
brevemente e come mi riuscirà, per Vostra conoscenza. Li sentii e li lessi due giorni fa
ai 5 di gennaio) presso questo commissariato di P.S., dove venni chiamato
precisamente per rispondere ad essi. Questo interrogatorio durò la bellezza di due ore e
un quarto. Era venuto per lo scopo il Commissario Capo della R. Questura di Trento, quale
Delegato del Signor Questore della Provincia.
Ecco i capi d' accusa :
1) Io avrei usato nelle mie
prediche frasi ironiche all' indirizzo dei pubblici poteri della nazione.
2)
In una predica del 27 settembre 1942 ( e
di questo già Ve ne feci parola) ho parlato dell' universalità della carità e detto che
il S. Padre, Capo di tutto il mondo cattolico, sarebbe utilmente ascoltato quando parla al
microfono. In questa predica avrei detto che Egli sarebbe una specie di comunista e
che la carità cristiana abolisce le frontiere;
3)
In altra predica avrei addirittura
chiamati scemi i capi responsabili della guerra.
4)
In particolare venivo attaccato per la
pubblicazione dell' articolo di fondo del Bollettino Parrocchiale n° 12 , 1942.......
Altre cose simili a queste mi
venivano addebitate, che non riesco a ricordare.
Se permettete, ecco quanto Vi
posso riferire in materia :
Ad I) Respingo nella forma più
categorica che io abbia ironizzato a carico dei superiori e ciò per rispetto alla parola
di Dio e alla dottrina cristiana, che spero di professare in pieno, circa l' ossequio
dovuto alle pubbliche autorità.
AD II) non ho nulla da smentire,
né da ritirare circa quanto predicai sulla carità e sul rispetto dovuto a tutti i popoli
.Solo aggiungo che nella stessa predica tenni ad osservare che, naturalmente, la prima
carità deve essere rivolta verso la nostra grande famiglia morale, che è la nostra
patria.
AD III) Respingo nella forma più
forte l' accusa d'aver tacciato da scemi i responsabili della guerra. Ho detto invece che
molte volte essi stessi sono incapaci di dominare delle situazioni gigantesche forse da
essi stessi provocate, e che è nostro dovere invocare su di loro i lumi del cielo perché
possano ottenere il vero bene dei loro sudditi.
La Chiesa trentina si era
mostrata ostile alla pretesa fascista di controllare le cooperative agricole cattoliche e
soprattutto a quella di ottenere il monopolio dell'educazione giovanile che intendeva
tenere per sé. Ma al di là di questo scontro dovuto ai diversi interessi tra le due
istituzioni, la Chiesa trentina non intendeva in alcun modo avallare la propaganda
fascista bellicista e razzista che cercava il suo spazio vitale in Etiopia e
nella stessa Europa, manifestando l'esplicito razzismo che era alla sua base nello
stabilire una gerarchia delle razze e delle civiltà. Tale ideologia incontrava
l'esplicita disapprovazione della Chiesa trentina che non intendeva permettere al Regime
di forgiare un nuovo italiano alieno dal contatto con le tradizioni della sua
terra natia e delle sua tradizioni culturali cattoliche.
Alla morte del vescovo Endrici,
conservatore ed allo stesso tempo fortemente antifascista, divenne vescovo di Trento il
cardinale Carlo De Ferrari, più ossequiente ai desiderata del regime fino a divenirne
esplicitamente un sostenitore, ma il cui atteggiamento non incontrò mai l'approvazione
del clero trentino che pure egli rappresentava.
Ecco come lo storico della Chiesa
Sergio Benvenuti ricorda l'atteggiamento del vescovo nei confronti del fascismo all'atto
del suo insediamento nell'aprile del 1941 :
Per ultimo l'
arcivescovo inviava la sua benedizione a tutte le autorità civili, politiche e militari
alle quali assicurava << franca e leale corrispondenza di rapporti e
apporti>>, e concludeva : <<All' ombra così del <<brando>> che lItalia,
in questa epica era, ha sfoderato per un più giusto assetto del mondo, alla luce
inestinguibile della <<fiaccola>> che irradia dai nostri altari, ascendiamo
ancor noi, con Vate italico per l' erta fatale di un sovrumano destino, avviandoci fidenti
e compatti per nuovo cammino sotto il manto materno della Vergine Immacolata>>. Gli
appelli alla disciplina, il concetto di autorità di tipo dittatoriale e l'accostamento di
sacro e profano, di <<fiaccola>> e di <<brando>>, che ricorreranno
con frequenza anche in seguito nei discorsi dell' arcivescovo, vennero allora riprovati
dall' opinione pubblica trentina.
Appare evidente nella citazione
la piena adesione del vescovo de Ferrari all'ideologia fascista, anche nell'uso di termini
quali sovrumano destino che ricordano molto da vicino l'ideologia dannunziana
del superomismo e in generale del regime fascista.
La nomina del vescovo de Ferrari
era avvenuta in relativa concordia tra le gerarchie vaticane ed il regime fascista, del
quale il Vaticano apprezzava il senso dell'ordine e della gerarchia e il fervente
antibolscevismo, ma non necessariamente la pretesa di essere l'unico depositario
dell'educazione giovanile. In Trentino invece la maggior parte del clero continuava ad
avversare in modo più aperto il regime a causa di alcuni suoi atteggiamenti paganeggianti
(l'esaltazione delle virtù guerriere del popolo, la difesa della razza, il
culto del corpo nei saggi ginnici), non solo fra il clero minuto, ma anche in esponenti di
spicco della Chiesa locale come mons. Delugan e mons. Rauzi che in nome dello
spiritualismo cristiano si opponevano alla concezione fascista dello Stato etico
e della concezione del cittadino in funzione dello Stato.
Il ruolo della
Chiesa e del Vescovo De Ferrari
Come abbiamo avuto modo di vedere
sopra, dopo il 25 luglio 1943 il vescovo De Ferrari cambiò, come molti italiani, il
suo atteggiamento nei confronti del fascismo.
All'atto della proclamazione
della Zona d'Operazione Alpenvorland egli adottò un atteggiamento prudente che
mirava ad evitare ogni scontro ideologico diretto con i tedeschi, anche se in alcuni casi
specifici egli non tralasciò di protestare presso il Commissario Supremo Hofer . Tra i
motivi delle sue lamentele la soppressione del Foglio Diocesano da parte del Commissario
Supremo a causa della pubblicazione sullo stesso della Notificazione della
Conferenza Triveneta del 20/04/1944 in cui si attaccavano violentemente alcuni settori
della Chiesa che sulla rivista Crociata Italica
avevano spalleggiato la guerra condotta dalle autorità fasciste della Repubblica
Sociale, contravvenendo al dovere religioso di deprecare la guerra in ogni sua forma
od almeno di astenersi dal fare commenti in quanto decisione puramente politica e quindi
al di fuori delle competenze ecclesiastiche.
Scrive De Ferrari al Commissario
Supremo Hofer : Mi sia permesso esprimervi francamente la mia
spiacevole sorpresa per l' avvenuta sospensione del Foglio Diocesano, organo ufficiale di
questa Curia Arcivescovile, e più ancora per la proibizione che la seguì di una mia
lettera Pastorale al Clero di argomento strettamente ecclesiastico. Si ritiene che ciò
sia dovuto alla pubblicazione che dovemmo fare sul Foglio Diocesano della
<<Notificazione>> emanata dalla Conferenza Episcopale Triveneta, il che
stupisce non poco specialmente dopo le esaurienti e leali spiegazioni date in merito dalla
Curia sia alla Prefettura che alla Polizia di Trento. Non si capisce d'altronde perché di
sedici diocesi, solo quella di Trento sia stata colpita da un provvedimento che contrasta
oltre con i diritti inviolabili del ministero episcopale, colle stesse vigenti leggi
concordatarie. Voglio pertanto sperare dal Vostro equanime senso di comprensione che venga
tolto il divieto di cui sopra, perché quanto prima io possa riprendere il necessario
contatto col mio Clero, nella vastissima Archidiocesi che abbraccia due Province, a tutela
di interessi che sono principalmente, ma non esclusivamente di ordine spirituale. Trento
16/08/1944.
Si noti il non casuale
riferimento da parte del vescovo alla validità del Concordato firmato dalla Chiesa con lo
Stato italiano.
L'atteggiamento di De Ferrari nei
confronti della popolazione fu invece improntato alla massima prudenza; egli volle
apparire nella veste di pastore dell'intera comunità come testimonia un appello della
Vigilia del Natale 1943 in cui pronuncia lesortazione a proseguire sulla
giusta via nella fede dei Padri che si tempra alle prove nella austera disciplina che é
obbedienza alle Autorità e alle leggi, per giungere così alla carità che é amor patrio
e amore ai fratelli, secondo l'insegnamento di Paolo ed ancora e idee
possono essere diverse nel terribile sconvolgimento dell' ora particolarmente delicato,
anche contrastanti ed opposte, ma i cuori devono avere un palpito solo, le volontà un
solo obiettivo: salvarci dalla catastrofe oggi; ricostruire, domani. A nessuno sia
permesso monopolizzare quell'amore della Patria che é grande in tutti e che non si può
dimostrare se non amandoci tra noi . Il resto é retorica di cui se n' é fatta fin
troppa.
L'alto prelato cercò di mitigare
in ogni modo i terribili effetti della guerra indirizzando alcune proposte al Commissario
Supremo, affinché il lavoro obbligatorio risparmiasse almeno in parte la popolazione
femminile: Da qualche tempo si accentua nella popolazione l'angosciosa
contrarietà per l'allontanamento dal paese e dalla famiglia imposto d'autorità alle
donne e giovani reclutate per i lavori. Si comprendono le esigenze belliche che impongono
il lavoro, ma ragioni ovvie di assoluta convenienza sotto rapporti ideali e morali,
dovrebbero indurre a limitare tale obbligo per la parte femminile al luogo dove si
trovano, tanto più che, assenti già gli uomini, bisogna pure che qualcuno rimanga per i
lavori domestici e dei campi. Faccio appello pertanto alla Vostra alta Autorità perché
voglia sospendere questi espatri di donne e ragazze o per lo meno a togliere loro
l'obbligatorietà. Posso assicurare che tale provvedimento verrebbe accolto assai
favorevolmente da questa popolazione che francamente col suo contegno mi sembra meriti
ogni benevola considerazione. Con distinto ossequio. 1 giugno 1944 De Ferrari
La strategia del vescovo si
esplicò nella richiesta al Commissario Supremo di misure atte a mitigare i terribili
effetti della guerra e nello stesso tempo nel pregare la popolazione di mantenere unità e
concordia al suo interno, non permettendo che la moralità avesse a soffrire le
conseguenza della guerra :Non é certo bestemmiando e ballando che ci si dispone
a meritare da Dio un misericordioso intervento per tante pubbliche e private calamità.
E evidente che il vescovo
attribuiva alla Chiesa trentina un ruolo centrale, capace di mitigare la ferocia della
guerra, di proteggere la popolazione dallefferata ideologia del Reich e dalla sua
dottrina eugenetica ed allo stesso tempo di preservare lintegrità del territorio
evitando la snazionalizzazione: Fiduciosi di ottenere questa grazia che umilmente
domandiamo noi, Autorità e popolo, come espressione della nostra gratitudine promettiamo
solennemente una vita veramente cristiana nella fede e nei costumi in una perfetta
sommissione alla Chiesa, nostra madre ed SS. Pontefice Vostro Vicario in terra, ed inoltre
lerezione in questa Chiesa arcipretale di un organo liturgico degno della maestà
del tempio e del solenne profumo dei sacri riti come del resto confermato dallo
storico Vadagnini che scrive : Quello che stava più a cuore al vescovo era la
difesa delle popolazioni e la tutela delle istituzioni ecclesiastiche, con particolare
riferimento al regolare svolgimento delle pratiche religiose. Stando alle su
dichiarazioni, solo una in una frequente e convinta partecipazione alla liturgia religiosa
la popolazione cristiana avrebbe potuto conservare la sua unità, come pure un' identità
sociale e culturale, continuamente sottoposta a minacce di disgregazione, anche per mano
del Commissario Supremo Franz Hofer, che specie in Alto Adige aveva assunto posizioni non
certo favorevoli alla Chiesa.
La canonica di
guerra.
Il ruolo fondamentale della
Chiesa cattolica durante il periodo doccupazione non può essere sintetizzato solo
nella posizione del suo Vescovo, ma si espresse al suo meglio nellazione dei tanti
sacerdoti trentini che si prodigarono nella protezione e nel conforto della popolazione
civile e nel tentativo di salvare i partigiani trentini ed altoatesini dalla fucilazione.
Ecco la testimonianza di Don Nicolli, un sacerdote che intervenne incessantemente presso
le autorità tedesche nel tentativo di salvare alcuni di coloro che dovevano essere
passati per le armi. Scrive nel suo diario : Entrarono in azione le formazioni
di partigiani in Val d'Astico e vennero arrestati con le armi alla mano i partigiani Luigi
Dal Santo, Leone De Biasi, Luigi Organo, Giuseppe Beccaro e Francesco Ruaro. Condotti a
Trento, vennero giudicati dal Tribunale speciale di Bolzano per l'esecuzione della
sentenza. Comincia subito la mia opera delicata e pericolosa per salvare la vita ad almeno
qualcuno dei cinque. Mi presentai al Ministero della Giustizia, presso lIstituto
delle Marcelline, portando per ciascuno la domanda di grazia ed implorando clemenza.
Risposta secca che chiudeva la gola e gelava il sangue. Chiede l' ufficiale tedesco
<< Quale interesse personale ha Lei di intervenire per quei briganti........ sono
dei banditi......>>. Risponde Don Nicolli << Sono il loro parroco,
rappresento la mamma lontana, il babbo e i familiari, tutti in apprensione per la loro
vita>> .Risponde l' ufficiale tedesco<< Sono dei malandrini, sorpresi nei
boschi a razziare con armi alla mano, e non meritano pietà>>Risponde Don
Nicolli:<< Sono giovani senza esperienza, portati lì chissà da quali circostanze,
sono dei minorenni>>.<<Insomma esamineremo la loro posizione e poi si
vedrà>>
Quando le argomentazioni
umanitarie in favore dei condannati a morte non si dimostravano sufficienti, Don Nicolli
faceva presente che la fucilazione di prigionieri di nazionalità italiana in base al
codice militare di guerra tedesco non era ammessa dal diritto internazionale di guerra:
Aggiungo poi che la condanna non era fondata su basi giuridiche del tutto solide,
dato che si tratta di cittadini italiani, condannati in base alla legge germanica in
territorio non annesso al Reich. Poi trattandosi di legge di guerra sarebbe bene usare
indulgenza
Anche i conventi svolsero un
ruolo fondamentale nell'aiuto e nel conforto delle popolazioni civili nei momenti più
drammatici della guerra, che aumentò di intensità a partire dai primi mesi del
1944.
Nella cronaca del convento di
Cavalese troviamo scritto: Il Convento si prestò e venne usato come
deposito per la raccolta di generi, indumenti e denaro sia per i sinistrati sia per gli
internati politici nei Campi di concentramento, nonostante la continua sorveglianza delle
terribili SS naziste, e dopo l'armistizio divenne il luogo di ristoro per gli internati
politici e per i prigionieri di guerra che ritornavano dalla Germania e dalla Russia.
Oltre al compito umanitario, il
clero svolse unimportante azione di intermediazione tra le diverse componenti
politiche della popolazione e tra tedeschi e partigiani.
Nella mia canonica-
ricorda l'allora parroco di Cloz- si rifugiò di frequente Danilo Paris, che guidava un
gruppo di partigiani nella zona vicina, mentre per un anno e mezzo ho tenuto nascosto un
ebreo e negli ultimi mesi tre russi che fuggivano dal campo di concentramento. A questo
però devo aggiungere che negli ultimi giorni della guerra, quando i tedeschi già
scappavano, vi furono delle persone- viste peraltro molto di malocchio dalla popolazione-
che cercarono di disarmarli e allora ho dovuto intervenire per calmare le acque. Sempre
nello stesso periodo trovò rifugio nella mia canonica il sig. R., una persona stimata,
che non aveva mai fatto del male a nessuno, ma che negli anni precedenti era stato
fascista. I partigiani lo cercavano per farlo fuori.
Fondamentale fu il ruolo che il
clero minuto giocò nel proteggere la popolazione dagli eccessi dei partigiani. Scrive don
Franco Demarchi I partigiani si erano alienate le simpatie della popolazione per
le loro ruberie e perché insidiavano le donne. Inoltre in molti casi si trattava di
elementi settari, violenti, rozzi, fortemente anticlericali. La popolazione dei paesi per
tradizione era legata al clero e il clero trentino, pur essendo fortemente antifascista,
certamente non approvava taluni atteggiamenti dei gruppi partigiani, che però erano molto
pochi e male organizzati
. Spesso infatti la popolazione non capì la linea politica del movimento partigiano ed
ebbe limpressione di essere presa tra due fuochi. Continua il sacerdote in una
lettera al suo vescovo : E' impossibile descrivere ciò che soffrimmo in tali
giorni e la disperazione della popolazione....Io mi sono fatto in quattro, e nonostante il
panico in corpo e il pericolo di qualche pallottola, sono corso qua e là a confortare
e a incoraggiare. Ho parlamentato per due ore con il comando tedesco ed alla sera
di domenica ho potuto avere la grande soddisfazione di ottenere la liberazione degli
ostaggi e restituirli alle famiglie......Siamo tra due fuochi e senza difesa alcuna. Si
crede che codesti abitanti se la intendano con i partigiani, mentre devono subirli,
imponendosi essi con la prepotenza delle armi.
La Resistenza.
La Resistenza in Italia partì
innanzitutto da un movente etico, di cui resta testimonianza nelle opere di Beppe
Fenoglio, Nuto Revelli, Primo Levi.
In primo luogo essa si basò su
unurgenza antiretorica ancora prima che su un progetto politico definito. La prima
aspirazione fu l'abolizione della distanza fra le parole e le cose. Dopo
la lunga ubriacatura di parole e sullo sfondo di un paese disfatto e diviso, siamo scesi
in campo per misurarci.
Il progetto politico fu elaborato
successivamente, quando la popolazione italiana fu costretta dalla drammaticità degli
eventi a scrollarsi di dosso l'apatia ed il conformismo che l'aveva ottenebrata per un
lungo ventennio, anche se poi a reagire ed a prendere le armi contro l'invasore ed il suo
alleato fascista fu poi soltanto una minoranza. Fu proprio il bisogno di riscatto dalle
avventure fallimentari del fascismo con il suo linguaggio tronfio e retorico, ad unire una
parte cospicua della popolazione italiana nella lotta armata, ed una parte ancora maggiore
nella speranza di un radicale cambiamento dell'assetto istituzionale e della società in
generale.
Quest'ansia di rinnovamento si
esplicò sia nellimmediato con la scelta della lotta armata, sia in una visione di
più grande respiro con una progettazione politica per la rinascita dell'Italia che
avrebbe dovuto ricollocarsi nel mutato scenario internazionale in cui già si profilavano
le prime avvisaglie dell'incipiente Guerra Fredda tra Occidente ed Unione Sovietica.
La Resistenza ha voluto
significare il rinnovamento del Paese ed il netto distacco dal suo passato, che per questo
motivo fu oggetto di una sorta di damnatio memoriae che doveva implicare perciò una rimozione
netta e definitiva di quel passato.
Il fatto che essa abbia costituito e continua a
costituire a tanto tempo di distanza il momento fondante della nostra Repubblica, e ne
costituisca il suo mito fondativo, tuttavia ha distolto gli storici (tranne
pochi studiosi come Claudio Pavone, Angelo del Boca, Nicola Labanca, Davide Rodogno ed
ovviamente Renzo De Felice, il quale ha peraltro un'interpretazione piuttosto positiva del
fascismo e del suo Duce) da una seria analisi dei motivi del consenso al fascismo e
soprattutto della sua politica imperialistica nell'area africana, mediterranea e
balcanica.
Questo desiderio di rimozione del passato
fascista ha causato unesaltazione senza condizioni del periodo resistenziale, ed ad
una mancanza di analisi dei suoi moventi, delle sue modalità d'azione e dei suoi errori,
quando ve ne furono.
La seria e necessaria ricerca storiografica sul
fenomeno della Resistenza non deve essere tuttavia confusa con la polemica politica
sollevata da qualche anno da parte della destra che mira a considerare il fascismo come
una dittatura fondamentalmente benigna, meno sanguinosa di altre dittature coeve e la
sostanziale equiparazione tra i partigiani e gli aderenti alla R.S.I..
Questa mancanza di differenziazione tra
le varie parti in lotta, al fine di arrivare ad una sostanziale riabilitazione di quanti
combatterono dalla parte della R. S. I. può condurre oggi a pericolose ed
indesiderabili derive politiche che metterebbero seriamente in pericolo la democrazia nel
nostro Paese.
Linfluenza
degli errori strategici della Resistenza sullatteggiamento della popolazione
Nei mesi che intercorsero tra il
febbraio - marzo del 1944 e la fine della guerra, il sentimento comune della popolazione
oscillò tra il desiderio di ordine, la paura ed un primo iniziale cauto plauso alle
azioni dei partigiani, come abbiamo avuto modo di vedere nei paragrafi precedenti.
Adesso analizzeremo più in
dettaglio la documentazione in mio possesso su questa specifica tematica. E' illuminante
quanto scrive in proposito de Bertolini al Comandante tedesco della Polizia di Sicurezza :
Ieri, il 16 ottobre in un orario tra tra le 05-e le 06,30 lungo la strada che va da
Sover a Segonzano nelle vicinanze del ponte di Sover tre ribelli hanno fermato l' esattore
fiscale che viaggiava in motocicletta per rapinarlo del denaro che trasportava ma che egli
aveva precedentemente nascosto negli stivali. Lo hanno poi lasciato andare e l' uomo che
abita a Lavis, appena ha potuto, ha sporto denuncia. I ribelli che lo hanno fermato erano
in tre, ma ve n' erano degli altri nel bosco vicino...L'esattore fiscale non vuole più
essere inviato a riscuotere nel suo distretto fiscale. I contadini dovranno allora versare
le loro imposte a Cembra.
Una lettera inviata da de
Bertolini al Commissario Prefettizio di Cavalese mette ben in evidenza questa oscillazione
tra paura e complicità : L' aggressione fatta sulla strada ai tre disgraziati
che stavano nel camion della TODT, ha qui destato la più profonda impressione. Non si
arriva a comprendere come di pieno giorno i ribelli provenendo da Cadino abbiano potuto
raggiungere il posto dell'aggressione senza essere visti da molte persone. Se ne deduce
che sia per paura, sia per convinzione molti dei Vostri valligiani facciano mostra di non
vedere e serbino un silenzio colpevole
Come risulta dal diario del
citato Silvio Gobber che scrive nel suo diario : I due soliti colpi alla porta li
annunciano ( i partigiani n.d.r.) ed era precisamente uno di quelli che requisirono le
scarpe. Invitato a venire giù in cooperativa, appena entrato fui chiesto di grappa e
pane. Grappa non ce n' é e pane ne prese n prese uno che scannò come un cane affamato.
Chiese poi la macchina da scrivere;pregando e scongiurando che lor mi si volesse
lasciare, dopo 20 minuti, nulla vi era da fare avendomi detto che se non la avessi data
con le buone, l' avrei data la sera dopo e standoci più male. Chiesero poi i denari e
volendone Lire 5000 , a forza di pregare ne diedi 1200, un fiasco di vino e Lire 85 di
caramellel'atteggiamento della popolazione fu
sempre oscillante tra disapprovazione come in questo caso ed una implicita approvazione
derivò in gran parte dal fatto che spesso le bande partigiane in cambio della merce
prelevata offrivano dei buoni al posto del denaro .
Come testimonia ampiamente il
dirigente comunista Andrea Mascagni :Arriviamo all'autunno del 1944. Si
ricostituisce il CLN a Trento, attraverso un contatto dei comunisti con i socialisti, che
consente di giungere nuovamente alla Democrazia cristiana. L'avvio del lavoro cospirativo
e politico si dimostra subito irto di difficoltà. Gli orientamenti sono accentuatamente
diversi. Si apre una sorta di contenzioso tra particolarmente tra il rappresentante
comunista (che non è trentino) e l'esponente democristiano, il quale non esita ad
indirizzare aspre critiche ai comunisti per i loro reiterati tentativi di provocare
situazioni di scontro ai fini di un movimento armato, considerato impossibile per la
diffusa indifferenza di notevole parte della popolazione.<<Voi mandate a morire i
vostri giovani, noi preferiamo avviarli alla Todt, poiché ne avremo bisogno domani per
ricostruire il nostro Trentino>é l' insistito discorso del democristiano <<Ma al
domani dobbiamo contribuire anche noi, qui in questa terra, con la nostra iniziativa, con
la nostra lotta>>, è la costante risposta del comunistaallinterno
della dirigenza resistenziale si prese presto coscienza dellavversione suscitata fra
la popolazione e tempestivamente vennero adottati i provvedimenti del caso. Scrive ancora
Silvio Gobber : I partigiani hanno catturato un certo Luigi Gobbo di Ronco che
andava per le case costringendo i privati a dare merci per conto partigiani. Denominato fu
legato e portato verso il Broccone e fin ora non si sa la fine Il movimento
resistenziale, in particolare quello comunista, comprese che per godere dell'appoggio
della popolazione era indispensabile ottenere una legittimazione in modo che ne fossero
riconosciute le motivazioni politiche delle bande in modo tale che gli atti di resistenza
nell'amministrazione regionale non fossero scambiati per semplici atti di banditismo
comune che altrimenti avrebbero fatto soltanto il gioco della propaganda nazista.
Il ruolo dei
cattolici nella Resistenza in Trentino e la democrazia dal basso.
La Resistenza rappresentò il
momento culminante del processo di disaffezione da parte del popolo italiano nei confronti
del regime fascista che si era andato producendo almeno a partire dalle leggi razziali del
1938, disapprovate da una parte consistente della popolazione, per poi aumentare sempre di
più in seguito alle numerose sconfitte militari subite dallesercito italiano sui
vari fronti di guerra e che ne rivelarono alla stragrande maggioranza della popolazione lintrinseca
falsità morale e gli erronei presupposti ideologici e politici su cui quel regime si
basava.
In una storia del periodo doccupazione,
non deve passare inosservato il notevole ruolo che assunsero i cattolici all'interno della
Resistenza ed il prezioso contributo che ad essa seppero apportare. La loro presenza
fornì al movimento partigiano quei valori tipici del cattolicesimo politico come
l'autonomia, la cooperazione, la valorizzazione dei corpi intermedi, la libertà di
insegnamento, la solidarietà sociale e la buona amministrazione.
Tale linea di condotta rispose all'esigenza
degli esponenti cattolici di reclamare un ruolo attivo nella conduzione della Resistenza;
essa consistette da una parte nel contrastare lincitamento comunista ad unirsi alla
guerra di popolo, come scritto su un comunicato che recita così Il giorno
nostro non è ancor giunto, siamo oggi impegnati in una lotta che ha caratteri diversi:
liberazione, organizzazione,ricostruzione!Compagne la strada che dovremo percorrere sarà
aspra e tormentata, non meno facili saranno i problemi saranno i problemi politici da
risolvere ma con l' appoggio vostro e quello di tutte le masse lavoratrici la nostra lotta
potrà chiamarsi un giorno : di redenzione!, dallaltra si concentrò sulla
fase dellorganizzazione postbellica, tenendo in giusta considerazione le esigenze
ormai pressanti della popolazione trentina di una qualche forma di autonomia dallo
Stato centrale.
Al contrario della componente comunista del
CLN, essi espressero più di una volta forti dubbi sullutilità e l'efficacia della
lotta partigiana che secondo loro avrebbe inevitabilmente condotto a rappresaglie tedesche
ed alla guerra civile. Più che puntare sull'azione militare, cui presero parte in modo
limitato con le squadre biancheUn documento archivistico scrive : E'
stata fatta una obiezione circa il colore politico delle <<squadre
bianche>>.E' indiscutibile che le <<squadre bianche>> sono state
organizzate su base cristiana apolitica, che il Comando per essere poi riconosciuto
accettò le direttive del Partito della Democrazia Cristiana che le fornì valido aiuto e
concorso anche materiale, che moltissimi dei nostri partigiani, specialmente i capi, sono
democristiani di destra e di sinistra, ma con questo non si influì minimamente sulla
libertà democratica dei membri. Quello che ci distinse dagli altri partigiani della Valle
di Non, per cui ci teniamo a specificarci <<bianchi>> fu il nostro programma :
1) reazione al nazismo per principi cristiani; 2)tutta l' attività subordinata alla
difesa e alla salvezza dei paesi; 3)accumulare lo sforzo bellico all'ultimo momento dopo
esserci assicurati la più larga adesione del popolo e un sufficiente armamento
essi pensarono essenzialmente a preparare le condizioni per la necessaria rinascita
democratica e civile del Trentino, che sarebbe dovuta seguire alla fine della guerra .
Si possono individuare
fondamentalmente tre motivi di fondo alla base della Resistenza cattolica:
1.
una reazione al nazismo,
considerato unideologia contraria alla dottrina cristiana;
2.
la difesa e della salvaguardia del
territorio locale dalle truppe doccupazione ed allo stesso tempo il tentativo di
indurre le formazioni comuniste a moderare le loro azioni di tipo militare per non mettere
in pericolo la popolazione a causa delle inevitabili rappresaglie tedesche;
3.
evitare che l'insurrezione generale della
popolazione verso i tedeschi si trasformasse in senso rivoluzionario, come i
comunisti invece avevano auspicato. Ecco quello che scrive Don Franco Demarchi, uno degli
esponenti più in vista della futura DC trentina: I partigiani si conquistavano
sempre più le simpatie dei giovani, specialmente perché ci vedevano un rifugio contro i
richiami e si portavano via molti dei nostri che in tal modo avrebbero domani fatto
sgabello con le loro fatiche alle glorie comuniste e socialiste per cui l' assenteismo di
oggi si potrebbe pagar caro domani
Quale fosse l'atteggiamento
prevalente all'interno della DC trentina ci viene spiegato da una testimonianza di De
Unterrichter : Per noi del Comitato - precisa De Unterrichter - era
pacifico che nessuno doveva approfittare dell'attività clandestina per fare della
propaganda specifica di partito. Purtroppo presso quei pochi sbandati che erano sulle
montagne, arrivavano dei commissari politici da fuori, i quali facevano propaganda
politica e precisamente per il partito comunista, mentre gli altri partiti non hanno mai
tentato questo tra gli sbandati coi quali erano in contatto. All' interno del Comitato noi
stigmatizzavamo questa tendenza a far della politica, anche perché la politica in quei
casi poteva dividere invece di unire
Ritorna in queste parole il
concetto cattolico della sostanziale unità di intenti a prescindere dalla classe sociale
di appartenenza, contrapposta all'idea comunista della lotta di classe che avrebbe
necessariamente significato la fine della politica praticata fino ad allora dal
Commissario Prefetto de Bertolini, e sostanzialmente condivisa nei fatti dalla
dirigenza democristiana trentina.
La diversa visione del mondo e le
diverse ideologie a cui i gruppi cattolici e comunisti si ispiravano, provocarono allinterno
delle organizzazioni partigiane unaspra lotta fra le due componenti.
Paradossalmente, proprio in Trentino dove era molto forte la componente cattolica, essa
assunse toni minori rispetto ad altre zone dItalia, in quanto i comunisti dovettero
convenire sul programma bianco, che includeva la pressante richiesta della
popolazione di una maggiore autonomia per la regione (ottenuta nel 1948).
La focalizzazione delle diverse
forze politiche sui problemi legati all'autonomia del Trentino e la coesione sociale che
aveva regnato all'interno del Trentino durante lAlpenvorland, ebbero conseguenze
anche nel periodo successivo. Esse impedirono, nei mesi immediatamente successivi alla
fine della guerra, la lunga serie di vendette contro coloro che in un modo o nell'altro si
erano resi complici di collaborazionismo con i fascisti ed i nazisti, come invece era
avvenuto in altre regioni, ad esempio in Emilia, ed estesero il loro effetto almeno fino
al periodo iniziale della Guerra Fredda quando evitarono una lotta senza esclusione di
colpi tra i partiti regionali.
La
Resistenza armata e la brigata Garemi.
Dall'agosto al novembre del 1944,
le formazioni patriottiche operanti in Valsugana scrissero una delle pagine più belle
delle Resistenza trentina.
I contatti informativi fra gli
antifascisti trentini e gli organi dei CLN di Milano e Padova non avevano tardato a
riprendere, ma poco o nulla era stato possibile intraprendere sul piano operativo o
militare, tanto che alcuni trentini avevano preferito varcare i confini regionali ed
andare a combattere nel confinante Veneto. Essi erano del parere che la lotta armata nel
territorio trentino sarebbe stata possibile solo se dall'esterno fossero arrivati stimoli
e sostegni perché si rompesse il forzato isolamento messo in opera dai tedeschi fin dalla
creazione della ZOP Alpenvorland.
Questo fu precisamente quanto
avvenne con l'arrivo in Valsugana del distaccamento partigiano veneto Gherlanda,
la cui azione mirò a risvegliare nei resistenti trentini la volontà di riprendere la
lotta. Le brigate garibaldine operanti in prossimità della vallata trentina si proposero
col loro intervento, di ridare slancio ed energia alla Resistenza, non ancora del tutto
esaurita nonostante gli arresti e le deportazioni effettuate dai nazisti.
La repressione fu molto violenta
ed i tedeschi concentrarono nella zona un numero ingente di forze destinate alla guerra antipartigiana. La strage di Riva del Garda del 28 giugno 1944 in cui le SS
uccisero numerosi patrioti trentini e la successiva morte per suicidio del conte Manci in
data 5/07/1944 avevano dato la possibilità ai tedeschi di colpire i centri nevralgici
della cospirazione trentina.
Ma nonostante il grave colpo
subito, la Resistenza riuscì a riorganizzarsi: all'attività delle valli meridionali
subentrò quella delle valli settentrionali ed orientali, come la Val di Fiemme, e la
Valsugana. Una delle azioni più mirabolanti compite dalla Garemi fu il
sabotaggio compiuto a danno della linea ferroviaria della Valsugana, nodo di scambio
fondamentale, da quando la linea del Brennero era divenuta quasi inservibile a causa dei
continui bombardamenti alleati e numerose tronchi nel Veneto erano ormai interrotti. In
questa situazione divennero utili dal punto di vista militare passi secondari come il
Passo del Brocon, e lintera Valle del Tesino.
Per la sua posizione incassata
tra le montagne, la linea della Valsugana costituiva un obiettivo impossibile per gli
aerei alleati, ed era considerata dai tedeschi praticamente inespugnabile.
La notte tra il 6 ed il 7 giugno
1944 un gruppo formato da Paride Brunetti, futuro comandante della brigata
Gramsci, insieme ad altri quattro partigiani, attaccò la linea
ferrata. Con ventitré quintali di dinamite - che la brigata aveva prelevato dal Forte del
Tombino, dove erano tenuti gli esplosivi che dovevano servire per i lavori di
fortificazione che la Todt stava eseguendo nella zona di Cismon del Grappa- fecero
esplodere la galleria ferroviaria nei pressi del Forte.
E' importante notare che lungo
tale direttrice che va dalla Svizzera all'Istria si stavano costruendo delle
fortificazioni (Alpenfestung) molto caldeggiate dal feldmaresciallo Rommel per
prolungare ulteriormente la resistenza tedesca e che le azioni partigiane quindi
abbreviarono.
I socialisti: lazione
ed il pensiero di Gian Antonio Manci
Come abbiamo visto sopra, il gruppo che ruotava
attorno a Gian Antonio Manci e Gigino Battisti fu uno dei pochi gruppi organizzati
politicamente che resistettero all'invasore.
Il contributo di questo gruppo non fu
importante tanto dal punto di vista dell'azione militare, quanto da quello
dell'elaborazione politica.Nellanalisi che ne scaturì venivano individuate le
responsabilità del collaborazionismo della classe dirigente locale con l'invasore, e si
stabiliva per il futuro un piano di ricostruzione dello Stato unitario su base federale,
dotato di un'ampia autonomia regionale. Altri punti del programma prevedevano la
costituzione di una federazione europea destinata a soppiantare lo Stato nazionale e labolizione
della grande proprietà privata a favore della socializzazione delle infrastrutture.
Tratteremo succintamente i diversi punti che costituiscono il programma del gruppo Manci.
Dice testualmente il Manifesto del febbraio 1944:
1)La repubblica perché è il solo
governo del popolo. Non vi deve essere nessuna autorità, amministrativa o politica, che
non derivi dalla volontà popolare. Quindi la nostra repubblica dovrà essere democratica
nel vero senso della parola, e secondo il principio della nostra pregiudiziale
libertaria......
2)Le autonomie regionali e comunali; autonomia
amministrativa e parzialmente legislativa. Le autonomie regionali e comunali rappresentano
non solo l'unanime aspirazione di tutti gli italiani contro l'esecrato, dittatoriale e
pre-dittatoriale centralismo, ma rispondono anche ad una necessità economica e a una
garanzia di libertà politica.
3)Le federazione europea. Il problema domina
la tragica vita di questi tempi. Chi lo neghi, chi non voglia affrontarlo, chi rifiuti
aprioristicamente di risolverlo, deve sentire su se stesso il peso della barbarie bellica
che ha oppresso ed opprime le nostre generazioni. Solo uno stato internazionale libererà
le nazioni dai<<nazionalismi>>; debellerà le infernali teorie degli
<<spazi vitali>>;solleverà l' Europa dall' immane crisi verso una era di pace
e di ricostruzione.
4) La libertà di parola, di pensiero, di
stampa, di organizzazione, validamente tutelate per tutti; i diritti delluomo,
tutti, salvaguardati.
5) Labolizione della proprietà che serve
a sfruttare il lavoro altrui.
6)La socializzazione di tutte le grandi
industrie, banche, assicurazioni, servizi pubblici, delle miniere secondo un piano di
lavoro nazionale ed internazionale, inteso a soddisfare i bisogni collettivi e non
particolari. Le trasformazioni delle minori aziende in aziende cooperative.
Inoltre, si sarebbe dovuto rafforzare
potentemente la magistratura in modo da impedire che si ripetessero impunemente soprusi e
sopraffazioni di ogni sorta, come era accaduto durante l'epoca fascista. La scuola sarebbe
dovuta divenire un'istituzione aperta a tutti e non soltanto destinata a conservare i
privilegi di classe delle classi privilegiate. La classe politica responsabile di
collusione con il fascismo, in particolare la monarchia, avrebbe dovuto essere punita
esemplarmente.
Il movimento di Manci si distinse all'interno
del Trentino per la sua progettualità politico- sociale e per la sua lucida analisi del
collaborazionismo e quindi dei chiusi orizzonti di certa pavida mentalità
borghese
Il giudizio storico sull'opera di Manci e del
suo gruppo rimane comunque incerto sull'effettiva rappresentatività del gruppo
resistenziale all'interno del complesso dell'opinione pubblica trentina di quel
particolare momento storico.
I comunisti ed il
loro giornale ciclostilatoIl Proletario.
Il giornale comunista Il Proletario
rappresentò la coscienza critica della popolazione trentina in quel tragico momento
storico. Sebbene inizialmente stampato con mezzi di fortuna, non meno forte fu il
messaggio, sia per quanto riguardava lintera situazione nazionale, sia per quanto
limitato al Trentino, che veniva lanciato dalle pagine del giornale ciclostilato. Queste
righe riassumono lo spirito del giornale: Oggi, quando la barbarie tedesca ha
fatto la sua ricomparsa nella nostra terra, non ci sarà trentino di buona fede, speriamo,
anche ex cliente di Bertolini, che non veda la necessità di difendersi e di rendersi
libero e padrone nella propria terra. Ma chi ci libererà se noi stessi non vi
pensiamo? Se attendiamo che ci liberi il prossimo, mai si avvererà la nostra massima
aspirazione. Se ognuno di noi, invece, farà quanto è in lui - azione grande o minima -
la rivoluzione antinazista sarà immediatamente gigante. Dove sono i soldati nazisti che
possono a noi opporsi? Non sarà il C. S. T. che potrà e vorrà farlo. La Germania, il
nazismo stanno morendo! Ognuno lo sa e lo vede. C' è da temere l'estrema reazione, forse
la più selvaggia perché la più disperata, del moribondo. Difendiamoci, Trentini e
mostriamoci allaltezza di chi ha saputo morire per la libertà della sua terra. Cosa
aspettiamo a tagliare i telefoni, a bloccare le vie di comunicazione, a rendere
inservibili fabbriche e centrali. Non potranno essere certo i quattro gendarmi per valle a
tenerci in soggezione. I giovani del C. S. T. attendono il segnale della diserzione che
debbono dare i più anziani! Il nazismo muore: non aspettiamo di essere tratti con lui
nella rovina.
Dagli ultimi mesi della guerra si riuscì a
stamparlo in modo molto più nitido e la stessa impaginazione riflettè in modo
estremamente organico il pensiero e l'azione del Partito Comunista del Trentino in quel
periodo storico.
In esso apparvero lucide analisi del contesto
internazionale ma anche della situazione locale, complessivamente ben equilibrate, e
altrettanto appaiono le loro proposte, segno che, pur non rinunciando del tutto ad un
afflato rivoluzionario e di visione d'insieme, la dirigenza comunista si era adattata
pragmaticamente al clima moderato che regnava nella provincia.
Scrive Il Proletario
: Premesso ancora una volta che mille ragioni storiche, geografiche, etniche
ed economiche ci legano all'
Italia e che l'unione con l'Austria vinta , stremata, nazistizzata di oggi sarebbe un
delitto contro gli interesse del popolo trentino, noi combatteremo sempre ogni movimento
tendente al separatismo, nel mentre proclamiamo che i Comunisti trentini sono i
decisamente per l'autonomia. Anche in Italia e nella nostra Provincia i comunisti hanno
sempre propugnato - contrariamente all'opinione di altri partiti - la necessità di
costituire e di potenziare i C. L. N. frazionali allo scopo di avviare unamministrazione
decentralizzata anche in quei comuni che il fascismo aveva abolito aggregandoli a comuni
maggiori e che noi desideriamo nuovamente ricostituire. Scopo del nostro Partito è di
elevare il tenore di vita dell'uomo, di offrire la massima possibilità a tutti di
sviluppare in pieno la propria personalità,di dare il massimo di benessere ad ogni
cittadino. Se per realizzare ciò nella nostra regione è utile o necessaria l'autonomia,
noi faremo tutto il possibile per conquistarla. Bisogna ricordarsi però che l'autonomia
non è di per sé la panacea dei nostri mali, non è la soluzione immediata delle
difficoltà in cui ci dibattiamo. Occorre invece che nel quadro di ampie riforme e di
provvedimenti di vasta portata e di carattere anche rivoluzionario, l' autonomia sia
strumento valido della nostra rinascita economica.
L'allineamento sulle posizioni
autonomistiche rappresentate dalla Democrazia Cristiana appare quindi evidente dalla
citazione, anche se i comunisti invitano a non aspettarsi eccessivi miracoli dalla sola
autonomia ma da un cambiamento sostanziale e forse rivoluzionario dell'intera società
italiana. L'influenza della Democrazia Cristiana diverrà allora importante a livello
nazionale, soprattutto per la presenza di De Gasperi, Flaminio Piccoli e anche altri che
riusciranno a veicolare efficacemente le istanze autonomistiche del Trentino a Roma fino
al raggiungimento del primo statuto autonomo del 1948.
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